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Strade Bianche 2024 📸 by Jered & Ashley Gruber
#strade bianche#strade bianche 2024#strade bianche donne#strade bianche donne 2024#cycling#women cycling
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you will burn and you will burn out; you will be healed and come back again // kasia niewiadoma
kasia would you accept this as a marriage proposal? (EDITED BECAUSE I’M STUPID AND FORGOT TO PUT IN A FEW IMAGES)
untitled - tumblr user @waitingforthesunrise // 'i lost the faith that i could still do it' - kasia niewiadoma conquers the 'mountain of emotions' for tour de france triumph - anne marije rook // pauliena rooijakkers and demi vollering - stage 8, tour de france femmes 2024 (gruber images) // kasia niewiadoma - stage 8, tour de france femmes 2024 (gruber images) // kasia niewiadoma and elisa longo borghini - tour of flanders 2024 (gruber images) // getting closer: kasia niewiadoma on remaining optimistic about her own victory after a promising flanders podium - rachel jary // kasia niewviadoma - strade bianche donne 2024 // kasia niewviadoma - stage 7, tour de france femmes 2023 (jojo harper nielsen) // kasia niewiadoma, elisa longo borghini and shirin van anrooij - tour of flanders 2024 // kasia niewiadoma - stage 7, tour de france femmes 2023 (jojo harper nielsen) // kasia niewiadoma - strade bianche donne 2024 // heartbroken katarzyna niewiadoma breaks down in tears after narrowly missing podium at strade bianche donne 2024 - kieran wood // kasia niewiadoma's results records - procyclingstats // kasia niewiadoma is cycling's latest example for why you should never give up - robyn davidson // kasia niewiadoma - la fleche wallonne feminine 2024 (getty images) // "i have failed many times... but i never stopped believing"-- emotional katarzyna niewiadoma finally gets much-deserved win at la fleche wallonne femmes - kieran wood // kasia niewiadoma - podium ceremony, la fleche wallonne feminine 2024 // kasia niewiadoma - uci gravel championships 2023 // kasia niewiadoma - stage 8, tour de france femmes 2024 (gruber images) // kasia niewiadoma wins closest four de france ever - andy mcgrath // stubbornness, soul, and spirit: kasia niewiadoma has earned the tour de france spotlight - rachel jary // kasia niewiadoma - stage 8, tour de france femmes 2024 (gruber images)
title is the brothers karamzov by fyodor dostoyevsky
#obligatory kasiaposting two days late because no one will ever ever ever do it like her#like i said when i make one i make at least 3 more… this might be my favorite one#apologies for the spam everyone i do indeed have a problem there’s another sepprogla one marinating somewhere#did you guys know that kasia podiumed 27 races in her 4 year road win drought? underdog narrative will never stop being insane#ALSO. PLEASE GO APPRECIATE @waitingforthesunrise ‘s AMAZING WRITING!! THIS IS LIKE MY FAVORITE POEM EVER#kasia niewiadoma#demi vollering#elisa longo borghini#tour de france#tour de france femmes#tdff#cycling#web weave#my art
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Roberto Godofredo Christophersen Arlt, per tutti Roberto Artl, giornalista e scrittore argentino
Ecco poche righe da uno dei suoi abissi narrativi, il racconto Le Belve.
E poi il tango, il tango e magari un liquore sorseggiato in una fetida milonga di Buenos Aires a fine anni 30
“La musica esalta la noia. Un vecchio tango ci ricorda momenti del carcere, un altro la notte con una donna ritrovata, un altro ancora un istante terribile degli anni più duri. Se il tango diventa aspro, uno spasimo ci contorce l'anima. Ricordiamo allora il piacere rosso e terribile di pestare il viso di una donna, o il piacere di ballare allacciati a una femmina schiva in una milonga assassina, o i primi soldi ricevuti da una donna che ci iniziò alla vita, un biglietto da dieci pesos tirato fuori dalla giarrettiera e che noi abbiamo preso con trepido piacere perché l'aveva guadagnato andando con altri. Pianto di fisarmoniche che ti scompigliano in dolci ricordi, prime emozioni agrodolci della vita da mantenuto: la donna che va per la strada con un uomo; la donna che ride al tavolo in compagnia di tre uomini, sensazione di sfacciataggine e violenza; la donna che di notte fa avanti e indietro tra il caffè e la stanza, al braccio di clienti che passano davanti ai nostri occhi, emozione che riempie l'attesa di alcune parole sussurrate di nascosto: "Aspetta un momento, caro, che mi libero subito". Il tango adorna la nostra anima con il ricordo di primitive allegrie: la donna di tutti che si pavoneggia in compagnia di chi riceve in regalo il suo danaro, la gente che ci guarda passare, gli sprovveduti che si meravigliano per le conversazioni sconce, i festini in casa delle amiche, le presentazioni d'obbligo: "Le presento mio marito". Pomeriggi di pioggia perduti tra lunghi giri di mate, la ragazza del grammofono in un angolo, il vassoio dei dolci abbandonato tra i vasetti di brillantina. Se la donna batte la strada, il regolamentare saluto alle quattro, l' "arrivederci caro", "stai attenta agli sbirri, pupa", e lei, al momento di andarsene, ha sempre un gesto strano, quasi doloroso per l'inizio del lavoro; allora, con uno sforzo di volontà, nasconde il viso sotto una maschera di impassibilità trasformandosi di colpo in un'altra, per poi confondersi tra i passanti con il passo lento della meretrice. E improvvisamente chi rimane si chiede preoccupato: "E se la mettono dentro?" o "Non sarà questa l'ultima volta che la vedo?" Per questo, quando nel silenzio che manteniamo seduti al tavolo del caffè, squilla il telefono, un sussulto ci scuote la testa, e se non è per noi, sotto le luci bianche, vermiglie o azzurre, Unghia d'Oro sbadiglia e Guglielmino il Ladro borbotta qualche ingiuria, e un'oscurità che non hanno neanche le strade più buie nelle loro profondità fangose, penetra nei nostri occhi, mentre al di là dello spessore del vetro che dà sulla strada passano donne oneste al braccio di uomini onesti.”
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Maram al-Masri
La Siria per me è una donna violentata tutte le notti da un vecchio mostro, violata, imprigionata, costretta a sposarsi. La Siria per me è l’umanità afflitta, è una bella donna che canta l’inno della Libertà, ma le tagliano la gola. È l’arcobaleno del popolo che si staglierà dopo i fulmini e le tempeste.
Maram al-Masri è una grande protagonista della scena poetica internazionale.
Ospitata e premiata in festival in giro per il mondo, è autrice di numerose raccolte di poesie e compare in diverse antologie. Ha pubblicato racconti su riviste letterarie arabe ed europee ed è di ispirazione per le giovani generazioni di poete arabe.
Inneggia alla bellezza che si trova nelle piccole cose e che sopravvive al di là degli orrori, della guerra e della violenza. Un grande canto d’amore disperato per un’umanità dolente che solo la voce della poesia può far vivere.
Nata il 2 agosto 1962 a Lattakia, in Siria, ha studiato a Damasco e poi in Inghilterra.
Oppositrice del regime di Assad, nel 1982, a soli vent’anni, è stata costretta a fuggire a Parigi col marito. L’uomo è poi rientrato in patria portandosi via il loro figlio che lei ha potuto riabbracciare solo dopo tredici anni.
Ha esordito nel 1984 con Ti minaccio con una colomba bianca pubblicato dalla casa editrice del Ministero dell’Educazione siriana.
Nel 1997 è uscita la raccolta di poesie��Ciliegia rossa su piastrelle bianche, salutata con entusiasmo dalla critica dei paesi arabi e tradotta in diverse lingue.
Il suo terzo libro Ti guardo, pubblicato originariamente a Beirut nel 2000, è stato tradotto in italiano nel 2009.
In Anime scalze dedica i suoi versi a tutte le donne vittime di violenza, alle profughe, alle donne sommerse. La sua scrittura diventa quasi fotografia che mostra i lividi, i sogni rapiti, le parole che non si possono dire, i sorrisi stanchi.
Arriva nuda la libertà, racconta il dramma della guerra siriana nell’era dei social media, ogni poesia è ispirata da un video di Youtube, un post su Facebook, una foto condivisa sul web. I versi sono un omaggio a coloro che hanno perso la vita sotto le bombe o a causa delle torture del regime.
Nel 2018, in Italia, ha visto la luce La donna con la valigia rossa, racconto illustrato dall’artista salernitana Ida Mainenti.
Lontana dalla sua terra, la voce di Maram al-Masri grida forte il proprio dissenso. I suoi versi sono atti civili di resistenza al regime, richiesta di rispetto dei diritti umani. La sua poesia, che travalica i continenti, è inno di giustizia e di libertà per un popolo devastato che, in cammino per le strade del mondo, cerca pace e accoglienza.
Nel 2020 è stato tradotto in italiano La lontananza un libro autobiografico.
Il suo linguaggio che risulta, a una prima lettura, ingenuo, scarno e infantile, è frutto di un’attenta ricerca dell’immagine poetica essenziale, racchiusa in poche battute fulminee.
I temi trattati hanno sempre un sapore autobiografico, la libertà della donna, i suoi desideri, la solitudine dell’emigrazione, la nostalgia.
La sua voce scuote gli animi, mette in luce argomenti silenziati e ignorati. È il canto triste e fiero di un’attivista che vede la sua patria condannata a morte, un canto che sale da corpi che si mescolano alla terra per diventare icone di questo secolo (cit. da Arriva nuda la libertà).
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Case e periferia
Fumo che non va via
Copre ogni voglia che ho
Di rialzarmi e andar giù
Facce in attesa di un tram
Lunghe
Quanto la notte che ormai
Non c'è più
Son donne appese a finestre
Le ombre che guardano in su
L'alba è qui già da un po'
Ma dove sei tu?
Là dove si sta
Li-, liberi di non aver paura
Di dir la verità
Di vivere la vita
E tra queste strade bianche
Un uomo, con parole stanche
Ammira, come fosse d'oro
Quest'alba che sa di nuovo
Là dove si sta
Li-, liberi di non aver paura
Di vivere la vita
Come si fa?
Li. -liberi di non aver paura
Di dir la verità
Di far la verità
Per vivere la vita
Di dir la verità
Per vivere la vita
Fonte: Musixmatch
Compositori: Giuliano Sangiorgi / Remo Anzovino
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#tiffany cromwell#pro cycling#canyon sram#Themeboard#based on a race#Strade Bianche Donne 2021#Tiffs 2021 seeason#a veriety of photographers#one photo is from recon yesterday other than that all from the race#photographers are Jojo harper; Thomas Madeux and Luc Claessen#my themeboards
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Ribolla 4/5/54
Noi, gente di Maremma, quel 4 Maggio del 1954 non riusciamo a dimenticarlo; quando se ne parla, anche a quasi settantanni di distanza, ci viene un groppo alla gola e gli occhi ci si fanno lucidi, come a me adesso. Quel martedì a Ribolla, un paesino della Maremma vicino a Grosseto, nella miniera di lignite della Montecatini, a 256 metri di profondità, una galleria esplodeva a causa di una grande stagnazione di grisù. Fu una tragedia: 43 minatori morti.
Ricordo i fatti, con le parole di Luciano Bianciardi:
«Si seppe della sciagura la mattina del 4 Maggio: era stata verso le otto e trenta, un’esplosione al Camorra, un’esplosione spaventosa: avevano visto una gran nube di fumo uscire dalla bocca del pozzo, un boato sordo. (...) «Le notizie che si diffusero subito erano vaghe e contraddittorie, ma la gravità del disastro fu subito chiara a tutti: le esperienze precedenti avevano insegnato che un’esplosione in una miniera di lignite, assume sempre proporzioni tragiche. Non è facile capire quel che è realmente successo. Una piccola folla di donne si accalca dinanzi al cancello dell’infermeria, ne esce un’auto con a bordo un uomo svenuto. Carabinieri, poliziotti, guardie giurate cercano di trattenere la gente che man mano cresce, preme. «I primi morti uscirono dal Camorra verso le cinque del pomeriggio: l’opera di soccorso, o meglio, di raccolta delle vittime, continuò tutta la notte. «La gente sta a guardare in silenzio (...). Quando suona il campanello dell’arganista il silenzio si fa ancora più grave, perché vuoi dire che arriva la «gabbia» (...). Una donna si mette a piangere (...). Un vecchio cammina avanti e indietro gridando solo una bestemmia, sempre quella. Fa: "Diolupo, diolupo, diolupo"... «Rimasi quattro giorni nella piana di Montemassi, dallo scoppio fino ai funerali, e li vidi tirare su quarantatre morti, tanti fagotti dentro una coperta militare».
L. Bianciardi, C. Cassola, I minatori di Maremma [1956], Stampa alternativa - Strade bianche, 2010
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Lotte Kopecky of Belgium and Team SD Worx-Protime celebrates at finish line as race winner during the 10th Strade Bianche 2024, Women's Elite a 137km one day race from Siena to Siena on March 02, 2024 in Siena, Italy. (Photos by Luc Claessen/Getty Images)
#lotte kopecky#team sd worx protime#women cycling#cycling#strade bianche donne#strade bianche donne 2024
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canto d'amore di J. Alfred Prufrock - Thomas Stearns Eliot
S’io credesse che mia risposta fosse
A persona che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma staria senza più scosse.
Ma perciocché giammai di questa fondo
Non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
Senza tema d’infamia ti rispondo.
I
Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono…
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che cade dai camini,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una soffice sera d’ottobre
S’arricciolò attorno alla casa, e si assopì.
E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, « Posso osare? » e, « Posso osare? »
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai miei capelli –
(Diranno: « Come diventano radi i suoi capelli! »)
Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido che arriva fino al mento, Con la cravatta ricca e modesta, ma asseríta da un semplice spillo –
(Diranno: « Come gli son diventate sottili le gambe e le braccia! »)
Oserò
Turbare l’universo?
In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà
Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: –
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?
E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti –
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini? .
Come potrei rischiare?
E ho già conosciuto le braccia, conosciute tutte –
Le braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera peluria bruna!)
E’ il profumo che viene da un vestito
Che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.
Potrei rischiare, allora?-
Come potrei cominciare?
Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette
Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe
D’uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle finestre?…
Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi
E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormentata… stanca… o gioca a fare la malata,
Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.
Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po’ a perdere i capelli)
Portato su un vassoio,
lo non sono un profeta – e non ha molta importanza;
Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,
E ho visto l’eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,
E a farla breve, ne ho avuto paura.
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
E fra la porcellana e qualche chiacchiera
Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso una domanda che opprime,
Di dire: « lo sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,
Torno per dirvi tutto, vi dirò tutto » –
Se una, mettendole un cuscino accanto al capo,
Dicesse: « Non è per niente questo che volevo dire.
Non è questo, per niente. »
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne strascicate sul pavimento
E questo, e tante altre cose? –
E’ impossibile dire ciò che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle,
E volgendosi verso la finestra, dicesse:
« Non è per niente questo,
Non è per niente questo che volevo dire. »
No! lo non sono il Principe Amleto, né ero destinato ad esserlo;
Io sono un cortigiano, sono uno
Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo –
E quasi, a volte, il Buffone.
Divento vecchio… divento vecchio…
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.
Dividerò i miei capelli sulla nuca? Avrò il coraggio di mangiare una pesca?
Porterò pantaloni di flanella bianca, e camminerò sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare l’una all’altra.
Non credo che canteranno per me.
Le ho viste al largo cavalcare l’onde
Pettinare la candida chioma dell’onde risospinte:
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.
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2 AGOSTO 1962 nasce MARAM AL-MASRI
Nella Siria martoriata c’è una città che si chiama Lattakia.
Una città di mare, vicina all’isola di Cipro: lì il 2 Agosto del 1962 è nata Maram Al Masri e lì ha vissuto i suoi primi vent’anni.
Studia a Damasco, poi in Inghilterra. Si sposa giovanissima e con il marito è costretta a fuggire a Parigi, in quanto oppositrice del regime di Assad.
“Lì ho sepolto mio padre il giorno in cui ho deciso di partire con una sola valigia colma di sogni senza memoria … e la sua fotografia”.
Quando il suo matrimonio finisce il marito ritorna in Siria portando con se il figlio che Maram non vedrà per i successivi 13 anni. A Lattakia, oggi presa di mira dall’ISIS, vive ancora tutta la sua famiglia.
Maram esordisce a Damasco nel 1984 con Ti minaccio con una colomba bianca; poi, dopo un lungo periodo di silenzio, pubblica nel 1997 la raccolta di poesie Ciliegia rossa su piastrelle bianche. Ti guardo viene invece pubblicato a Beirut nel 2000.
Nella raccolta Anime scalze del 2011 Maram dedica i suoi versi a tutte le donne vittime di violenza, alle profughe, alle donne sommerse. La sua scrittura diventa quasi fotografia, è come vederle queste donne: loro lividi, i loro sogni rapiti, le parole che non possono dire, i sorrisi stanchi:
“Le ho viste tutte passare in strada / anime scalze, / che si guardano dietro, / temendo di essere seguite / dai piedi della tempesta, / ladre di luna / attraversano, / camuffate da donne normali. / Nessuno le può riconoscere / tranne quelle / che somigliano a loro”.
La poesia di Maram è un inno alla bellezza che sopravvive al di là degli orrori, della guerra, della violenza nelle piccole cose.
Oggi il dolore di Maram è quello del suo popolo, decimato in pochi anni. I siriani da venti milioni sono diventati undici milioni. Quelli che hanno deciso di restare nella loro terra affrontano ogni giorno fame, prigione e torture da parte del regime, e le bombe dell’ISIS. A loro Maram dedica la raccolta di poesie Arriva nuda la libertà del 2014:
I versi di Maram sono un omaggio a coloro che hanno perso la vita sotto le bombe o che sono morti sotto le torture del regime. Sono “figli della libertà”, indossano abiti usati di stoffa ruvida, sono scalzi o hanno scarpe troppo grandi. I figli dei figli della libertà giocano con brandelli di pneumatici, con i sassi, con i resti degli ordigni esplosi. Nessuno ha più la forza di raccontare loro una favola, ascoltano solo “il frastuono della paura e del freddo / sui marciapiedi / davanti alle porte delle loro case distrutte / negli accampamenti / o / nelle tombe.”
Ha un sogno Maram: diventare un uccello dalle grandi ali e sorvolare finalmente la sua nazione liberata da guerra e violenza, risorta dalle rovine.
“Un esilio è paragonabile ad un albero privato delle radici. Una migrante come me / … / non attecchisce da nessuna parte. / Senza patria / viene da ogni orizzonte, / portata dalle ali del vento”.
Lontana dalla sua terra, la voce di Maram grida forte il proprio dissenso.
I suoi versi diventano atti civili di resistenza al regime, richiesta di rispetto dei diritti umani. La sua poesia vola dalla Francia alla Siria, dall’Occidente all’Oriente: inno di giustizia e di libertà sia per i siriani che hanno deciso di restare sia per quelli che, in cammino per le strade del mondo, cercano pace e accoglienza.
#noisiamoquellichecredonoancoraaquesteemozioni
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- L’angelo caduto - cap.9
"Le persone legate dal destino si troveranno sempre a vicenda" THE WITCHER
Splendenti raggi solari bucano la fitta coltre di nuvole bianche, squarciando il cielo con la loro intensa luce. La nebbia che avvolge l'alta collina si dissolve, lasciando che il grande maniero del conte Straud sia visibile in tutta la sua oscura perfidia. I tetti appuntiti neri, le mura di un grigio antracide e le alte finestre oscurate osservano la bellezza di quella mattinata assolata, dove la luce si riflette contro la bianca neve emanando un'aura brillante, quasi accecante.
Il comandante Cullen cammina da solo nel fitto bosco di abeti, il rumore della neve che si infrange sotto i suoi passi. Non sembra sentire freddo, riscaldato dall'astro infuocato che governa un cielo ora terso. Il suo animo è tranquillo, serenamente contento. Non c'è timore sul suo viso, non c'è più la paura della lotta. Sorride alla vista della sua amata che lo saluta da lontano, pronta a correre verso di lui e gettarsi tra le sue braccia. L'idillio perfetto dopo anni di sanguinosa lotta per la sopravvivenza dell'umanità, anni di rinunce, di paure, di progetti rinviati. La luce che inonda il piccolo borgo oscuro di Forgotten Hollow è il simbolo della rinascita, del non temere più il buio della notte e le sue creature che si aggiravano tra quelle strade, pronte a porre fine ad un'altra vita umana senza pietà. Ed eccoli lì, gli eroi silenziosi di quella battaglia, la ragazza prescelta dal destino per porre fine a quel lungo capitolo di crudeltà, e il giovane comandante di un insolito esercito, compagno nella guerra e nella vita. Sono a pochi passi l'una dall'altro, si guardano, sorridono, una nuova vita pronta per essere scritta tra le pagine bianche di un altro libro dove non c'è più il male ad affliggere il mondo. Ancora un passo...
Un istante e il mondo idilliaco va in pezzi. La nebbia torna ad avvolgere la collina che sovrasta il piccolo borgo di Forgotten Hollow, il sole scompare dietro una fitta coltre di nuvole scure e il buio torna a dipingere le strade. Come un fuoco che divampa all'improvviso, la lunga chioma rossa appare alle spalle del comandante. Lo sguardo di lui si tramuta, il sorriso si dissolve e il terrore riempie i suoi occhi chiari. Un grido squarcia il silenzio della grande vallata. La cacciatrice tenta invano di muoversi in soccorso dell'uomo che ama, ma è tutto inutile. La vampira afferra il collo del comandante e in un secondo è tutto finito. I denti affilati affondano nella pelle dell'uomo in profondità bucando i tessuti e i muscoli fino alla giugulare dissanguandolo in pochi attimi. Il corpo freddo e inerme dell'uomo cade a terra con un tonfo sordo nella neve fredda e opaca, mentre la risata della vampira sovrasta il grido della cacciatrice sconfitta. L'uomo che ama non c'è più. Ne resta solo una carcassa vuota, senza più battiti, senza più anima.
Le sue urla di terrore riecheggiarono nella grande casa vittoriana. "Svegliati!" sussurrò una voce maschile scuotendola dal torpore. "No, ti prego. Cullen..." mormorò la cacciatrice in preda ai deliri. Un sussulto e i suoi grandi occhi celesti si aprirono. Le luci tenui della piccola stanza da letto la aiutarono a mettere a fuoco i dintorni non riconoscendoli. "Dove mi trovo?" domandò Helena guardandosi attorno. "Sei a villa Vatore, cacciatrice" rispose la stessa voce maschile che aveva tentanto di svegliarla pochi istanti prima. Helena accortasi di indossare soltanto la biancheria intima, tentò di coprirsi con le mani, ma una fitta di dolore al braccio la fece desistere.
"Chi sei?" domandò ancora osservando il suo misterioso interlocutore "Cosa è successo?" "Mi chiamo Caleb Vatore, cacciatrice. Non ricordi cosa è accaduto qualche notte fa?" chiese di rimando. "Io ricordo di essere stata attaccata da un gruppo di vampiri e poi quella rossa...tu...tu sei venuto ad aiutarmi?!" domandò retoricamente. Caleb fece cenno di assenso senza aggiungere altro. "Grazie, Caleb. Sarei probabilmente morta senza il tuo aiuto" concluse la cacciatrice. "E' stato un onore, cacciatrice." rispose l'uomo abbozzando un sorriso. La sua pelle era stranamente molto pallida, quasi lucida sotto le luci tenui della stanza. Gli occhi avevano la stessa tonalità del ghiaccio che contrastavano sotto i folti capelli scuri. Helena lo osservò attentamente, ma non disse una parola, benchè un dubbio si fosse insinuato nella sua mente. "Io ora ti lascio tranquilla. I tuoi abiti sono su quella poltrona lì" annunciò Caleb indicando la seduta nell'angolo. "Se hai fame scendi pure al piano inferiore. C'è del cibo in cucina appositamente per te. Io sarò nel salone, se avrai bisogno di qualcosa" "Caleb, dove siamo?" domandò Helena confusa. "A casa mia, te l'ho detto" rispose Caleb. "Intendevo in che posto" incalzò Helena, mentre i suoi dubbi si facevano sempre più pressanti. Caleb con un sospiro confessò "A Forgotten Hollow..."
La cacciatrice sussultò mentre i pezzi di un puzzle invisibile andavano ad incastrarsi alla perfezione. Le tende tirate e scure nella stanza, l'arredamento antiquato e la carnagione di Caleb potevano significare soltanto una cosa. "Sei un vampiro" annunciò Helena con lo sguardo attonito, fisso su Caleb. "Si, ma non temere. Non ho intenzione di farti del male. Se avessi voluto ucciderti lo avrei fatto quella notte e non mi sarei preso cura delle tue gravi ferite" dichiarò il vampiro sorridendo appena e mettendo in mostra i canini allungati. "Suppongo di dovermi fidare di te..." mormorò Helena abbassando lo sguardo e notando le pesanti fasciature che avvolgevano il suo corpo in più punti. Sull'addome la macchia di sangue era ancora visibile sulle bende, segno che in quel punto aveva subito forse il danno maggiore. "Caleb...da quanto tempo sono qui?" domandò poi. "Tre notti. Le ferite erano molto gravi quando ti ho trovata e non sei stata cosciente fino a questa mattina, ma le cure stanno dando i loro effetti. Presto potrai tornare a cacciare" rispose Caleb, in piedi davanti a lei come una statua di marmo. "Tre notti? Io devo tornare. Mi staranno cercando!" disse Helena mettendosi a sedere sul bordo del letto e tentando di alzarsi. Un capogiro la colse all'improvviso facendola ricadere di peso sul morbido materasso cigolante.
"Sei ancora debole per affrontare tutta quella strada da sola ed io adesso non posso uscire di qui" mormorò Caleb che era andato a sedersi accanto a lei con uno scatto fulmineo. "Ma io devo tornare a casa..." sussurrò lei accigliandosi. "Ascolta, ora riposa un altro pò. Intanto ti preparerò qualcosa da mangiare che possa rimetterti in forze e stanotte ti promettò che ti aiuterò a tornare a casa, se lo desideri." concluse Caleb aiutandola a stendersi. Helena asserì con la testa e si sdraiò di nuovo sul comodo letto abbandonandosi totalmente alla richiesta di riposo che il suo corpo necessitava.
Quando il sole fu alto nel cielo di metà pomeriggio la cacciatrice si ridestò dal suo sonno ristoratore, sentendosi finalmente più in forze e pronta per tornare a casa. Erano passati tre giorni dall'attacco della vampira ed Helena si domandava se i membri dell'Organizzazione l'avessero data ormai per morta e il suo pensiero volò inevitabilmente a Cullen. Aveva bisogno di far sapere a tutti che stava bene, che era viva e che aveva ricevuto un aiuto prezioso dall'ultima persona che si sarebbe mai aspettata. Come era possibile che un vampiro avesse aiutato proprio lei la cacciatrice, colei scelta dal destino per distruggerli tutti? Poteva davvero fidarsi di lui? Si mise a sedere sul bordo del materasso a molle che cigolò sotto il suo peso. La stanza era nella penombra ed Helena desiderò ardentemente aprire le tende per far filtrare un pò di luce esterna. Così si alzò lentamente per paura di un nuovo capogiro e andò verso una delle finestre coperte da pesanti drappi scuri. Afferrò un lembo e tirò, lasciando così che una flebile luce di metà pomeriggio entrasse ad illuminare la grande stanza da letto. Amava il sole e non poteva immaginare come fosse vivere per l'eternità senza più godere di quella meraviglia, benchè anche la sua vita si svolgesse per la maggior parte del tempo nell'oscurità. Raccolse i suoi vestiti sulla poltrona nell'angolo accanto alla porta e iniziò ad indossarli, facendo attenzione a non strapparsi le bende che Caleb le aveva accuratamente messo per coprire le sue ferite. Osservò la sua figura vestita nello specchio da terra dal vetro un pò appannato e pensò a quanto fosse sciocco tenere un oggetto simile in una casa abitata da un vampiro, dal momento che le creature della notte non potevano vedere la loro immagine riflessa su nessuna superficie.
Quando fu completamente vestita, Helena osservò i segni ancora visibili sul suo viso, domandandosi se sarebbero rimaste le cicatrici e fu allora che la sua attenzione cadde su una fotografica incorniciata sulla toeletta in legno chiaro. Ritraeva quattro persone, due donne, un uomo e una bambina di circa 7 anni, sorridenti e vestiti con abiti che, molto probabilmente, risalivano ai primi anni del novecento. La foto era ingiallita dal tempo, ma Helena riconobbe Caleb vestito con una giacca e un paio di pantaloni stretti sul ginocchio. Un berretto copriva i suoi capelli pettinati e il suo sguardo era autoritario, ma al contempo dolce e affabile. Accanto a lui c'era una donna, capelli chiari raccolti in uno chignon e un abito lungo che le fasciava il corpo esile. Un'altra donna coi capelli corti e scuri era in piedi sul lato opposto, anche lei in abito lungo e uno sguardo profondo. La bambina era adorabile con la sua treccia lunga e il vestitino corto e sembrava felice. Helena osservò quei volti domandandosi chi potessero essere le persone accanto a Caleb e se, anche loro, fossero vampiri e si aggirassero tra le mura di quella casa. Non aveva mai visto dei vampiri-bambini e neppure il suo Osservatore ne aveva mai fatto menzione alcuna. Il pensiero di quella bambina trasformata in un mostro immortale fece rabbrividire la cacciatrice. I suoi pensieri però vennero interrotti quando la porta della camera si aprì e la figura di Caleb apparve sull'uscio. La vista del sole che filtrava dalla finestra lo fece rizzare come un gatto spaventato ed Helena si affrettò a tirare di nuovo la tenda. "Perdonami. Volevo solo far entrare un pò di luce naturale" annunciò voltandosi verso il vampiro. "A volte piacerebbe anche a me vedere ancora il sole" dichiarò Caleb rabbuiandosi in volto, più di quanto non fosse già tenebroso. "Caleb, non ho potuto fare a meno di notare quella foto" disse Helena indicando la cornice sulla toeletta "Le altre persone ritratte con te, sono in questa casa adesso?" domandò poi di getto senza pensare alle conseguenze di quella sua richiesta. "Solo mia sorella Lilith...la donna coi capelli scuri" rispose Caleb abbassando lo sguardo. Helena non domandò dove fossero la donna e la bambina fotografate accanto al vampiro, temendo di porre un quesito scomodo all'uomo. Fu Caleb a prendere la parola, asserendo che le avrebbe raccontato una storia, se avesse avuto voglia di ascoltarla. La cacciatrice annuì silenziosamente mentre Caleb le faceva segno di seguirla.
Scesi al piano inferiore della villa, Caleb fece strada ad Helena e l'accompagnò verso il salotto dove il crepitio del fuoco riecheggiava tra le mura. Seduta su una comoda poltrona c'era la donna della fotografia, ma era molto diversa a vederla di persona. Era vestita con un abitino aderente che le fasciava le curve mettendo in risalto i muscoli ben definiti, un paio di calze a rete e tacchi talmente alti che solo a guardarli facevano venire le vertigini. I capelli lunghi e neri erano tirati dietro le spalle lasciando il viso completamente scoperto a metterne in mostra i piccoli occhi color ghiaccio come quelli di Caleb. Il trucco pesante incorniciava il tutto. Non aveva più nulla della donna della fotografia, quell'aria un pò ingenua e l'aspetto delicato di quei tempi andati. Come il fratello il susseguirsi inesorabile dell'eternità con i suoi eventi storici, le guerre, le carestie e le epidemie avevano indurito i suoi lineamenti. "Cacciatrice, lei è mia sorella Lilith" annuciò Caleb. "Salve" disse Helena cercando di trovare qualcosa ad effetto da dire in quella circostanza così anomala. La vampira non rivolse nessun tipo di saluto alla cacciatrice, ma si limitò a guardare il fratello con aria truce. "Lilith non essere maleducata" mormorò il vampiro ricambiando lo sguardo della sorella. "Perdona la sua mancanza di educazione. Mia sorella è sempre stata una ribelle" disse poi rivolgendosi ad Helena. "Magari tua sorella non gradisce la presenza della cacciatrice in casa sua e ne ha tutto il diritto" asserì Helena guardando la vampira. "Esattamente, ma mio fratello fa sempre di testa sua senza mai chiedere nulla. Non è vero Caleb?!" parlò Lilith. La sua voce era profonda, per nulla stridula. "Ne abbiamo già discusso, Lilith. La cacciatrice aveva bisogno di aiuto" ringhiò Caleb. Helena iniziò a sentirsi a disagio in quella discussione tra fratelli, e soprattutto tra vampiri. "E per aiutare lei hai ucciso Lauren, la tua creatrice!" disse Lilith di rimando. "Ho dovuto farlo..." intervenì Caleb, ma non terminò la frase perchè Helena si intromise chiedendo chi fosse Lauren. "Siediti Helena" disse poi il vampiro tornando ad un tono calmo e vellutato chiamandola per la prima volta con il suo nome e non con il ruolo che il destino le aveva imposto "Voglio raccontarti quella storia".
Nel frattempo lontano da villa Vatore e da Forgotten Hollow, a Tiamaranta's Fortress i membri dell'Organizzazione non si davano pace. Da giorni non avevano mai interrotto le ricerche di Helena, mentre i due maghi avevano tentato qualsiasi incantesimo di localizzazione, senza avere successo. Alcuni di loro avevano ormai perso le speranze di ritrovare la cacciatrice viva e vegeta, benchè Amelia continuasse ad insistere che se fosse stata uccisa, avrebbe percepito l'aura di una nuova prescelta. Chi non aveva mai smesso di sperare era il comandante. Non dormiva da quella mattina in cui era andato a Forgotten Hollow in cerca di Helena e aveva ritrovato soltanto il suo ciondolo. A malapena mangiava e le forze lo stavano abbandonando. Jo continuava a ripetergli di riposare, di mangiare o si sarebbe ammalato presto, ma Cullen era inamovibile e continuava a dire che se non avesse ritrovato Helena tanto valeva morire. Si era recato spesso a Forgotten Hollow alla ricerca di tracce che potevano essergli sfuggite quel giorno e, durante le ronde notturne, aveva affrontato diversi vampiri domandando se sapevano qualcosa a riguardo della sparizione della cacciatrice, prima di ucciderli. Ma di Helena nessuna traccia. Era come svanita nel nulla, mentre lei era sempre stata lì, a pochi passi da loro, al sicuro in una delle camere da letto di villa Vatore.
Mentre Helena ascoltava la storia che Caleb le stava narrando, a Tiamaranta's Fortress Cullen sedeva alla sua scrivania. Un foglio di carta bianca era poggiato davanti a sè e il comandante fissava il suo candore cercando le parole giuste da incidere. La speranza di rivedere Helena viva era ancora lì, aggrappata con le unghie alla sua anima e Cullen volle esternare i suoi sentimenti su quel pezzo di carta, augurandosi di poterle dare quella lettera una volta che fosse tornata.
"Senza dubbio questa mia lettera ti confonderà. Devo ammetterlo, non ho avuto molte opportunità di comporre nulla di natura personale. Forse è sciocco. Sei impegnata nella tua lotta, come lo sono anche io. Il nostro lavoro sembra non finire mai, ogni passo in avanti sembra finisca con quattro passi indietro. Ti ho vista oltrepassare quel cancello ogni notte per andare a combattere, tornando sempre. In queste notti ho atteso. La testa premuta contro le fredde pietre della finestra, aspettando di vedere la tua sagoma comparire all'orizzonte. Sembra patetico ora che lo scrivo, come se fossi una fanciulla in una torre che si strugge per un cavaliere. Non ho mai pensato che tu potessi non farcela. Al contrario, in ogni fase di questa missione, ho sempre creduto con fervore nel tuo successo. Le mie intenzioni con questa lettera non erano di attirare dubbi sulle tue capacità. La verità, la ragione di questo spreco di tempo è che ti amo. Sto qui chino sulla scrivania e osservo il consumarsi delle candele e tutto ciò che scorre nelle mie vene è una paura infernale che non potrei mai dirti. Non in futuro, ma adesso con te così lontana da me. Tu sei molto di più di quanto avrei potuto desiderare, sperato, necessitato. Hai distrutto le mie difese con uno sguardo. Mi hai fatto tremare in ginocchio e mi hai rialzato in piedi. Non mi sono mai sentito così vulnerabile come lo sono tra le tue braccia. La tua semplice presenza è un balsamo per la mia anima ferita, la stessa che darei per tenerti con me per sempre. Ti desidero. Baciare le tue labbra, perdermi nel tuo abbraccio, assaporare le tue cosce che tremano a cavalcioni sopra di me e sorridere mentre ti muovi sotto di me. La promessa dei tuoi sussulti che implorano di più infiamma il mio cuore e mi distoglie dalla sconforto della guerra. I miei sogni possono essere costellati per sempre da incubi, ma i miei pensieri, i miei momenti di veglia, sono dedicati a te. Sei un vino profumato che inebria la mia mente e la mia lingua, e libera l'uomo che temevo fosse perso per sempre dalle sue catene. Non avrei mai immaginato di essere diventato il tipo d'uomo che scrive una lettera d'amore. Di devozione. Una dichiarazione che ciò che voglio di più da questo mondo, dal Creatore stesso, sei tu. So che tornerai da me, passando per quel cancello e tra le mie braccia. E avevo bisogno che tu sapessi che mi troverai con la fronte premuta contro la fredda pietra che ti aspetta. Ti amo. Cullen"
Terminò di scrivere quella confessione che il sole aveva iniziato a discendere dietro la linea del mare. Poggiò la fronte contro il pugno chiuso, adagiando il gomito sul foglio di carta non più immacolato e chiuse gli occhi, mentre una smorfia di dolore gli tirò le labbra. "So che tornerai..." mormorò poi abbandonandosi totalmente ad una silenziosa disperazione che lo aveva accompagnato in quei giorni, senza lasciarlo mai, benchè la speranza del ritorno di Helena gli avesse dato la forza di non cedere.
Le ombre fuori Tiamaranta's Fortress iniziarono ad allungarsi col passare dei minuti, mentre la linea dell'orizzonte si tingeva delle tonalità del rosso del tramonto. Fu allora che una figura scura sopraggiunse oltre il fitto degli alberi che coprivano la scogliera dove si ergeva la fortezza. Passi veloci corsero tra i corridoi, sempre più affrettati. Senza bussare contro il battente di legno dello studio, Leliana aprì la porta di scatto trovando il comandante perso nei suoi pensieri malinconici. "Comandante" lo chiamò cercando di attirare la sua attenzione, ma Cullen non si mosse. "Cullen" chiamò ancora "La cacciatrice...è tornata!".
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Dino Buzzati, Qualcosa era successo
Il treno aveva percorso solo pochi chilometri (e la strada era lunga, ci saremmo fermati soltanto alla lontanissima stazione d'arrivo, così correndo per dieci ore filate) quando a un passaggio a livello vidi dal finestrino una giovane donna. Fu un caso, potevo guardare tante altre cose invece lo sguardo cadde su di lei che non era bella né di sagoma piacente, non aveva proprio niente di straordinario, chissà perché mi capitava di guardarla. Si era evidentemente appoggiata alla sbarra per godersi la vista del nostro treno, superdirettissimo, espresso del nord, simbolo per quelle popolazioni incolte, di miliardi, vita facile, avventurieri, splendide valige di cuoio, celebrità, dive cinematografiche, una volta al giorno questo meraviglioso spettacolo, e assolutamente gratuito per giunta. Ma come il treno le passò davanti lei non guardò dalla nostra parte (eppure era là ad aspettare forse da un'ora) bensì teneva la testa voltata indietro badando a un uomo che arrivava di corsa dal fondo della via e urlava qualcosa che noi naturalmente non potemmo udire: come se accorresse a precipizio per avvertire la donna di un pericolo. Ma fu un attimo: la scena volò via, ed ecco io mi chiedevo quale affanno potesse essere giunto, per mezzo di quell'uomo, alla ragazza venuta a contemplarci. E stavo per addormentarmi al ritmico dondolio della vettura quando per caso - certamente si trattava di una pura e semplice combinazione - notai un contadino in piedi su un muretto che chiamava chiamava verso la campagna facendosi delle mani portavoce. Fu anche questa volta un attimo perché il direttissimo filava eppure feci in tempo a vedere sei sette persone che accorrevano attraverso i prati, le coltivazioni, l'erba medica, non importa se la calpestavano, doveva essere una cosa assai importante. Venivano da diverse direzioni chi da una casa, chi dal buco di una siepe chi da un filare di viti o che so io, diretti tutti al muriccioio con sopra il giovane chiamante. Correvano, accidenti se correvano, si sarebbero detti spaventati da qualche avvertimento repentino che li incuriosiva terribilmente, togliendo loro la pace della vita. Ma fu un attimo, ripeto, un baleno, non ci fu tempo per altre osservazioni. Che strano, pensai, in pochi chilometri già due casi di gente che riceve una improvvisa notizia, così almeno presumevo. Ora, vagamente suggestionato, scrutavo la campagna, le strade, i paeselli, le fattorie, con presentimenti ed inquietudini. Forse dipendeva da questo speciale stato d'animo, ma più osservavo la gente, contadini, carradori, eccetera, più mi sembrava che ci fosse dappertutto una inconsueta animazione. Ma sì, perché quell'andirivieni nei cortili, quelle donne affannate, quei carri, quel bestiame? Dovunque era lo stesso. A motivo della velocità era impossibile distinguere bene eppure avrei giurato che fosse la medesima causa dovunque. Forse che nella zona si celebravan sagre? Che gli uomini si disponessero a raggiungere il mercato? Ma il treno andava e le campagne erano tutte in fermento, a giudicare dalla confusione. E allora misi in rapporto la donna del passaggio a livello, il giovane sul muretto, il viavai dei contadini: qualche cosa era successo e noi sul treno non ne sapevamo niente. Guardai i compagni di viaggio, quelli dello scompartimento, quelli in piedi nel corridoio. Essi non si erano accorti. Sembravano tranquilli e una signora di fronte a me sui sessant'anni stava per prender sonno. O invece sospettavano? Sì, sì, anche loro erano inquieti, uno per uno, e non osavano parlare. Più di una volta li sorpresi, volgendo gli occhi repentini, guatare fuori. Specialmente la signora sonnolenta, proprio lei, sbirciava tra le palpebre e poi subito mi controllava se mai l'avessi smascherata. Ma di che avevano paura? Napoli. Qui di solito il treno si ferma. Non oggi il direttissimo. Sfilarono rasente a noi le vecchie case e nei cortili oscuri vedemmo finestre illuminate e in quelle stanze - fu un attimo - uomini e donne chini a fare involti e chiudere valige, così pareva. Oppure mi ingannavo ed erano tutte fantasie? Si preparavano a partire. Per dove? Non una notizia fausta dunque elettrizzava città e campagne. Una minaccia, un pericolo, un avvertimento di malora. Poi mi dicevo: ma se ci fosse un grosso guaio, avrebbero pure fatto fermare il treno; e il treno invece trovava tutto in ordine, sempre segnali di via libera, scambi perfetti, come per un viaggio inaugurale. Un giovane al mio fianco, con l'aria di sgranchirsi, si era alzato in piedi. In realtà voleva vedere meglio e si curvava sopra di me per essere più vicino al vetro. Fuori, le campagne, il sole, le strade bianche e sulle strade carriaggi, camion, gruppi di gente a piedi, lunghe carovane come quelle che traggono ai santuari nel giorno del patrono. Ma erano tanti, sempre più folti man mano che il treno si avvicinava al nord. E tutti avevano la stessa direzione, scendevano verso mezzogiorno, fuggivano il pericolo mentre noi gli si andava direttamente incontro, a velocità pazza ci precipitavamo verso la guerra, la rivoluzione, la pestilenza, il fuoco, che cosa poteva esserci mai? Non lo avremmo saputo che fra cinque ore, al momento dell'arrivo, e forse sarebbe stato troppo tardi. Nessuno diceva niente. Nessuno voleva essere il primo a cedere. Ciascuno forse dubitava di sé, come facevo io, nell'incertezza se tutto quell'allarme fosse reale o semplicemente un'idea pazza, allucinazione, uno di quei pensieri assurdi che infatti nascono in treno quando si è un poco stanchi. La signora di fronte trasse un sospiro, simulando di essersi svegliata, e come chi uscendo dal sonno leva gli sguardi meccanicamente, così lei alzo le pupille fissandole, quasi per caso, alla maniglia del segnale d'allarme. E anche noi tutti guardammo l'ordigno, con l'identico pensiero. Ma nessuno parlò o ebbe l'audacia di rompere il silenzio o semplicemente osò chiedere agli altri se avessero notato, fuori, qualche cosa di allarmante. Ora le strade formicolavano di veicoli e gente, tutti in cammino verso il sud. Rigurgitanti i treni che ci venivano incontro. Pieni di stupore gli sguardi di coloro che da terra ci vedevano passare, volando con tanta fretta al settentrione. E zeppe le stazioni. Qualcuno ci faceva cenno, altri ci urlavano delle frasi di cui si percepivano soltanto le vocali come echi di montagna. La signora di fronte prese a fissarmi. Con le mani piene di gioielli cincischiava nervosamente un fazzo1etto e intanto i suoi sguardi supplicavano: parlassi, finalmente, li sollevassi da quel silenzio, pronunciassi la domanda che tutti si aspettavano come una grazia e nessuno per primo osava fare. Ecco un'altra città. Come il treno, entrando nella stazione, rallentò un poco, due tre si alzarono non resistendo alla speranza che il macchinista fermasse. Invece si passò, fragoroso turbine, lungo le banchine dove una folla inquieta si accalcava anelando a un convoglio che partisse, tra caotici mucchi di bagagli. Un ragazzino tentò di rincorrerci con un pacco di giornali e ne sventolava uno che aveva un grande titolo nero in prima pagina. Allora con un gesto repentino, la signora di fronte a me si sporse in fuori, riuscì ad abbrancare il foglio ma il vento della corsa glielo strappò via. Tra le dita restò un brandello. Mi accorsi che le sue mani tremavano nell'atto di spiegarlo. Era un pezzetto triangolare. Si leggeva la testata e del gran titolo solo quattro lettere. IONE, si leggeva. Nient'altro. Sul verso, indifferenti notizie di cronaca. Senza parole, la signora alzò un poco il frammento affinché tutti lo potessero vedere. Ma tutti avevamo già guardato. E si finse di non farci caso. Crescendo la paura, più forte in ciascuno si faceva quel ritegno. Verso una cosa che finisce in IONE noi correvamo come pazzi, e doveva essere spaventosa se, alla notizia, popolazioni intere si erano date a immediata fuga. Un fatto nuovo e potentissimo aveva rotto la vita del Paese, uomini e donne pensavano solo a salvarsi, abbandonando case, lavoro, affari, tutto, ma il nostro treno no, il maledetto treno marciava con la regolarità di un orologio, al modo del soldato onesto che risale le turbe dell'esercito in disfatta per raggiungere la sua trincea dove il nemico già sta bivaccando. E per decenza, per un rispetto umano miserabile, nessuno di noi aveva il coraggio di reagire. Oh i treni come assomigliano alla vita! Mancavano due ore. Tra due ore, all'arrivo, avremmo saputo la comune sorte. Due ore, un'ora e mezzo, un'ora, già scendeva il buio. Vedemmo di lontano i lumi della sospirata nostra città e il loro immobile splendore riverberante un giallo alone in cielo ci ridiede un fiato di coraggio. La locomotiva emise un fischio, le ruote strepitarono sul labirinto degli scambi. La stazione, la curva nera delle tettoie, le lam- pade, i cartelli, tutto era a posto come il solito. Ma, orrore!, il direttissimo ancora andava e vidi che la stazione era deserta, vuote e nude le banchine, non una figura umana per quanto si cercasse. Il treno si fermava finalmente. Corremmo giù per i marciapiedi, verso l'uscita, alla caccia di qualche nostro simile. Mi parve di intravedere, nell'angolo a destra in fondo, un po' in penombra, un ferroviere col suo berrettuccio che si eclissava da una porta, come terrorizzato. Che cosa era successo? In città non avremmo più trovato un'anima? Finché la voce di una donna, altissima e violenta come uno sparo, ci diede un brivido. " Aiuto! Aiuto! " urlava e il grido si ripercosse sotto le vitree volte con la vacua sonorità dei luoghi per sempre abbandonati.
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Ci sono film che restano impressi nella nostra memoria e che non è possibile dimenticare, soprattutto per i veri viaggiatori. Film dei quali si ricordano con precisione luoghi, scenari, scene, nomi di città ed i loro protagonisti. Sono i film ed i documentari sui viaggi che hanno generato la voglia di partire e ritrovare dal vivo quei luoghi visti al cinema o in TV, luoghi che abbiamo amato fin da subito, stupefacenti, lontani dalla nostra vita quotidiana; sono film “calamita” perché sono lo stimolo per partire alla scoperta di luoghi che ci attraggono. Viaggiare è sinonimo di vivere ed ecco i film più belli che ci fanno vivere momenti emozionanti, in attesa di partire! Into the Wild Into the Wild è il film cult sui viaggi scritto e diretto da Sean Penn, libera trasposizione del libro di Jon Krakauer “Nelle Terre Estreme”. Into the Wild racconta la vera storia di Christopher Mc Candless che, dopo la laurea, abbandona la sua famiglia benestante ed inizia un lunghissimo viaggio negli Stati Uniti attraversando l’Arizona, il Grand Canyon fino a raggiungere l’Alaska dove termina il suo viaggio. In Alaska si ferma per 4 mesi celebrando la ricerca della libertà, cercando di sopravvivere in quella terra di gelo e ghiacciai. Le immagini, gli scenari, i paesaggi e le ambientazioni del film sono estremamente affascinanti e terrificanti in alcuni tratti. McCandless sperimenta la vita dei local entrando in contatto con gli usi e le abitudini dei luoghi vivendo alla giornata. Il suo viaggio termina dopo 4 mesi con la sua morte ed il suo corpo ritrovato casualmente in un autobus abbandonato in un accampamento. Thelma e Louise Diretto da Ridley Scott, Thelma e Louise è diventato uno dei film più belli della storia mondiale del cinema collezionando importanti riconoscimenti tra cui il premio Oscar per la miglior sceneggiatura. Il film è considerato un vero e proprio cult che inneggia alla libertà, all’emancipazione ed all’amicizia tra donne e che, scena dopo scena, ci fa conoscere luoghi, paesaggi, ambienti e vite quotidiane di tutti i personaggi che le due amiche incontrano durante la loro “fuga”. Il loro viaggio inizia in Arkansas puntando verso l’Oklahoma attraversando Colorado e Arizona percorrendo strade, attraversando pianure infinite con scenari maestosi e pieni di fascino. In realtà la maggior parte delle scene sono state girate nei vasti spazi intorno a Los Angeles come Gorman e la Lockwood Valley mentre alcune scene, le più emozionanti e rappresentative a livello di paesaggio, sono state girate nel deserto dello Utah e a Dead Horse Point dove la leggenda racconta che per liberarsi dall’uomo che li teneva imbrigliati, un gruppo di cavalli si siano lanciati nel canyon preferendo la morte alla libertà negata. Innegabile il collegamento tra la scelta di libertà dei cavalli e la scena finale delle protagoniste di Thelma e Louise. Meravigliose le scene nelle location di Bakersfield, nelle valli della California, con i suoi campi e le sue strade polverose che tagliano i due paesaggi infiniti e mozzafiato. Mediterraneo Scritto e diretto da Gabriele Salvatores, Mediterraneo racconta la storia di un gruppetto di soldati italiani rimasti soli ed isolati su un’isola greca durante la Seconda Guerra Mondiale. Film eccezionalmente bello per i luoghi e gli scenari nei quali si svolge, dove il cielo ed il mare si incontrano per tutta la durata del film. Mediterraneo è stato girato sulla piccolissima isola di Kastellorizo nel Dodecaneso, vicinissima alle coste della Turchia. Molte scene sono ambientate nella città di Megisti, tipicamente greca, della quale , attraverso le immagini del film, ne conosciamo le strade, le piazzette, gli affacci sul mare, le case bianche, il lento ritmo della vita sull’isola. È proprio grazie a Salvatores che abbiamo scoperto l’esistenza di questa piccola meravigliosa isola in mezzo al mare, poco più grande di un francobollo con i suoi 9 chilometri quadrati di roccia e piccolissime spiagge, circondata da un mare caraibico color smeraldo. La piccola città si sviluppa in altezza con le sue case bianche che si affacciano sul porto e che al tramonto brillano come luci mentre il cielo si tinge di arancione. La vita si svolge con ritmi lenti come se il tempo non passasse o come se il tempo non esistesse, qualche bar, un paio di ristorantini che si affacciano sul mare o all’interno degli stretti vicoli che, grazie al contributo di Salvatores, sono oggi diventati meta di coloro che vogliono vivere un’esperienza fuori dal mondo, avvolti da una pace quasi surreale, dal silenzio, dalle voci dei gabbiani ed il rumore delle onde. Un posto dove scappare per scoprire un’altra dimensione e, perché no, anche se stessi. La Mia Africa Film spettacolare scritto dal grande Pollack che con la sua maestra ed il suo genio commuove e stimola lo spettatore a preparare la valigia appena terminata la visione. La Mia Africa vi porta a fare tutto ciò che fino ad ora avete rimandato: viaggiare! Ambientato in Kenya, in quella regione incontaminata, aspra e dura del continente africano è una pellicola autobiografica. I riconoscimenti ricevuti l’hanno portato a diventare un film cult del genere amato dagli appassionati dei viaggi e del romanticismo. Caratteristica del film sono le sue inquadrature ampie che cercano in modo spasmodico di allargare il campo il più possibile per fotografare la bellezza unica al mondo di questa terra. Ed è proprio attraverso queste ampie inquadrature che lo spettatore riesce a farsi un’idea precisa e reale del Kenya, terra di cultura indigena e primitiva di quell’Africa che, se visitata una volta, non vi lascerà mai. Il famoso Mal d’Africa che colpisce tutti coloro che almeno una volta nella vita hanno la fortuna di visitarla. La bellezza di una terra straordinaria ricca di magia che Pollack riesce a regalare allo spettatore unitamente ad una indescrivibile sensazione di libertà che attraversa lo spettatore per tutta la durata del film. La Mia Africa è una delle poche pellicole che è riuscita ad innalzare e celebrare i paesaggi incontaminati del Kenya con una fotografia mozzafiato, precisa e perfetta tanto da aver ricevuto un numero incredibile di premi internazionali. Sette anni in Tibet Film spettacolare prodotto nel 1997 da Jean-Jacques Annaud racconta la storia di un giovane attivista del Partito Nazionalsocialista Tedesco che, nominato dal governo tedesco per scalare le montagne dell’Himalaya, raggiunge il misterioso Nanga Parbat. Il Nanga Parbat è la nona vetta più alta del mondo, pochissimi coloro che l’hanno scalata con successo. Il film è girato per la maggior parte a Mendoza e a La Plata in Argentina, in Nepal, e pochissime scene in Austria ed in Canada. Solo 20 minuti del film sono ambientati in Tibet, come ha ammesso successivamente il regista, 20 minuti che sono costati al regista ed ai protagonisti del film l’allontanamento a vita dalla Cina. Proprio le scene girate nella città sacra di Lasha corrispondono a quei 20 minuti che sono costati la diffida all’intero cast. Resta comunque il fatto che le ambientazioni, gli scenari, i luoghi sono perfettamente riprodotti e che il visitatore attratto dalla pellicola può ritrovare questi luoghi qualora dovesse decidere di fare un viaggio in Tibet. Cast Away Film interpretato magistralmente da Tom Hanks che approda sull’isola con aspetto umano e civilizzato e la lascerà trasformato nel corpo e nell’anima dalla vita alla Robinson Crusoe. Pellicola ambientata in una delle più belle isole del mondo, Monuriki. Monuriki fa parte di un complesso di atolli vicino all’arcipelago delle Isole Fiji e più precisamente vicino alle Isole Mamanuca. Il film è stato girato quasi per intero su quest’isola dove il naufrago vivrà per 4 anni. Piccolissima isola lunga poco più di 1 chilometro e larga non più di 600 metri, leggermente montuosa ma con spiagge di una bellezza paradisiaca. Dopo l’uscita del film l’isola è diventata, nel giro di una stagione, una meta turistica molto ambita e di forte richiamo: l’isola di Cast Away, essendo piccolissima, permette al visitatore, nel momento in cui mette piede sulla spiaggia, di riconoscere immediatamente tutti i luoghi dove sono state girate le bellissime scene del film. Sotto il sole della Toscana Non è solo un film ma un vero e proprio viaggio! Se amate la città non guardate questo film altrimenti tutto il vostro amore per la città svanirà per incanto ed il desiderio di partire per la Toscana diventerà irrefrenabile. Sotto il sole di Toscana è ambientato principalmente in Toscana nella città di Cortona della quale, attraverso le immagini del film, ne conoscerete il centro storico, le vie, i palazzi, la bellissima villa vicino alle mura cittadine; i casolari nelle estese campagne e le sue colline vi faranno decidere di partire alla scoperta della Toscana affrontando un viaggio di serenità, natura, vini deliziosi e cibo eccezionale. Documentari sui viaggi Ma non sono solo i film più famosi, come quelli che vi abbiamo raccontato, che vi scuoteranno dalla poltrona facendovi decidere di fare un viaggio dopo aver visto le immagini del Tibet, delle Isole Caraibiche, del Kenya o della Toscana. Anche i documentari sui viaggi sono pronti a fare la loro parte e siamo certi vi daranno l’input finale per preparare subito le valigie e programmare il vostro prossimo viaggio. Ecco quali sono i docu-film, i documentari e le serie imperdibili per trarre ispirazione. Our Planet È una famosissima serie britannica narrata da Sir David Attenborough che racconta il nostro pianeta a 360°: dalle terre del ghiaccio alle giungle tropicali raccontando le specie più rare, i pesci collezionisti, uccelli rarissimi ed insetti dei quali mai ne immaginereste l’esistenza. Our Planet, in otto episodi mozzafiato, è un inno alle meraviglie della nostra terra, dei suoi habitat più fragili e più possenti, delle forme più estreme della natura offerte attraverso immagini di qualità e perfezione altissime. Profondo Blu Film-documentario che va alla scoperta della flora e della fauna che non possiamo vedere. Profondo Blu vi porta alla scoperta degli Oceani e dei loro spettacolari abitanti, alla scoperta di un mondo sottomarino sconosciuto ai più. Riprese sottomarine fantastiche con immagini e colori che nemmeno la tavolozza di un bravo pittore saprebbe riprodurre. The Endless Summer The Endless Summer è una serie di film-documentari che va alla scoperta del mondo spumeggiante, adrenalitico ed avventuroso del Surf; l’onda perfetta e le evoluzioni dei surfisti sono catturate con maestria dalle videocamere di Bruce Brown con riprese ed immagini che vi faranno sentire protagonisti di questo sport. Seguendo Bruce Brown attraverserete la Nuova Zelanda, l’Australia, le Hawaii, il Sudafrica alla ricerca dell’onda perfetta durante un’estate senza fine. Film-doc che omaggia la gioventù ed inneggia alla libertà, alla voglia di vivere, all’amicizia, al sole e alla natura. Il viaggio nutre l’anima, la conoscenza nutre il cuore. Il cibo nutre il corpo. Mano alle valige: si parte! https://ift.tt/2YaP4p0 I migliori film e documentari sui viaggi Ci sono film che restano impressi nella nostra memoria e che non è possibile dimenticare, soprattutto per i veri viaggiatori. Film dei quali si ricordano con precisione luoghi, scenari, scene, nomi di città ed i loro protagonisti. Sono i film ed i documentari sui viaggi che hanno generato la voglia di partire e ritrovare dal vivo quei luoghi visti al cinema o in TV, luoghi che abbiamo amato fin da subito, stupefacenti, lontani dalla nostra vita quotidiana; sono film “calamita” perché sono lo stimolo per partire alla scoperta di luoghi che ci attraggono. Viaggiare è sinonimo di vivere ed ecco i film più belli che ci fanno vivere momenti emozionanti, in attesa di partire! Into the Wild Into the Wild è il film cult sui viaggi scritto e diretto da Sean Penn, libera trasposizione del libro di Jon Krakauer “Nelle Terre Estreme”. Into the Wild racconta la vera storia di Christopher Mc Candless che, dopo la laurea, abbandona la sua famiglia benestante ed inizia un lunghissimo viaggio negli Stati Uniti attraversando l’Arizona, il Grand Canyon fino a raggiungere l’Alaska dove termina il suo viaggio. In Alaska si ferma per 4 mesi celebrando la ricerca della libertà, cercando di sopravvivere in quella terra di gelo e ghiacciai. Le immagini, gli scenari, i paesaggi e le ambientazioni del film sono estremamente affascinanti e terrificanti in alcuni tratti. McCandless sperimenta la vita dei local entrando in contatto con gli usi e le abitudini dei luoghi vivendo alla giornata. Il suo viaggio termina dopo 4 mesi con la sua morte ed il suo corpo ritrovato casualmente in un autobus abbandonato in un accampamento. Thelma e Louise Diretto da Ridley Scott, Thelma e Louise è diventato uno dei film più belli della storia mondiale del cinema collezionando importanti riconoscimenti tra cui il premio Oscar per la miglior sceneggiatura. Il film è considerato un vero e proprio cult che inneggia alla libertà, all’emancipazione ed all’amicizia tra donne e che, scena dopo scena, ci fa conoscere luoghi, paesaggi, ambienti e vite quotidiane di tutti i personaggi che le due amiche incontrano durante la loro “fuga”. Il loro viaggio inizia in Arkansas puntando verso l’Oklahoma attraversando Colorado e Arizona percorrendo strade, attraversando pianure infinite con scenari maestosi e pieni di fascino. In realtà la maggior parte delle scene sono state girate nei vasti spazi intorno a Los Angeles come Gorman e la Lockwood Valley mentre alcune scene, le più emozionanti e rappresentative a livello di paesaggio, sono state girate nel deserto dello Utah e a Dead Horse Point dove la leggenda racconta che per liberarsi dall’uomo che li teneva imbrigliati, un gruppo di cavalli si siano lanciati nel canyon preferendo la morte alla libertà negata. Innegabile il collegamento tra la scelta di libertà dei cavalli e la scena finale delle protagoniste di Thelma e Louise. Meravigliose le scene nelle location di Bakersfield, nelle valli della California, con i suoi campi e le sue strade polverose che tagliano i due paesaggi infiniti e mozzafiato. Mediterraneo Scritto e diretto da Gabriele Salvatores, Mediterraneo racconta la storia di un gruppetto di soldati italiani rimasti soli ed isolati su un’isola greca durante la Seconda Guerra Mondiale. Film eccezionalmente bello per i luoghi e gli scenari nei quali si svolge, dove il cielo ed il mare si incontrano per tutta la durata del film. Mediterraneo è stato girato sulla piccolissima isola di Kastellorizo nel Dodecaneso, vicinissima alle coste della Turchia. Molte scene sono ambientate nella città di Megisti, tipicamente greca, della quale , attraverso le immagini del film, ne conosciamo le strade, le piazzette, gli affacci sul mare, le case bianche, il lento ritmo della vita sull’isola. È proprio grazie a Salvatores che abbiamo scoperto l’esistenza di questa piccola meravigliosa isola in mezzo al mare, poco più grande di un francobollo con i suoi 9 chilometri quadrati di roccia e piccolissime spiagge, circondata da un mare caraibico color smeraldo. La piccola città si sviluppa in altezza con le sue case bianche che si affacciano sul porto e che al tramonto brillano come luci mentre il cielo si tinge di arancione. La vita si svolge con ritmi lenti come se il tempo non passasse o come se il tempo non esistesse, qualche bar, un paio di ristorantini che si affacciano sul mare o all’interno degli stretti vicoli che, grazie al contributo di Salvatores, sono oggi diventati meta di coloro che vogliono vivere un’esperienza fuori dal mondo, avvolti da una pace quasi surreale, dal silenzio, dalle voci dei gabbiani ed il rumore delle onde. Un posto dove scappare per scoprire un’altra dimensione e, perché no, anche se stessi. La Mia Africa Film spettacolare scritto dal grande Pollack che con la sua maestra ed il suo genio commuove e stimola lo spettatore a preparare la valigia appena terminata la visione. La Mia Africa vi porta a fare tutto ciò che fino ad ora avete rimandato: viaggiare! Ambientato in Kenya, in quella regione incontaminata, aspra e dura del continente africano è una pellicola autobiografica. I riconoscimenti ricevuti l’hanno portato a diventare un film cult del genere amato dagli appassionati dei viaggi e del romanticismo. Caratteristica del film sono le sue inquadrature ampie che cercano in modo spasmodico di allargare il campo il più possibile per fotografare la bellezza unica al mondo di questa terra. Ed è proprio attraverso queste ampie inquadrature che lo spettatore riesce a farsi un’idea precisa e reale del Kenya, terra di cultura indigena e primitiva di quell’Africa che, se visitata una volta, non vi lascerà mai. Il famoso Mal d’Africa che colpisce tutti coloro che almeno una volta nella vita hanno la fortuna di visitarla. La bellezza di una terra straordinaria ricca di magia che Pollack riesce a regalare allo spettatore unitamente ad una indescrivibile sensazione di libertà che attraversa lo spettatore per tutta la durata del film. La Mia Africa è una delle poche pellicole che è riuscita ad innalzare e celebrare i paesaggi incontaminati del Kenya con una fotografia mozzafiato, precisa e perfetta tanto da aver ricevuto un numero incredibile di premi internazionali. Sette anni in Tibet Film spettacolare prodotto nel 1997 da Jean-Jacques Annaud racconta la storia di un giovane attivista del Partito Nazionalsocialista Tedesco che, nominato dal governo tedesco per scalare le montagne dell’Himalaya, raggiunge il misterioso Nanga Parbat. Il Nanga Parbat è la nona vetta più alta del mondo, pochissimi coloro che l’hanno scalata con successo. Il film è girato per la maggior parte a Mendoza e a La Plata in Argentina, in Nepal, e pochissime scene in Austria ed in Canada. Solo 20 minuti del film sono ambientati in Tibet, come ha ammesso successivamente il regista, 20 minuti che sono costati al regista ed ai protagonisti del film l’allontanamento a vita dalla Cina. Proprio le scene girate nella città sacra di Lasha corrispondono a quei 20 minuti che sono costati la diffida all’intero cast. Resta comunque il fatto che le ambientazioni, gli scenari, i luoghi sono perfettamente riprodotti e che il visitatore attratto dalla pellicola può ritrovare questi luoghi qualora dovesse decidere di fare un viaggio in Tibet. Cast Away Film interpretato magistralmente da Tom Hanks che approda sull’isola con aspetto umano e civilizzato e la lascerà trasformato nel corpo e nell’anima dalla vita alla Robinson Crusoe. Pellicola ambientata in una delle più belle isole del mondo, Monuriki. Monuriki fa parte di un complesso di atolli vicino all’arcipelago delle Isole Fiji e più precisamente vicino alle Isole Mamanuca. Il film è stato girato quasi per intero su quest’isola dove il naufrago vivrà per 4 anni. Piccolissima isola lunga poco più di 1 chilometro e larga non più di 600 metri, leggermente montuosa ma con spiagge di una bellezza paradisiaca. Dopo l’uscita del film l’isola è diventata, nel giro di una stagione, una meta turistica molto ambita e di forte richiamo: l’isola di Cast Away, essendo piccolissima, permette al visitatore, nel momento in cui mette piede sulla spiaggia, di riconoscere immediatamente tutti i luoghi dove sono state girate le bellissime scene del film. Sotto il sole della Toscana Non è solo un film ma un vero e proprio viaggio! Se amate la città non guardate questo film altrimenti tutto il vostro amore per la città svanirà per incanto ed il desiderio di partire per la Toscana diventerà irrefrenabile. Sotto il sole di Toscana è ambientato principalmente in Toscana nella città di Cortona della quale, attraverso le immagini del film, ne conoscerete il centro storico, le vie, i palazzi, la bellissima villa vicino alle mura cittadine; i casolari nelle estese campagne e le sue colline vi faranno decidere di partire alla scoperta della Toscana affrontando un viaggio di serenità, natura, vini deliziosi e cibo eccezionale. Documentari sui viaggi Ma non sono solo i film più famosi, come quelli che vi abbiamo raccontato, che vi scuoteranno dalla poltrona facendovi decidere di fare un viaggio dopo aver visto le immagini del Tibet, delle Isole Caraibiche, del Kenya o della Toscana. Anche i documentari sui viaggi sono pronti a fare la loro parte e siamo certi vi daranno l’input finale per preparare subito le valigie e programmare il vostro prossimo viaggio. Ecco quali sono i docu-film, i documentari e le serie imperdibili per trarre ispirazione. Our Planet È una famosissima serie britannica narrata da Sir David Attenborough che racconta il nostro pianeta a 360°: dalle terre del ghiaccio alle giungle tropicali raccontando le specie più rare, i pesci collezionisti, uccelli rarissimi ed insetti dei quali mai ne immaginereste l’esistenza. Our Planet, in otto episodi mozzafiato, è un inno alle meraviglie della nostra terra, dei suoi habitat più fragili e più possenti, delle forme più estreme della natura offerte attraverso immagini di qualità e perfezione altissime. Profondo Blu Film-documentario che va alla scoperta della flora e della fauna che non possiamo vedere. Profondo Blu vi porta alla scoperta degli Oceani e dei loro spettacolari abitanti, alla scoperta di un mondo sottomarino sconosciuto ai più. Riprese sottomarine fantastiche con immagini e colori che nemmeno la tavolozza di un bravo pittore saprebbe riprodurre. The Endless Summer The Endless Summer è una serie di film-documentari che va alla scoperta del mondo spumeggiante, adrenalitico ed avventuroso del Surf; l’onda perfetta e le evoluzioni dei surfisti sono catturate con maestria dalle videocamere di Bruce Brown con riprese ed immagini che vi faranno sentire protagonisti di questo sport. Seguendo Bruce Brown attraverserete la Nuova Zelanda, l’Australia, le Hawaii, il Sudafrica alla ricerca dell’onda perfetta durante un’estate senza fine. Film-doc che omaggia la gioventù ed inneggia alla libertà, alla voglia di vivere, all’amicizia, al sole e alla natura. Il viaggio nutre l’anima, la conoscenza nutre il cuore. Il cibo nutre il corpo. Mano alle valige: si parte! Viaggiare attraverso il grande schermo è più che possibile, basta vedere uno dei film dedicati ai viaggi più belli che siano mai stati girati.
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Non era piú una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. Camminava verso nord tra calcinacci e fango e c’erano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa. Avevano fazzoletti premuti sulle bocche. Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano. Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati, fra i detriti che scendevano tutt’intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili. Nell’aria c’era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo. Il mondo era questo, adesso. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formati standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti soprannaturali nel sudario del mattino. Lui indossava giacca e pantaloni e portava una valigetta. Aveva vetri fra i capelli e sul viso, capsule marmorizzate di sangue e luce. Superò un cartello, Breakfast Special, e altri gli sfrecciarono accanto, una corsa di vigili urbani e guardie private, con le mani premute sui calci delle pistole per tenerle ferme. Dentro, dove avrebbe dovuto trovarsi, le cose erano distanti e immobili. Stava accadendo ovunque intorno a lui, un’automobile mezzo sepolta dai detriti, finestrini sfondati e rumori che fuoriuscivano, voci radiofoniche che sfioravano i calcinacci. Vide persone che correndo spargevano acqua, abiti e corpi infradiciati dai getti dei sistemi antincendio. C’erano scarpe abbandonate per strada, borsette e computer portatili, un uomo seduto sul marciapiede che tossiva sangue. Bicchieri di carta avanzavano rimbalzando in modi strani. Il mondo era anche questo, sagome dentro finestre a trecento metri d’altezza, che cadevano nel vuoto, e tanfo di combustibile in fiamme, e lo squarcio costante delle sirene nell’aria. Il rumore si posava ovunque fuggissero, strati di suono che si raccoglievano intorno a loro, e lui se ne allontanava e vi entrava al tempo stesso. Poi ci fu un’altra cosa, fuori da tutto questo, qualcosa che non c’entrava, su nel cielo. La osservò scendere. Dall’alto del fumo sbucò una camicia, una camicia che risalí e fluttuò nella poca luce, per poi di nuovo cadere, giú verso il fiume. Correvano e si fermavano, alcuni di loro, continuando a ondeggiare, cercando di strappare fiato all’aria bollente, e poi le grida convulse di incredulità, e le bestemmie e le urla perdute, e le carte che si ammassavano nell’aria, contratti, curricula che volavano, frammenti integri di affari, veloci nel vento. Continuò a camminare. Di quelli che correvano, alcuni si erano fermati, altri imboccavano vie laterali. C’era chi camminava all’indietro, lo sguardo fisso al centro di tutto, alle tante vite che laggiú si dibattevano, e le cose continuavano a cadere, oggetti bruciati che si trascinavano dietro scie di fuoco. Vide due donne singhiozzare nella loro marcia al contrario, guardando al di là di lui, entrambe in calzoncini sportivi, il crollo riflesso nelle facce. Vide membri del gruppo di tai chi del vicino parco, in piedi, con le mani tese grossomodo all’altezza del petto e i gomiti piegati, come se tutto questo, loro stessi inclusi, potesse essere collocato in uno stato di sospensione. Qualcuno uscí da una tavola calda e cercò di porgergli una bottiglia d’acqua. Era una donna che indossava una mascherina antipolvere e un cappellino con la visiera, e ritrasse la bottiglia e svitò il tappo e quindi gliela tese di nuovo. Lui posò la valigetta per prenderla, a malapena conscio che non stava usando il braccio sinistro, che aveva dovuto posare la valigetta prima di poter prendere la bottiglia. Tre furgoni della polizia svoltarono e si precipitarono verso downtown, a sirene spiegate. Chiuse gli occhi e bevve, e sentí l’acqua scorrergli nel corpo trascinando giú con sé polvere e fuliggine. La donna lo stava fissando. Gli disse qualcosa che lui non sentí, quindi le restituí la bottiglia e raccolse la valigetta. Il lungo sorso d’acqua gli lasciò un retrogusto di sangue. Riprese a camminare. Un carrello del supermercato giaceva immobile e vuoto. Dietro c’era una donna, girata verso di lui, con del nastro della polizia avvolto intorno alla testa e al viso, di quel nastro giallo con la scritta caution che delimita la scena di un delitto. I suoi occhi erano piccole increspature bianche nella mascherina sgargiante, e lei stringeva la maniglia del carrello e se ne stava lí, a guardare dentro il fumo. Fece in tempo a udire il suono del secondo crollo. Attraversò Canal Street e cominciò a vedere le cose, per qualche motivo, in modo diverso. Non parevano pregnanti come al solito, le strade lastricate, i fabbricati in ghisa. C’era una qualche mancanza cruciale nelle cose intorno a lui. Erano incompiute, per cosí dire. Erano inosservate, per cosí dire. Forse era quello l’aspetto che avevano le cose quando non c’era nessuno che le vedesse. Udí il suono del secondo crollo, o lo avvertí nel tremore dell’aria, la torre nord che cadeva, uno sconcerto sommesso di voci in lontananza. La torre nord che crollava era lui. Il cielo era piú leggero, lí, e riusciva a respirare piú facilmente. C’erano altri dietro di lui, migliaia, che andavano riempiendo la media distanza, una massa prossima a formarsi, gente che fuoriusciva dal fumo. Proseguí finché non dovette fermarsi. Lo investí rapida, la consapevolezza di non poter andare oltre. Provò a dirsi che era vivo, ma era un’idea troppo oscura per riuscire a prendere corpo. Non c’erano taxi e il traffico in genere scarseggiava e allora apparve un vecchio furgoncino, una ditta elettrica di Long Island City, e gli si accostò e il conducente si sporse verso il finestrino dal lato del passeggero a esaminare ciò che stava vedendo, un uomo incrostato di cenere, di materia polverizzata, e gli chiese dove voleva andare. Fu solo una volta salito a bordo e chiusa la portiera che capí dov’era diretto fin dall’inizio.
Don DeLillo (L’uomo che cade)
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Prostituzione, violenza e schiavitù. Colpo grosso alla mafia nigeriana, uno Stato dentro lo Stato
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Prostituzione, violenza e schiavitù. Colpo grosso alla mafia nigeriana, uno Stato dentro lo Stato
Prostituzione, violenza e schiavitù. Colpo grosso alla mafia nigeriana, uno Stato dentro lo Stato
Tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, risse, estorsioni, rapine, violenze sessuali e lesioni personali, ma anche sfruttamento della prostituzione: queste le accuse mosse a 32 persone che, per la Polizia di Stato, apparterrebbero alle “mafie nigeriane”. Stamani il blitz internazionale con cui la squadra mobile di Bari ha eseguito 32 arresti in sette regioni italiane (Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Marche, Basilicata, Lazio, Emilia Romagna, Veneto) e all’estero, in particolare e grazie al coordinamento dello Sco e dell’Interpol – in Germania, Francia, Olanda e Malta. (QUI) A carico di fermati – tutti nigeriani – pende un´ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale del capoluogo pugliese, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia locale. Gli indagati sono ritenuti appartenere, con vari ruoli, ad una associazione mafiosa finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani, alla riduzione in schiavitù, alle estorsioni, alle rapine, alle lesioni personali, alla violenza sessuale, all’uso di armi bianche ed allo sfruttamento della prostituzione e dell’accattonaggio. Si tratta del blitz in materia di mafia nigeriana con il più alto numero di arrestati mai eseguiti in Italia. La tesi è che gli indagati facciano parte, insieme a numerose altre persone ancora non identificate, di due distinte associazioni di natura cultista, operanti nella provincia di Bari come cellule autonome delle fratellanze internazionali denominate “Supreme Vikings Confraternity-Arobaga” e “Supreme Eiye Confraternity”, che avrebbero agito per lungo tempo per ottenere il predominio sul territorio barese e poter così gestire i propri affari illeciti. GLI “ADEPTI” COPTATI NEL CENTRO D’ACCOGLIENZA Tutto è partito dalle denunce presentate a fine 2016 da due cittadini nigeriani ospiti del Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Bari. Questi hanno raccontato di esser stati vittima di pestaggi, rapine e ripetuti tentativi di condizionamento per esser “arruolati” tra le fila di un gruppo malavitoso che stava espandendo la sua influenza all’interno del Centro, poi scoperto essere quello dei cosiddetti “Vikings”. I dettagli contenuti nelle loro denunce hanno quindi permesso agli agenti di ricostruire numerosi episodi di violenza dentro al Cara e collegati tra loro. Violenza che si inserivano, infatti, nella “guerra” tra le due principali gang criminali, quella dei “Vikings” e quella degli “Eyie”, la prima più numerosa e più violenta della seconda. Entrambe reclutavano i nuovi adepti attraverso dei riti di iniziazione cruenti consistenti in delle “prove di coraggio”, per tentare di prevalere l’una sull’altra, commettendo anche violenze, rappresaglie e punizioni fisiche, il cosiddetto “Drill”, da cui il nome della operazione di oggi. I CAPI, LE REGOLE E LE PUNIZIONI CRUENTE Gli investigatori spiegano come entrambe le gang siano caratterizzate dalla solidità del vincolo associativo, dalla programmazione di reati di varia natura e da un capillare e costante controllo da parte dei “capi” per il rispetto dei ruoli e delle regole, con l’applicazione di metodi punitivi cruenti ogni qualvolta si rendesse necessario per ristabilire gli equilibri compromessi. I due gruppi hanno dimostrato di possedere una struttura rudimentale quanto ai mezzi adoperati, ma solidissima dal punto di vista dell’ideologia, della organizzazione e dei reati da perseguire, senza cercare in alcun modo aderenze con le mafie locali anzi dando prova, quanto allo sfruttamento della prostituzione, di una supremazia anche nei confronti delle bande composte da albanesi e rumeni. Coloro che non accettavano di aderire alle confraternite o che non ne rispettavano le regole erano destinatari infatti di inaudite violenze: le vittime hanno infatti raccontato di pestaggi, frustate, pugni, calci e bastonate con l´utilizzo di spranghe, mazze e cocci di bottiglia. LE DONNE “CETI INFERIORI” E BUONE SOLO PER IL SESSO Le donne nigeriane, invece, venivano vessate psicologicamente, perché ritenute ceti inferiori, buone solo a soddisfare le esigenze sessuali della comunità maschile e, soprattutto, a produrre denaro attraverso lo sfruttamento della prostituzione. È risultata emblematica la figura delle cosiddette “blu queen”, donne considerate una merce di proprietà esclusiva del gruppo degli “Eyie” dopo essersi sessualmente concesse ai capi e destinate a gestire, per loro conto, le giovani prostitute fatte entrare nel Cara. Una delle principali attività delle associazioni è stata infatti lo sfruttamento della prostituzione. Durante le indagini, ad esempio, è emerso anche il caso della tratta e della riduzione in schiavitù di una donna e che si ritiene gestito da uno degli indagati, Sunday Victor che, dopo averla accompagnata su una delle tante imbarcazioni di clandestini in partenza per l’Italia dalla Libia ed averla fatta entrare abusivamente nel Cara, l’avrebbe obbligata a prostituirsi e consegnare i ricavi al gruppo. La donna, che ha provato a ribellarsi, sarebbe stata punita con violenze fisiche ripetute, sino ad arrivare ad accendere il focolaio di una vera e propria rissa tra bande, il 22 marzo 2017. Insieme a lei, è stato punito anche il compagno. LA PROSTITUZIONE FUORI DAL CENTRO Grazie alle numerose intercettazioni telefoniche a ai riscontri sul territorio, gli agenti hanno accertato che uno dei principali interessi era quello di fare entrare clandestinamente le connazionali nel Centro di accoglienza e farle prostituire. Inizialmente la pratica sarebbe stata gestita solo all’interno del Cara, in un secondo momento il gruppo avrebbe però fornito prostitute a clienti anche al di fuori della struttura, per le strade o in abitazioni della città. I “Vikings” e gli “Eiye” si sarebbero dunque estesi arrivando ad occupare immobili adibiti a case di appuntamento, e le strade sulle quali collocare le giovani vittime del meretricio. Si sarebbe verificato, inoltre, un “asservimento” delle “maman” nigeriane che operano a livello locale alle richieste delle due gangs relative alla necessità di dover “piazzare” ragazze per strada per farle prostituire. IL PIZZO IMPOSTO ANCHE AI MENDICANTI Gli agenti hanno poi scoperto lo sfruttamento dei nigeriani che mendicano davanti ai supermercati ed altri esercizi commerciali di Bari e provincia. Le indagini hanno infatti svelato uno spaccato di vita e di criminalità all’interno della comunità africana. Le vittime hanno infatti confermato la sottomissione al pagamento del “pizzo” sui loro miseri ricavi, con la consegna del denaro agli esponenti delle gang o con ricariche telefoniche sulle utenze di quest’ultimi. LA CREAZIONE DELLA TASK FORCE DELLA POLIZIA Le indagini della Polizia, coordinate dalla DDA di Bari, avrebbero così fatto luce sia sul fenomeno associativo nel suo complesso, sia sui singoli e gravi fatti che hanno afflitto il territorio barese negli ultimi anni, determinando anche un notevole allarme sociale e pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica. Gli episodi che hanno destato una gravissima preoccupazione sono stati dapprima trattati singolarmente. La loro comprensione ed il loro inserimento in un quadro più complesso ed articolato è stato possibili soltanto grazie alla creazione di una squadra di investigatori dedita alla osservazione del fenomeno. L’accoltellamento di una donna nigeriana nel gennaio 2017, la già citata rissa del 22 marzo 2017 con gravi ferimenti di alcuni dei partecipanti; un altro scontro all’interno del Cara dell’8 maggio dello stesso anno, in cui è morto uno dei nigeriani appartenente alla compagine dei “Vikings”; ed ancora, una rissa nell’agosto sempre del 2017 per le strade del quartiere Libertà ed uno stupro di gruppo commesso all’interno del Cara ai danni di una ragazza (nel marzo 2017), sono solo alcuni dei violenti episodi che si sono verificati a Bari e che hanno caratterizzato il contrasto tra i due gruppi criminali. I dati acquisiti durante le indagini si sono dimostrati sovrapponibili agli esiti investigativi che, nel frattempo, molte altre Squadre Mobili in Italia hanno portato avanti in quel periodo. Questo a conferma che la mafia nigeriana si è radicata i molte zone del territorio nazionale (dal Veneto alla Sicilia, dal Piemonte alla Campania, dalle Marche alla Puglia) con numerosi insediamenti di cellule di ispirazione cultista, tutte votate a perseguire stessi obiettivi delinquenziali e tutte operanti secondo le classiche metodologie mafiose improntate alla violenza, all’assoggettamento e all´omertà. LA PRESENZA CAPILLARE DELLE CELLULE CULTISTE Nel 2011 l’Ambasciata Nigeriana a Roma ha emanato una nota in cui parlava di una “nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenenti a sette segrete, proibite dal governo a causa di atti violenti: purtroppo ex membri sono riusciti ad entrare in Italia e hanno fondato nuovamente l´organizzazione qui, principalmente con scopi criminali”. L’informativa di reato depositata dalla Squadra Mobile alla Procura nell’aprile scorso, nella quale sono state individuate responsabilità a vario titolo di ben 50 nigeriani per i reati di cui parlavamo prima, avrebbe evidenziato le forme organizzative delle due associazioni criminali. Le gangs – inquadrate nel più ampio scenario internazionale delle confraternite universitarie sorte in Nigeria agli inizi degli anni ´50 per contrastare una Università di élite, frequentata solo da studenti facoltosi, e legati al mondo coloniale – erano volte a favorire gli studenti poveri promettenti, per poi, negli anni ‘70 e ‘80, essere finanziate ed armate dai leader militari. Esse sono strutturate in forma verticistica e militare, e traggono la loro forza dall’intimidazione, dalla violenza e dall’assoggettamento omertoso inculcato nelle vittime. Si caratterizzano, poi, e al pari delle mafie di casa nostra, per i rituali di affiliazione paragonabili a vere e proprie prove di forza difficilmente superabili, in quanto basate su primitive pratiche di sofferenza corporale, così come per l’utilizzo di codici interni e di vocaboli pregni di un simbolismo pressoché incomprensibile, oltre che per una rigida suddivisione dei ruoli, così da risultare impenetrabili ed altamente efficienti. IL QUADRO DI UNO “STATO DENTRO LO STATO” È dunque emerso il quadro di uno “Stato dentro lo Stato”, fatto di proprie regole e totalmente incurante delle leggi, ma anche di molte basilari norme di convivenza civile. A titolo di esempio, una delle due confraternite si è vantata di una fitta presenza sul territorio italiano, diviso, secondo le parole dei protagonisti, in “13 nest” (cellule operative): “… Eh … perché adesso è diventato un solo comando … perché i “world aviary” hanno già detto … e hanno fatto in Edo State … loro vogliono che ci siano 13 “nest” in Italia…” Il linguaggio degli associati, dai capi ai semplici partecipi, è stato indicativo di un forte senso di appartenenza militante riferita ad un gruppo associativo: “… no … da quel giorno che sono andato via da Bari, non sono più tornato … non posso venire a Bari senza chiamarti … e adesso che ho una casa … e ho tutto … e adesso che voglio far navigare nuovamente la “ship” a Bari, posso tornare a Bari in qualsiasi week-end …” Anche il ritualismo di iniziazione (il battesimo) è stato descritto dalle parole degli associati, ad esempio, con particolare drammaticità, il momento in cui un candidato non superava la prova di forza prevista: “… stava succedendo questo H.F. ha cominciato ad avere i dubbi e forse non ce la fa a superare questo fatto, ha cominciato a sanguinare, H.F. ha cominciato a piangere, ha cominciato a fare cose strane, da lì tu hai detto che tipo di persona hanno portato, sta piangendo … tu hai detto che il ragazzo deve andare via, che loro devono dire al ragazzo che deve andare via …” Ed ancora, carico di soggezione si è dimostrato il rapporto tra i mendicanti ed i capi delle organizzazioni che pretendevano da loro la tangente sui ricavi delle elemosine davanti ai supermercati; i poveri mendicanti chiamavano “Signori” i loro estorsori. Ma l’elemento più caratterizzante della metodologia mafiosa è rappresentato dal potere sanzionatorio, che impone una punizione (drill) a chi non si adegua alle regole dell’associazione, cioè non ne entra a far parte quando richiesto, non si impegna a pagare la periodica retta di appartenenza, non si prostituisce e, in generale, non rispetta le direttive dei capi: “… mi ha detto che il suo ID si è lamentato perchè se non si riusciva a fare “drill” a Ifa nel campo tu dovevi farglielo sapere … perchè Ifa ogni domenica viene in città … e lui può dare ordine di far prendere Ifa … può parlare di questo fatto… e fare “drill” a lui ….” – “… questa notte gli taglierò le orecchie a quel “Junior” … si comporta male … gli farò “drill” … tu non preoccuparti … sappiamo quello che gli faremo …” – “… Aro, stai zitto! … sto ancora parlando con lui … stai zitto … stai zitto … ma che cosa stai dicendo? … ma cosa gli sta prendendo a questo german (cioè `fratello´, appartenente al gruppo criminale)? … se vieni vicino a me ti metto sotto e ti faccio “drill” per quello che stai dicendo … Aro non mi nascondo … Aro non ho paura e questo non posso nasconderlo … se vieni qui ti metto sotto e faccio “drill” …” – “non lo picchiare … Eiye non picchia … tu hai detto di essere “old set” … ci sarà “drilling” … bisogna osservare il protocollo per forza…” – “eh… tu aspetta che veniamo… se sbaglia noi facciamo “drill” a lui… lui sa come funziona a casa … e così funziona anche qui… invece di gridare con lui tu lascialo perdere… quando io esco lo chiamiamo… quando una persona sbaglia bisogna …”. LE INDAGINI Il provvedimento cautelare è arrivato al termine di circa due anni di indagini (dal 2016 al 2018) in cui gli investigatori della Sezione Contrasto al Crimine Extracomunitario e Prostituzione hanno faticosamente ricostruito la rete di rapporti tra numerosi cittadini nigeriani stanziati a Bari e provincia, sia dentro che fuori dal Cara, spesso in posizione irregolare sul territorio nazionale. Fino a quel momento, infatti, soltanto nel 2013, a Bari, è stata operativa una cellula dei “Black Axe”, anche se, al di là di sporadiche risse e scontri tra bande, non è mai stata documentata una attività di tipo associativo, con caratteristiche organizzativo-comportamentali tali da determinare la sua mafiosità. Quanto alla confraternite raggiunta oggi dai provvedimenti cautelari, gli investigatori rilevano che è stato particolarmente complicato penetrare nella loro cultura, delineare le gerarchie ed i ruoli, decriptare il loro linguaggio, incontrando molto spesso obiettive difficoltà connesse all’assenza di interpreti liberi da forme di condizionamento nei confronti della loro comunità. Durante il periodo delle indagini, le presenze di nigeriani all´interno del Cara si attestavano a circa 600 unità. Nell’attualità gli ospiti sono poco meno di un centinaio. GLI ARRESTI La Squadra Mobile di Bari ha svolto una meticolosa attività di ricerca degli indagati sul territorio nazionale e, tramite il coordinamento del Servizio Centrale Operativo e l’ausilio di molte Squadre Mobili, è riusciti ad individuare le dimore di quelle persone che nel frattempo avevano lasciato Bari dopo i fatti di violenza più cruenti in cui erano state coinvolte le gangs. Allo stesso modo, le attività informative ed i canali di collegamento con le autorità estere, opportunamente attivati dalla Divisione Interpol del Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia, hanno consentito di individuare i Paesi Europei, tra cui Germania, Francia, Olanda e Malta, in cui altri appartenenti alle confraternite nigeriane si erano di recente trasferiti. Completate le attività propedeutiche al rintraccio degli indagati, nella nottata di oggi, a Bari e nelle province di Taranto, Lecce, Caserta, Roma, Ancona, Matera, Reggio Emilia, Cosenza, Trapani e Rovigo, sono state eseguite le catture, ed in contemporanea i collaterali uffici di Polizia esteri sono stati interessati dall’Interpol per dare esecuzione ai Mandati d’Arresto Europei firmati dal Giudice per le Indagini Preliminari di Bari.
Tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, risse, estorsioni, rapine, violenze sessuali e lesioni personali, ma anche sfruttamento della prostituzione: queste le accuse mosse a 32 persone che, per la Polizia di Stato, apparterrebbero alle “mafie nigeriane”. Stamani il blitz internazionale con cui la squadra mobile di Bari ha eseguito 32 arresti in sette regioni italiane (Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Marche, Basilicata, Lazio, Emilia Romagna, Veneto) e all’estero, in particolare e grazie al coordinamento dello Sco e dell’Interpol – in Germania, Francia, Olanda e Malta. (QUI) A carico di fermati – tutti nigeriani – pende un´ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale del capoluogo pugliese, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia locale. Gli indagati sono ritenuti appartenere, con vari ruoli, ad una associazione mafiosa finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani, alla riduzione in schiavitù, alle estorsioni, alle rapine, alle lesioni personali, alla violenza sessuale, all’uso di armi bianche ed allo sfruttamento della prostituzione e dell’accattonaggio. Si tratta del blitz in materia di mafia nigeriana con il più alto numero di arrestati mai eseguiti in Italia. La tesi è che gli indagati facciano parte, insieme a numerose altre persone ancora non identificate, di due distinte associazioni di natura cultista, operanti nella provincia di Bari come cellule autonome delle fratellanze internazionali denominate “Supreme Vikings Confraternity-Arobaga” e “Supreme Eiye Confraternity”, che avrebbero agito per lungo tempo per ottenere il predominio sul territorio barese e poter così gestire i propri affari illeciti. GLI “ADEPTI” COPTATI NEL CENTRO D’ACCOGLIENZA Tutto è partito dalle denunce presentate a fine 2016 da due cittadini nigeriani ospiti del Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Bari. Questi hanno raccontato di esser stati vittima di pestaggi, rapine e ripetuti tentativi di condizionamento per esser “arruolati” tra le fila di un gruppo malavitoso che stava espandendo la sua influenza all’interno del Centro, poi scoperto essere quello dei cosiddetti “Vikings”. I dettagli contenuti nelle loro denunce hanno quindi permesso agli agenti di ricostruire numerosi episodi di violenza dentro al Cara e collegati tra loro. Violenza che si inserivano, infatti, nella “guerra” tra le due principali gang criminali, quella dei “Vikings” e quella degli “Eyie”, la prima più numerosa e più violenta della seconda. Entrambe reclutavano i nuovi adepti attraverso dei riti di iniziazione cruenti consistenti in delle “prove di coraggio”, per tentare di prevalere l’una sull’altra, commettendo anche violenze, rappresaglie e punizioni fisiche, il cosiddetto “Drill”, da cui il nome della operazione di oggi. I CAPI, LE REGOLE E LE PUNIZIONI CRUENTE Gli investigatori spiegano come entrambe le gang siano caratterizzate dalla solidità del vincolo associativo, dalla programmazione di reati di varia natura e da un capillare e costante controllo da parte dei “capi” per il rispetto dei ruoli e delle regole, con l’applicazione di metodi punitivi cruenti ogni qualvolta si rendesse necessario per ristabilire gli equilibri compromessi. I due gruppi hanno dimostrato di possedere una struttura rudimentale quanto ai mezzi adoperati, ma solidissima dal punto di vista dell’ideologia, della organizzazione e dei reati da perseguire, senza cercare in alcun modo aderenze con le mafie locali anzi dando prova, quanto allo sfruttamento della prostituzione, di una supremazia anche nei confronti delle bande composte da albanesi e rumeni. Coloro che non accettavano di aderire alle confraternite o che non ne rispettavano le regole erano destinatari infatti di inaudite violenze: le vittime hanno infatti raccontato di pestaggi, frustate, pugni, calci e bastonate con l´utilizzo di spranghe, mazze e cocci di bottiglia. LE DONNE “CETI INFERIORI” E BUONE SOLO PER IL SESSO Le donne nigeriane, invece, venivano vessate psicologicamente, perché ritenute ceti inferiori, buone solo a soddisfare le esigenze sessuali della comunità maschile e, soprattutto, a produrre denaro attraverso lo sfruttamento della prostituzione. È risultata emblematica la figura delle cosiddette “blu queen”, donne considerate una merce di proprietà esclusiva del gruppo degli “Eyie” dopo essersi sessualmente concesse ai capi e destinate a gestire, per loro conto, le giovani prostitute fatte entrare nel Cara. Una delle principali attività delle associazioni è stata infatti lo sfruttamento della prostituzione. Durante le indagini, ad esempio, è emerso anche il caso della tratta e della riduzione in schiavitù di una donna e che si ritiene gestito da uno degli indagati, Sunday Victor che, dopo averla accompagnata su una delle tante imbarcazioni di clandestini in partenza per l’Italia dalla Libia ed averla fatta entrare abusivamente nel Cara, l’avrebbe obbligata a prostituirsi e consegnare i ricavi al gruppo. La donna, che ha provato a ribellarsi, sarebbe stata punita con violenze fisiche ripetute, sino ad arrivare ad accendere il focolaio di una vera e propria rissa tra bande, il 22 marzo 2017. Insieme a lei, è stato punito anche il compagno. LA PROSTITUZIONE FUORI DAL CENTRO Grazie alle numerose intercettazioni telefoniche a ai riscontri sul territorio, gli agenti hanno accertato che uno dei principali interessi era quello di fare entrare clandestinamente le connazionali nel Centro di accoglienza e farle prostituire. Inizialmente la pratica sarebbe stata gestita solo all’interno del Cara, in un secondo momento il gruppo avrebbe però fornito prostitute a clienti anche al di fuori della struttura, per le strade o in abitazioni della città. I “Vikings” e gli “Eiye” si sarebbero dunque estesi arrivando ad occupare immobili adibiti a case di appuntamento, e le strade sulle quali collocare le giovani vittime del meretricio. Si sarebbe verificato, inoltre, un “asservimento” delle “maman” nigeriane che operano a livello locale alle richieste delle due gangs relative alla necessità di dover “piazzare” ragazze per strada per farle prostituire. IL PIZZO IMPOSTO ANCHE AI MENDICANTI Gli agenti hanno poi scoperto lo sfruttamento dei nigeriani che mendicano davanti ai supermercati ed altri esercizi commerciali di Bari e provincia. Le indagini hanno infatti svelato uno spaccato di vita e di criminalità all’interno della comunità africana. Le vittime hanno infatti confermato la sottomissione al pagamento del “pizzo” sui loro miseri ricavi, con la consegna del denaro agli esponenti delle gang o con ricariche telefoniche sulle utenze di quest’ultimi. LA CREAZIONE DELLA TASK FORCE DELLA POLIZIA Le indagini della Polizia, coordinate dalla DDA di Bari, avrebbero così fatto luce sia sul fenomeno associativo nel suo complesso, sia sui singoli e gravi fatti che hanno afflitto il territorio barese negli ultimi anni, determinando anche un notevole allarme sociale e pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica. Gli episodi che hanno destato una gravissima preoccupazione sono stati dapprima trattati singolarmente. La loro comprensione ed il loro inserimento in un quadro più complesso ed articolato è stato possibili soltanto grazie alla creazione di una squadra di investigatori dedita alla osservazione del fenomeno. L’accoltellamento di una donna nigeriana nel gennaio 2017, la già citata rissa del 22 marzo 2017 con gravi ferimenti di alcuni dei partecipanti; un altro scontro all’interno del Cara dell’8 maggio dello stesso anno, in cui è morto uno dei nigeriani appartenente alla compagine dei “Vikings”; ed ancora, una rissa nell’agosto sempre del 2017 per le strade del quartiere Libertà ed uno stupro di gruppo commesso all’interno del Cara ai danni di una ragazza (nel marzo 2017), sono solo alcuni dei violenti episodi che si sono verificati a Bari e che hanno caratterizzato il contrasto tra i due gruppi criminali. I dati acquisiti durante le indagini si sono dimostrati sovrapponibili agli esiti investigativi che, nel frattempo, molte altre Squadre Mobili in Italia hanno portato avanti in quel periodo. Questo a conferma che la mafia nigeriana si è radicata i molte zone del territorio nazionale (dal Veneto alla Sicilia, dal Piemonte alla Campania, dalle Marche alla Puglia) con numerosi insediamenti di cellule di ispirazione cultista, tutte votate a perseguire stessi obiettivi delinquenziali e tutte operanti secondo le classiche metodologie mafiose improntate alla violenza, all’assoggettamento e all´omertà. LA PRESENZA CAPILLARE DELLE CELLULE CULTISTE Nel 2011 l’Ambasciata Nigeriana a Roma ha emanato una nota in cui parlava di una “nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenenti a sette segrete, proibite dal governo a causa di atti violenti: purtroppo ex membri sono riusciti ad entrare in Italia e hanno fondato nuovamente l´organizzazione qui, principalmente con scopi criminali”. L’informativa di reato depositata dalla Squadra Mobile alla Procura nell’aprile scorso, nella quale sono state individuate responsabilità a vario titolo di ben 50 nigeriani per i reati di cui parlavamo prima, avrebbe evidenziato le forme organizzative delle due associazioni criminali. Le gangs – inquadrate nel più ampio scenario internazionale delle confraternite universitarie sorte in Nigeria agli inizi degli anni ´50 per contrastare una Università di élite, frequentata solo da studenti facoltosi, e legati al mondo coloniale – erano volte a favorire gli studenti poveri promettenti, per poi, negli anni ‘70 e ‘80, essere finanziate ed armate dai leader militari. Esse sono strutturate in forma verticistica e militare, e traggono la loro forza dall’intimidazione, dalla violenza e dall’assoggettamento omertoso inculcato nelle vittime. Si caratterizzano, poi, e al pari delle mafie di casa nostra, per i rituali di affiliazione paragonabili a vere e proprie prove di forza difficilmente superabili, in quanto basate su primitive pratiche di sofferenza corporale, così come per l’utilizzo di codici interni e di vocaboli pregni di un simbolismo pressoché incomprensibile, oltre che per una rigida suddivisione dei ruoli, così da risultare impenetrabili ed altamente efficienti. IL QUADRO DI UNO “STATO DENTRO LO STATO” È dunque emerso il quadro di uno “Stato dentro lo Stato”, fatto di proprie regole e totalmente incurante delle leggi, ma anche di molte basilari norme di convivenza civile. A titolo di esempio, una delle due confraternite si è vantata di una fitta presenza sul territorio italiano, diviso, secondo le parole dei protagonisti, in “13 nest” (cellule operative): “… Eh … perché adesso è diventato un solo comando … perché i “world aviary” hanno già detto … e hanno fatto in Edo State … loro vogliono che ci siano 13 “nest” in Italia…” Il linguaggio degli associati, dai capi ai semplici partecipi, è stato indicativo di un forte senso di appartenenza militante riferita ad un gruppo associativo: “… no … da quel giorno che sono andato via da Bari, non sono più tornato … non posso venire a Bari senza chiamarti … e adesso che ho una casa … e ho tutto … e adesso che voglio far navigare nuovamente la “ship” a Bari, posso tornare a Bari in qualsiasi week-end …” Anche il ritualismo di iniziazione (il battesimo) è stato descritto dalle parole degli associati, ad esempio, con particolare drammaticità, il momento in cui un candidato non superava la prova di forza prevista: “… stava succedendo questo H.F. ha cominciato ad avere i dubbi e forse non ce la fa a superare questo fatto, ha cominciato a sanguinare, H.F. ha cominciato a piangere, ha cominciato a fare cose strane, da lì tu hai detto che tipo di persona hanno portato, sta piangendo … tu hai detto che il ragazzo deve andare via, che loro devono dire al ragazzo che deve andare via …” Ed ancora, carico di soggezione si è dimostrato il rapporto tra i mendicanti ed i capi delle organizzazioni che pretendevano da loro la tangente sui ricavi delle elemosine davanti ai supermercati; i poveri mendicanti chiamavano “Signori” i loro estorsori. Ma l’elemento più caratterizzante della metodologia mafiosa è rappresentato dal potere sanzionatorio, che impone una punizione (drill) a chi non si adegua alle regole dell’associazione, cioè non ne entra a far parte quando richiesto, non si impegna a pagare la periodica retta di appartenenza, non si prostituisce e, in generale, non rispetta le direttive dei capi: “… mi ha detto che il suo ID si è lamentato perchè se non si riusciva a fare “drill” a Ifa nel campo tu dovevi farglielo sapere … perchè Ifa ogni domenica viene in città … e lui può dare ordine di far prendere Ifa … può parlare di questo fatto… e fare “drill” a lui ….” – “… questa notte gli taglierò le orecchie a quel “Junior” … si comporta male … gli farò “drill” … tu non preoccuparti … sappiamo quello che gli faremo …” – “… Aro, stai zitto! … sto ancora parlando con lui … stai zitto … stai zitto … ma che cosa stai dicendo? … ma cosa gli sta prendendo a questo german (cioè `fratello´, appartenente al gruppo criminale)? … se vieni vicino a me ti metto sotto e ti faccio “drill” per quello che stai dicendo … Aro non mi nascondo … Aro non ho paura e questo non posso nasconderlo … se vieni qui ti metto sotto e faccio “drill” …” – “non lo picchiare … Eiye non picchia … tu hai detto di essere “old set” … ci sarà “drilling” … bisogna osservare il protocollo per forza…” – “eh… tu aspetta che veniamo… se sbaglia noi facciamo “drill” a lui… lui sa come funziona a casa … e così funziona anche qui… invece di gridare con lui tu lascialo perdere… quando io esco lo chiamiamo… quando una persona sbaglia bisogna …”. LE INDAGINI Il provvedimento cautelare è arrivato al termine di circa due anni di indagini (dal 2016 al 2018) in cui gli investigatori della Sezione Contrasto al Crimine Extracomunitario e Prostituzione hanno faticosamente ricostruito la rete di rapporti tra numerosi cittadini nigeriani stanziati a Bari e provincia, sia dentro che fuori dal Cara, spesso in posizione irregolare sul territorio nazionale. Fino a quel momento, infatti, soltanto nel 2013, a Bari, è stata operativa una cellula dei “Black Axe”, anche se, al di là di sporadiche risse e scontri tra bande, non è mai stata documentata una attività di tipo associativo, con caratteristiche organizzativo-comportamentali tali da determinare la sua mafiosità. Quanto alla confraternite raggiunta oggi dai provvedimenti cautelari, gli investigatori rilevano che è stato particolarmente complicato penetrare nella loro cultura, delineare le gerarchie ed i ruoli, decriptare il loro linguaggio, incontrando molto spesso obiettive difficoltà connesse all’assenza di interpreti liberi da forme di condizionamento nei confronti della loro comunità. Durante il periodo delle indagini, le presenze di nigeriani all´interno del Cara si attestavano a circa 600 unità. Nell’attualità gli ospiti sono poco meno di un centinaio. GLI ARRESTI La Squadra Mobile di Bari ha svolto una meticolosa attività di ricerca degli indagati sul territorio nazionale e, tramite il coordinamento del Servizio Centrale Operativo e l’ausilio di molte Squadre Mobili, è riusciti ad individuare le dimore di quelle persone che nel frattempo avevano lasciato Bari dopo i fatti di violenza più cruenti in cui erano state coinvolte le gangs. Allo stesso modo, le attività informative ed i canali di collegamento con le autorità estere, opportunamente attivati dalla Divisione Interpol del Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia, hanno consentito di individuare i Paesi Europei, tra cui Germania, Francia, Olanda e Malta, in cui altri appartenenti alle confraternite nigeriane si erano di recente trasferiti. Completate le attività propedeutiche al rintraccio degli indagati, nella nottata di oggi, a Bari e nelle province di Taranto, Lecce, Caserta, Roma, Ancona, Matera, Reggio Emilia, Cosenza, Trapani e Rovigo, sono state eseguite le catture, ed in contemporanea i collaterali uffici di Polizia esteri sono stati interessati dall’Interpol per dare esecuzione ai Mandati d’Arresto Europei firmati dal Giudice per le Indagini Preliminari di Bari.
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