#tarallaro
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sandboy · 2 years ago
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taralli.
«Fortunato è diventato ed è rimasto una figura della vecchia #Napoli. Era come #Maradona dei #taralli. Se a te non servivano i taralli, tanto faceva che te li vendeva. Aveva una simpatia straordinaria. Una maschera di Napoli». #fortunato #tarallaro
«Fortunato è diventato ed è rimasto una figura della vecchia Napoli. Era come Maradona dei taralli. Se a te non servivano i taralli, tanto faceva che te li vendeva. Aveva una simpatia straordinaria. Una maschera di Napoli. Una persona benvoluta. Il classico venditore napoletano. Mò nun se trovano cchiù». (Pasquale De Biase, fornaio) Fortunato di nome, sfortunato di fatto? La vita del più famoso…
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eliophilia · 3 months ago
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Il sacro fuoco
Io nella vita voglio insegnare. Anzi sarebbe meglio dire “devo”, perché è una cosa che non ho mai voluto veramente, sono arrivata a 32 anni senza altre alternative, parlandoci chiaro, non ho il sacro fuoco dell’insegnamento, infatti, sono la vittima degli insegnanti che aspettano il posto fisso da 10 anni e sui social ci insultano “voi adesso ci rubate il posto mettendovi nelle nostre stesse graduatorie e bla bla bla”, amica io ho preso una laurea a 30 anni, alternative non ne ho, mi interessa qualcosa? No. Non posso fare altro? No. Ho fatto il classico, ho sempre avuta una formazione umanistica, devo lavorare e una volta capito questo, molto tardi, non ho intenzione di cambiare idea. Anzi, l’avessi saputo a 20 anni, come voi che possedete il sacro fuoco, per me sarebbe stato pure meglio, che vi credete? Laurea a 25 anni e vai col mambo, adesso sicuramente non starei in queste condizioni. Ho provato a divertirmi, ad iniziare il mio percorso nell’ambito turistico-artistico, è arrivato il covid, abbiamo fallito. Ho ricominciato. E adesso questo è. Se pure devo fare dieci anni nelle scuole private aspettando la graduatoria per il posto che dico io, io aspetto, ho aspettato tanto e aspetterò ancora, ormai sono in ritardo sulla tabella di marcia e indietro non si torna. 
E mi mangio il fegato quando non vengo valorizzata, quando da giugno mi sto sbattendo per cambiare scuola e per avere un posto decente e poi quando iniziamo a settembre vengo messa a fare la sporta del tarallaro a destra e manca come se fossi una bidella. Vengo messa di nuovo alle materne come quelle senza laurea, come quelle a cui piacciono i bambini!! Voglio fare la gavetta ma voglio anche non dovermi schiattare il fegato. L’anno scorso è già stato molto duro e quando mi ha richiamato la direttrice per tornare lì ho detto no, ora mi trovo, dopo neanche una settimana, a non stare bene nel nuovo posto di lavoro e col rimpianto di aver lasciato la scuola vecchia, che per quanto fosse un disastro, comunque era la “mia”, la conoscevo, sapevo chi erano gli alunni, sapevo che atteggiamento adottare con le direttrici, sapevo i miei spazi, sapevo dove andare a scaldare il pranzo, dove poggiare lo zaino la mattina e dove fare le fotocopie senza chiedere favori a nessuno. La scuola precedente era l’emblema della piccolezza, due classi piccole, una cucina, un bagno per i grandi misto a sgabuzzino, un bagno per i piccoli, ufficio con la fotocopiatrice, e basta, stop, fine. Né giardini, né giostre, né niente. Bambini pochi e tutti con un problema. Senza insegnanti di sostegno. Solo noi. Qui ora ci sono 6 classi di materne giù, 5 classi di elementari sopra, e la direttrice ancora non sa dove collocarmi e come se fossi un pacco mi fa stare la mattina sopra e il pomeriggio giù. Mi sento frustrata, per me avere un posto, anche se piccolo, avere una collocazione, è molto più importante che dirigere una classe. Non mi interessa avere la mia classe delle elementari, non mi interessa dover fare gli orari e dover stabilire i colloqui con le mamme, non mi interessa scrivere sui diari degli alunni cosa devono portare il giorno dopo. Io voglio anche solo dover controllare i quaderni negli zaini per vedere se hanno fatto i compiti e sapere che QUELLO è ciò che devo fare. Non mi sta bene non appartenere a nulla.  
Dopo il mese di luglio passata già all’insegna della frustrazione con la bidella che mi diceva di andare prima in una classe poi in un’altra, adesso mi ritrovo nella stessa identica situazione. Nonostante le premesse e i discorsi che avevo fatto con la direttrice a giugno. Ora è troppo tardi per fare altri colloqui perché le scuole sono già iniziate e sono nel panico. Quando scendo giù mi guardano male le maestre di giù, quando sto sopra mi guardano male le maestre di sopra, e lo sguardo dice sempre la stessa cosa: “Ma tu chi sei?” Ma chi cazzo siete voi. Ma vedete una che deve passare per lavorare e per vedere di non passare un guaio ogni volta che qualcuno apre bocca per non sputargli in faccia. 
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armandomoreschi · 8 years ago
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La Ditta Fortunato 'o tarallaro. Chiuso il Lunedì #streetphotography #blackandwhite #Napoli #SpaccaNapoli #vicolo #ambulante (presso Spaccanapoli)
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samudayablog · 10 years ago
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Tarallucci e vino: l’aperitivo dei litiganti
Tarallucci e vino: l’aperitivo dei litiganti
In Italia, quando un dibattito dai toni accesi e controversi si sbroglia in modo amichevole, si usa l’espressione “finire a tarallucci e vino”. Si conclude così una discussione animata, non per un intento di far pace ma per poca e pigra fermezza dei rivali o magari per subdoli e quietanti accordi.
L’atto di inzuppare il taralluccio in un buon calice di vino rosso per molti sarebbe la metafora che…
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simbiosiscompany · 10 years ago
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Un Nuovo Post è stato pubblicato su Samudaya
Un Nuovo Post è stato pubblicato su http://www.samudaya.simbiosiscompany.com/tarallucci-e-vino-laperitivo-dei-litiganti/
Tarallucci e vino: l’aperitivo dei litiganti
In Italia, quando un dibattito dai toni accesi e controversi si sbroglia in modo amichevole, si usa l’espressione “finire a tarallucci e vino”. Si conclude così una discussione animata, non per un intento di far pace ma per poca e pigra fermezza dei rivali o magari per subdoli e quietanti accordi.
L’atto di inzuppare il taralluccio in un buon calice di vino rosso per molti sarebbe la metafora che risolve un’enfatica disputa tra avversari. Di competizioni, amorose, ideologiche o politiche, ce ne sono a iosa e spesso l’unico modo di risolverle perché provocano un fastidioso disagio interiore e collettivo è proprio quello di ammollarle in un sano raduno conviviale.
A proposito di taralli, al contrario di quel che si dice, sembra poco plausibile che i cavalieri templari se li siano portati appresso nella saccoccia durante la prima crociata; pare, infatti, che i pugliesi li avessero iniziati a proporre per primi almeno tre secoli dopo le loro partenze.
Le masserie fortificate del Salento, in quel periodo, iniziavano a produrre i primi taralli e a farsi il vino,  pensandoli non solo come scorte di sussistenza, ma anche come aperitivo da offrire ai pirati saraceni giunti stremati dalla navigazione che pur non essendo propriamente ospiti apprezzavano eccome.
Non sempre, quindi, torri difensive, sciabolate e olio bollente? Chissà forse i pirati festeggiavano con i pugliesi le loro più semplici passeggiate di conquista sgranocchiando semplici tarallucci e brindando con il vino.
Per i sottomessi, pur di non essere passati alle armi, il miglior ripiego era proprio quello di concedere amicizia e ospitalità. Sorridete pure ma quest’integrazione ci riporta, ancora oggi, attraverso i caratteri somatici di alcuni pugliesi, tipicamente orientali, alla nostra lontana storia.
L’etimo del tarallone per alcuni deriverebbe proprio dal suo processo di tostatura o torrefazione ereditato dagli arabi. Per molti il tarallo ha origine da come si identifica il “pane” in grecia, per altri invece questo nome si ricondurrebbe alla sua forma che è un bel cordolo circolare dorato.
Oltre ai pugliesi, lo sanno bene gli amici napoletani, prima che il romantico mestiere del venditore di taralli si perdesse. Il “tarallaro” era una figura forte di una ricetta tradizionale meridionale basata sul grano locale con l’aggiunta d’olio d’oliva, strutto (nzogna) e un pizzico di  pepe.
Non c’è alcuna rappresentazione natalizia, pugliese o napoletana, senza il pupo di cartapesta infarinato che porta il cesto di taralli sul capo. “Paré ‘a sporta d”o tarallaro” si direbbe nella splendida Napoli, per descrivere chi per motivi di lavoro è costretto ad ambulare tra i suoi vicoli o chi per la sua indolente generosità è costretto, suo malgrado, per necessità o per un qualunque motivo, a distribuire ai suoi clienti appunto la sua preziosa sporta di taralli.
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