#tamigi
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mi butto
Più di una ragazza disperata, all'interno di un umido giardino circondato da mura, si era gettata sull'amaca con lo stesso gesto senza speranza con il quale si sarebbe gettata nel Tamigi. da G. K. Chesterton, Uomovivo
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invece che il poster, se escono vivi dalla senna quelli del triathlon vincono un kit contenente vaccini anti tifo colera e peste bubbonica
#ma come cazz si fa a farli nuotare in sto fiume MARRONE dio santo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! ma nemmeno a londra 2012#hanno avuto il coraggio di farli nuotare nella fogna del tamigi e questi nel fiume radioattivo con la corrente fortissima#poveretti ci vogliono medaglie per tutti anche solo per aver avuto il coraggio di entrare in ste acque tossiche
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Dylan Dog - Il Mistero Del Tamigi (The Mystery Of The Thames), 1990 (1993).
No.49
Publisher: Sergio Bonelli Editore
Cover: Angelo Stano
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Il 4 luglio 1862, durante un viaggio in barca a remi sul Tamigi, Alice Liddell (nella foto) di appena dieci anni visse l'episodio centrale della sua vita quando chiese a Charles Dodgson, un amico di famiglia, di raccontarle una storia.
La storia le piacque tanto che chiese a Dodgson di scriverla in un libro e regalarglielo, cosa che lui fece.
Charles Dodgson, che già pubblicava racconti, usava come pseudonimo Lewis Carroll e quel libro si sarebbe intitolato: " Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie ".
Celebriamo la ricorrenza incollando qui un dialogo da quel fantastico libro:
Alice rise: «È inutile che ci provi», disse; «non si può credere a una cosa impossibile.»
«Oserei dire che non ti sei allenata molto», ribatté la Regina. «Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz'ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione.»
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Solo quest’iride posso
lasciarti a testimonianza
d’una fede che fu combattuta,
d’una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, dell’Hudson, della Senna
scuotendo l’ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora.
— Piccolo testamento, E. Montale
#bro.......#eugenio montale#poesie#immagini e poesie#frasi poesie#poesia#poesie belle#frasi e parole#inspo#fiction and quotes#in italiano
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Londra - Tower Bridge e Tamigi
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Era il 19 marzo 1971 e niente fu come prima: i Jethro Tull pubblicano Aqualung è la copertina icona dei Jethro Tull. Fondati dall’istrionico Ian Anderson, i Jethro Tull hanno segnato un’epoca e hanno impresso il loro graffiante stile nella musica toccando tantissimi generi, dal jazz, al blues, al rock, al folk, fino all’elettronica. Il flauto, suonato dallo stesso Ian in modo cosi personale, è diventato un vero marchio di fabbrica. Iniziamo questo racconto sulla copertina più iconica del gruppo con una curiosità: il brano Aqualung, la title track, che eseguono dal vivo praticamente in tutte le loro performance, è uno dei pochi pezzi, che nella sua registrazione originale non ha il flauto! Il riff di Aqualung con quelle micidiali sei note eseguite da Martin Barre fu composto sulla chitarra acustica da Ian Anderson che a tal proposito racconta: “Suppongo che sia stato un po’ ispirato dalle note drammatiche di apertura di Beethoven della Quinta Sinfonia. Suoni alcune note e ti viene in mente un motivo, che è potente e stabilisce l’intera natura della canzone. È una grande cosa quando puoi farlo. I Deep Purple lo hanno fatto con Smoke on the Water. I Cream lo hanno fatto con Sunshine of Your Love. Quando crei uno di quei riff semplici e magnifici, è una cosa fantastica. È un bel gioiello nel firmamento musicale”. LA COPERTINA Ma veniamo alla copertina che in origine era textured, cioè telata. È un album “gatefold” ossia apribile che consentiva agli artisti di inserire più informazioni ed indizi sull’opera che presentavano. La cover è un dipinto di Burton Silverman raffigurante un uomo barbuto dai capelli lunghi in abiti trasandati. L’ispirazione scaturì da una fotografia di un senzatetto, scattata dalla moglie di Anderson a Thames Embankment, lungo gli argini del Tamigi. Una figura ai margini della società che osserva tutto. Perfetta per il contenuto lirico del disco ricco di riferimenti sociologici, religiosi e di vita comune. Da notare il netto contrasto tra il barbone e il manifesto alle sue spalle che pubblicizza eleganti e dispendiose vacanze natalizie in una località sciistica delle Highlands scozzesi meridionali. L’illustrazione materializza quasi il suo “rantolo” affannoso e minaccioso che è il vero senso del disco, che in origine doveva chiamarsi My God. Come lo stesso Ian Anderson ci svela, il titolo deriva dal rumore di un respiratore subacqueo. L’Aqua-lung è infatti il nome originale della prima attrezzatura subacquea sviluppata da Jacques Cousteau e Emile Gagnan nel 1943. L’interno della copertina, mostra un altro dipinto con i componenti del gruppo in abiti stravaganti all’interno di una cattedrale: Ian Anderson a bocca aperta che canta e tiene un incensiere; Jeffrey Hammond, il bassista, che beve da una tazza e ha in testa un casco da aviatore; Clive Bunker, il batterista, che è accovacciato sullo sfondo con una croce in mano; Martin Barre, il chitarrista storico della band, che è in abiti seicenteschi mentre John Evan suona il piano
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I'm on my way to sharing the epilogue of my YuuMori ff on EFP, yet I can't help but share this Adlock scene because I'm very satisfied with the result! ❤️ I'll put it under spoilers, mostly because it's quite long!
Nel percorrere il salone, Sherlock vide la combriccola impegnata a seguire le spiegazioni di Herder nel mostrare le sue invenzioni. Qualcuno mancava all’appello, ma chi gli interessava non era presente. Nel notare l’assenza del cappotto bianco, soffrì al pensiero di dover lasciare il tepore per affrontare il gelo, ma indossò ugualmente il suo soprabito nero, per poi uscire da una porta laterale. Nel varcare la soglia, si voltò non appena vide Bond, schiena appoggiata al muro e mani in tasca, intenta a osservare il gioco di luci che attraversava il cortile in lontananza. Nell’accorgersi di lui, sgranò gli occhi azzurri. “Sherly?!” esclamò, raddrizzandosi.
“Hai intenzione di rimanere qui a congelare?” chiese, stringendosi nel cappotto.
Bond lo guardò perplessa, poi sorrise con aria maliziosa. “Devo ricordarti la volta che ti sei spogliato per darmi i tuoi vestiti rimanendo in mutande o quella in cui ti sei tuffato nel Tamigi con Will?”
Sherlock non sapeva se essere impressionato o sentirsi a disagio, quindi si appoggiò con la schiena al muro accanto allo stipite opposto della porta. Il fiato gli uscì in uno sbuffo visibile e si limitò a osservare a sua volta i giochi di luce. Pochi istanti e capì cosa ci trovasse. Non aveva mai visto delle luci correre insieme, poi a scatti, poi inseguirsi in percorsi lunghi e tortuosi. Era magnetico. “Herder ne sa una più del diavolo, eh?”
Bond inclinò appena la testa. Sorprenderla nei modi più disparati era da lui, ma raramente l’aveva visto temporeggiare per qualcosa. “Già…” disse tuttavia, tornando a guardare le luci. “Dubito che ci sia qualcuno di più geniale di lui.” aggiunse, con l’intento di punzecchiarlo facendo leva sulla sua proverbiale megalomania.
Sherlock, invece, non vi dette corda, alzando gli occhi al cielo. Aveva la stessa postura e la stessa espressione di quando, presentandosi a lui in abiti femminili al posto di Moneypenny, durante la missione al Kensington, l’aveva scorto appoggiato al muro, in attesa. Soprabito invernale e sigaretta mancante a parte, ma l’odore del tabacco era sempre lì. Bond gli rivolse uno sguardo nostalgico. Gli aveva detto, in quell’occasione, che la magia di Cenerentola sarebbe durata soltanto per quella notte e così era stato. Dopo aver risolto il caso, Sherlock era andato via e lei aveva fatto ritorno a casa sorbendosi le frecciatine di un redento Moran e i complimenti del maestro Jack. Dopodich��, aveva riposto l’abito azzurro e la parrucca che riproduceva fedelmente i suoi lunghi capelli biondi nell’armadio. Se la parrucca le era tornata utile per ingannare il visconte Simmons, l’abito era rimasto lì, intoccato.
“Sherly… è tutto a posto?” chiese, con un tono ora sinceramente preoccupato. “C’è qualcosa che devi dirmi, vero? Che ti ha detto tuo fratello?”
Sherlock realizzò di non aver con sé le sigarette. Sempre un passo davanti. Non era mai facile, quando si trattava di Bond. Di Irene. Ogni volta che pensava di raggiungerla, lei sfuggiva. Era stato più semplice, durante la mascherata. Ma quando le maschere cadevano, lui era soltanto un uomo che non aveva idea di come gestire quel sentimento che era nato come semplice incomprensione, poi ammirazione, poi… non sapeva più nemmeno lui stesso come definirlo in un modo che significasse, per lui, dover ammettere qualcosa che aveva sempre rifuggito. Sapeva anche che rivedere quella che John aveva definito la Donna era qualcosa che non avrebbe mai ritenuto possibile e che non era in grado di capire perché ogni qualvolta si avvicinassero, lei finisse con l’allontanarsi. Proprio come le luci del percorso. Correvano insieme, si bloccavano, si inseguivano. Eppure, in un angolo remoto della sua mente, non riusciva a non pensare a quanto fosse orgoglioso del fatto che, in quei tre anni, fosse diventata la punta di diamante del MI6 al punto tale da suscitare la curiosità della stessa Sua Maestà. Più in basso però, nel suo cuore, avvertiva qualcosa di profondamente diverso e sconvolgente.
“Sherly, dannazione! Ti sei incantato o cosa?”
Battendo le palpebre, si decise a prendere un enorme respiro, poi voltò appena il viso verso Bond. Non aveva idea di che espressione avesse, ma ne vide le guance farsi rosse.
“Sei felice?” domandò, al posto di rispondere.
“Che… domanda è?” chiese di rimando, incerta.
“La vita che hai ora… ti rende felice?”
Il sopracciglio sinistro tremolò e Sherlock affilò lo sguardo. “Beh… non posso dire che non lo sia… insomma, guarda… sono James Bond. L’agente con licenza di uccidere.”
Lui annuì, ripensando alle sue lacrime, la notte in cui si erano congedati. Se non avesse scommesso sul Lord del Crimine, Irene sarebbe morta per mano di Mycroft. E facendolo, Irene era morta ugualmente, dando vita a James Bond. Si chiese se quella fosse davvero la sola strada percorribile, se alla fine, Irene Adler non poteva esistere più. La donna che mai avrebbe potuto dimenticare. La sola che aveva totale controllo sulla sua razionalità tanto da spingerlo persino a mandare in fumo il suo stesso appartamento e a mostrarsi proprio a lei per prima, dopo esser tornato. Non ultimo, quel tarlo che gli arrovellava il cervello al pensiero di lei stretta al suo braccio, della sua espressione inintelligibile… della voglia totalmente irrazionale di stringerla a sé e di prenderne le labbra carnose in un bacio. E poi, quel gesto che aveva fatto quando, prima di scappare dalla residenza Simmons, aveva posato la mano sul ventre fasullo con aria pensierosa… e, durante la cena, il modo in cui i suoi occhi si erano spalancati per un istante mentre Moneypenny annunciava il lieto evento, per poi addolcirsi.
Bond sospirò, notando che Sherlock era completamente chiuso in chissà quali pensieri. A quanto pareva, era di malumore e non aveva intenzione di aprirsi. D’altronde, il fatto che avesse più volte invocato di tornare in America le sembrava già abbastanza penoso. Aveva persino pensato di indossare un abito da donna, quella sera… blu, perché il blu le donava, come lui le aveva detto una volta. Ma negli ultimi tempi, Sherlock sembrava aver deciso di metter da parte qualunque sentimento provasse per lei in favore della risoluzione dei casi che si erano presentati nuovamente alla porta del 221B. Eppure, in quel momento le aveva chiesto se fosse felice. La verità era che era tornata ad esserlo, dopo che lui aveva fatto ritorno. La sola idea le era bastata persino ad esser pronta a mandare al diavolo l’identità che aveva assunto pur di trascorrere del tempo insieme. E non era abbastanza. Distolse lo sguardo, rincantucciandosi nel cappotto. “Io rientro. Effettivamente, c’è troppo freddo.” disse, facendo per rincasare.
“Irene. Irene Adler.”
Nel sentire il suo nome pronunciato con tono serio e fermo, si bloccò.
“James, Sherlock.” lo corresse, tagliente.
“Per me sei sempre Irene, lo sai.”
Gli occhi azzurri di Bond si fecero lucidi e il suo cuore mancò un battito. “E questo dovrebbe bastarmi, ora?”
“Sei troppo intelligente per chiedermi qualcosa di cui sai già la risposta.”
Bond sbottò, voltandosi di scatto e afferrando Sherlock per la collottola. “Ma voglio sentirlo ugualmente. Da te. Che tu mi dica… una volta per tutte… che cosa provi davvero… Sherlock…” disse e nel mentre, la sua risoluzione si fece sempre più debole, così come la sua presa, nel perdersi negli occhi blu notte dell’uomo che la guardavano come mai. Sherlock tolse le mani dalla tasca, sollevandole fino a posarle sulle sue. Per fermarla. Perché non prendesse freddo. Perché anche soltanto il poterla toccare era la prova che entrambi erano vivi.
“Sei tra gli agenti del MI6 che potranno spostarsi in missione all’estero.” disse e Bond lo guardò con gli occhi sbarrati, incredula. “Cosa?!”
Sherlock strinse la presa. “Se le circostanze lo dovessero richiedere… vorresti farmi da partner?”
“Eh?”
“Sì, insomma… in coppia… come coppia… cioè… aaaaaaah! Maledizione!!” incespicò nelle sue stesse parole, imbarazzato.
“Mi stai chiedendo di… aspetta… non capisco… perché non riesci semplicemente a dire le cose come stanno?!” protestò Bond che, diversamente da lui, capiva fin troppo bene, dal suo modo di fare, che intendeva altro ma, ogni volta, era capace di farla diventare matta.
“Perché non è facile, Irene! Non è facile…” disse, infine, tornando a guardarla. Nella loro vicinanza, nonostante i capelli corti e l’assenza di trucco, Irene era lì e lo guardava a sua volta, bella, indomita e brutalmente capace di farlo capitolare su una graticola.
“Quando mai qualcosa per te è stata facile? Tu ami i misteri… le cose complicate…”
Sherlock sospirò, vinto. Persino risolvere il mistero del Lord del Crimine si era infine rivelato meno difficile che capire il cuore e le azioni di quella donna. “E tu sei il mistero più complicato di tutti…”
Irene sgranò gli occhi, col cuore che aveva preso a batterle forte. Ciononostante, si morse le labbra per non dargliela vinta. “Dillo ancora…” sussurrò, con voce tremante.
Nel sentirla, riconobbe in quel tono lo stesso con cui gli aveva detto addio una volta. Si era voltato altrove, perché non vedesse che in quell’istante, anche lui era commosso. E le aveva detto che si sarebbero rincontrati, se lei fosse stata viva. Lo era. Lo sentiva dai battiti che palpitavano con più forza nei polsi di Irene. E da quel viso che aveva contemplato in foto, poi ogni qualvolta fossero insieme. “Anche se pensi che non sia così… io ti vedo, Irene. E voglio te al mio fianco.” sussurrò, addolcendo la presa intorno alle sue mani, per poi voltare la situazione in suo controllo, provocandole un sobbalzo a quel gesto inaspettato, portandola con le spalle al muro e, come le luci che tornavano a giocare insieme, abbandonarsi a un bacio a lungo agognato da entrambi.
Nessuno di loro due, tuttavia, aveva notato che in alto su quella porta, come sulle altre, pendeva leggermente del vischio, mentre la mezzanotte scoccava, annunciando a tutti il Natale.
#personal#fanfiction#yuumori#ynm irene adler#ynm sherlock holmes#ynm james bond#ynm adlock#ynm bondlock#italian#moriarty the patriot
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POVERE CREATURE!
In una Londra da "futuro anteriore" (probabilmente vittoriana), il dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe), un Frankestein con ambizioni fantascientifiche restituisce la vita all'aspirante suicida Bella (una credibilissima Emma Stone) che da aspirante diventa poi effettivamente suicida nelle torbide acque del Tamigi; in realtà il suicidio riesce a metà, poiché questo Dottor Calligari alla rovescia, invece di farsi i fatti suoi, raccoglie il cadavere della sventurata che è pure incinta e la porta nel suo laboratorio dove, con una operazione in day-hospital, preleva il cervello del nascituro e lo inseirsce nella scatola cranica della giovane donna. Il risultato finale è un corpo di donna con il cervello di un neonato. Del resto anche Goldwin Baxter non dovrebbe aver avuto un'infanzia tranquilla, in considerazione del suo aspetto a dir poco inquietante. A sorvegliare i progressi della donna-bambina vien chiamato Max McCandles, giovane studente di medicina che la aiuterà a districarsi nel mondo, compreso quello dell'eros, tanto che il dottor Baxter decide di darla in moglie al giovane studente. "Bella" però si invaghisce di Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), un avvocato capitato per combinazione in casa Baxter. Con Wedderburn, Bella intraprende una sorta di "Grand Tour" del piacere e dei piaceri tra Lisbona, Alessandria d'Egitto e Parigi. Ma il viaggio insegna anche alla giovane cos'è la povertà e il bisogno, tanto che, quando a causa di una perdita al gioco Wedderburn finisce sul lastrico, Bella decide di prostituirsi in un bordello parigino, facendo così conoscenza con il cinismo degli uomini, ma anche con le necessità materiali. Tornata a casa Bella decide di sposare Max, ma al matrimonio si oppone Alfie Blessington, militare e militarista che fu il marito di Bella, prima del tragico quasi-suicidio. Sempre desiderosa di nuove esperienze Bella acconsente di vivere con l'uomo che presto si rivelerà un tirannico maschilista. Liberatasi di lui con una salutare pistolettata in un piede, Bella torna da Baxter, che nel frattempo è sul letto di morte, ma ancora abbastanza desideroso di sperimentazione, tanto da inserire il cervello di Blessington nella testolina di una deliziosa capretta. Raccontato così il film di Yorgos Lanthimos potrebbe sembrare una abominevole boiata, ma niente di più sbagliato poiché si tratta di un film visionario e neo-barocco di grandissima poesia, aggiungerei “sorprendentemente”, poiché bisogna ammettere che il plot narrativo, letto a tavolino, qualche ragionevolissimo dubbio lo può sollevare. “Poor Things!” si muove infatti in quell’ambito del cinema “fantasy” che è spesso un genere che, con una certa facilità, può scadere nella banalità. Lanthimos riesce nell’impresa di costruire una storia raccontata anche attraverso una ambientazione oltremodo affascinante e giocata tutta in una dialettica serrata tra scenografia (Zsuzsa Mihalek) e tecniche di ripresa inconsuete (come le lenti grandangolari della macchina da presa). Oltre a qualche irrinunciabile effetto speciale, ma usato con molta misura, sono assolutamente pregevoli le ricostruzioni delle città (Londra, Lisbona, Alessandria e Parigi), piranesiane ed eccessive, disneyane e langhiane. Non c’è infatti nel film solo la lezione di Robert Wiene, ma anche quella di Fritz Lang con qualche strizzata d’occhio allo Scorsese di “Hugo Cabret”. Il film veicola, con una stravagante originalità, anche un forte messaggio anti-patriarcale. Non nuovissima l’idea della sfasatura temporale dello sviluppo corpo-mente che ebbe già la sua apoteosi cinematografica nell’indimenticabile “L’Enfant sauvage” di Francois Truffaut. Sconsigliato ai deboli di stomaco, ma consigliatissimo alle menti immaginifiche.

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Celebrazione della libertà femminile solo se restiamo sulla superficie, Povere creature è una riflessione sul controllo e sul possesso come antitesi di un’umanità che ha fame di mondo e di vita. L’anatomopatologo dottor Frankenstein, che in questo film è una specie di dio dalla faccia orrenda, privo di sentimenti, almeno all’inizio, e crudele al punto di rendere le sue creazioni umane delle cavie, prima riproduce in laboratorio Bella, la bellissima protagonista, poi un’altra bella ed obbediente, quando la prima ormai è fuggita. Il suo artificio umano, che ha nel cranio il cervello del feto che aveva in sé quando aveva provato ad uccidersi nel Tamigi, impara molto in fretta: scopre il piacere sessuale, quello del cibo, del bere, quello dell’esplorazione della città e della vita, oltre le mura chiuse del padre scienziato Godwin e del rapitore Duncan. La sua anarchia non si trova tanto nel sesso quanto nella brama di esperienze e nella lingua sciolta con cui distrugge il narcisismo del suo miserabile accompagnatore, vanesio, ligio alle convenzioni, geloso del suo territorio femminile come lo sarà il personaggio maschile della fine della storia, il soldato Blessington, suo sposo nella vita prima del suicidio e dell’operazione, poi ridotto nel lieto fine a pura bestialità.
Più disinibita di Nora in Casa di bambola, divisa in due, la mente infantile ed il corpo attivo e gaudente, apprende a camminare, a desiderare, a soffrire, sempre affrontando l’onnipresenza del controllo sociale. In ogni capitolo c’è un ostacolo da cui liberarsi, una miseria da superare, un’ingiustizia da tollerare. Londra, Lisbona, Alessandria d’Egitto, Parigi e le loro nefandezze: il possesso, il galateo, l’ingiustizia sociale, il culto del denaro. Acquisisce conoscenza, apprende i mali del mondo e trova ristoro nella sua amica e collega di prostituzione e nel fedele Max, dottorino innamorato, prima collaboratore di Godwin, che accetta il suo passato di venditrice del proprio corpo ed è uno dei pochi con cui non la vediamo accoppiarsi. Un bildungsroman per le masse che hanno fatto il Liceo. Ovviamente ogni uomo eterosessuale sognerà a lungo Emma Stone dopo aver visto il film.


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"Anh trước nay vẫn dõi theo em, bằng cái cách mà em có thể biết hoặc không."
Anh từng trải qua chốn ngục tù mù loà, nơi mà anh chẳng khác nào đã chết lần thứ hai. Mỗi ngày trôi qua đối với anh như thể anh đang gieo mình xuống cánh cửa địa ngục do quái vật Minitauro canh giữ. Anh chỉ mong được "chiếu sáng" một lần trong đời, cuối cùng anh trải qua suốt chín mười sáu lần như thế với tám vòng mặt trời chỉ để yêu em.
Nếu sau này không thể tìm thấy em, anh sẽ để trái tim "bị đâm chết" trong một chiếc cốc bằng vàng tại trụ cầu sông Tamigi ở London. Chỉ có Chúa mới có quyền hoặc ban cho, hoặc lấy đi sự sống của con người, nên anh không thể để chim Arpie trừng phạt và phạm trọng tội thêm vì đã cố giải thoát nhiều lần, được gặp em thì không phải làm thế nữa.
Nước mắt chảy ra do tội lỗi của nhân loại đã tạo nên dòng sông Acheronte, Stige và Flegetonta, nhưng anh chẳng mong dòng sông Letè khiến anh lãng quên em.
"Te lucis ante"– trước khi ánh sáng mặt trời tắt, anh muốn nhìn lên bầu trời và ước rằng từ thời điểm em gặp được anh, ngoài anh ra em sẽ được nuôi dưỡng bởi thật nhiều tình yêu từ thế giới này. Rồi khi đêm đến, kể cả khi mặt trăng có đạt tới điểm cao nhất thì anh vẫn nguyện đứng dưới bầu trời một lần nữa ngắm nhìn em. Anh nhớ trong kinh Phúc Âm, có hình ảnh bốn con vật đại diện cho bốn quyển kinh, chúng là hiện thân cho hy vọng và thật may anh đã được cứu rỗi.
Anh coi em như vùng thiên đường– vùng trời có ánh sáng mặt trời tinh khiết và em chính là vùng trời đẹp đẽ nhất mà anh có, nên một là ánh sáng chói loá chiếm lấy mắt anh, hai là ánh sáng sẽ nuốt anh vào, vậy anh có thể ở trong ánh sáng đó mãi được không?
Anh muốn nói với em rằng em là người đầu tiên khiến anh nguyện dâng hiến cả trái tim và toàn bộ tình yêu mà anh có.
Em cũng chính là người đầu tiên cho anh động lực để sống và khao khát sống.
Tên của em viết ra chỉ với vài giây ngắn ngủi nhưng lại cho anh khoảng thời gian hạnh phúc nhất từ trước đến nay.
Khi nghĩ về việc phải xa em, anh cảm thấy như đang có gì đó tan vỡ ra và mọi khoảng không phía trước thực sự dài bất tận.
Thật may em vẫn ở đây.
Anh được trở thành chính mình khi yêu em. Được rơi nước mắt, được nhoẻn miệng cười, được nói lời yêu từ tận đáy lòng, được ôm em trong vòng tay, và nếu có làm tình thì anh muốn em là người đầu tiên cảm nhận bên trong anh. Xin em hãy chỉ nhìn mình anh: vui vì anh, khóc vì anh và hãy chỉ rên vì anh; hãy chỉ bị hút bởi anh giống như anh đã bị hút bởi em vậy.
Kiếp này anh muốn yêu em nhiều lần, để kiếp sau vẫn như một vòng tuần hoàn lặp lại cứ thế gặp rồi yêu em.
Số phận sắp đặt để mình gặp gỡ nhau, tình yêu của em đã "chiếm" lấy linh hồn anh, anh không muốn rời xa em, em chỉ được yêu mình anh và của mình anh. Anh muốn cho em thấy những giọt nước mắt và dáng vẻ yếu đuối, trần trụi nhất của anh.
Bất cứ tổn thương nào em mang, anh sẽ hôn và xoa lấy từng mảnh một.
Anh yêu em rất nhiều. Xoa em, ôm em và hôn em. Cảm ơn em vì đã ở đây, bên cạnh anh.
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Honey seeks clarity on the cost of the rebirth of the Thames of the Thames
Unlock the publisher’s digest for free Rouula Khalaf, editor of FT, selects her favorite stories in this weekly newsletter. The treasure is looking for greater clarity on the cost of the Renational Tamigi Acqua in view of a sentence of this week’s crucial court that could decide the future of the largest British water supplier. Thames Water, which provides water and sewer services key decision…
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Richmond Park
Cos'é?
Richmond Park è il più grande dei parchi reali di Londra, con una superficie di circa 10 chilometri quadrati. Istituito nel 1637 dal re Carlo I come riserva di caccia reale, il parco è diventato un simbolo della conservazione naturale e uno spazio pubblico iconico. Situato a sud-ovest della città, nel quartiere di Richmond, è un’oasi di tranquillità lontana dal trambusto della metropoli. Questo luogo è non solo un rifugio per la fauna selvatica, ma anche un patrimonio storico, che offre una combinazione unica di bellezza naturale e valore culturale.
Perché vederlo?
Richmond Park non è solo un parco, ma un ecosistema unico che racchiude la storia e la biodiversità della campagna inglese. È il luogo perfetto per immergersi in un ambiente autentico e vivere un'esperienza lontana dal caos cittadino, offrendo incontri ravvicinati con la fauna selvatica, passeggiate rilassanti e panorami mozzafiato che raccontano secoli di storia. Se ami la natura, è una tappa imperdibile per riconnetterti con il verde e godere di un rifugio naturale alle porte di Londra.
🌳 Cosa troverai
Richmond Park è famoso per i suoi cervi liberi, ben 600 che si aggirano tranquilli tra querce secolari. Camminando, potreste incontrare:
• 🦌 Cervi rossi e daini, una presenza unica e affascinante, simbolo di questo parco storico.
• 🐦 Oltre 140 specie di uccelli, inclusi i pappagalli verdi, che regalano un tocco esotico e inaspettato a questo angolo di Inghilterra.
• 🌸 Piante autoctone come felci, querce e prati fioriti, fondamentali per la biodiversità e il mantenimento dell’ecosistema del parco.
🗺️ Altre attrazioni:
• Pembroke Lodge: Una villa storica con un caffè e viste spettacolari sulla valle del Tamigi. Questo edificio, risalente al XVIII secolo, è circondato da un giardino curato e offre un’atmosfera unica per rilassarsi.
• Isabella Plantation: Un giardino recintato noto per la fioritura di azalee e rododendri in primavera. Questo angolo del parco è un vero paradiso botanico, ideale per gli appassionati di piante e colori vivaci.
• King Henry’s Mound: Un punto panoramico famoso, da cui è possibile vedere la Cattedrale di St. Paul a chilometri di distanza attraverso un corridoio visuale protetto. La leggenda vuole che il nome derivi da Enrico VIII, che usava questo punto per osservare il Tamigi.
• Laghi e ruscelli: Sparse nel parco ci sono diverse zone d’acqua che ospitano anatre, cigni e libellule, creando un’atmosfera tranquilla e rilassante. Focus botanico
Richmond Park è un vero e proprio paradiso botanico che ospita una varietà di piante e alberi eccezionali, contribuendo alla sua straordinaria biodiversità. Tra le specie più rappresentative troviamo:
• Querce secolari: Il parco è rinomato per le sue querce, alcune delle quali hanno oltre 700 anni. Questi alberi non solo definiscono il paesaggio, ma offrono rifugio a innumerevoli specie di insetti e uccelli.
• Felci autoctone: Sparse nei boschi e nei prati, le felci di Richmond Park sono un esempio di flora tradizionale inglese, contribuendo alla salute degli ecosistemi locali.
• Azalee e rododendri: Concentrati nella Isabella Plantation, queste piante creano una spettacolare esplosione di colori durante la primavera, attirando visitatori da tutto il mondo.
• Prati fioriti: Il parco include vaste distese di prati ricchi di fiori selvatici, tra cui margherite, ranuncoli e papaveri, fondamentali per la sopravvivenza di api e altri impollinatori.
• Ippocastani e faggi: Diffusi lungo i sentieri principali, questi alberi maestosi offrono ombra durante l’estate e creano scenari pittoreschi in autunno con il loro fogliame dorato.
Inoltre, Richmond Park è un laboratorio a cielo aperto per gli studiosi di botanica e gli appassionati di natura, grazie alla presenza di specie rare e protette. Questo angolo di verde è non solo un luogo di svago, ma anche un simbolo di conservazione e sostenibilità.

⚠️ Consigli:
• Le autorità del parco raccomandano di non avvicinarsi a meno di 50 metri dai cervi – sono selvatici! Anche se sembrano abituati alla presenza umana, possono essere imprevedibili.
• Indossate scarpe comode perché il parco è vasto, circa 10 km², con percorsi che vanno dalle passeggiate tranquille a quelli più impegnativi per i camminatori esperti.
• Tenete il vostro cane al guinzaglio nelle aree più sensibili, specialmente durante la stagione delle nascite (maggio-luglio), quando la fauna è più vulnerabile.
• Portate con voi acqua e snack, poiché il parco è grande e i punti ristoro non sono ovunque facilmente accessibili.
✨ Come arrivare?
• 🚇 Tube: Prendete la District Line fino a Richmond Station, poi un bus (371 o 65) o una camminata di circa 20 minuti lungo percorsi pittoreschi che anticipano la bellezza del parco.
• 🚗 In auto: Ci sono parcheggi gratuiti all’interno del parco, ma possono riempirsi rapidamente nei fine settimana, quindi è meglio arrivare presto per trovare posto.
• 🚴 In bici: Richmond Park è molto popolare tra i ciclisti, con percorsi dedicati e viste mozzafiato. È un luogo ideale per chi cerca un allenamento immerso nella natura.
📸 Suggerimenti per le foto:
• Alba e tramonto sono i momenti migliori per catturare i cervi con la luce più suggestiva, creando immagini mozzafiato.
• Non dimenticate di visitare le praterie fiorite, le querce monumentali e le aree umide con i loro giochi di riflessi: perfette per scatti naturalistici.
• King Henry’s Mound offre un’opportunità unica per fotografare Londra da una prospettiva storica.
Richmond Park è un gioiello per gli amanti della natura e offre un perfetto equilibrio tra avventura e relax. Con i suoi spazi vasti e la sua biodiversità unica, è un luogo che invita a rallentare e godersi il momento. Non perdetevi questa meraviglia durante il vostro prossimo viaggio a Londra, perché ogni angolo di questo parco racconta una storia e offre un’esperienza indimenticabile!

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John Atkinson Grimshaw - Riflessioni sul Tamigi, Westminster
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"Per i mari azzurri degli atlanti e per i grandi mari del mondo. Per il Tamigi, per il Rodano, per l’Arno. Per le radici di una lingua di ferro. Per una pira su un promontorio del Baltico, helmum behongen. Per i norvegesi che attraversano il fiume chiaro, gli scudi levati in alto. Per una nave in Norvegia, che i miei occhi non hanno visto. Per una vecchia pietra dell’Althing. Per una strana isola di cigni. Per un gatto a Manhattan. Per Kim e il suo Lama che scalano le ginocchia della montagna. Per il peccato di superbia del samurai. Per il Paradiso su un muro. Per l’accordo che non abbiamo sentito, per i versi che non ci hanno incontrato (il cui numero è il numero della sabbia), per l’inesplorato universo. Per la memoria di Leonor Acevedo. Per Venezia di vetro e di crepuscolo. Per la persona che Lei sarà; per quella che forse non comprenderò Per tutte queste cose disparate, che sono forse, come presentiva Spinoza, mere figurazioni e facce di un’unica cosa infinita, dedico a Lei, María Kodama, questo libro." J.L.B. Buenos Aires, 23 agosto 1977
Storia della notte, Jorge Luis Borges
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Federica Di Giovanni - Il nuovo singolo “Tu”
Il brano della pianista e cantautrice sugli stores digitali e dal 5 ottobre nelle radio

“Tu” è il nuovo singolo della giovane e talentuosa pianista Federica Di Giovanni, per Underbridge Records e dal 5 ottobre sui principali stores digitali e nelle radio in promozione nazionale.
L’artista, cresciuta con una formazione classica e un’anima contemporanea, ha composto una canzone intensa e carica di emozione, in cui il pianoforte, la voce e gli archi si fondono in un’atmosfera intima e malinconica. “Tu” evoca sentimenti profondi legati al ricordo e alla nostalgia, con una rara delicatezza e profondità. Il testo toccante si intreccia perfettamente con l'arrangiamento musicale, offrendo un'esperienza emotiva autentica e coinvolgente. La purezza della produzione e la sincerità del tema trattato rendono questa canzone capace di connettersi con l’ascoltatore a un livello intimo e profondo, offrendo conforto attraverso la musica.
Ascolta il brano
Storia dell’artista
Nasce a Milano nel 1998. Inizia a studiare pianoforte e canto all’età di 10 anni, laureandosi con il massimo dei voti in pianoforte nel 2021 e in musica vocale da camera nel 2023 presso il Conservatorio Luisa D’Annunzio di Pescara. Ha conseguito, inoltre, il master di perfezionamento di pianoforte presso l’Accademia di musica di Pinerolo (TO), sotto la guida dei maestri Alexander Romanovsky e Roberto Plano. È membro dell’Accademia Giuma di Chieti, guidata dal maestro Giuliano Mazzoccante. Nel corso degli anni è risultata vincitrice di diversi concorsi nazionali e internazionali sia di canto che di pianoforte. Ha tenuto recital solistici in molte città italiane con un repertorio sia classico che moderno. Nel 2022 ha pubblicato sulle maggiori piattaforme di streaming musicali la canzone “Tamigi” e nel 2024 la canzone “Tu”.
Attualmente è impegnata in concerti di pianoforte solo e in esibizioni come cantante. Sta, inoltre, collaborando con il maestro Maurizio Fabrizio nella realizzazione di diversi inediti e si sta dedicando alla realizzazione di canzoni come cantautrice.Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=100009659776565 Instagram:https://www.instagram.com/fede.digiovanni TikTok:https://www.tiktok.com/@_effy_98 YouTube:https://www.youtube.com/@federicadigiovannipiano-si1207
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