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La descrizione di un attimo per me.
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Tramonti inquinati: intervista a Simone Monsi by Sara Benaglia and Mauro Zanchi on La Balena Bianca
☞ This is an extended version of Tramonti inquinati: intervista a Simone Monsi by Sara Benaglia and Mauro Zanchi published on La Balena Bianca on May 20th, 2019. An edited version of the same interview has also been published in Metafotografia. Dentro e oltre il medium nell’arte contemporanea, Exhibition catalogue, Skinnerboox, Jesi 2019. 📲 Read it on Tumblr ! 🇬🇧 ENGLISH VERSION Simone Monsi (1988) raccoglie ossessivamente immagini e messaggi pescati in internet per una catalogazione personale, da cui parte per rielaborare immagini “altre”, mettendo in azione una denuncia critica. Queste images trouvées sono rimesse in circolo per instillare dubbi, con l’intenzione di muovere qualcosa nel pensiero collettivo. Immagini e testi presi dai social network sono re-indicizzati e inseriti in installazioni site-specific. Monsi utilizza il tema tragico, cercando di sensibilizzare le persone per mezzo di un’esca attraente, risolta attraverso rielaborazioni visive puramente estetiche. Rivolge l’attenzione sui tramonti – intesi come emblemi dell’aspetto lirico – che però hanno sempre più colori influenzati dall’inquinamento atmosferico. Nelle sculture della serie CAPITOLO FINALE: Let’s Forget About It Let’s Go Forward – From Meaning To Intensity, il ventiseiesimo episodio di Mani!! I Love Holding Hands – It’s okay for me to be here! (2016), soffici totem-mano di stoffa, sono stampate immagini scaricate seguendo l’hashtag #sunsetporn, in cui compaiono tramonti belli ma innaturali. Le mani di stoffa paiono esorcizzare l’assenza di fisicità che sta dietro ogni atto virtuale, si ergono quasi come monumenti della frizione tra corporeità e tecnologia. Sono strutture che rendono visibile l’indagine dell’artista sulla funzione delle mani nell’era “post-slide to unlock”. I tramonti presi da Instagram, stampati sulla pelle delle mani, sono metafora di una transizione verso la nuova era geologica dell’Antropocene. Le manone sono sculture morbide. Paiono anche alberi, con piccole protuberanze dinamiche, che al contempo fungono sia da radici sia da gambe: «C’è un senso di vitalità grottesca in queste foto di Instagram che sviluppano delle gambine per scappare via». Can’t Wait For The Weather To Get Warmer (2018) mostra foto di tramonti raccolte da Instagram e Tumblr, immagini che presentano un pattern comune nella conformazione delle nuvole, causato da campi elettromagnetici. A Monsi interessa sondare la transizione verso nuove forme di interferenze tra corpi. Le sculture, le installazioni e i social network sono momenti di un unico processo, a loro volta opere, che, ripostate online, divengono immagini virali.
Che cosa intendi quando usi il termine fotografia e che cosa è per te un’immagine? Wow, una domanda che senza dubbio apre a scenari di una certa complessità! Per essere breve però, potrei dirti che ho sempre inteso e apprezzato la fotografia come tecnica per la sua peculiarità di avere un’elevata aderenza al “reale”. E allo stesso modo per l’immagine, mi trovo in difficoltà a darne un’interpretazione personale univoca, ma certamente quello che mi interessa è il rapporto che l’immagine ha con la ”verità”.
La fotografia ha anche un limite mediale, che è quello di essere prodotta “classicamente” in forma rettangolare. Come ti relazioni con questa bidimensionalità costretta? Sai che erano anni che non pensavo alla fotografia come una forma rettangolare? I miei primi ricordi visivi sono legati al cartone animato delle Tartarughe Ninja che passavano su Italia1 nei primi anni ’90, al quale poi ne sono seguiti innumerevoli altri. Questo per dire quanto l’approccio bidimensionale all’immagine abbia influito sul mio modo di “vedere”. Pensandoci bene, mi sembra che ancora oggi l’interpretazione visiva che do alla mia realtà quotidiana sia in chiave bidimensionale. La bidimensionalità per me non è un limite, è il mio orizzonte, e l’orizzonte è un limite apparente.
E ancora, che cosa intendi con rapporto con al verità? Cioè in che senso/modo la verità viene prodotta in senso “rettangolare”? C’è una frase che mi torna in mente spesso: “L’immagine dell’evento è l’evento.” Pensa all’11 settembre 2001 per esempio, sembra praticamente impossibile ricordarsi le immagini iconiche di quel giorno senza interpretarle nel modo in cui sono state narrate dai grandi media. Eppure quelle stesse immagini possono arrivare a documentare fatti differenti se analizzate seguendo una narrazione alternativa, o ancora meglio, senza audio. Penso sia questo il motivo per cui le teorie alternative riscuotono un consenso significativo. Ed è proprio questo il rapporto che mi intriga, quello tra le immagini e la narrazione che le accompagna e di come le stesse immagini possano testimoniare verità alternative in base al livello di attenzione che gli si presta. Ho la sensazione di vivere in un mondo dove la produzione di immagini sia alla base della creazione di verità.
Hai studiato in Inghilterra, è corretto? Quale relazione ha il tuo lavoro con la cultura anglosassone? Sì esatto, ho frequentato l’MFA in Fine Art a Goldsmiths dopo una triennale in Storia dell’arte in Italia. Nei miei due anni e mezzo a Londra penso di aver solo sfiorato la superficie della cultura inglese. Più nello specifico, riguardo al mio lavoro invece, penso sia piuttosto connotato all’interno di un certo movimento estetico dell’arte contemporanea anglosassone, caratterizzato da una formalizzazione piuttosto sintetica affiancata da un posizionamento politico dell’autore di cui, seppure tenda a sublimarsi nell’estetica del lavoro, rimangono tracce ben decifrabili. Penso a Jeremy Deller... spero non me ne vorrà il maestro 🙏✨
Posizionamento politico e immagini che producono verità. Perché i tramonti? L’interesse per le foto di tramonti ha preso forma durante il primo anno di accademia a Londra ed è mutuato da un’intuizione dell’antropologo Michael Taussig che interpreta la magic hour – quel momento particolarmente apprezzato in fotografia in cui durante il crepuscolo la luce solare è naturalmente morbida e calda – come una metafora visiva dell’attuale momento di passaggio del genere umano: dalla fine di un’epoca in cui le attività dell’uomo si mantenevano in equilibrio con le risorse naturali disponibili, verso l’Antropocene, una nuova era geologica nella quale invece i processi di antropizzazione hanno modificato la biosfera in modo irrevocabile e dove la stessa sopravvivenza del genere umano sulla Terra è messa a rischio. Tuttavia, data la sua gravità, Taussig individua in questo eccezionale frangente di “quasi-non ritorno”, anche una possibilità per l’uomo di redimersi, auspicandone la decisione di indirizzare le attività umane verso una irrinunciabile sostenibilità ambientale. Auspicio che sembrerebbe ben riposto, considerando l’elevatissima popolarità degli hashtag #sunset, #sunsetlove e #sunsetporn su Instagram. Ma mentre iniziavo a collezionare sistematicamente immagini di tramonti, ebbi l’impressione che negli ultimi anni questi fossero diventati sensibilmente più “rossi” che in passato. E non mi riferisco ai vari filtri Instagram che aumentano la saturazione dei colori, intendo il tramonto vero, quello che si può vedere a occhio nudo tutti i giorni. Ebbene, facendo un po’ di ricerca non è stato difficile capire che i fumi causati dall’inquinamento di particolato metallico derivanti dai gas di scarico dei veicoli a motore colpiti dai raggi solari al crepuscolo tendono a colorarsi di sfumature che vanno dal rosa, all’arancione, al rosso – evidenziando il fatto che i tramonti dai colori più intensi e, se vogliamo, più emozionanti, siano in effetti quelli che rivelano un tasso più alto di inquinamento atmosferico. È così che le foto dei tramonti presi dai social sono diventate elemento caratterizzante di diversi miei lavori. Un elemento visivamente accattivante ed emotivamente coinvolgente che possa essere l’espediente per entrare in un dibattito più approfondito sulla realtà di un’immagine, capace di svelare il fragile equilibrio tra bellezza estetica e avvelenamento della biosfera.
C’è una storia interessante dietro al lavoro Can’t Wait For The Weather To Get Warmer (2018) Ce ne puoi parlare? Can’t Wait For The Weather To Get Warmer (2018), costituito da sei stampe Fine Art dimensione iPhone esposte su un display di acciaio, si inserisce appunto nel discorso dei colori del tramonto come indizio di un’atmosfera inquinata. Partendo dalla mia collezione di foto di tramonti raccolte da Instagram e Tumblr, questa volta ho selezionato le immagini che presentano un pattern comune nella conformazione delle nuvole, che si ritiene causato dell’interazione con campi elettromagnetici – vedi nuvole con formazioni a strisce equidistanti… Queste foto sono presentate come sfondo per le Instagram stories pubblicitarie della compagnia aerea low cost fittizia LF, che invita gli utenti a prenotare il proprio volo il prima possibile cosicché il clima possa riscaldarsi al più presto! Il nome della compagnia aerea è sì fittizio, ma le frasi riportate sono in realtà riprese da una recente campagna marketing di una compagnia low cost reale; cosa che ovviamente mi ha incuriosito non poco, sapendo che l’inquinamento da particolato metallico presente nei carburanti (anche degli aerei, non solo della automobili) è ritenuto incidere significativamente sull’effetto serra e quindi sul riscaldamento atmosferico. Insomma, campagna pubblicitaria ingenua o spregiudicata? Quel che è certo è che la dispersione di questo particolato in atmosfera non sarebbe solo la causa dell’innalzamento delle temperature, ma sarebbe anche ritenuto funzionale alla propagazione delle onde elettromagnetiche… e questa è solo l’entrata della “rabbit hole” :D :D
La tua è una “fotografia artificiale” o una “fotografia naturale”? (Luigi Ghirri definiva così le due categorie: “La prima, la “fotografia artificiale”, trova la propria collocazione nella produzione culturale a catena, ripete all’infinito se stessa, credendo di sfuggire agli stereotipi ed è quindi riproduzione. La seconda attua una sospensione – interruzione nella catena della riproduzione, che è simile ai diversi momenti dello sguardo naturale e interazione col mondo esterno”). La mia è una fotografia trovata e presa in prestito. È la foto di una foto, arrivata a me senza che lo volessi. Come fosse posta indesiderata. Vedo la home del mio Instagram come una buca delle lettere piena di posta indesiderata. Ecco, credo che concettualmente la mia fotografia nasca tra i depliant dei supermercati lasciati nelle cassette della posta. Mi piacerebbe fosse la “fotografia naturale” di una “fotografia artificiale” elevata a potenza.
Che cosa accade al "warning" quando entra in un'opera? Mi riferisco alle immagini di inquinamento rosa. Che cosa accade quando una immagine viene mostrata per denunciare un problema o per evidenziare un allarme nel contesto dell’arte? Nel mio caso non accade molto, anzi, spesso proprio niente. Sinceramente non vedo le persone molto preoccupate, anzi, proprio per niente. Non vorrei essere frainteso però: la tendenza ad alienarsi dai problemi, a evadere dalle responsabilità e dalle decisioni vincolanti non credo sia segnale di mancanza di umanità, o meglio, la sopraffazione dell’alienazione sul sentimento di umanità penso sia dettato dal fatto che tutti siano sì, tragicamente preoccupati per le sorti del genere umano (in termini materiali quanto spirituali), ma il sentimento di impotenza verso problemi di scala globale ha un effetto paralizzante, nella apparente totale mancanza di alternative possibili. Ovviamente, la mia speranza è di smuovere una piccola “virgola” in ogni persona che ha contatto col mio lavoro e di piantare un semino del dubbio sul perché alcune tematiche siano considerate tabù nel dibattito generale. Mi piacerebbe che un giorno tutte queste “virgole” e “semini” potessero unirsi e muoversi verso una consapevolezza critica condivisa. Per ora però la mia esperienza è ancora troppo breve per darmi modo di sapere se il mio tentativo di denuncia stia riscontrando un interesse degno di nota. Ad essere sincero, al momento i segnali sono piuttosto deludenti; spesso ho la sensazione che la maggior parte del pubblico non conosca neppure la grammatica del linguaggio per comprendere… lo scambio di informazioni è al rallentatore, e molto tempo è speso per introdurre i concetti basilari di un discorso che si sviluppa su ben altri livelli di complessità. D’altro canto, coloro che conoscono la grammatica, la comprendono e hanno la volontà di agire, compongono una minoranza ristretta che difficilmente ha la possibilità di incidere in modo significativo nel discorso. E personalmente, penso spesso che sono alte le possibilità di non riuscire a sortire un effetto rilevante entro i limiti del nostro tempo contemporaneo. In questo senso, non posso fare altro che continuare a produrre in maniera onesta la documentazione in grado di testimoniare che anche in questo momento storico sia vissuto qualcuno che abbia perlomeno intuito la magnitudo degli effetti futuri che saranno causati dagli avvenimenti odierni. Seppure io trovi sempre più difficoltà a riporre speranza nei miei contemporanei – cosa che mi provoca un dolore talmente intenso da non avere parole per descriverlo –, mi consolo sperando che qualcuno, tra due generazioni, quando si interrogherà sul perché il mondo si sia evoluto in una direzione piuttosto che un’altra, durante le sue ricerche potrà trovare la documentazione del mio pensiero attraverso i miei lavori e che, finalmente interpretati in prospettiva, potranno essere decodificati a pieno. Così un giorno, quando nuovi giacimenti di gas e petrolio saranno stati resi accessibili scongelando quello scomodo strato di ghiaccio che sono i poli e la telepatia via Neuralink di Elon Musk sarà operativa, quel qualcuno avrà a disposizione una testimonianza che potrà farlo riflettere sul fatto che (e sulle motivazioni per cui) le basi di tali cambiamenti e delle tecnologie per renderli possibili furono gettate in un’epoca di distrazione di massa e annichilimento spirituale come quella odierna – una testimonianza dell’idea che l’innovazione (tecnologica e non) non sia una forza neutra, ma bensì sviluppata in direzioni stabilite ai fini di raggiungere obbiettivi definiti da interessi superiori convergenti.
Ci interessa indagare il rapporto tra il medium fotografico e lo spazio interiore dell’artista che lo utilizza. In qualche modo potremmo leggere questo rapporto come dimensione scultorea o come spazio ulteriore della coscienza? Per te la fotografia è una scultura (metafisica o ultradimensionale)? Sì, la tua definizione mi sembra appropriata: “dimensione scultorea della coscienza”, mi piace. Cercando rapidamente dentro di me, ho la sensazione che le mie immagini fotografiche nascano da un settore interiore che chiamerei “coscienza visiva generativa”: una sorta di processo che attinge dall’archivio della mia memoria visiva, ne filtra i contenuti e li rimodella in nuove immagini. Ma la tua domanda mi ha riportato alla mente anche un altro pensiero che coltivo da qualche tempo, un pensiero che interpreta il mio agire come artista nel ruolo di scultore di pensieri: cioè, intuisco che un lato della mia pratica artistica tende allo scolpire pensieri (altrui? sì, ma anche i miei). Vista in questa ottica, la fotografia per me ha certamente una dimensione scultorea, in quanto attraverso le immagini che produco scolpisco pensieri. Una scultura metafisica ma non ancora ultradimensionale.
Immaginiamo l’oltrefotografia come una struttura interiore, al di là di questioni concettuali e ideologiche, appostata dietro/dentro/oltre la fotografia. Come immagini chi sta trasportando o spostando la fotografia verso il suo oltre, anche utilizzando nel frattempo altri media? Questo passaggio epocale indaga la faglia invisibile di ciò che la sola fotografia non è riuscita a mostrare o a evocare. Tu come ti poni in questa nuova fase o possibilità? Bene, se mi chiedi di immaginare, io mi lascio andare. Perdonami se da qui in avanti i miei ragionamenti potrebbero non essere del tutto lineari. Prima di tutto il resto, io penso a Mark Zuckerberg. Ci sono conferenze di qualche anno fa in cui dice che l’obiettivo finale di Facebook è quello di implementare la telepatia tra i suoi utenti. Non so se dovremo dimenticarci della fotografia come immagine statica, ma quello a cui penso è una fotografia prodotta da impulsi in codice binario a livello neurale. Per quanto mi riguarda, è da tempo che immagino di sparare le immagini nella testa delle persone, proiettargliele nella mente. In questo senso, scolpire i pensieri. Tempo fa ho sentito dire che nel secondo dopoguerra, credo fosse negli USA, furono sperimentate delle macchine che attraverso impulsi elettromagnetici permettevano a una persona di imparare una lingua straniera nel sonno. Sinceramente, a me questa sembra una bella tana di coniglio nella quale infilarsi!
Quali possono essere gli svolgimenti e le relazioni operative-concettuali tra fotografia e telepatia? Allora, i miei due centesimi li punterei su questa ipotesi: l’atmosfera è satura di nanoparticelle metalliche derivanti da inquinamento causato da gas di scarico dei veicoli a motore. Lo respiriamo in gran quantità per qualche decennio e si va a sedimentare in una zona che immagino trovarsi tra l’apice del setto nasale e la corteccia celebrale. A quel punto diventiamo ricetrasmettitori, perché il metallo è elettro-conduttivo. E se tu pensi ai pensieri come uno scambio di impulsi elettrici fra neuroni, lo scenario telepatico inizia a delinearsi… In un ambiente saturo di particolato metallico altamente elettro-conduttivo, ne risulterà la possibilità di propagare e ricevere impulsi elettromagnetici direttamente da una corteccia celebrale all’altra :) Forse a quel punto la fotografia sarà superata? A pensarci bene, io penso che sopravviverà ma, come già in passato, traslerà su di un nuovo supporto: neurale, stavolta. Penso a “screenshot neurali”, per i quali non ci sarà più bisogno di un dispositivo o supporto esterno alla nostra mente per essere prodotti; il cervello sarà il nuovo smartphone.
Cosa pensi a proposito dell’autorialità nel rapporto tra essere umano e macchina? Affrontando la questione in quest’ottica nella quale i dispositivi per produrre immagini potranno essere integrati all’interno del nostro corpo in un sistema “bio-tech”, la questione sul valore dell’autorialità della macchina potrebbe risolversi, tornando ad essere pienamente “umana” (anche se di un umano un po’ evoluto: “umano aumentato”, potremmo dire). In verità però, questo è un dibattito che ho sempre trovato noioso. In un momento in cui tutti sono diventati dei pecoroni che pensano e fanno le stesse cose, il dibattito sull’autorialità diventa poco avvincente. In un momento in cui le persone si comportano come se fossero macchine pre-programmate, allora provocatoriamente ti dico: preferisco l’autorialità della macchina, ammesso che una cosa del genere esista. Ma almeno possederebbe un proprio carattere di originalità, in un certo senso…
Nell’era della sovrapproduzione di immagini nei social media e della dilagante creazione di fotografie e di opere (Photography in Abundance di Erik Kessels, che nel 2011, nel giro di 24 ore, ha riversato un milione e mezzo di foto nelle sale del museo FOAM di Amsterdam, è emblematica) la saturazione visiva come può essere incanalata costruttivamente da un artista? Questo surplus di immagini in cui rischiamo di annegare in realtà è fumo negli occhi per nascondere qualcosa che invece non è volutamente mostrato e tenuto fuori dalla portata degli sguardi? La prima direzione in cui credo l’artista debba incanalare le sue energie è quella di far prendere coscienza al suo pubblico della situazione presente, mostrando come la sovrabbondanza di immagini contemporanea non sia naturale, tanto meno neutra; bensì, è un modello di comportamento che deriva da una tipologia specifica di impostazione sociale: nel nostro caso, un modello basato sul consumismo che necessita di produrre desiderio per un prodotto attraverso l’immagine. In secondo luogo, penso che la differenza la possa fare l’inserimento di un contenuto utile all’interno dell’immagine. Ma utile a cosa? Da qui deriva il ruolo sociale dell’artista, quello di creare dispositivi (oggetti e altro) non funzionali, ma che tendono anzi all’innalzamento spirituale dell’individuo. Ed è proprio l’essenza spirituale dell’uomo che soffre maggiormente del sovraffollamento visivo (e quindi emozionale e mentale), venendo sopraffatta e rimanendo così “fuori dalla portata degli sguardi”. Pensiamo per un secondo alle quattro unità fondamentali di cui il nostro essere si compone: corpo fisico, emozioni, mente e spirito. Ora pensa a quante volte ti capita di parlare con le altre persone delle prime tre e quanto invece dell’ultima. Bingo.
Pensi che la valanga iconica contemporanea sia una conseguenza di tutto quello che è stato causato (e viene indotto continuamente) dal capitalismo delle apparenze? Ne sono certo. Siamo diventati i marketing manager di noi stessi, lavoro e vita privata si sono fusi per renderci a tutti gli effetti lavoratori emozionali. Ma l’attività di self-branding quotidiano non-stop non mi pare essere una strategia di marketing che punta davvero verso i propri followers, quanto piuttosto a noi stessi. Questa valanga di immagini segue logiche iconografiche meramente materialistiche, producendo un enorme fracasso emozionale che ci fa dimenticare che la nostra vera essenza appartiene a un altro registro. A questo proposito, c’è una frase che mi fa sempre piacere ricordare: il silenzio interiore è la porta dell’infinito.
La velocità prevale sull’istante decisivo, la rapidità sulla raffinatezza, il transitorio divenente sulla durevolezza essenziale, l’immersione superficiale nella mediasfera prevale sul saper attingere profondamente agli archetipi di una memoria universale. Che nuovi scenari può indurre l’oltrefotografia? Mi hai fatto tornare in mente questa frase: “Shakti, vedi tutto lo spazio come se fosse già assorbito nella tua testa nello splendore”. Questo è il 60esimo di 112 modi – raccolti nel testo Trovare il centro – che Shiva enuncia quando Devi lo interroga sulla natura della realtà divina e di come poterne fare esperienza pienamente. Lo scenario a cui aspiro, l’ideale da perseguire, non è materiale, il cambio di registro è spirituale, verso quella che tu chiami memoria universale.
L’atto di inserirsi in una situazione psicologica collettiva cosa ha spostato fino a oggi nei fruitori delle tue opere? Hai riscontri sulla loro sensibilizzazione rispetto al grave problema dell’inquinamento? Il mondo che frequenta l’arte contemporanea (e si trova perfettamente a suo agio nella società dello spettacolo), secondo la tua esperienza, è interessato prettamente alle questioni estetiche e concettuali delle idee e delle intuizioni, o pensi che i fruitori abbiano attivamente mosso qualcosa a livello politico-sociale? Non dobbiamo avere fretta. La valutazione delle tempistiche di certi cambiamenti non si basa sulla stessa scala temporale con cui misuriamo la nostra vita. Il cambiamento oggi è impercettibile, tra due generazioni capiremo meglio. Io sono impegnato a muovere un granello di sabbia ogni giorno. E te lo assicuro, vedo che i granelli si stanno muovendo. Simone Monsi (Fiorenzuola d’Arda, 1988) ha conseguito un MFA presso Goldsmiths University di Londra nel 2016, attualmente vive e lavora a Milano. Tra le mostre a cui ha partecipato si segnalano: Refresh02 – #LAYERS. Contemporary Art in the Digital Era, a cura di Fabio Paris e organizzata da iMAL, La Raffinerie, Bruxelles, 2018; Hyper-Faded Ordinary Life. Simone Monsi e Lucia Cristiani, a cura di Carlo Sala, TRA Treviso Ricerca Arte, Treviso, 2018; Deposito d’Arte Italiana Presente, a cura di Ilaria Bonacossa e Vittoria Martini, Artissima, Torino, 2017; Utopias are more or less fascistic, a cura di Roxane Bovet, Nicolas Krupp, Basilea, 2017; Spero che questo trasloco sia l’ultimo (solo show), Placentia Arte, Piacenza, 2017; Cyphoria, a cura di Domenico Quaranta, 16a Quadriennale d’arte, Roma, 2016.
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Raccolte di momenti. Collezione di attimi. Creazioni di ricordi. NOI. IL CIELO SOPRA LE NOSTRE TESTE. LE CITAZIONI PREFERITE. 2017 ADDIO. _____________ #cosebelle #gioia #emozioni #pensierisparsi #pensierieparole #blog #cittàdiprato #tuscany #cielo su #prato #sky #sun #sunset #sundown #colours #colori #moon #mymood #mylife #myfamily #love #citazioni #aforismi #frasi (presso Prato, Italy)
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