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La luna rossa era uno squarcio aperto sull’inferno.
Come se non fossi abbastanza nauseato dall’ennesima estate che aveva scelto di lasciarmi fuori dalla festa dell’esistenza, abbandonato sulla statale del disprezzo come un cane vecchio e abbruttito da anni di incurie, dovetti accettare anche un’altra notte di eclissi.
Anche quest’anno infatti studio aperto aveva annunciato l’eclissi più lunga del secolo e di telegiornale in telegiornale rimbalzavano ovunque, a mo’ di mantra, servizi che descrivevano cosa sarebbe stato e come avrebbe funzionato lo spettacolino: eclissi, eclissi, un povero cristo si dà fuoco, eclissi, continua nel mondo la caccia al nero, eclissi, crocifissi nelle scuole, eclissi, pubblicità di occhialini per l’eclissi, interviste sull’eclissi a gente in vacanza, eclissi, dati personali venduti ad Amazon e alla Russia (meglio che alla Spagna, eh) e Facebook che apre una app di incontri poco dopo Cambridge Analitica, ma la buona notizia è che con questa app puoi trovare sicuramente qualcuno da limonare mentre guardi l’eclissi così che potrai alimentare con ricordi del genere la tua autostima quando sarai vecchio e inizierai a pensare alla morte. Questo era il palinsesto.
“Alla fine la luna è stata catturata delle fiamme, sembra un enorme occhio rosso piantato nel cielo nero e terso che quest’estate poco afosa ci ha offerto fino ad oggi. L’ombra che pian piano l’ha coperta sembrava comandata da forze oscure, signori lo ammetto era quasi inquietante ma come possiamo pensare che una simile meraviglia possa entrarci qualcosa con il male che c’è nel mondo? Spero di riuscire a comunicare quello che sto provando e le immagini che vedo a voi che non siete altrettanto fortunati e che magari state lavorando al chiuso anche alle 22 di questa nottata unica...” Il tono della parlata e il suo stile all’inizio mi avevano sinceramente incuriosito, costretto com’ero da mesi a leggere testi di lavoro con la loro sintassi rigida e spigolosa, ma poi ruotai in senso antiorario la manopola del volume della vecchia radio panasonic che avevo preso da camera dei miei e la ridussi al silenzio. “Forze oscure, si, e chi cazzo le comanderebbe in questo mondo di ritardati?” pensavo tra me e me mentre mangiavo una fetta di fesa di tacchino decisamente poco invitante e qualche foglia di insalata che probabilmente, al netto del sapore amaro lasciatomi in bocca e del tempo che aveva trascorso in fondo al frigo, non era più commestibile e che per di più era bagnata di un’acqua opaca nella quale spero si annidassero colture di batteri potenzialmente letali per l’umanità intera.
In caso interessasse a qualcuno, non è che me ne stessi chiuso in casa a mangiare come una donna in crisi di mezza età per convincermi che avrei potuto fare una vita sana, non ci credevo e nemmeno avevo di queste pretese, semplicemente avevo deciso di seguire gli insegnamenti della grande letteratura e dei suoi personaggi più ignorati e maltrattati: ignorare tutto e (soprattutto) tutti, perché di speranza veramente non c’è ne è mai stata e non ce ne sarà più [e non provate a convincermi che Dostoevskij veramente credesse negli spiragli di luce che decideva di inserire in alcune sue opere, perché ormai si è capito che lo ha fatto solo per evitare i rimorsi di coscienza che sarebbero spuntati come fiori in primavera dopo la trafila di suicidi che avrebbe potuto causare la sua letteratura. Che poi in Russia comunque non è che se la passino troppo meglio visto che il quarto sport nazionale dopo “ammazza la spia estera”, a quanto ne sappiamo, è morire di overdose.].
Quando mi guardavo intorno o diventavo compassionevole oppure mi incattivivo, perché ad essere onesti la mia disillusione nel poter apportare un qualche contributo a questa merda di commedia umana non era ancora totalmente cancellata, ma la strada verso cui ci avviavamo era sostanzialmente quella, quella del nascondersi dietro a carte, pratiche, autorità e altri contenitori vuoti come la realizzazione e la famiglia, perché tutto il resto ci aveva deluso e basta. Non riuscivo, ad esempio, ad essere pienamente d’accordo con chi sosteneva che l’uomo fosse un’animale ipocrita ed egoista, in primo luogo perché per essere ipocriti bisognerebbe comunque avere dei principi e degli ideali da tradire (che già non sarebbe poco, sia averli sia avere le palle di tradirli con la consapevolezza di andare incontro ad una piccola-grande gogna sociale), in secondo luogo perché l’egoismo è razionale, lucido e calcolato, o al più si rivela azzardato se la persona ha determinate inclinazioni, qui invece ognuno fa quello che cazzo gli pare nell’illusione di fare meglio per sé; per di più pochi hanno l’onestà di ammetter di aver fatto una cazzata, ma preferiscono rifuggire questa vergogna e anzi quasi se ne vantano, soddisfatti di aver dato ascolto alla loro parte emotiva, soddisfatti di aver espresso i propri sentimenti (che, ricordiamocelo, vanno espressi per forza, non vanno mai trattenuti, tipo un bisogno corporale, a prescindere dall’impatto che potrebbero avere sugli altri e su di noi stessi!).
Parlavo con quelle poche persone che ancora mi suscitavano un po’ di pietà, che mi inducevano al contatto umano e partecipavo alle loro conquiste e ai loro drammi, sapendo sempre dove saremmo andati a parare ma senza riuscire mai a smettere di stupirmi.
La ragazza che insiste con una storia che è destinata a morire e a farle del male nonostante non abbia motivi per credere che questa volta ne uscirà incolume, l’amico che non riesce a stare da solo e come una tossico non riesce a stare senza qualcuno vicino, legandosi morbosamente alla prima disgraziata che vuole solo farsi due risate, l’amica che è consapevole del fatto che siano avventure di una notte e che più andranno avanti e più difficile sarà accettare che un vero legame non c’è (a meno che non si voglia chiamare legame un rapporto di convenienza, dove una scopata serve solo a distrarsi, a rilassare i nervi), un conoscente che litiga con la moglie e si sfoga andando a puttane, un altro amico che si è licenziato dal sesto lavoro in un mese perché non accetta che a un certo punto l’adolescenza è finita, che avviandoti verso i 30 iniziano a sopprimerti, ogni giorno una goccia di veleno, anestetizzante, di modo che non ti renda nemmeno conto dei momenti che bruci e che perdi, dei dolori che causi e dei torti che subisci.
Tutti questi pensieri mi turbinavano attorno, con le loro immagini e le loro storie a seguirli in coda, decisi di aprire una birra presa al discount per rallentarli e disperderli un po’, sapevo che il tappo della bottiglia saltando in aria avrebbe fatto un rumore sordo che mi rilassava, feci forza con il manico di un coltello e il tappo schizzò in alto, tesi le orecchie attendendo quel botto rassicurante ma il suono venne coperto da un fastidioso brusio proveniente da fuori la finestra. Mi affaccio quanto basta per osservare quanto succede senza farmi vedere e scopro di essere stato catapultato in un girone dantesco: tutti i terrazzini in cemento dei palazzi del quartiere sono illuminati dalle stesse luci installate negli anni ‘80 e tutti brulicano di donne, uomini e bambini che ridono e chiacchierano con i vicini, sentendosi costretti a dimostrare che abbiano rapporti di civiltà con i loro dirimpettai, “Probabilmente degli assassini o degli stupratori”, “Il figlio è un tossico, mi mette paura...” direbbero a cena, al riparo da orecchie indiscrete , ma fa nulla, in pubblico è un’altra storia. Il mio cervello collega i pezzi del puzzle e realizza di non essere all’inferno “ah, già… l’eclissi” penso mentre scelgo di manifestare nel modo più discreto possibile il mio disprezzo: non solo non accendo la luce del terrazzo che resta l’unica spenta e sembra un livido su un lembo di pelle bianca, ma spengo anche la luce della stanza: è un pungo nell’occhio da fuori, proprio come volevo, per di più la luce sanguigna della luna viene attirata dal marmo che compone il pavimento e si lascia riflettere per la sala, diffondendo una soffusa aura rossiccia che alimenta la mia passione in questo momento infinito.
Mi stendo sul pavimento e mi lascio torturare da un bombardamento di frasi di circostanza, di falsi complimenti e, come colpo di grazia, di promesse dei genitori in risposta alle domande dei bambini: “Come è andato quell’affare di cui mi parlava? Ah, male? Mi dispiace ma sono certo che si rifarà, in fondo lei è uno del mestiere...” “Si, caro nel 2030 saremo sicuramente liberi di andare su Marte.”, “Ma certo che puoi fare l’astronauta da grande, basta impegnarsi e volerlo!”…. Ma smettetela! Siate realisti! Smettetela di promettere futuri dolci, di inculcare l’illusione che tutto è raggiungibile, che otterremo quello che ci meritiamo perché si, perché il mondo è giusto e le ambizioni sono sempre ripagate. Parlate ai vostri figli di un futuro nero, pieno di violenza, stagnazioni sociali e lotte per la supremazia (non si sa bene supremazia su cosa, ma comunque lotte), fate in modo che arrivino ai vent’anni con la fame negli occhi come i ragazzini della ex-jugoslavia, pronti a costruire delle fondamenta contro gli incubi che i nonni raccontavano loro da bambini, fate in modo che nella continua lotta per arrivare a posizioni sempre migliori i ricordi della vostra famiglia siano veramente percepiti come qualcosa di prezioso e non come un incidente di percorso nella strada per un futuro arido di quelle promesse che ci venivano fatte e per le quali esistono poche possibilità di realizzazione. Dite che si vivrà male per stimolare lo spirito di chi vorrebbe un futuro migliore, non fate come focus, vi ricordate Focus, la rivista, che faceva le copertine con i robot e le auto volanti e asseriva spavalda “Ecco come sarà nel 2018!”? Poi il 2018 è arrivato, e siamo solo morti di fame e ci litighiamo il rame con gli zingari [cit.] e dobbiamo lottare per convincere la gente a vaccinarsi; ecco Focus ha formato una generazione che si aspettava il drone per volare gratis a 18 anni, mentre i droni oggi li usano per attaccare guerriglieri nazionalisti e eserciti di terroristi islamici e i bambini con la fame negli occhi.
Prendo la moto ed esco, il motore fabbricato negli anni ‘90 copre ogni rumore, e dentro al casco riprendo a pensare che sono dieci anni che vedo le stesse storie, ormai so già come finiranno, aspetto solo di capire come arriveranno al finale, tragico o glorioso (raramente, a dire il vero) che sia. Come nelle infinite serie di remake e spin-off che l’industria cinematografica dà periodicamente in pasto a orde di fan sempre più affamati, insensibili alla qualità, ingordi e crudeli, in perfetta simbiosi con l’industria che nutre sulle loro spalle.
Penso che sono un pessimo spettatore che da dieci anni vede le stesse storie, sente gli stessi racconti e che vede le stesse eclissi, ma che dopo tutto questo tempo non sono ancora sicuro sui pensieri che dovrebbero ispirarmi e sulla funzione che dovrei avere in tutto questo.
#svart#svartjugend#eclissi#miscellanea#jugoslavia#demoni#focus#moon#red#black#dark#dostoyevski#dostojevski#writing#sad#alone#russia
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svartjugend ha risposto al tuo post : Doc in caso di infortunio sul lavoro, il rimborso...
Non sono sicuro di quello che dico perché è una materia che ho studiato tre anni fa, quindi prendilo con le pinze. Il risarcimento INPS è un risarcimento assicurativo che copre gli infortuni sul lavoro che siano causalmente connessi ad esso (anche se derivanti da colpa del lavoratore), ancora diverso è il risarcimento dei danni da chiede eventualmente in via civilistica. In ogni caso sono risarcimenti che non si sostituiscono alla retribuzione.
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E allora solo gatti neri, agili, randagi, scattanti. Solo gatti neri, senza casa, non sterilizzati, soli. Che mangiano le scatolette di Whiskas lasciate dalle gattare, ma non si fanno accarezzare da nessuno. Tre cose sanno fare: ignorarti, scappare e strapparti gli occhi.
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svartjugend ha risposto al tuo post “Chiedo consiglio a Tumblr!”
Ne misi una vicino casa quando ero piccolo, con mio nonno per qualche settimana lasciammo sempre vicino (e dentro) molliche, rametti e un po' di fili d'erba... Pian piano loro iniziarono a capire che avrebbero potuto nidificarvi dentro. Però sono un amatore, qualche consiglio più esperto ti sarà sicuramente d'aiuto
Grazie mille, intanto mi hai confermato che “funzionano” :D
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Camel light pt.1
Il piano iniziale che avevamo elaborato io e il mago era di tirare delle molotov ai cammelli del circo, in piena coerenza con certe tradizioni di svartiana memoria. Il mago però mi ha fatto notare che in questo periodo non ci dovrebbe essere nessun circo nelle vicinanze e che non avevamo più bottiglie vuote, dopo che lui appunto le aveva inconsciamente gettate nel secchio della differenziata.
Il fragore delle bottiglie che si frantumavano faceva da sottofondo all'acquisita consapevolezza che se poi avessimo anche avuto le bottiglie, probabilmente l'alcol etilico lo avremmo bevuto noi, nel desiderio di trucidare le ultime papille gustative che ancora tentavano di sopravvivere dentro a quell'ambiente ostile in cui si era trasformata la nostra bocca.
Man mano che passeggiavamo per le vie rimbombanti l'idea finale prendeva a definirsi e assumeva proporzioni sempre più paradossali: avremmo assoldato una squadra di folli kamikaze animaleschi, ci saremmo bevuti l'alcol etilico per poi darci fuoco e gettarci addosso a quei poveri cammelli ignari e terrorizzati, che avrebbero cominciato a correre in cerchio urlando, mente noi ce ne saremmo stati ad ardere e a ridere di quei goffi destrieri apocalittici.
Immaginammo anche i titoli dei quotidiani del giorno dopo: "Protesta contro i circhi: kamikaze sui cammelli."
"Strage di cammelli, zero vittime tra i dromedari. Si segue la pista razziale."
"La ConfCammelli ribadisce il suo sostegno alle famiglie dei quadrupedi lesi dal vigliacco attentato."
"Il circo proletario diviene il nuovo bersaglio dell'attacco terroristico postmoderno, urgono misure marcatamente repressive ma che non tradiscano la loro natura social-liberale."
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Salve doc, una ragazza di un paesino vicino che si sentiva con un mio amico qualche anno fa, ha partorito da poco (17/18 anni), negli ultimi anni aveva iniziato a farsi di eroina (anche in vena) e durante la gravidanza non ha smesso di farlo. Oggi una mia amica mi ha detto che la figlia di questa ragazza, a pochi mesi di vita, è andata in crisi d'astinenza da eroina. La curiosità mi spinge a chiedere: adesso cosa dovrà/potrà fare? Quali pericoli corre o quali danni potrà già aver subito?
Beh... in caso di NAS (Newborn Abstinence Syndrome) la bambina può avere tanto sintomi leggeri (pianto, irrequietezza, febbricola) quanto sintomi seri come ipertonia e iperflessione muscolare, iperpiressia e dispnea.
In genere, bastano trattamenti di supporto vitale, idratazione e alimentazione specifica ma a volte bisogna intubare, somministrare ossigeno, fornire alimentazione enterale mediante sondino e disintossicare tramite dosi a scalare di metadone e anticonvulsivanti (clonidina e fenobarbitale).
I danni potenziali sono senza dubbio quelli derivati dalla nascita prematura e sottopeso e dal ristagno meconiale.
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Ero seduto su una panchina con le Peroni a Corso Trieste a contare i negri quando d’un tratto mi sono domandato se per caso stessi sprecando la mia vita. Poi ho riflettuto su ciò che fate voi – mangiare, lavorare, comprarvi le cazzate, spettegolare, empatizzare – e ho contato serenamente il quinto elemento, un tizio spregiudicato che ti rifilerebbe rose pure mentre marcisci al 41 bisl.
Svart Jugend
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Hanno ancora qualcosa a cui aggrapparsi. E la speranza che quel qualcosa non lo perderanno. Ma lo perderanno.
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#curvadelmale #nichilismo #deluxe #svartjugend #pentacoli #braids #black #white #haters
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vignetta: svartjugend
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Vacanze Romane
Se ora poteste volare su Roma, ad un’altezza che vi permettesse di vedere ancora nitidamente i singoli vicoli, gettando lo sguardo sulle pene che li popolano vi trovereste in difficoltà: non capireste i confini del Verano che improvvisamente si staglia, a mo’ di oceano, sotto il vostro planare incerto. Nulla più che morti, ovunque, tutti uguali, fuori dalla terra nera, sulfurea e avvelenata che dovrebbe far loro da sudario, automi di carne con un unico anarchico comandamento: obbedire.
Eppure i monumenti degli angeli continuavano immobili a rompere le loro catene a poca distanza dalla stazione, circondate da lapidi per lo più inviolate. Io so però, io so da dove proviene questa lugubre allucinazione, io so a cosa si sono rivolti questi automi indisciplinati quando non hanno saputo più cosa farsene della loro sconfinata libertà. Li vedi, chi impassibile e apatico, chi euforico per la più imbecille delle sciocchezze, tutti con i loro miti: lo sport, la droga, la socialità, la televisione, l’amore, una qualche pseudo-cultura che morirà entro pochi anni, la bellezza… tutti però a consacrarsi anima e corpo all’ideale di qualcun altro, che a sua volta questi aveva rubato al falso amico, che l’aveva sentito da un ubriacone sotto ponte Milvio, o robe del genere; i vostri pilastri esistenziali erano null’altro che l’impronunciabile segreto che qualche puttana sussurrava all’orecchio di ogni cliente al culmine dell’amplesso.
Però attraverso l’amianto in frantumi nell’aria qualche creatura ancora minimamente consapevole la troveresti, un ultimo arcipelago su cui poter far naufragare la tua speranza, esausta dopo la quotidiana lotta per sopravvivere (a chi poi?). In fin di vita li troveresti però, le spalle larghe schiacciate dal peso delle responsabilità, gonfie le mani per carezze inespresse, i fegati ridotti a sacche lacere, sacrificati sull’altare della serenità, saresti probabilmente una luce per loro, la luna piena che ti chiama sul terrazzo, a pensare alla sera che verrà con un accenno di gioia; e loro lo sarebbero per te, non nasconderlo. Se poi, come ho fatto io, terminassi il tuo volo sulla cima del Vittoriano, sedendoti un attimo a fissare le migliaia di luci che i vetri delle finestre non riescono a intrappolare, ascoltando le urla con cui qualche stronzo deturpa questo sovrumano silenzio capiresti alcune cose: per chi non ha trovato rifugio nelle isole di cui vi ho parlato sopra, la vita sarebbe un naufragio nel vasto oceano della libertà, l’ignoranza e la paura però consegnano alla mercè delle onde questi ignavi e li costringono ad afferrare la prima cosa che capita, anche un galleggiante di carta, scambiandolo per una nuova Itaca. Cosi si aggrappano morbosamente alla famiglia, convinti che proprio la loro non sia l'ennesimo teatrino di ipocrisia, al sesso, unico momento di connubio di dolore e piacere fisico, o ad altri mille scacciapensieri del cazzo che gli passano davanti. Come se avessero paura di pensare poi, come se potessero farlo. Noi non siamo troppo diversi, anche noi stiamo a mollo, galleggiando a pancia in su, solo che abbiamo l'accortezza di guardare il cielo di tanto in tanto, di tentare di dare un senso alle forme delle nuvole o degli stormi di gabbiani, così che il naufragar c'è (più) dolce in questo mare.
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Salve Kon, innanzitutto grazie per il chiarimento sulla "fuffaggine" del post delle sigarette in spiaggia, ammetto di essere stato abbastanza superficiale 😬 La domanda"medica" è questa: mi alleno 5-6 volte a settimana tra corsa di fondo (niente di che, dai 7 agli 11km), calcetto e palestra, ma ultimamente ho notato che spesso ho delle contrazioni involontarie dei muscoli (penso siano mioclonie localizzate). Cambiano "zona", hanno durata diversa... Devo starci attento o è normale?
In realtà quel post è venuto più aggressivo di quanto in realtà volessi, complice un mio fraintendimento sull’autore. Non per niente l’ho rimosso.
Per i miocloni, molto probabilmente è una risposta abnorme ad uno stress da lavoro sovradimensionato e credo che con uno stretching adeguato post-allenamento tu possa liberartene.
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"scusa cosa me ne frega del vestito che hai mi piace il 666" -CIT SVARTJUGEND
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