#stralunati
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recitare slogan è indice di basso QI
1) Tutta l'Africa nel 1600 o 1800 era popolata solo da 60 o 80 milioni di persone massimo, cioè era spopolata (oggi che ci sono 900 milioni è ancora in gran parte vuota perché è ENORME).
In Sudafrica sulla costa non ci viveva nessuno perché non pescavano e non avevano navi, per cui quando olandesi e poi inglesi sono arrivati hanno fondato Città del Capo ad esempio senza mandare via nessuno, perché gli Zulu e Xosa stavano tutti nell'interno a cacciare
2) Una volta però che gli europei hanno creato attività economiche di vario genere, da tutto il Sudafrica, che è grande come l'Europa occidentale, sono affluiti gli africani. Gli olandesi e gli inglesi non hanno trovato milioni di africani che hanno schiavizzato, era mezzo vuoto e gli Zulu tra parentesi massacravano le altre tribù tutto il tempo
3) Le miniere di oro, diamanti e altro gli europei le hanno trovare loro, a differenza degli aztechi, gli africani non scavavano e trovavano oro e non avevano oro, non sono arrivati gli olandesi e hanno trovato oro in giro. Se non fossero arrivati loro anche oggi gli africani non ne avrebbero tirato fuori. Idem per l'agricoltura perché Zulu e Xosa e altre tribù cacciavano e non coltivavano quasi niente Man mano però che la ricchezza del Sudafrica cresceva, milioni di africani ci sono migrati e oggi hanno preso possesso delle miniere, aziende e agricoltura nonchè ospedali, scuole, trasporti, università, aereoporti ecc.. creati dagli europei.
Che però ora vengono esclusi da tutto quello che non sia strettamente tecnico. Ad es i piloti delle South Africa Airlines sono sempre bianchi, perché sono 30 anni che provano ad addestrare piloti africani, ma i risultati sono pessimi per cui i piloti i bianchi li possono fare (ma managers sono tutti africani) E' anche offensivo dell'intelligenza continuare a sentire le cazzate politicamente corrette come le tue ☝
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sai come risponde il comunista?
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"il sogno di UNA cosa", dicevano...:-)
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Io ogni anno mi dimentico che siamo benedetti dall'esistenza del Dietrofestival
Cose che ne ho tratto e che saranno molto probabilmente fonte di meme
Anna Oxa non compare neanche una volta, neanche sullo sfondo. La cosa mi puzza. Non è neanche andata da Zia Mara. Indagherò
Elisa che, per aver mangiato poco, sta così *occhi stralunati
Giorgia in para con i praise che le fanno nella presentazione
Giorgia in para perché suo figlio la guarda solo perché è dopo Lazza
Giorgia in para
Gli in-ear che si aggrovigliano come tutti gli auricolari che si rispettano
I cugini di campagna al "avete spaccato": "no, noi non avemo spaccato niente" subito dopo il blancogate
Rosa Chemical: ho pianto tutto il giorno - non si attacca il trucco - è perché sto continuando a piangere
Gianluca Grignani e il suo monologo con la telecamera pre esibizione
Gianni che a una certa si fa un giro a fare due chiacchiere
Mr Rain stanco
Checco stanco
Checco che vuole suonare e andare a nanna, tanto sua figlia non lo può neanche vedere perché la mamma non la fa stare alzata fino a tardi
Lista in ampliamento...
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Previsioni 2023
Partiamo con un fatto recente di cronaca, ormai abituale: donna anziana rimane sei giorni sulla barella nei box dell’ospedale. Non si trova posto letto. La direzione sanitaria molto francamente dice: “Non c’è posto per tutti. Nel 2022 avevamo scelto di non accogliere quelli/e del Sagittario… nel 2023 tocca agli Ariete”. Rispondo io del Toro (cuspide): “Amici! Ormai abbiamo capito che gli ospedali pubblici servono per i dipendenti della struttura e loro parenti. Evidentemente la signora anziana non conosceva nessuno… Se capitava alla moglie del prefetto o al vescovo o alla sorella del questore o alla zia di un primario, il letto saltava fuori. Per cui la scusa di escludere ogni anno dalla sanità pubblica un segno dello zodiaco, scelta da me condivisa, non sta in piedi”.
via https://www.ilfoglio.it/societa/2023/01/02/news/niente-paura-il-2023-sara-l-anno-peggiore-di-sempre-l-oroscopo-dell-innamorato-fisso-4814103/
Il grande Maurizio Milani si finge stralunato per dire le cose come stanno, oppure solo gli stralunati oramai ci azzeccano in pieno.
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Selvatica - 19. Fissazioni
Corinna aveva voglia di piangere, di urlare, di scappare. Da quando aveva raccontato a Ante di suo padre lui non si era più avvicinato a lei, non l'aveva neanche sfiorata per sbaglio. Avevano preparato la tavola, ordinato il cibo, riso e scherzato ma lui le era rimasto distante.
E come poteva essere diversamente. Era sempre andata così per lei, era sempre stata mollata dai ragazzi quando avevano scoperto la storia della sua famiglia. E il fatto che sua madre fosse ricoverata in una clinica era ancora peggio. Era come se vedessero in lei una persona da accollarsi, una ragazza che inevitabilmente avrebbe finito per aver bisogno di loro per essere mantenuta in caso di difficoltà. Poveri sciocchi. Le difficoltà erano state tante per lei, soprattutto dopo la malattia della madre, ma non aveva mai chiesto aiuto a nessuno, non aveva mai avuto un momento di cedimento. Perché lei non voleva dipendere da nessuno. Perché aveva imparato troppo presto che anche le persone che ti vogliono più bene a volte non sono in grado di proteggerti. Le sue battaglie le combatteva da sola e così sarebbe sempre stato.
Per un momento con Ante aveva pensato di poter dimenticare tutto, di poter vivere momenti di assoluta pace, come era successo al compleanno e prima ancora quel magnifico pomeriggio alla Pinacoteca. Era stato un momento particolare al museo, quando lui si era avvicinato al quadro "Malinconia" aveva scorto in lui una somiglianza con le emozioni raccontate dalla tela, emozioni che erano sempre con lei, incise attorno al suo cuore.
Non poteva durare per sempre quell'idillio, non poteva immaginare di vivere per sempre in una bolla quando era con lui. Solo che era finito troppo presto. Come il suo ultimo ragazzo e quello pima ancora. Per non parlare di quello che era scappato via subito dopo la morte di suo padre.
Sei troppo impegnativa, Corinna.
Sei troppo fragile.
Fragile? Lei? No, non lo era affatto. Era molto sensibile ma riusciva a mascherarlo bene.
«Che hai? Sei silenziosa.» Ante poggiò le posate sul tavolo e le prese la mano.
«Niente.»
«Siamo già a questo? Te che dici niente e io che cerco di capire cosa ho fatto?» Scherzò lui.
Corinna sorrise. «No, no. È solo che... non voglio che mi guardi con compassione.»
«Compassione?»
«Quando si prova pena per una persona, quando ci dispiace per lei.»
«Non ti sto guardando con compassione. Perché dovrei?»
«Ma tu... ecco prima... prima eravamo sul divano e stavamo per... e poi quando ti ho detto di mio padre ti sei allontanato. Se per te questo è un problema dimmelo subito.»
Ante la guardò con gli occhi stralunati. Forse aveva parlato troppo veloce e non l'aveva capita bene. sapeva di avere il viso in fiamme e la conversazione che aveva voluto iniziare ora le sembrava così assurda...
«Mi sono fermato prima, Corinna. E solo perché pensavo che tu volessi andarci piano. Però se non è così...» Si alzò in piedi. «Vuoi farlo? Vuoi fare l'amore con me adesso?»
«N-no, io volevo dire che...» Si morse il labbro e si mise le mani sul volto in fiamme. «Ti prego non guardarmi così, sono in imbarazzo.»
Lui le scostò le mani dal volto e la fece scendere dalla sedia. «Cosa volevi dire allora?»
«Si sta facendo tardi, devo andare a casa.»
«Non ho voglia di accompagnarti a casa. Resta a dormire qui.»
«Cosa?» ridacchiò nervosamente. «Me ne vado da sola, non c'è bisogno che mi accompagni.»
«Ma non abbiamo finito.» Le mani di Ante si infilarono sotto la maglietta, fresche sulla pelle che fremeva. Era così bello...lui, la sua presenza, il suo profumo. Le labbra così vicine alle sue che però non la baciavano, la sfioravano, la lasciavano quando lei voleva sentirle sulle proprie.
Erano soli adesso e se lei gli avesse detto di sì non ci sarebbe stato nessuno a interromperli. Corinna lo voleva, il suo corpo desiderava unirsi a quello di Ante, sentirlo tutto, pelle contro pelle, sentirlo dentro. Le sue mani grandi scesero sui fianchi, ad afferrarle le natiche. Respirava a fatica, aggrappata alla sua maglietta nera, con il cuore che batteva forte. Ante la sollevò e la poggiò sul tavolo.
A quel punto si lasciò sfuggire un gemito. La bocca di Ante fu sulla sua, le lingue si trovarono subito, una danza erotica lenta, che ebbe l'effetto di scioglierla e portarla al limite. Accarezzò la schiena del ragazzo, infilando le mani sotto la maglia. Lui si spinse contro le sue cosce, tenendola stretta.
«Ante.» Lo allontanò un poco.
«Che c'è? Preferisci il divano? O il letto...» Affondò il viso nell'incavo del suo collo e la baciò, risalendo con la lingua fino al lobo.
«Forse è meglio se ci fermiamo.»
Lui la guardò negli occhi, sorridendo. «Non ti va?»
Come faceva a dire che non le andava con lui che la guardava a quel modo? Lo voleva, lo voleva tantissimo ma si sentiva in imbarazzo per come era iniziato tutto. Corinna non voleva che pensasse che le interessava solo quello.
Ante le sbottonò i jeans. «Devo fermarmi?»
Corinna non ce la faceva a dire di sì, che era la risposta che razionalmente avrebbe dovuto dirgli, ma non ce la faceva nemmeno a dire di no. Non poteva nascondere quello che stava sentendo, la sua eccitazione, la voglia di non staccarsi da lui. Gli sfiorò il viso, poi i capelli. Ante la prese di nuovo in braccio e la portò sul divano. Le sfilò la maglia, togliendo anche la sua e lasciandole cadere sul pavimento. Corinna rimase a guardare il suo fisico scolpito, lasciando correre lo sguardo dai pettorali agli addominali fin giù dove i muscoli scomparivano nei pantaloni.
Allungò la mano verso la cintura, tirandolo verso di lei. Ante si adagiò su di lei, che scostò le gambe per fargli spazio. Le sue pozze azzurre erano uno specchio d'acqua bellissima nel quale era facile annegare, calde e vellutate come le sue labbra che la baciavano con delicatezza.
Il cellulare di Ante iniziò a squillare. Lui chiuse gli occhi, alzandosi. «È mia sorella, devo rispondere.»
Corinna ebbe un attimo di lucidità. Non poteva lasciare che capitasse proprio quella sera, proprio in quel momento. Lui era favoloso e la eccitava da morire con i suoi modi di fare, come le afferrava la testa per baciarla, come la guardava e come la toccava; ma aveva detto che si era fermato per lei. Per andarci piano. E adesso non poteva rovinare tutto facendogli credere che in realtà non c'era motivo di aspettare o di andarci con calma perché c'era. Era giusto che si conoscessero e si scoprissero piano piano. Infilò la maglia e raccolse le sue cose.
Ante parlava nella sua lingua natale e non capiva niente di quello che si stava dicendo con la sorella. Lo salutò con la mano e gli fece segno che stava andando via.
Lui scosse la testa e le disse di aspettare ma Corinna era già uscita. Si sentiva così sciocca e imbarazzata che non aveva il coraggio di affrontare quel tipo di conversazione con lui che le teneva puntati addosso quegli occhi meravigliosi.
Fuori dal palazzo il suo cellulare squillò. Era lui.
«Perché sei andata via?»
«Si stava facendo tardi.»
«Ho fatto qualcosa che ti ha turbata? Perché io pensavo che ti andasse. Potevi dirmelo che non era così.»
Corinna strinse gli occhi e il telefono tra le mani. «Mi andava, Ante. Mi andava tantissimo.»
«E allora perché sei scappata?»
«Quello che cercavo di dirti prima è che non voglio che pensi che io sia una persona fragile, da proteggere, io me la cavo benissimo da sola. Non volevo dire che ci ero rimasta male perché ti eri fermato. Quello l'ho apprezzato. Sembra tutto contorto ma...»
«Corinna.»
Corinna si voltò di scatto. Ante era proprio dietro di lei con una felpa e un cappuccio calato sulla testa. Inclinò la testa e le sorrise. «Non c'era bisogno di scappare. Potevamo parlarne con calma.»
Corinna ripose il telefono in tasca e alzò gli occhi su di lui. «Hai ragione, ma mi sentivo in imbarazzo.»
Lui le cinse la vita con un braccio e la baciò. «La prossima volta non sentirti in imbarazzo. Parlami di tutto.» La baciò di nuovo, indugiando sulle sue labbra. «Dai andiamo, ti accompagno a casa.»
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una mattina
mi son svegliato
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao....🎵🎵🎵
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PAOLO GARGANICO A CM CAFFE LETTERARIO DIFFUSO
Vicissitudini, ricordi e pensieri annebbiati di un ex universitario degli anni 90, anche stralunati, ormai irreali, come se mai vissuti. Incontri romani fortuiti, cibi magnogreci, ricette apocrife, luoghi dimenticati, storia, storie, riflessioni, curiosità, cicerchie... viaggi, amori, sentimenti... Un affaccio introspettivo su un tempo sfuggito. Una storia di chi ha vissuto Roma da universitario, non sempre in goliardia. Un viaggio ovattato in un tempo erroneamente pensato transitorio e leggero. LA NARRAZIONE È SUDDIVISA IN RACCONTI CONCATENATI TRA LORO. PARTENDO DA UN SEMPLICE RACCONTO DELLA QUOTIDIANITÀ STUDENTESCA FINO AD ARRIVARE A SCORGERE LE ANSIE O LA FOLLIA CHE OGNUNO SI TIRA DIETRO O CHE TROVA AL CONTORNO. TRAMA E COMMENTO: L’ambita laurea, l’arrivo nella città eterna da perfetti sconosciuti, tutte le problematiche incontrate sin dall’inizio come la ricerca di un semplice posto letto, i rapporti con gli altri studenti, l’economia, la nostalgia di casa e i trucchi per eludere la solitudine asfissiante... gli amori che nascono e muoiono, la laurea finale con le paure e la fiducia del dopo.
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poi son quelli che sul gender dicono: "se concedere un diritto non toglie niente a te, perché no?" ⬆︎
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Nel bene e nel male, ciò che siamo stat_, ciò che proveremo ad essere
Due giorni, 8 e 9 luglio, che hanno provato a riflettere ciò che siamo stati, ciò che proveremo ad essere. Sapevamo che dovevamo resistere diversi giorni in quella fabbrica. Non sono stati solo diversi giorni, 730 per l'esattezza, ma sono stati anche giorni diversi. E noi oggi siamo diversi e sempre troppo uguali. Abbastanza forti per non perdere, ancora troppo poco per vincere. La nostra dimensione è grande e microscopica allo stesso tempo, epica e meschina nello stesso attimo.
Siamo una comunità bombardata, da mail di licenziamento, mancanze di stipendi, immobilismo, ignavia, ipocrisia, traumi, fatica, stanchezza. Esattamente come in una città che ha subito un assedio, ci muoviamo un po' stralunati tra la nostalgia di una vecchia vita che non tornerà più e la forza della nuova che proviamo a costruire. Abbiamo subito il lutto di tanti, troppi colleghi che hanno dovuto mollare. E al contempo c'è la gioia di forze sempre nuove che si uniscono in questa lotta. Abbiamo visto che questa talpa continua a scavare e può far crollare fortezze.
E' in fondo pura condizione umana. E solo se restiamo umani, riusciremo.
L'8 e 9 luglio viene rappresentato da Militanza Grafica, come un abbraccio. E questo è stato:
a) 500 partecipanti registrati solo al form online. 95 volontari registrati solo al form online. I conti sulle presenze effettive li stiamo ancora facendo. 600 persone a pranzo tra sabato e domenica. Una delegazione di 60 ospiti internazionali solo da Svizzera e Germania.
b) sabato mattina, assemblea su giustizia climatica e sociale, con Fff, Exploit, Ecologia Politica ecc., oltre 150 partecipanti, 25 realtà organizzate provenienti dall'estero
c) sabato alle 15, supporto all'azione di protesta al punto commerciale di MondoConvenienza
d) alle 18, al Pride
e) dalle 21 talk con Antonella Bundu, Francesca Coin, Nicoletta Dosio, Alberto Prunetti. Reading operaio
f) migliaia di persone al concerto con Assalti Frontali, Punkreas, Willie Peyote, Mauras, Romanticismo Periferico
g) un corteo notturno improvvisato che da Gkn raggiunge i cancelli di Mondo Convenienza
h) domenica mattina, la seconda tappa della Carovana del mutualismo, oltre 100 partecipanti, decine di realtà mutualistiche da tutta Italia
i) presentato il secondo e terzo prototipo di Cargo Bike, con inizio di un sondaggio di gradimento e acquisto
l) la sera di domenica in delegazione alla festa provinciale dell'Arci...
Abbiamo straripato convergenza, per provare a continuare a insorgere. Nei prossimi giorni i dettagli, le foto, i video. #insorgiamo
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Orchestralunata - Una barca vola
Un brano che canta una speranza: che ci siano sempre meno barche
che prendono il volo
L’immigrazione non è altro che un viaggio alla ricerca di una vita migliore, inseguendo uno dei valori imprescindibili della vita, la libertà. “Una barca vola” è un brano dirompente, caratterizzato dalle melodie crude dei fiati sopra il levare della sezione ritmica. Il cantato, decisamente severo, racconta una storia scritta nel 2019 dal leader dell’Orchestralunata Maurizio Gregori, che torna su un tema ancora tremendamente attuale e sensibile.
«Ci sono barche che continuano a volare in mare, come ci sono note che continuano a fluttuare in aria, ma “Una barca vola” è a tutti gli effetti la voce di chi cerca il più bel tesoro, che si chiama giorno dopo.» Orchestralunata
Un testo carico di implicazioni sociali e culturali che si dissolve come onde del mare dopo la burrasca, in un silenzio che fa riflettere e che porta con sé la consapevolezza che tutti meritano di vivere al meglio. Alcune barche non torneranno mai più, portando con sé la coscienza di gente che ha ucciso altra gente.
Orchestralunata nata nel 2007 dopo le prime performance live nella Tuscia ha iniziato a girare l’Italia ospite in varie manifestazioni culturali e musicali: dal Gran Teatro di Roma, al Teatro Masini di Faenza, a Piazza di Spagna Roma. Sempre sensibile alle tematiche sociali nel 2009 ha portato un po’ di leggerezza nei campi tenda dell’Aquila, con un concerto di solidarietà. Oltre ai concerti è stata ospite in varie trasmissioni televisive in rai e tv nazionali, culminata con la partecipazione in prima serata a Ti lascio una canzone. Simone Cristicchi, Sud Sound System, Teresa De Sio, Cisco e Sandokan sono alcuni degli artisti che negli anni hanno fatto parte del progetto Orchestralunata. Negli anni l’Orchestralunata è cresciuta sia in età che in numero e da qui l’idea di creare nuove e diverse versioni di spettacolo in base alla richiesta di organico che varia tra i 6 e i 35 musicisti. Dal 2021 nonostante le difficoltà legate all’emergenza covid-19 e le relative limitazioni, una nuova energia ha fatto sì che l’Orchestralunata ripartisse con una serie di concerti per le piazze e teatri italiani ed oltre i confini nazionali con un concerto ad Atene. Sempre nel 2021 l’Orchestralunata con il Maestro Stecco (Maurizio Gregori) diventa un film di animazione dal titolo “Le avventure del Maestro Stecco” che ripercorre la storia e i successi dell’orchestralunata dagli esordi ad oggi. I personaggi del film d’animazone “Le Avventure del Maestro Stecco” sono anche protagonisti di un metodo denominato “Didattica Stralunata” attraverso cui, in maniera ludica e divertente, gli stralunati insegnano la musica ai bambini dai 5 ai 10 anni. A marzo 2022 è uscito un nuovo brano dell’ensemble, “Bella giornata”, accompagnato da un videoclip dall’originale format Orchestralunata. Dal 30 settembre al 9 ottobre 2022 hanno realizzato il tour “Carovana Stralunata” nelle piazze di dieci comuni della Tuscia che l’Orchestralunata ha raggiunto a piedi percorrendo cammini e sentieri alternativi immersi nella natura del viterbese.
Contatti e social Sito:
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“February 3rd” -Geto Suguru
Era ritornato nella camera del dormitorio esausto. La missione che Yaga-sensei gli aveva affidato non era affatto stata di un certo livello, ma si era presentata comunque piuttosto complessa: troppe, erano state decisamente troppe, uno stormo di maledizioni di cui pareva impossibile trovarne l'origine per poter dare loro una fine. E così si era ritrovato con le spalle pesanti, distrutte dalla fatica, le gambe addolorate, stanche dei kilometri fatti a piedi, la testa vittima di una terribile emicrania ed il cuore stretto dalla morsa di un'angoscia non sua. Per non parlare del terribile gusto della saliva in bocca che costantemente gli dava il voltastomaco, facendogli sentire l'esofago bruciare per i succhi gastrici. Una dopo l'altra, aveva perso il conto di quante maledizioni era stato costretto ad ingerire. Stretti gli occhi e tappato il naso, aveva spalancato le fauci fino a quando non n'erano rimaste più. Ora addosso aveva tutte quelle sensazioni orripilanti e nemmeno l'acqua calda della doccia riuscì a ripulirlo da quella melma di malessere. Era stanco, ma sapeva bene che non avrebbe trovato pace nell'addormentarsi sul letto e questo lo infastidiva ancora di più. Dalla tasca della divisa blu-notte, che aveva ripiegato con cura e poggiato sulla sedia affianco alla scrivania, tirò fuori il pacchetto di sigarette assieme all'accendino. Sbuffò in una leggera risata alla vista di quel piccolo arnese rosa chic: l'aveva preso in prestito da Shoko, e in realtà anche le sigarette erano sue. Gli ritornarono in mente le lamentele e gli insulti che la mora aveva borbottato arrabbiata dopo che le aveva sottratto quella malsana dose di nicotina. Malsana. Era per questo che non voleva che ne avesse il vizio e lei prontamente gli rinfacciava la sua ipocrisia. Ma non riusciva a confessarle il vero motivo per il quale ne faceva uso. Non era ipocrita, avrebbe tanto voluto farne a meno... ma era l'unico modo per rimuovere dalla lingua quel gusto di vomito che gli chiudeva lo stomaco, che lo privava del sonno, che lo divorava dall'interno ogni giorno, a fine missione. Poggiò la sigaretta fra le labbra e l'accese. Inspirò a pieni polmoni e poi con mani tremanti la allontanò per espirare una nuvola grigia. Deglutì a fatica, fece qualche passo verso la finestra sopra la testata del letto e, subito dopo averla aperta, si sedette sul davanzale. Era notte inoltrata, l'intero Istituto dormiva e avrebbe dovuto farlo anche lui se il giorno dopo non voleva risvegliarsi ancora più distrutto. Aspirò nuovamente e lasciò cadere un po' di cenere picchiettando un lato della cartina. C'erano poche nuvole quella sera, si potevano guardare le stelle brillare di splendida fine. La luna invece gli ricordò se stesso: era uno scarno spicchio pallido, che forse si sentiva vuoto proprio come lui. Sorrise triste. Con la mano libera si coprì un attimo gli occhi, tirò indietro i capelli sciolti e sospirò. La sua tecnica maledetta era davvero dura da tollerare, di certo non poteva negarlo. Raccoglieva dentro di sé l'essenza del male, assimilandone ogni stato d'animo, ogni angoscia, ogni paura, ogni dolore, ogni sofferenza, ogni rabbia, ogni rancore... per poi manipolarla a proprio piacimento: dall'esterno poteva anche sembrare figo, ma viverne i processi era davvero uno schifo. La sua mente vagava ed intanto la sigaretta si bruciava da sé, ogni tanto la nicotina si mescolava al sapore amaro della sua saliva e ricordò quei giorni lontani in cui era solo un bambino. Un brivido di freddo lo costrinse a drizzare ogni vertebra della sua colonna. «No, ti prego...» sussurrò strizzando gli occhi, provando a cancellare quei pensieri. Ma più si rifiutava più questi apparivano lucidi e vividi, spaventosamente reali.
Era solo un bambino, non aveva idea di cosa fossero quei mostri: alcuni erano buffi e bizzarri, innocui lo guardavano coi loro occhi strabici e stralunati; altri erano deformi e ripugnanti, malvagi lo terrorizzavano inseguendolo con i loro arti viscidi e le unghie affilate, bavosi lo minacciavano di ingoiarselo vivo in un boccone fra le loro zanne. All'inizio agiva d'istinto pur di sopravvivere. Quando poi avevano scoperto la sua tecnica, il suo dono, gli avevano ignorantemente spiegato come fare e perché. Loro non sapevano che cosa significasse avere quel dono. Nessuno avrebbe mai potuto sapere, eccetto lui, Geto Suguru, che cosa significava nascere e convivere con quella maledizione. Allora era solo un bambino, oggi era solo un ragazzo... eppure nonostante tutti quegli anni passati, continuava comunque a sentirsi sempre come all’inizio. La sigaretta gli cadde dalle dita, le gambe si mossero da sole balzando giù dal cornicione e correndo verso il bagno, le ginocchia si piegarono in due dinanzi alla tazza del water e le mani fecero in tempo a tirare su i capelli, mentre il capo era chino verso il basso. Non era riuscito a trattenersi. Quella volta, nemmeno le sigarette erano riuscite ad alleviare quella pena. Ripulì il tutto e ancora debole si sciacquò il viso e lavò i denti al lavandino, evitando di alzare gli occhi verso il riflesso nello specchio. Non voleva vedere il fantasma di sé ch'era in quel momento. Aveva timore di trovarvi specchiata qualche illusione e non avrebbe retto per una seconda volta di fila di rimettere l'anima nello scarico del water. Legò i capelli in uno chignon basso e morbido, malfatto, giusto per levarsi dal viso i fastidiosi ciuffi corvini. Barcollante si trasportò nuovamente in camera e si lasciò cadere sul materasso. Dimenticò la finestra aperta, non ebbe la forza per alzarsi e richiuderla, quindi si crogiolò sotto le lenzuola abbracciando le ginocchia al petto. Chiuse gli occhi e pregò di riposare almeno un po' quella sera.
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Si svegliò e mugolò infastidito, senza però schiudere le palpebre. Percepiva i raggi del sole riscaldargli la pelle ed un leggero venticello accarezzargli i capelli. Stirò le gambe verso il basso e al contempo le braccia verso l'alto, girò poi sull'altro fianco risistemandosi meglio sul cuscino. Desiderava dormire ancora un altro po', voleva lasciarsi cullare dal pensiero che, fino a quanto non avesse aperto gli occhi, non era ancora arrivato il giorno. Ma nella stanza il suo respiro quieto non era il solo a rimbombare. Corrucciò la fronte assieme alle sopracciglia, pur non volendo il suo cervello si attivò nell'identificazione di quella seconda presenza. Sentì una risata malcelata soffiargli contro il viso e lo riconobbe, a conferma della sua energia maledetta. «Buongiorno, splendore!» cantilenò a gran voce l’albino. Afferrò con un pugno il cuscino sotto la testa e glielo lanciò addosso facendolo cadere all'indietro sulla schiena. Il tonfo dovuto alla sua goffaggine fu seguito dalla sua fragorosa risata. Intanto Geto imprecò con la voce impastata dal sonno, voltandosi dall'altro lato verso il muro, coprendosi il viso con le mani. Si chiese come avesse fatto ad entrare nella sua camera e, ricordandosi di aver lasciato la finestra aperta, pregò che non si fosse introdotto arrampicandosi da quella adiacente della propria stanza. «Sei un idiota...» bofonchiò insultandolo ancora. «Come hai detto, scusa?» balzò seduto e poggiò il mento sul bordo del letto, fissandogli la schiena coperta malamente dal lenzuolo azzurrognolo. «Vattene, Satoru» lo cacciò, mentre cercava di coprirsi meglio. «Abbracciami, Satoru?» esclamò storpiando propositamente le sue parole. «No! Non ho detto-» provò a fermarlo ma quello già si era lanciato sul letto e gli aveva circondato il busto con le braccia, «Oi! Che diavolo stai facendo!? Mollami! Satoru!» si dimenò invano. L'albino continuava a ridere divertito contro la pelle del suo collo, il naso immerso nei suoi lunghi capelli corvini, il petto contro la sua schiena. Forse se fosse rimasto fermo e in silenzio, avrebbe addirittura potuto sentire il suo cuore martellargli all'interno della cassa toracica come un tamburo di parata. «Aw! Ma quanto siamo affettuosi oggi!» lo prese in giro e giustamente si beccò una gomitata sulla bocca dello stomaco, «OUCH!». Riuscì ad allontanarlo quel tanto che bastava per girarsi nella sua direzione e spingerlo giù dal letto con tutti e quattro gli arti, ma lui prontamente lo afferrò per un braccio e fece cadere entrambi sul parquet. E rideva ancora con le lacrime agli occhi, mentre il corvino cercava di dargli una lezione a suon di sberle. «Oi-» la voce monocorde di Shoko interruppe momentaneamente quella lite. La mora restò impalata sulla soglia, un’espressione impassibile in viso, annoiata e rassegnata dal comportamento infantile dei due, con un sopracciglio sollevato li squadrò in quella posizione alquanto equivoca in cui li aveva ritrovati. «Va beh, ti farò gli auguri dopo, una volta che avete finito qui» proferì senza dare loro il tempo di replicare e richiuse la porta dietro di sé lasciandoli spiazzati. «Levati!» si liberò dalla sua presa il corvino, mettendosi seduto. Gojo rotolò al suo fianco e lo imitò per poi fissarlo e scoppiare nuovamente a ridere. «Sei tutto rosso in viso!» lo additò sporgendosi nella sua direzione così da imbarazzarlo maggiormente. «Piantala, Satoru! Che cosa ho fatto di male per essere torturato così di primo mattino?» mugolò accovacciando le gambe e nascondendo il volto contro le ginocchia. «Suguru... sono le undici passate» lo corresse con un filo di voce. Non voleva metterlo a disagio, sapeva quanto fossero frustanti i postumi della sua tecnica, ma non poteva restare in silenzio quando si accorgeva dei loro sintomi. Anche se aveva spalancato gli occhi, in quella posizione, non poté vedere lo sguardo compassionevole dell'albino: non lo stava giudicando, né stava provando pietà nei suoi confronti, desiderava solo fargli capire che era lì, assieme a lui.
«Fa lo stesso, non importa» farfugliò nel disperato tentativo di farsi scivolare di dosso quella sensazione indesiderata di disagio. «Già, ma solo perché oggi è il tuo giorno, Suguru!» gli sorrise afferrandogli il capo e baciandogli una guancia. «Ma che-!?» con lo sguardo accigliato lo vide alzarsi in piedi ed incamminarsi vero la porta. «Datti una mossa! Hai già saltato la tua fantasmagorica colazione, quindi dobbiamo rifarci con il pranzo migliore che tu abbia mai mangiato!» lo riprese, fallendo miseramente nel risultare in qualche maniera autoritario ai suoi occhi, «Avanti, su! Ci sono tantissime sorprese che ti aspettano oggi per il tuo compleanno, Suguru! Ti aspettiamo nel giardino sul retro!» disse entusiasta uscendo dalla camera e lasciandolo da solo, seduto a terra, con la bocca spalancata per la confusione. «Auguri... compleanno...? Ma che giorno è oggi!?» brontolò sollevandosi per afferrare il cellulare abbandonato sulla scrivania «Si può sapere che cosa è preso a tutti!? Oh, diavolo!» lesse l'ora e la data indicata dal display scuro.
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Non aveva mai osato immaginare una cosa simile, anche perché non ne aveva mai avuto motivo. Era assurdo, sul serio incredibile, a tratti esilarante, ma senza ombra di dubbio insostenibile. Stare al passo dell'albino era impossibile: era una trottola, non stava fermo nemmeno un momento, un attimo era al suo fianco, quello seguente alle spalle del povero Nanami con in mano un cappellino a punta tutto colorato con tanto di elastico glitterato, poi era in mezzo a Shoko e Utahime giusto per infastidirle un po', immediatamente dopo con Haibara e Mei Mei ad ordinare l'intero menu dei dolci. Lo guardava intontito, sinceramente non aveva ben capito come si fosse ritrovato in quel ristorante ma soprattutto come tutti loro sapessero che quel giorno era il suo compleanno quando lui era stato il primo a dimenticarlo. Un leggero sorriso gli incurvò le labbra nel vederlo dibattere con la più grande su chi avesse dovuto pagare il conto e scommise che, per tutta quella sua energia, aveva per forza fatto scorta di zuccheri la sera prima. Con una mano si coprì metà viso, mentre rideva silenziosamente all'immagine di Gojo appisolato con una guancia schiacciata sul legno della scrivania, piena di dolciumi e cartine colorate, i capelli arruffati a coprire lateralmente gli occhi chiusi, gli occhialini tondi poco distanti abbandonati malamente, le braccia al penzoloni, seduto scomodamente. «Perché ridi, Geto-senpai?» gli chiese Nanami con il suo solito tono serioso, reso ridicolo dal cappellino in testa che scompigliava appena i sottili capelli biondi. Si trattenne dal sorridere apertamente a quel suo buffo aspetto: era tutta colpa dell’albino, come sempre ne sapeva una più del diavolo. «Satoru» rispose semplicemente, additando l’amico. «Già, gli scemi sono sempre comici» commentò alzando gli occhi al cielo. «Nanamin!» lo richiamò il diretto interessato, storpiando il suo nome ed infastidendolo ancora di più, «Dovresti portare rispetto al tuo senpai preferito!» gli ricordò saccente, prendendo il posto accanto a quello del corvino. «Infatti»asserì monocorde il minore. «Infatti cosa? HEY!» provò ad impedirgli di allontanarsi nuovamente, ma quello oramai si era definitivamente incamminato verso l'uscita del locale per raggiungere Haibara, che aveva seguito Shoko e Utahime fuori. «Ah, queste nuove generazioni di sciamani!» brontolò come un anziano lasciandosi cadere comodamente sullo schienale del divanetto color caffè. «Non sono più quelle di una volta, vero?» lo incalzò sarcastico e scosse il capo rassegnato, quando l'albino annuì serio. «Allora?» Non capì quel quesito pronunciato sottovoce, gli si rivolse confuso con lo sguardo accigliato, in attesa che si spiegasse meglio. «Come ti senti, festeggiato?» riformulò Mei Mei, appoggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi verso di lui, «Il tempo scorre e gli anni passano... hai già pensato come finalizzare economicamente la tua carriera?» Batté un paio di volte le palpebre, totalmente preso alla sprovvista, ma d’altronde dalla ragazza dalla lunga treccia turchina non poteva aspettarsi altro che argomenti inerenti al business: aveva un incomprensibile amore per il denaro, una passione innata per l'economia e la finanza, adorava far fruttare i propri guadagni e massimizzarli così da poter uscire assieme alle altre due amiche a fare compere. «Beh, ecco... non proprio» alzò le spalle, imbarazzato. L'espressione incredula, che le cancellò il sorriso ammiccante dalla tinta vermiglia, e le lunghe ciglia spalancate sul suo candido viso, lo fecero sentire ancora di più in difetto.
«Il tempo è denaro, Geto-kun! Dobbiamo rimediare al più presto, se non vuoi ritrovarti sotto i ponti a perire la fame ed il freddo!» esclamò catastrofica. «Oh, me! Mei-chan! Non traviarmi Suguru con tutti i tuoi calcoli fiscali e la tua mania per i numeri! Sciò sciò!» la rimproverò l'amico, scacciando via l'argomento con un gesto non curante della mano. Lei non ebbe modo di replicare poiché una sfilza di camerieri fecero a turno per riempire i loro tavoli di quella che al corvino parve l'intera pasticceria del locale. «Non credi di aver esagerato un po'?» sollevò un sopracciglio, scettico all'idea che sarebbero riusciti a mangiare il tutto, anche se erano effettivamente in sette. «No, perché lo chiedi?» domandò curioso con già in mano un cucchiaino di cheese-cake alla crema e fragola e le guance piene. Tra tutti e sei, l'albino era l'unico ghiotto di zuccheri, ma a quanto pare era anche l'ignaro di turno. E Geto lo lasciò fare, non comprendendo appieno tutta quella sua gioia ma non volendola guastare in nessun modo. Mei Mei richiamò per messaggio i compagni fuori, avvisandoli della tavola imbandita e poi fece da giudice per la gara fra Gojo ed Haibara, che si sfidarono per determinare chi fosse in grado di ingerire quanti più piattini di tiramisù. I rimanenti si divisero per le scommesse. «Tanto sei solo bravo a strafogarti di schifezze, Gojo!» sminuì la sua vittoria Utahime, che per l'antipatia naturale provata per questo aveva semplicemente puntato contro di lui senza riflettere più di tanto. «Ha! Io sono bravo in tutto, Utahime-chan!» si pavoneggiò di tutta risposta. «Saresti più credibile, se non avessi il naso sporco di cacao» lo ribeccò Geto e tutti scoppiarono in una fragorosa risata quando l’albino mise su un broncio a mo’ di bambino.
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Ale+Ale Bhg presentano il 1^ Smerry’s Circus 🎪, la festa technicolor di carnevale dello @smeraldo in collaborazione con DELOS!
Principesse strampalate👸, unicorni rampanti🦄, draghi sputa fuoco reumatici 🐉, domatori senza leoni 🦁, giocolieri improvvisati 🤹, maghi stralunati 🧙 e molto altro ancora!
Sbizzarritevi quindi in travestimenti, se vi va, e in ogni caso vi aspettiamo per una serata con tutti i colori 🎨del mondo 🌏, la nostra musica di #backtothe90s🎧 e, per una volta, molto di più!
Per una notte, per questa notte, #moreismore !!!
Suggeriamo spassionatamente di non parcheggiare nell’esedra accanto allo Smerry 🤓
Ricapitolando:
quando: sabato 18 feebbraio 2023 dalle ore 22.00 alle ore 03.00
dove: Bar Smeraldo - viale Venezia 9 - 36100 Vicenza
perché: è meraviglioso!
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diritto all'eleganza! (cit.)
😂😂😂😂😂
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oggi a roma @ l'altracittà: "stralunati", di andrea inglese, in dialogo con gaia benzi
oggi a roma @ l’altracittà: “stralunati”, di andrea inglese, in dialogo con gaia benzi
https://www.facebook.com/events/1495113454338638
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#Andrea Inglese#Gaia Benzi#Italo Svevo Edizioni#Libreria L&039;Altracittà#prosa breve#racconti#Stralunati
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