#sto proprio fuori dalle grazie di cristo oggi
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listening to the tma episode about the cannibal priest with no headphones and frantically thanking god or whoever that my dad can't speak one word of english. otherwise i'd have some explaining to do lmao
#it's funny that i'm listening to a horror podcast because i'm in no shape for reading an actual book (thanks ocd i guess!)#like that time for the same reason i wanted to read a manga and chose berserk sksksk#edit: TMA* NOT TMI. omg i just confused the magnus archives with the mortal instruments sjjdjfjjfjfjf#obviously i'm referring to tma#sto proprio fuori dalle grazie di cristo oggi#val speaks#txt
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Uno sguardo dal ponte: Oscillazioni di Federico Ferrari
Oscillazioni mi è capitato in mano su una bancarella di libri usati. Ogni libro ha il suo tempo di lettura che deve in qualche modo cercare di avvicinarsi a quello di stesura. L’ho letto tutto in un paio di notti ma poi l’ho ripreso molto lentamente e forse ora sono in grado di commentarlo un poco.
Il Diario degli errori di Flaiano ha fatto scuola: a un prodotto intelligente è lecito aggiungere quello derivato dall’esperienza di un’altra intelligenza, purché la lingua che si adotta sia nuova, altrimenti ci si annoia. Lo dici tu stesso (in p.49, ultimo), ma hai omesso di spiegare perché. Si può sbrodolare in aforismi anche se li si riduce all’osso, semplicemente perché il pensiero è in sé una sbrodolatura: non esiste pensiero che non si autorifletta. Vale solo il pensiero che non comprende pienamente se stesso. Questo evita lo sbrodolarsi e la spocchia dell’intelligenza. Anche Cioran a volte si compiace del proprio cafard e, a essere maligni, ci si domanda come mai l’autore dell’Intervista sul suicidio, nonché dispensatore di consigli a tanti intenzionati a quella morte, non si sia suicidato lui stesso (anzi sia finito alzheimer nelle braccia di una giovincella). La mia affermazione farà certamente arricciare il naso a uno preciso e secco come te, ma sei tu ad aver parlato di sbrodolatura; io estendo il concetto di compiacimento: solo l’agitazione estrema, quella che non controlla ortografia e sintassi, per non parlare di punteggiatura, consente a volte di toccare l’intuizione, ché al di fuori dell’intuizione Esso dimora. Quando la correzione è minima, anche se necessaria, perché il momento della coscienza (sto parlando a un altro) segue quello dell’intuizione, allora capisci di esserci andato vicino. Restringere il pensiero all’osso non è garanzia di autenticità. Nemmeno la scrittura automatica, quella che sgorga dall’ “Oracolo” interno, lo è: quanti avinazzati o drogati sproloquiano sotto i fumi dei paradisi artificiali! L’autenticità è una chimera? Forse emerge solo quando ti chiedi: sono io ad aver scritto quanto leggo? E questo non è vero solo per la scrittura: tu, ho visto, ti occupi in generale di estetica e forse questa è una delle virtù più evidenti del bello.
Il sesto di p. 53 lo indirizzi a te stesso ed è anche per questo che mi sono fatto vivo: non credo nella spettralità. Certo l’intelligenza porta alla solitudine estrema, a parlare appunto solo con i morti, ma condividere illusioni con i vivi non ha più valore? Tu stesso non credi a tutto quello che dici. Perché pubblicheresti se sai che prima o poi le onde cancelleranno l’impronta del tuo indice? Cristo salvò l’adultera con un dito nella sabbia: un gesto zen, una vera opera d’arte: un cerchio nella battigia. Ma qualcuno ce lo ha raccontato. Rimane solo ciò che si cancella nella presenza, il vuoto del presente, ma con una trasmissione estetica!
Tornando allo sbrodolare, può darsi che non sia tanto una questione di stringatezza nello scrivere, e la raccolta di aforismi in questo senso è l’ideale, quanto nello scrivere in sé e conseguentemente nel pubblicare! A parte Oscillazioni non conosco niente di te: appartengo a un’altra parrocchia. Del resto tu cosa conosci di me? Sulla bibbia contemporanea, alias internet, mi ha lasciato di stucco vedere la quantità di pubblicazioni con la tua firma. Prudenza vorrebbe che mi fermassi qui, per informarmi. Certo che trovare un equilibrio, soprattutto se dallo scrivere si deve portare a casa la pagnotta, non è facile. Ho il sospetto che Oscillazioni sia nato proprio per reazione allo scrivere tanto. La poesia è rara, molto più frequente la poetica, però chi oggi legge più il De vulgari eloquentia o la Vita nova? Il Paradiso terrestre Dante lo scrisse certamente a Ravenna, poco prima di creparci, ma se non avesse fatto in tempo a incastrarlo nel Purgatorio? Possiamo veramente controllare tutto fino alla fine? Basta a ciascun giorno l’affanno di alzarsi di buonora a sentire il canto degli augelletti sulle cime? E poi c’è un tarlo: il silenzio del corpo, il consumo quotidiano delle energie.
Altra strategia, ma presa per istinto di nomade: essere dove nessuno si aspetta tu ci sia. Il grande Petrarca, l’ossessionato dal lauro laura, credeva veramente di rimanere solo per i suoi scritti in latino e Michelangelo per la sua Sistina, ma sono i Prigioni che comandano, è la Rondanini, sulla quale è morto con lo scalpello nelle sue mani di vecchio, sull’empasse che gli ha fatto conservare il piolo che regge l’antico braccio dal precipitare definitivamente: la mano della madre sotto quello del figlio. Figlio figlio, amoroso giglio e la mano: tramontati! Far fronte al caos con il caos!
T’ho buttato un’arpetta, come si dice dalle mie parti, e non t’ho beccato, pesce accademico! Pazienza, la pazienza del pescatore, perché quella è ancora in posizione di attesa e sale improvvisa (come questo scritto). La costruzione: arpette un po’ qui e un po’ là, ma c’è troppa disattenzione in giro, troppa indifférence. Comunque Dante, il principe delle costruzioni, me lo immagino in giro per l’Italia (quella d’una volta, da Lerice a Turbia, di qua da Trento alla Pineta di Chiassi ecc.) con una sacca di pelle fiorentina, la tradizione artigianale della sua città, tutta piena di foglietti da appiccicare l’uno all’altro: la rota.
Flaiano, torniamo a uno più vicino, accomuna il filosofo all’artista nella mistificazione dell’universo e delle sue leggi, nella prassi consolatoria della tremenda coscienza del nulla, o come dici tu, dell’indistinto. Non sono d’accordo sull’unione: altre lingue e molte le lingue! Se io scrivo, se ragiono qui e ora, al pari di te, è incidentale, casuale (la bancarella): colgo l’occasione per un messaggio in una bottiglia, da spam, per intenderci. Personalmente è il Prigione che mi muove: il Colpo d’occhio da una qualsiasi feritoia, senza ragionare, prima di ragionare. Qui scrivo, come vedi ho scritto, ma dopo! Non è questione di lana caprina, non è da poco la differenza. Linguaggio elettivo! Fintantoché non arriveremo finalmente a spurgarlo dalla tendenza filosofica, dal commento più o meno intelligente, per carità senza schematismi, siamo tutti liberi di farlo!, fintantoché non arriveremo a riconsiderare che ogni arte, pensa alla musica, è un’altra, diversa, maniera di pensare, autonoma, esaustiva, completa, saremo tutti nelle pastoie del duchampismo, dell’indifférence. L’equivoco è tutto qui.
Bene, è passato almeno un mesetto da quando ho gettato l’arpetta, tarda la fucina vermiglia della notte, la sera si fa lunga e non ancora… ecc. Siamo in Liguria, tu sai, anche se sei esplicito nel preferirgli Caproni, altro ligure, almeno d’elezione. Ma sarei ingiusto nei confronti del tuo libro se mi fermassi qui: in un’epoca di inquinamento di tutti i tipi, e per quanto ci riguarda anche visivo e letterario (per questo sono stato colpito dalla quantità di tue pubblicazioni, ma è un’illazione, lo riconosco), la secchezza è una rarità. E quella del tuo libro, almeno quella, rimane. Grazie.
FDL
Non credo necessario annotare le citazioni. Per chi non le avesse familiari le poesie sono di Jacopone da Todi, Dante e Montale, il cafard di Cioran, il silenzio di Ceronetti, l’indifférence di Duchamp, l’Oracolo Caldaico e L’altra maniera di pensare di Arnold Rosemberg.
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Shanghai Power Station of Art - Recensione Scritta Peggio
Quando si va a vedere una mostra d’arte contemporanea, si deve essere consapevoli dentro, al centro del proprio cuore, laggiù, fino in fondo alla propria cavità anale, che il 99,9% di quello a cui assisterete è, nella migliore delle ipotesi, un ammasso di spazzatura disposto con meticolosa cura in uno spazio espositivo, realizzata da gente che da bambino voleva fare l’artista e poi si è accorta a 30 anni che era troppo tardi per mettersi a fare un lavoro vero e quindi, vaffanculo, io ci provo lo stesso, male che vada poi muoio di overdose.
E’ più o meno con questo spirito che ho visitato qualche giorno fa la Shanghai Power Station of Art, la galleria che ospita la biennale di arte contemporanea di Shangai.
Il luogo è, per usare il gergo dell’ambiente, una figata totale. Una vecchia centrale elettrica riadattata a spazio espositivo. Quando arrivi da fuori vedi il comignolo sul quale è stato installato un enorme termometro che segna una temperatura a caso e, anche se non sai bene cosa significhi, ti senti già gasato all’idea.
Entrare costa 20 Yuan, cioè tipo 3 Euro, il che è un bene, perché dato che hai maturato la consapevolezza di cui al primo paragrafo, farsi scucire di più mi avrebbe trasmesso un’istantanea sensazione di “se mi fa cacare ti vengo a cercare a casa”.
Ora all’esperienza complessiva (spoilerone) darei un secco 5,5 su una scala da “Dio Santissimo la vastità di questa merda” e “Lasciatemi morire qui sono sessualmente attratto da questo posto”. Quindi tutto sommato gnèèè.
Capiamoci bene, è evidente che ormai l’arte come concetto sia del tutto slegata dall’effettiva capacità tecnica di un individuo di realizzare un’opera che abbia un valore intrinseco di per sé stessa. E mi sta anche bene, perché sarebbe altrimenti un ambito espressivo relativamente circoscritto e in qualche misura arido. Sono anche consapevole che tutti i grandi dell’ormai passato, a loro volta, sono stati tutti bene o male pionieri della loro contemporaneità e che in pochi a quei tempi avevano gli strumenti interpretativi per comprenderne la grandezza. Quindi no, grazie, non mi serve lo spiegone del primo studente di una qualunque facoltà d’arte per ricordarmi di quanto io in realtà sia un villano zotico, ottuso e grossolano.
Sono genuinamente e totalmente affascinato dalla prospettiva che l’opera d’arte oggi non sia semplicemente un pezzo di marmo scolpito a rappresentare con inimmaginabile armonia la vergine Maria che sorregge Gesù Cristo sceso dalla croce, che possa avere un profilo di astrattezza che va oltre i confini del sopportabile, che contempli un miscuglio eterogeneo di discipline, spunti, materiali, tecniche, che non consista meramente nell’opera in sé, ma comprenda anche l’identità, lo stato d’animo, il vissuto, la ciorcostanzialità dell’artista e dello spettatore contemporaneamente.
Sul serio, mi sento a mio agio con tutto ciò.
Però, amico mio, se tu mi metti un’immagine di Gesù Crocifisso a 20 metri di distanza, con dietro una ringhiera arancione e poi dall’altro lato mi dici di osservarla attraverso le lenti di un telescopio e io, superando il mio iniziale scetticismo e senso del ridicolo, guardando attraverso il telescopio, non faccio che vedere macchie di diverse intensità di blu (esperienza condivisa con gli altri spettatori della mostra), beh, ho tutto il diritto di urlare al cielo che tu, sì tu, persona che ha ritenuto di potersi definire artista in virtù di questa cagata, tu, potrai anche aver voluto rappresentare il disagio dell’uomo moderno nel misurarsi con la divinità che è sempre più lontana e indecifrabile in un contesto di alieneazione dai valori del passato che induce ad una frenetica quanto vana ricerca di uno spazio identitario condiviso, o qualunque altra porcheria ci fosse scritta sulla didascalia dell’opera, ma tu, amico mio, tu, sei e rimarrai per sempre un cialtrone vero.
Voglio dire, quanto può essere difficile, di fronte a una roba del genere, per chi seleziona le opere della mostra, rispondere: “tutto questo non ha senso oggi e non ne avrà mai. Non ho intenzione di sottoporre i miei spettatori a questa presa per il culo”. Perché immagino che le opere candidate fossero tante. Possibile che non ce ne fosse una da preferire al “Cristo guardato attraverso il cazzo di telescopio con le chiazze blu”?Ma le didascalie. Soffermiamoci per un attimo sulle didascalie. Ora, io apprezzo le didascalie. Credo ce ne siano in generale troppo poche. Credo che la gente comune come me che ha lo spirito critico martoriato dai reality show, dalle serie TV, dalla pornografia in streaming e dagli spettacoli di Crozza abbia un disperato bisogno di qualcuno che li guidi verso l’interpretazione di opere al di là della propria portata. A volte entro nei musei, mi sbattono in faccia una serie di quadri con scritto “Pippo dell’infernetto, 1748, acrilico su compensato” e io penso sempre: “non avrei mai potuto fare un uso più indegno dello spazio a mia disposizione su questa fottuta targhetta”.Quindi il fatto che le didascalie in effetti ci fossero, in questa esibizione, è una cosa positiva. Credo altresì di essere un individuo con una buona capacità di comprensione sia dei testi scritti, sia in generale di concetti astratti anche di una certa complessità e articolazione. Tuttavia, se tu, nell’intento di rendermi più chiara un’opera che già non lo è, poiché consiste in un video di 2 ore in cui si alternano scene in cui l’autore è immobile in mezzo a contesti tipo “il traffico”, “un marciapiede con diversa gente che cammina”, “una gang di negri che smonta un’auto presumibilmente rubata” e così via, mi ci scrivi a fianco ciò che riportato nell’immagine, non stai assolvendo al tuo compito. Stai rendendo tutto più difficile e decisamente, decisamente, più ridicolo.
Sono un grande fan del linguaggio, dell’igiene lessicale. Le parole sono importanti e vanno usate quelle giuste. Quando qualcuno dice una castroneria e poi si giustifica dicendo “no, ma io intendevo dire”, la mia reazione è di aggredirlo rispondendo che se era quello ciò che intendeva dire, allora avrebbe dovuto dirlo fin dall’inizio, perché non me ne sto qui con la mia cazzo di palla di cristallo ad ascoltare la gente immaginandomi cosa avrebbe veramente voluto dire utilizzando invece un linguaggio improprio.
Tutto questo per dirvi che ci sta utilizzare un lessico tecnico, forbito, anche un po’ astruso, per trasmettere un concetto in maniera chiara. Però qui siamo nettamente di fronte a casi in cui neanche chi ha scritto ha la più pallida idea di che cosa porco il demonio volesse significare. “Invoking the body on the conflicting registers of the individual”, “The body that makes, makes itself; the body that resists the world, resists itself”.
Per l’amor del cielo, che cosa cazzo significa? No adesso tu ti fermi, la smetti per un secondo di scrivere didascalie e mi spieghi, per tutto il tempo che serve, che cosa cazzo significa. E finché non lo fai, io non me ne vado. Resto qui a guardare questo video di 2 ore con questa tipa immobile mentre 5 negri saccheggiano una macchina.
E la cosa che mi inquieta di più è quell’ “ongoing”. Cioè lei sta ancora lì a filmarsi immobile dal 2001 e nessuno che abbia ancora avuto il coraggio di dirle: “Regina Josè, accanna co’ sti video, te prego. Che ne so, inizia a fare Pilates come tutte le tue amiche”
Poi c’erano anche delle cose molto fighe, con le quali potevi effettivamente instaurare una relazione. Cose che ti parlavano con un linguaggio criptico, ma che lo capivi che ti stavano dicendo qualcosa. Tipo questa enorme installazione che era in pratica un elicottero precipitato su un pianeta alieno deserto e roccioso nel ventre del quale tu spettatore potevi introdurti per scoprire ciò che vive nelle sue profondità. Poi esci, leggi la didascalia e capisci che hai travisato tutto, che l’artista aveva altre intenzioni, ma chissene frega. Guardo un Picasso e mi piace a prescindere da quello che Picasso mi voleva trasmettere mentre lo dipingeva e in generale questa storia dell’interpretazione autentica degli autori o dei critici mi ha anche un po’ rotto i coglioni.
Molto figo anche questo lungo studio in una ventina di quadri del simbolo che i sordomuti utilizzano per dire “futuro”. Una ventina di declinazioni diverse di 2 semicerchi a rappresentare tipologie diverse di futuri possibili che sarebbe limitativo esternare tutti col lo stesso identico gesto. Questa è l’arte che mi piace, perché unisce riflessioni profonde e ci specula sopra con strumenti non comuni, non banali e dal forte potere comunicativo.
Poi però giri l’angolo è c’è un video di una che si è fatta appendere col nastro adesivo sotto a un tavolo. Ma porca puttana, eddai. Poco dopo c’è un altro video di una tipa, l’artista, nuda in piedi su una zolla d’erba, mentre un escavatore cingolato le scava un fossato attorno. Ma sul serio? Cos’è? La metafora di come l’uomo violi la natura che non è altro che un grande essere vivente collettivo e simbiotico di cui l’artista in piedi senza vestiti è uno dei tasselli così come lo siam tutti noi. Quando vorrò pagare per assistere a una protesta di Green Peace state sereni che ve lo farò sapere forte e chiaro.
Che dire, il senso di quello che volevo trasmettervi direi che è abbastanza chiaro.Andare a vedere l’arte contemporanea è bello ed è importante, perché bisogna stare nel mezzo di quello che sta succedendo oggi, in questo momento, sul ciglio tra il presente e il futuro, vivere gli accadimenti che smarmottano avanti e indietro dal buco del culo del mondo.Solamente, bisogna farlo con l’umiltà e la rassegnazione di chi sa benissimo che si sta addentrando in un mondo che parla delle lingue che non hanno ancora un vocabolario. Quindi la probabilità di travisare o di farsi prendere da falsi, falsissimi entusiasmi è drammaticamente prossima al 100%.Diffidate da chi esce da una mostra di arte contemporanea in estasi raccontandovi quali meraviglie ci fossero esposte. Tutti vogliono fare gli artisti, tutti vogliono fare i critici d’arte, me compreso, a quasi tutti manca il talento e quei pochi che ce l’hanno probabilmente li scoprirete tra 20 anni in quella che allora sarà chiamata una mostra di arte moderna. Vi lascio con questa ultima perla:
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