#spedire adesso
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Di buste e di tentativi
Esco perché mi serve una busta da lettera in formato A4. La settimana prossima devo spedire un po' di fogli a un ente per via delle pratiche burocratiche nelle quali sono fortemente impegolato. Vado nel negozio solito. Un cartello mi informa che oggi pomeriggio e domani pomeriggio è chiuso. Ma io quella busta la voglio adesso. Così, poi, non ci penso più nemmen per sbaglio o per errore. Vado in un altro negozio. A parte che non le ha, sembra di stare in una ghiacciaia. Non ho con me il giubbetto che di solito mi porto dietro per evitare eventuali polmoniti derivanti da impianti di condizionamento sparati a diecimila (altro che mille). Per cui mi fermo proprio il minimo indispensabile. Avrei una mezza idea di andare a cercare quella fottuta busta in centro. Ma il cielo è scomparso dietro quello che sembra un bel fronte temporalesco. Di prendere dell'acqua proprio non mi va. Per cui ricorro al mio terzo tentativo. E faccio centro: ha la busta che cercavo. Ma rimango lì il meno possibile. Non è una ghiacciaia come il negozio precedente. Però non fa caldo nemmeno lì. Torno a casa e penso che non è possibile. Una cosa semplice come comprare una busta da lettere diventa un poema epico. Anzi, satirico.
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Ultimi preparativi.
Oggi dopo aver accompagnato l'amica di mia nipote e lei stessa a casa, in due punti opposti della città e ho impiegato quasi un'ora solo di auto, sono andato a comperare le ultime cose da portarmi, un libro, visto che quello che ho preso un mese fa è quasi finito (mi manca l'ultimo capitolo, una cinquantina di pagine), adesso posso svelare che libro è "Società liquida" di Zygmunt Bauman, un mattone forse ma che contiene tanti bei concetti che sono reali su come stiamo vivendo il presente, anche se il libro è del 99 (la prima edizione), ho preso un libro, dicevo, che in realtà ho letto molti anni fa, lo possiedo in pdf ma volevo il cartaceo "Il mondo nuovo" di Huxley, cambio completamente genere. Un regalo al fidanzato di mia figlia e un paio di cose al supermercato che mi mangio tra oggi e domani. Poi in programma c'era da preparare lo scatolo che mi devono spedire, quindi mi sono messo a dividere le cose, questo lo porto, questo lo spedisco, questo lo porto, questo lo spedisco, questo lo porto, questo lo spedisco, questo lo porto, questo lo spedisco, questo lo porto, questo lo spedisco, questo lo porto, questo lo spedisco, questo lo porto, questo lo spedisco, questo lo porto, questo lo spedisco, ecc ecc. Alla fine ho praticamente fatto anche la valigia, tanta è la voglia che ho di partire, quasi completa, manca il pc, su cui sto scrivendo e alcune piccole cose, più i vestiti che ho in dosso adesso (adoro le rime), li metto a portata di mano di chi rovista nelle valigie, chissà magari gli passa la voglia odorando vestiti sporchi. Poi guardavo il pacco e pensavo, chissà quando mia sorella mi spedirà sto coso? Ma cazzo, ho tutta la giornata per spedirlo, alle 10 vado dagli zii e poi spedisco sto coso, fatta, così levo a mia sorella la fatica di mandarmelo, anche perché lei è sempre incasinata e veramente chissà quando le rivedevo ste cose.
Fatto questo mi sono sparato un risotto zucchine, peperoni, cipolla e gorgonzola con lo zafferano naturalmente, na delizia. Adesso finisco qua e mi metto un pò a suonare e poi mi lancio a letto per l'ultima giornata catanese. Ho visto sto EP e ho pensato perché no, non è male, un pò troppo regolare forse ma molto interessante.
youtube
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A volte mi ritrovo a pensare
a pensarti
a quanto tempestiva si stata la tua scelta e a quanto irremovibile sia stata.
E mi ritrovo a pensare in che stato sarei, adesso, come ad agosto,
solo
a combattere contro demoni(miei)
e contro tutti gli ospedali incrociati e visitati:
e faccio fatica ad immaginarti in quel ruolo che era nostro, tuo. La mia streghetta aveva visto, intuito..?
alla fine il sostegno arriva dalla persona che ho più ferito, deluso, tradito.
che mi ha placato , aiutato
spinto verso ragionamenti di fisica o di metafisica senza cadere nel tranello della religione.
Io, che mi definisco uomo di scienza , mi trovo adesso a combattere verso "ritimagici" che sono l'appiglio, il desiderio di un miracolo che incredibilmente vengono da chi è destinato come me al dolore della perdita.
Ma non è altro che una speranza, un cercare risposte che sono scritte nel corso di una vita vissuta con dignità fino a 4 giorni fa.
Oramai, forse( che non sono sicuro manco di questo..), non rimane che un anima in un corpo che non c'è più e che magari deve sistemare qualche questione, non so.. Per poi lasciare questa parte dell'esistenza e via, chissà dove si andrà, finirà.
e mi ritrovo a pensare a quanto certi legami non finiscono con un pezzo di carta di un tribunale e che, al bisogno, nel bisogno, nonostante abbia fatto di tutto e di più per allontanarmi, allontanarla alla fine.. 30 min al telefono l'altro ieri, 45 min ieri un ora e mezzo oggi in ospedale che, nonostante sia freddo e poco addolorato della situazione, del momento.. Stare li, parlarci, riuscire a trovare un sorriso e una riflessione. Liberi da pregiudizi e preconcetti, e un abbraccio che ci promettiamo di fare in modo che non sia di circostanza e di fare in modo di non incontrarci solo in situazioni particolari.
L'ultimo dell'anno è stato intenso
una sfida contro e con me stesso
perduto in una camminata che era una sfida contro me stesso a non fermarmi, ad andare avanti ,a darmi un obiettivo e mantenerlo
un viaggio da solo alla ricerca del mio io e alla fine arrivare, pazienza se ero disarmato, impreparato e senza abbigliamento ne attrezzatura. Alla fine arrivo su e pazienza se inizia a diluviare e perdo tutto il bello della mia terra..
Pazienza se smette a metà strada per il ritorno.. Mi regala un pezzo di panorama e una promessa
Quella di tornare l'anno prossimo
magari più allenato e attrezzato
Ma ci rivediamo il 31 , e a sto giro però
almeno
Un po' di sereno, sia in cielo che in me.
PS. Logicamente ha una destinataria questa lettera che non ho avuto il coraggio di scrivere e spedire
perché le lettere sono testimonianza
sono ricerca, tempo dedicato
e mai
MAI parole al vento.
Ecco, forse siamo ancora lì.
Forse
Il regalo più bello di questo Natale
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CARTOLINE DAL FONDO
Cartoline dal fondo del barile, dal fondo del capitolo
E una stella cometa che vuol tornare indietro.
Prima bevi la bottiglia e poi ti disegni i baffi con il tappo bruciato
E ti senti grande, poi strizzi gli occhi per leggere la prossima etichetta del vino
E ti senti vecchio.
Il tavolo è sempre più lungo della mano di carte
Là dietro lo specchio c'è l'orizzonte
Ma fermandomi a guardare il riflesso mi sono perso il tramonto
Troppe volte.
Adesso i riflessi se li tenga lo specchio
E i tramonti si prendano cura del mio sguardo
Quando non giocheranno più a carte il tavolo sarà ancora lì.
Quando avranno finito la cena il tavolo sarà ancora lì.
Ho dato al gatto carne di manzo e carne di vitello
Ma in natura, non me lo vedo aggredire il bestiame per mangiare.
Le mie idee sono pesci che a volte sprofondano e a volte emergono
E quando riesco a pescarle finiscono sempre per diventare una frittura.
La notte corre oppure rallenta, ma di certo non mi aspetta
Io mi muovo su mezzi molto più veloci di lei
Ma guardo spesso l'orologio o il cielo per sapere quando arriva.
Non allontanerò i dubbi con la mazza da golf
E non riempirò la speranza con l'imbuto,
Questo è quello che mi sono detto, sapendo che però può sempre accadere.
Quando avranno finito di tagliare le cipolle e di pelare le patate
Il tavolo sarà ancora lì.
Quando avranno finito di bere il caffè
e di ricordare cose che non sono mai accadute come le stanno ricordando,
Il tavolo sarà ancora lì.
L'aliscafo di giorno sfreccia e spalma via le onde con un sorriso schiumoso
Ma con il buio è uno strano essere dagli occhi accesi che brontola e gorgoglia
Cercando il suo ormeggio.
Il ragazzo di giorno si muove elegante
Portando in giro abiti freschi e uno sguardo da arciere
Ma nel bagno di notte controlla messaggi seduto sul cesso con gli occhi arrossati
E una mano che scorre sul ventre e sul peso ancora da digerire.
La brace mi guarda arancione e tremante e chiama un altro pezzo di legno
Da usare come pista per fare ballare le fiamme
Le palpebre chiuse perdono i confini del divano nel buio e anche loro
Accendono fuochi non visti dai pensieri gendarmi
Vicino ai quali si scalda il cuore fuggiasco.
L'orgoglio in certi orari dispersi diventa brodaglia lasciata nel piatto a gelare,
La rabbia si arrotola sempre più stretta a se stessa e pian piano si strozza da sola.
Quando finiranno di scrivere le lettere da spedire al destino canguro
O all'amore mai visto e sbocciato a distanza, il tavolo sarà ancora lì.
Quando l'uomo ubriaco sdraiato sopra la tovaglia si ricorderà di avere un letto
Se ne andrà
E il tavolo si renderà conto ancora una volta che tutte le sue gambe non lo porteranno via di lì.
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Come inserire messaggi nascosti nelle foto
Di sicuro hai sentito ancora parlare di immagini o scritte subliminali che con questo termine si intende mandare una informazione che il cervello accumula a livello inconscio sufficienti per influenzare e condizionare il comportamento, ecco con questa guida invece facciamo il contrario nascondiamo i messaggi e li criptiamo dentro in una immagine, questa tecnica viene chiamata steganografia, diciamo che facciamo il gioco all'agente segreto, quindi se sei curioso e vuoi sapere come inserire messaggi nascosti nelle foto prenditi un lampo di tempo e continua a leggere la guida.
Come inserire messaggi nascosti nelle foto : Vuoi fare l'agente segreto e inserire messaggi nascosti nelle foto ? Eccoti la guida per realizzare foto con file invisibili al suo interno
Allora ti sei messo comodo possiamo iniziare ? Per poter cifrare e nascondere dei messaggi di testo o dei file dentro alle foto ci appoggeremo ad un software gratuito particolare che si chiama Steg disponibile per sistemi Windows che una volta installato nel computer ti permette di stenografare le foto, ma senza perdere altro tempo vediamo il suo funzionamento. Sistema Windows Se usi un computer con sistema Windows come prima operazione apri il browser collegati al sito principale di Softpedia quindi clicca sul pulsante Download now poi nella piccola finestra che appare premi il pulsante Softpedia Secure Download (US) per iniziare a scaricare il file compresso .zip sul computer. Al termine del download devi scompattare il file in una cartella, se non lo sai fare ti invito a leggere come scompattare un file zip, quindi al termine entra nella cartella e clicca due volte con il tasto sinistro del mouse sul file Steg.exe per avviare il programma, alla prima finestra scorri verso il basso e clicca appena si attiva il pulsante Yes e poi Ok per aprire definitivamente Steg.
Come usare Steg Da adesso il procedimento è identico per qualsiasi sistema operativo che stai usando e quindi inserire messaggi nascosti nelle foto è uguale per tutti, da programma aperto fai clic sulla scritta in alto File e nel menu a tendina che scende clicca la voce Open JPEG image dalla finestra che si apre seleziona l'immagine che vuoi nascondere del testo al suo interno tramite il percorso e clicca sul pulsante Apri per caricarla su Steg.
A questo punto testiamo il programma, tramite un editor di testo tipo Microsoft Word, Open Office, Libre Office oppure anche il semplice Blocco note di windows scrivi e prepara il messaggio segreto da inserire nella foto ed al termine salvalo nel computer. Adesso sempre dal programma Steg clicca sulla scritta collocata i alto Hide e nel menu a tendina che si apre seleziona la voce Hyde Data, dalla finestra tramite il percorso vai a selezionare il file che contiene il messaggio da nascondere che hai appena scritto e clicca sul pulsante Apri. Ti dovrebbe uscire una finestra con un messaggio del tipo Data Successfully Hide, vuol dire che tutto è andato a buon fine e che il messaggio è stato nascosto con successo nella foto, clicca sul pulsante Ok per chiudere la finestrina.
Ora per completare l'opera ed inserire messaggi nascosti nelle foto in modo definitivo devi andare a salvare il lavoro appena fatto, per effettuare questa operazione sempre cliccando sulla scritta Hide seleziona nel menu a tendina la voce Save, quindi nella finestra che si apre dai un nome alla foto criptata e clicca sul pulsante Salva ed il gioco è fatto, Semplice vero ? Ora puoi benissimo spedire la tua foto contenente il file nascosto e farla transitare in rete senza che nessuno se ne accorga di nulla e che cosa contenga, oppure la puoi anche condividere sui social network e la persona che conosce quella foto sà benissimo che contiene un messaggio al suo interno quindi la può salvare sul computer, diabolico vero... saper come inserire messaggi nascosti nelle foto. Come far riapparire il messaggio nascosto nella foto Per fare riapparire il file dalla foto con il messaggio nascosto al suo interno il procedimento è molto semplice, logicamente chi la riceve deve essere in possesso anche lui di Steg sul computer, bene detto devi prima caricare la foto nel programma, una volta caricata clicca sulla scritta collocata in alto Extract e nel menu che scende seleziona Extract Data, ora nella finestra che si apre seleziona il percorso e clicca sul pulsante Choose per salvare e fare magicamente apparire il file con il testo segreto. Allora hai visto che inserire messaggi nascosti nelle foto è molto semplice ed allo stesso tempo direi molto diabolico, bene e con questo Wiz ti saluta ma non prima di farti presente che puoi trovarmi anche sui social network semplicemente cliccando le icone appropriate che trovi nella pagina pricipale del blog, inoltre mi farebbe molto piacere se condividi questa guida attraverso i pulsanti social che trovi alla fine. Note finali E siamo arrivati alle note finali di questa guida come inserire messaggi nascosti nelle foto. Ma prima di salutare volevo informarti che trovi anche sui social network per entrare clicca sulle icone appropriate che trovi nella Home di questo blog, inoltre se la guida ti è piaciuta condividila pure attraverso i pulsanti social di Facebook , Twitter , Pinterest e Tumblr , per di gran lunga conoscere il blog anche ai tuoi amici, ecco con questo è tutto Wiz ti saluta. Read the full article
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poco tempo
Sono le 9:29 di Martedì 23 Agosto 2023.
Ho davvero poco tempo perché fra 1:30h devo essere a lavoro.
Il Mac mi sta facendo sbroccare con il fatto che cadde l'acqua tempo fa.
Ieri è successa una cosa troppo strana, staccato da lavoro sono voluta andare a Monti.
Insomma vabbè, ho preso una bici ed ho iniziato a girare, sempre per il discorso casa comunque.
Tornando mi sono fermata su via Nazionale, saranno state le 8:30 di sera avevo staccato già da un’ora, ero stanca cazzo, ero proprio stanca e nonostante ciò non volevo andare a casa.
Difatti vabbè presa la bici sono andata al solito Carrefour a piazzale degli Eroi che oramai è il mio safe place per qualche oscuro motivo.
Fatto sta che ero scoglionata, non ci volevo tornare a casa difatti sono tornata tardi e comunque sono andata all’una di notte e mi sono alzata mezz’ora fa, perché tanto lo sai che a te servono 8h di sonno.
Stamattina non so facendo skincare né Gongyo, mi sento già alla canna del gas e non ho mangiato nulla di nutriente per colazione.
La giornata non bene.
Dovrei ricominciare a prendere il Gabapentin, i gatti e specialmente Z. miagola come una pazza che vuole mangiare di più ed è insopportabile dalla mattina.
Sono le 9:44 adesso, comunque mi rode il culo.
Devo spedire un pacchettino oggi e devo anche leggere un po’, lo prometto a me stessa.
Ok in 9 minuti ho fatto skincare, sono proud di me stessa, davvero.
Però dovrei ricominciare con gli psicofarmaci eh sì.
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7 ago 2023 18:45
DAGONOTA – PECCATO CHE JOHANN JOACHIM WINCKELMANN NON ABBIA AVUTO ANCH’EGLI UN PADRE BOIARDO DI STATO COME CHIARA GAMBERALE, CHE POTESSE SPEDIRE UNA LETTERA IN LATINO AL RE DELLE DUE SICILIE PER CHIEDERGLI DI CONSENTIRE AL FIGLIO DI IMBARCARSI SU UN VELIERO PER L’AMATA GRECIA – ADESSO ATTENDIAMO FREMENTI DA CHIARA UN “REISE NACH GRIECHENLAND” SU “SETTE” – CERTO, COME RACCONTO DELL’ESTATE IL VIAGGIO DELLA FIGLIA DI PAPÀ DOVRÀ SFIDARE L’INSUPERABILE “VIAGGIO A FOGGIA” DI ALAIN ELKAN… -
DAGONOTA
Peccato che Johann Joachim Winckelmann non abbia avuto anch’egli un padre boiardo di Stato come Chiara Gamberale, almeno un padre alto funzionario di corte che potesse spedire una lettera in latino al re delle Due Sicilie o a un barone inglese per chiedergli di consentire al figlio di imbarcarsi su un veliero per l’amata Grecia.
Rien à faire, malheureusement, faceva di mestiere il ciabattino a Stendal e non aveva neanche potuto far studiare il figlio che, grazie ai preti e al suo talento divenne l’erudito più colto dei suoi tempi e il fondatore della storia dell’arte antica e il cantore del primato della cultura greca a partire dai “Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke”.
Ma nessun problema: a distanza di due secoli e mezzo ci potrà pensare la “scrittrice e giornalista” dalla carta d’identità strappata, Chiara Gamberale, a colmare la lacuna sulla conoscenza dell’antichità dovuta al mancato viaggio dello studioso tedesco.
Potendo godere di un papà ex boiardo che chiama per chiedere lumi sul mancato decollo della figlia causa ritardo del volo (una novità mai sentita), Chiara senza la figlia (ndr dopo averci smammolato nei precedenti libri sulla maternità) ha raggiunto l’amata Grecia e adesso attendiamo frementi un “Reise nach Griechenland” su “Sette”, il supplemento del “Corriere della Sera” diretto dalla femminista in borsetta Prada Barbara Stefanelli.
Certo, come racconto dell’estate il viaggio della figlia di papà dovrà sfidare niente po' po' di meno che l’insuperabile “Viaggio a Foggia” di Alain Elkan, pubblicato sul giornale del figlio. Insomma, siamo ai massimi sistemi dell’itinerario familistico, una periegesi tra cognomi e portafogli, un viaggio in treno o in aereo come allegoria del viaggio interiore o, meglio, anteriore, cioè ringraziando il papà boiardo o il papà rabbino. Solo il figlio del ciabattino non è riuscito a salpare… e poi non dite che i tempi sono cambiati.
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Eccomi qui, il 23 agosto, a girare sotto il sole la mia città deserta alla ricerca di un posto per stampare un foglio A4 b/n. Un'etichetta di vinted, per la precisione. Quando chiesi a mio zio se quando capitava potevo mandargli il file e farmele stampare da lui, che abita esattamente sul mio stesso piano, mi fece ben capire che no, era una cosa che gli pesava. Un foglio al mese, anche meno, che poteva lasciarmi sotto la porta, nemmeno la fatica di avere un contatto sociale. Ogni volta che ho un pacco da spedire esco con il pacco, scotch e USB. Stampo e finisco il pacco sul muretto in cui sono ora. Adesso invece, che il posto dove stampo è chiuso, su questo muretto cerco su google dove dovrò andare per un sostituto. Mi chiedo, sempre più spesso, cosa io abbia fatto nelle vite passate per non ricevere nemmeno una briciola di aiuto nemmeno per le più superficiali cavolate, così da aggiungere stupidi e inutili livelli di difficoltà per le cose più semplici.
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⚠️ Un po’ uno sfogo, un po’ un coming out 🏳️⚧️⚠️ possibile TW ⚠️
Riassunto: “sai perché quel giorno mi avevi detto di non avermi mai visto così felice? Perché quel giorno per la prima volta riconoscevo in me la persona a cui la nonna si stava riferendo.”
Non mi sono mai fatto domande sulla mia identità di genere perché era già troppo complicato così. Ci ho messo una vita solo per capire e iniziare ad accettare la mia identità sessuale quindi figuriamoci. Sono nato donna, ho sempre voluto credere che questo andasse bene. Ricordo nettamente una conversazione in macchina con mio papà dove gli dicevo che se già era stato difficile fare coming out come bi, chissà come avrebbe dovuto esserlo come trans e continuavo dicendo “non ci pensare, sono una donna, sono nata così e mi sento così.” Sono quelle cose che mentre le dici pensi “ma che cazzo stai dicendo?” però te le ripeti come un mantra. Sono sempre stato trattato come una femmina. Ho sempre cercato di imitare mio fratello utilizzando le sue felpe, cercando di coprire le mie forme in particolare il seno che ho sempre odiato, ma ho sempre attribuito queste mie scelte al fatto che mi vedessi brutto e che non mi piacesse il mio corpo ma nel senso che mi vedevo grasso. Il che è tutto vero per carità ma non ho mai voluto approfondire, capire se c’era qualcosa in più. Perché lo sapevo ma, faceva troppa paura e dopotutto sono sempre stato trattato come una femmina quindi era facile fare finta di niente (sono piuttosto bravo in questo.) Nessuno si è mai rivolto a me, in una conversazione (vorrei sottolineare questo punto perché per me quando sei in fila per il bagno e ti dicono “guarda che il tuo è quello in parte” non lo è) usando il maschile. Tutto ciò fino a poche settimane fa, quando sono andato a trovare mia nonna e lei mi ha scambiato per un ragazzo e ha iniziato a parlare con me e con le persone intorno come se lo fossi. Tipo “come sta il mio ragazzo?” “Sei proprio bello” “è da un po’ che non ti vedo ma sei cresciuto” “è uno studente all’università sai? Ed è proprio bravo!” ecc. Dopo essere andati via mia mamma mi ha detto una cosa come “non ti ho mai vista così, eri proprio felice di vedere di nuovo la nonna, anche se non ha ben capito chi eri, eh?” Ecco, mia nonna è riuscita ad aprire un cassetto dell’armadio che facevo finta non esistesse, che avevo sigillato. Sentire le parole di mia mamma, tornare alla realtà del “non ti ho mai VISTA” è stato spiazzante. Sarò sempre grato alla nonna per avermi costretto ad aprire ed esplorare quel cazzo di cassetto. Lei l’ha fatto senza accorgersi, inconsapevolmente ma, se non fosse successo così, non so se sarei mai riuscito ad aprirlo. Fa comunque tutto schifo perché ho troppa paura per dirlo ai miei genitori o a a chiunque infatti è la prima volta che ne “parlo”. Fa schifo continuare a sentirsi chiamare con i pronomi femminili dai tuoi genitori e dover rispondere con quelli quando ti riferisci a te stesso con loro. Fa schifo quando esci, fai di tutto per non sembrare una donna ma poi parli, la tua voce ti tradisce e ti senti dire “prego, signora, venga avanti”. Fa schifo aver paura di comprare un binder perché se arrivasse a casa e lo vedessero? Mentre dove vivo adesso non so se posso farmi spedire le cose. Fa schifo avere dei mental breakdown per tutto questo, insieme ai problemi con il cibo che a volte ammetto di avere e altre volte no quindi mi sembra di far finta. Fa comunque tutto schifo. La differenza è che quando la parte più ottimista di me prende il comando, io mi sento bene. Devo evitare di guardarmi allo specchio e ascoltare la mia voce ma quando ci riesco sto bene. Devo evitare di pensare che forse non avrò mai il coraggio fare coming out con la mia famiglia ma quando ci riesco sto bene. Devo evitare di pensare a tutto ciò che bisogna passare prima di poter essere effettivamente riconosciuto come uomo ma quando ci riesco sto bene. Ok, ironia a parte, è vero che almeno un po’, almeno a volte, mi sento bene. Anche solo il fatto di riferirmi a me stesso come “me stesso” mi fa spuntare un genuino sorriso e mi tornano in mente le parole di mamma e vorrei tanto risponderle un giorno dicendole: “sai perché quel giorno mi avevi detto di non avermi mai visto così felice? Perché quel giorno per la prima volta riconoscevo in me la persona a cui la nonna si stava riferendo.”
Grazie per aver ascoltato la mia voce. 💗
Tu che stai leggendo, sappi che ti voglio bene, ti auguro tante cose belle e non sei solx ❤️
#trans pride#trans boy#trans men are men#sfogo personale#coraggio#paura#grazie per avermi ascoltato#ftm
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Andiamo a rubare con Papero - Side lesson - NAT: storia di un improbabile successo - part II
Vi è piaciuta la storia della Internet Inc., vero?
Tanto lo so che se dite NO è solo per cazzimma, quindi lo prendo per un SI'.
Bene. Da quella storia abbiamo capito il perché sia nato NAT (Network Address Translation), ovvero l'esaurimento degli indirizzi IP disponibili, dovuto al fatto che il numero di dispositivi connessi ha superato, da tempo ormai, l'intervallo degli indirizzi ammessi.
Una soluzione definitiva avrebbe richiesto un cambiamento strutturale delle reti, e ovviamente nessun pazzo avrebbe mai fatto passare l'idea di "rifare" Internet, i costi e i disagi sarebbero stati proibitivi. La proposta c'è, venne fatta un paio di anni dopo NAT, si chiama IPv6, ma ormai sono decenni che il processo di migrazione va avanti, e ne richiederà altrettanti. Quindi si andrà di NAT ancora per un po', e questa è una gran rottura di cazzo per noi piratozzi che vogliamo entrare nelle reti altrui. Ma vediamo il perché, e come funziona NAT.
Torniamo all'esempio delle poste.
Il sistema postale è davvero un sistema end-to-end, ovvero voi scrivete una lettera alla persona amata, la infilate in una busta, mittente, indirizzo, francobollo, e via. Come vedemmo alcune lezioni fa, la lettera passerà di mano in mano, di ufficio in ufficio, da un furgone ad un treno ad un aereo, insomma cambierà scatolone, sacco, mezzo di trasporto, ma la lettera in sé con tutta la sua busta, ovvero quella che avete usato voi per scrivere mittente e destinatario, non cambierà mai: al più verranno aggiunte informazioni, ma nessuno si permetterà mai di (a) aprire la vostra busta (b) cambiare gli indirizzi (a meno che non stiate spedendo della cocaina tagliata male).
Il perché sia possibile tutto questo è abbastanza facile da intuire: il vostro indirizzo di casa e quello del destinatario SONO UNIVOCI. Sono unici al mondo, e in teoria ognuno su questo pianeta, ammesso che voglia essere rintracciabile e abbia un luogo ben identificabile, ha un suo proprio indirizzo.
Ecco, Internet nacque con lo stesso principio, ovvero un pacchetto che parte da A e arriva a B passa solo di mano in mano, come vedemmo sempre nella lezione su come viaggia un pacchetto nel pianeta (ricordate il pacchetto blu?), ma A e B non cambiano mai.
Purtroppo per Internet però, rispetto al sistema postale, è avvenuto un guaio brutto, ovvero si son finiti gli indirizzi possibili. Quindi NAT è stata la classica pezza a colori, un imbroglio che ha reso possibile tenere su tutto l'ambaradan senza dover buttare tutto alle ortiche e ricominciare da zero, evitando così il crollo dell'economia mondiale (sì, insomma, più o meno). Tutto questo è avvenuto violando le regole che Internet si era data, ma non c’erano altre strade immediate, che non fosse quella di dover rifare tutto daccapo (ecco perché Tony bestemmiava, Al vomitava e Frankie gongolava).
Per spiegarlo bene, facciamo un esempio, sempre utilizzando le poste.
Torniamo a Rispettabilandia, dove abita Lapo. Lapo continua a comprare la cocaina da Joe, ma nel frattempo si è trasferito in un condominio con altri 100 condomini. Le Poste di Rispettabilandia, poiché a corto di indirizzi da dare ad ogni singola persona, impongono ad ogni condominio di dotarsi di un portiere che gestisca la posta, e questa persona sarà l'unica ad avere un indirizzo postale. Come smazzare la posta all'interno del singolo condominio poi saranno cazzi privati tra il portiere e i condomini.
La soluzione che viene ideata è presto fatta, è tipo il gioco delle tre carte.
Lapo scrive la classica richiesta di cocaina a Joe, usando come suo indirizzo mittente quello dell'appartamento dove vive (piano 3o, scala D, appartamento 23), e come indirizzo di Joe quello suo di residenza. Consegna quindi la busta al portiere.
Il portiere strappa la busta di Lapo, prende la lettera, la infila in una nuova busta, dove è il portiere che scrive a Joe. La lettera che viaggerà in giro per il mondo avrà come mittente l'indirizzo del portiere, e Joe restituirà la cocaina a costui, visto che, dal punto di vista di Joe, chi ha scritto la lettera è stato il portiere, non Lapo. Una volta arrivata la risposta, il portiere, che ha una memoria di ferro e ricorda che è stato Lapo a chiedere quella polverina del demonio, strappa la busta usata da Joe, prende la cocaina, la infila in un'altra busta, come mittente scrive l'indirizzo di Joe e come destinatario l'indirizzo dell'appartamento di Lapo e la consegna a quest'ultimo.
Lapo non si è mai accorto che il portiere ha aperto la busta e ha scritto un'altra lettera: lui ha scritto un messaggio verso Joe e, da quello che si legge sulla busta che ha ricevuto dal portiere, Joe gli ha risposto direttamente al suo appartamento.
Lo stesso farà il portiere con tutti gli altri 100 condomini. Ecco come, da 100 utenti, chi usa alla fine il sistema postale è uno solo, ovvero il portiere. Tutti possono scrivere le lettere, pur avendo un solo indirizzo postale disponibile.
Questo approccio sembra risolvere il problema, e in effetti lo fa, ma pone 3 nuovi problemi:
- non è più vero che tutti gli utenti possono usare le poste: solo il portiere può, in realtà, e questo va contro il principio della raggiungibilità di tutti gli utenti da parte del sistema postale
- il portiere deve taroccare il messaggio del singolo utente, per poterlo spedire: la busta che verrà consegnata alle poste non sarà più quella originale, ma un'altra
- se al portiere viene un infarto durante il viavai della corrispondenza, verranno perse tutte le risposte e i messaggi successivi, poiché solo nella sua testa era memorizzata la mappa di chi aveva scritto a chi, col risultato che quando i destinatari risponderanno, nessuno tra i condomini potrà ricevere le risposte, perché non si sa quella busta del portiere appena ricevuta a chi corrispondeva in origine. In pratica, si dovrà ripetere la comunicazione da zero con un nuovo portiere.
Guardiamo la stessa cosa come avviene su Internet.
Supponiamo di avere questa rete:
Abbiamo 3 dispositivi, un PC, un cellulare e una Smart TV, ognuno col suo indirizzo privato, esattamente come nel caso del condominio. Il router, ovvero il portiere del nostro condominio, ha un suo indirizzo privato (192.168.0.1) compatibile con quello degli altri dispositivi (= condomini), più uno pubblico (74.25.138.15), che gli è stato fornito dal suo provider Internet (= sistema postale).
Vediamo come, con un solo indirizzo pubblico, 74.25.138.15, tutti riescono a parlare con Google. Ipotizziamo che, a farlo, sia il PC:
Avremo 4 pacchetti, A, B, C, D. Il primo pacchetto, A, viene inviato dal PC verso Google, quindi come mittente avrà il suo indirizzo, come destinatario Google. La porta di partenza sarà una porta a caso, quella di arrivo sappiamo che sarà la 80. A questo punto, il router fa la stessa cosa che faceva il portiere con Lapo: prende il messaggio A, ne preleva il contenuto, butta il pacchetto e ne fa un altro, B, mettendoci il suo indirizzo pubblico e un’altra porta di partenza. In più si segna, su una tabella, che alla porta di A corrisponde un’altra porta di B:
Ecco il tarocco, il pezzotto, come si direbbe in napoletano: il router “imbroglia”, altera il mittente verso Google e si segna in un pezzo della sua memoria chi era il vero mittente, usando le porte sorgenti come “chiave” per poter risalire al vero mittente quando riceverà la risposta.
A questo punto il messaggio arriva a Google, e questo risponderà all’indirizzo pubblico del router, ovvero il nostro portiere. Una volta ricevuta la risposta, il router guarderà nella tabella, sa che se riceve una risposta sulla porta 3474 allora è il pacchetto che aveva inviato il PC dalla 1725 e “ritarocca” il messaggio:
Una volta inviato il messaggio di risposta al PC, il router cancella la riga dalla tabella, poiché il lavoro è stato fatto.
Se guardate il primo e ultimo pacchetto, A e D, ovvero quello che il PC ha inviato e quello che ha ricevuto, è come se la comunicazione fosse avvenuta tra il PC e Google, della presenza del router il PC non se ne è nemmeno accorto:
Lo stesso procedimento avviene per il cellulare, la Smart TV, e qualsiasi altro dispositivo. Nel caso della nostra rete, con un solo indirizzo pubblico permettiamo a 3 dispositivi di navigare. Ecco come la Internet Inc. è riuscita a fregare tutti, vendendo la lana per la seta.
Perché ci va a quel posto a noi hacker professionisti? Bene, facciamo un altro esempio.
Supponiamo che Google si penta di averci risposto in modo così cafone e decida di inviarci un pacchetto di scuse, dopo un po’ di tempo:
Google scrive al nostro router, ovvero il nostro portiere, ma stavolta di sua iniziativa, senza che nessun dispositivo interno abbia mai iniziato alcuna connessione. Lo capite guardando dalla tabella NAT cosa succede adesso: il router non sa cosa fare. Non è mai partito alcun messaggio dall’interno verso l’esterno, e il router, non avendo alcuna traccia nella propria memoria, non sa a chi debba essere recapitato questo messaggio, se al PC, al cellulare o alla Smart TV. L’unica cosa che può fare è rifiutare il pacchetto di scuse.
Ecco perché adesso diventa un problema per una persona esterna (ovvero noi) che fa port scan: se non esiste una configurazione che indichi al router verso quale dispositivo all’interno della rete sono diretti i messaggi che arrivano dall’esterno, questi verranno semplicemente ignorati, quindi tutti i dispositivi saranno irraggiungibili dall’esterno.
Badate che questa presunta sicurezza (e lo vedremo nella prossima parte perché presunta) è stata solo una botta di culo. Inoltre l’obiettivo teorico di IPv6 sarà quello di ripristinare il funzionamento ordinario di Internet, dove ogni dispositivo sarà connesso, non ci sarà più alcun tarocco di pacchetti e, se il router si riavvia, le connessioni riprenderanno esattamente dal punto dove erano rimaste. NAT ha risolto un problema urgente, ma ne ha creati altri, soprattutto con le nuove tecnologie tipo VoIP, dove è necessario che alcune connessioni partano dall’esterno, e con NAT hanno smesso di funzionare (si è poi dovuta trovare la pezza alla pezza per far tornare a funzionare tutto, complicando ancora di più le cose), ecco perché IPv6 è la soluzione di tutti i mali, e una nuova chance (teorica) di piratare mezzo mondo :)
Prima di chiudere questa lezione, a titolo di disclaimer, chiedo scusa a Paul Francis, NTT PF Labs, per averlo trascinato come personaggio nella mia scorsa storia completamente inventata di sana pianta. Francis e Egevang pubblicarono, con RFC 1631, nel maggio 1994, lo schema di funzionamento del NAT, che potete leggere nella sua forma integrale qui:
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quindi la più grande novità qua su tumblr degli ultimi mesi è che adesso i robot hanno scoperto gli occhiali da sole, i rayban poi che fanno proprio cagare, ma come cazzo gli viene, io me li immagino questi server giganteschi di bot che vogliono conquistare il genere umano e che fanno riunioni dove dicono (tradotto dal linguaggio binario): - li stiamo perdendo - non funzionano più i gattini - non funzionano più i seni, sono stati respinti - errore, errore, errore, perdiamo il controllo - gli umani stanno perdendo interesse - come fare - pensare come un umano - inziare sequenza pensieri umani - fame, ho fame - impossibile spedire cibo - sete, ho sete - imbossibile spedire liquidi - sesso, voglio sesso - sesso cancellato - voglio essere bello - come essere bello - moda, voglio moda - cosa essere alla moda - Tom Cruise in Topgun - piace molto agli umani - vero, piace molto agli umani - provare nuova tattica! ma porca troia ma devo essere io a dirvelo: dateci la droga, ma la droga vera, non sta cazzata, volete fottere l’umanità non vendetegli gli occhiali, se mi arriva uno spambot che mi dice che se clicco qua ricevo droga a casa senza problemi ma io non solo ti do l’indirizzo ma ti do anche il mio corpo fanne quello che vuoi.
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A dopo...
Mi serve una busta da lettera. In formato A4. Perché devo spedire della carta inutile a un ente. E allora adesso mi preparo e vado a cercarla. A più tardi.
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Doc,ma spesso ti ho letto scrivere che sei stanco,depresso oggi anche stronzo con i problemi!Non ti chiedo *tutto ok?* ma se il (non)dottore aiuta gli altri chi aiuta il (non)dottore? Hai bisogno di un professionista? Ovvero cosa consiglieresti a te se te ti scrivessi i problemi che scrivi
Stronzo era un iperbole per dire che Gandalf senza dubbio è il mio modello di vita ma che se volete passare indenni attraverso il ponte di Khazad-dûm, forse è meglio che il Balrog impariate a creparlo di mazzate da soli... al massimo io vi posso suggerire come evocare la Fiamma di Anor e come chiedere a Eru Ilúvatar di farvi tornare indietro al mutare della marea.
Mia figlia grande aspetta da 9 mesi che le confermino il contratto a tempo indeterminato e tutte le volte che sta per firmare arriva un lockdown o un DPCM che manda in cassa integrazione qualcuno e non la possono assumere.
Mia figlia piccola è stata presa in giro da adulti che si dovevano occupare della sua istruzione e della sua formazione emotiva e ora lotta quotidianamente con il danno della lontananza dagli affetti e dalle amicizie... e quando dico ‘lotta’ parlo di grossi problemi, non di lagne adolescenziali.
La mia compagna - poco prima di questa pandemia - ha visto morire la madre soffocata nel proprio sangue davanti ai suoi occhi, senza poterla salutare un’ultima volta, e ancora adesso non se ne fa una ragione... le sue figlie stanno per andarsene via a vivere la loro vita di adulte e lei sente di non avere più nulla.
Potrei spedire a strafare in culo un buon 80% di gente che mi rompe il cazzo con le proprie seghe mentali pretestuose E INVECE è nella fatica della sopravvivenza quotidiana che trovo un senso alla sofferenza condivisa... non siamo tutti sulla stessa barca perché nonostante tutto la mia ha gasolio per il motore, vele robuste e uno scafo ben calafatato, però siamo tutti nello stesso mare in tempesta e io non ho nessuna intenzione di navigare in solitaria finché tutte le cazzo di barche - dalla più scatafasciata alla più veloce - non siano in un porto sicuro.
L’avro detto un milione di volte e lo ripeterò finché non mi cacceranno addosso due metri cubi di terreno
Umuntu ngumuntu ngabantu
Questo è quanto.
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Poteva capitare - finalissimo.
Oggi, dopo 3 giorni di attesa, la tipa mi ha risposto che distruggeranno i semi e mi ha intimato di non comprarne più, allora ho ragione a dire che sono idioti e che magari sta qua non ha neanche letto quello che le ho scritto; poi mi ha dato il link al loro sito per visionare le merci che posso farmi spedire, e questo denota il suo classismo perché mi stai prendendo per idiota, ti sembra che non ho capito? Cmq per continuare la mia linea le ho scritto che avevo capito come avevo precisato nell'email precedente, volevo rafforzare questo punto scrivendogli che se non l'ha letta la rivada a rileggere che male non le fa, poi ho pensato che chi cazzo se ne frega tanto con le email è tutto documentato e ho finito ringraziando e ciao.
Non avrò ritorsioni a quanto pare da parte della polizia, non l'ha specificato ma penso che non mi verranno a fare visita per sta volta, una semplice ammonizione data dal sequestro preventivo, e torno a ripetere che ci sono personaggi che spacciano chilogrammi ogni mese, va bè. Quindi aspetterò un paio di mesetti massimo e poi userò quei 4 semi per farmi quei 3/4 g di erba buona fatta in casa, e dovrò alimentare il mercato nero perché alla fine voglio farmela qualche canna.
Il problema ora è "se non posso prendere i semi dall'estero e non penso che li troverò qua in estonia, come faccio?" Le alternative sono due: 1. Che magari una delle piante è maschio e quindi se ho anche la femmina posso avere i semi. 2. Provo a fare i cloni, anche se a quanto ho capito è difficile perché bisogna avere un ambiente a parte molto umido (90%) e con luce.
Adesso questa mi sembra la soluzione più logica, primo perché spero che i 4 semi siano tutte piante femmina, se devo tenere il maschio solo per l'impollinazione perdo spazio, secondo perché così posso continuare all'infinito, sempre se riesco a fare i cloni come si deve.
Vedrò di risolvere anche questa cosa.
Concludendo questa storiaccia che mi ha visto privato dei semi, che di per se non contengono nessuna sostanza psicotropa ma che è stato più un sequestro preventivo, e che ho perso dei soldi 67.21€, ci prendevo 3g di erba super dagli spacciatori locali, e che da ora in poi non potrò più comprare semi, di sicuro mi controlleranno anche i pacchi che mi arriveranno a breve, mia sorella e un regalo che ho comprato per un amico, detto questo passo e chiudo e vaffanculo a leggi di merda fatte per accontentare i mafiosi e i produttori di alcolici.
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Io che tra la notte tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020 pensavo "questo 2020 sarà sicuramente interessante: nuove esperienze, magari nuove amicizie,spero di laurearmi, il compleanno avrà una cifra buffa, ci saranno un sacco di cerimonie da fare, magari riuscirò a rimettermi in forma e sarò felice"
Fino a febbraio tutto bene, tranne per le crisi d'ansia della sessione di gennaio... che lasciamo stare. PERÒ ho iniziato una relazione seria e avevo iniziato a mangiare sano e BERE tanta acqua. Avevo superato tutti gli esami con voti discreti tranne per quel 24 maledetto schifoso in storia moderna 3.
Poi arriva la pandemia confermata, la chiusura in casa... le lezioni online... non posso vedere nessuno per mesi. Ore ed ore passate al PC (dalle 8.30 alle 23) registrazioni da ascoltare, fotocopie da farsi spedire a casa... fame nervosa
E prendo peso
E smetto di bere acqua
Non vedo più il mio ragazzo
Iniziano gli attacchi di panico perché oltre agli esami da fare si aggiunge la tesi a cui iniziare a pensare... il relatore da cercare e i colloqui solo via Skype per parlare di tesi e argomenti ci vogliono gli appuntamenti e il tempo passa.
Arriva giugno si fa un mese di esami
Poi il b2 di inglese senza il quale la laurea non si fa
Conversazioni private con una ex insegnante e via
Esami finiti
Si pensa alla tesi
Intanto è estate e qualche giretto qua e là anche se breve è stato fatto
Finisco la tesi a ottobre e a novembre ricevo una mail in cui mi danno il voto di laurea. Proclamazione spostata alla sessione successiva di marzo... forse.
Inizio a pensare a cosa fare
Vuoto totale.
Provo a vedere un corso di magistrale ma a distanza è un macello
Opto per il lavoro
Laureata da due mesi
Cv inviati? Credo una 60ina
Colloqui? 4
Tutti a vuoto
Chiusi un casa ancora
Depressione che avanza
E mi chiedo...
2021 sarai peggiore o qualcosa si risolverà?
Il 2020 mi ha delusa perché avevo tanti progetti e tante speranze
Volevo essere felice per una volta dopo tanto tempo
E invece mi ritrovo a pensare ai miei insuccessi nella vita
Come ogni fine anno
E sono tanti
Troppi
E mi chiedo
E adesso?
Già... e adesso?
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Una studentessa al Corriere della Sera, lettera aperta Milano, 5 marzo 2020 Non so voi, ma io ho la tendenza a vivere le situazioni incerte e potenzialmente pericolose come se non mi riguardassero; le assimilo a nubi gonfie di pioggia, a lontane manifestazioni meteorologiche destinate a dissolversi prima di raggiungere me. Che si tratti di un meccanismo di autodifesa, di semplice istinto umano o di pavidità, questo è stato il mio più spontaneo pensiero nel confrontarmi con la minacciosa nube-COVID-19: c’è da averne paura, certo. Ma non capiterà a me. Bene, oggi sono qui, semi seduta nel mio letto d’ospedale, a parlarvi di come io sia stata ricoverata, in isolamento causa sospetto COVID- 19, al Sacco di Milano; con la speranza che l’informazione aiuti a smitizzare ansie e paure, a comprendere meglio il procedimento dietro ogni diagnosi e a gettare un po’ di luce sul clima che si respira, oggi, negli ospedali, tra chi è impegnato in prima linea per fronteggiare una vera e propria emergenza nazionale. Sono arrivata in ospedale alle 18.45 di lunedì 2 marzo. Dalla settimana prima soffrivo di quelli che, grazie a internet e ai telegiornali, abbiamo imparato a riconoscere come i sintomi del Coronavirus (che, nei casi più blandi, pare non si discostino molto dai sintomi della più comune influenza): febbre, tosse secca e insistente, cefalea a intermittenza, dolori diffusi, ma, soprattutto, un senso di costrizione al petto, come se non riuscissi mai a respirare al pieno della mia capacità polmonare, nonostante le cure prescrittemi dal mio medico di base e una dose quadrupla di formoterolo e budesonite, i miei quotidiani farmaci per l’asma. Così, nel corso di una mia crisi respiratoria, lunedì pomeriggio la mia famiglia ha preso per me la decisione di chiamare il 118: nell’arco di dieci minuti, due operatrici sanitarie, mascherine ffp3 a coprire loro naso e bocca, erano già all’opera nel provarmi febbre, pressione e saturazione, nel farmi indossare a mia volta una mascherina e nell’approfondire la mia sintomatologia, oltreché eventuali contatti avuti con persone provenienti dalle cosiddette zone rosse - contatti, questi, impossibili da ricostruire con certezza per chiunque, come me, frequenti l’università a Milano e prenda abitualmente i mezzi pubblici. Quindi, le operatrici si sono messe in contatto con il Servizio Sanitario Nazionale, al quale hanno riportato tutta la mia anamnesi. Ho capito che mi avrebbero ricoverata, e dove mi avrebbero portata, sentendo la voce all’altro capo del filo prescrivere alle operatrici di procedere con la - loro - vestizione; terminata la quale (che mi ha garantito un minimo margine di tempo per racimolare un pigiama, spazzolino e dentifricio e qualche libro), senza tante spiegazioni né, tanto meno, rassicurazioni, sono stata caricata su un’ambulanza diretta al Sacco. Una volta all’ospedale, ad accogliermi sono stati degli infermieri dotati di tute, copriscarpe, mascherine, cuffie e guanti, che mi hanno subito fatta accedere a una stanza di biocontenimento, il primo impatto con la quale non è stato rassicurante: sulla porta spiccava il simbolo del biohazard, un cartello informava che in quegli scarsi due metri per tre potevano sostare massimo tre persone per volta perché venisse rispettata una distanza di sicurezza di due metri, e un altro ancora che per comunicare con il personale medico bisognava premere un pulsante. Sedie di plastica, nessun tavolino, una porta a chiusura ermetica, un calorifero da campeggio per mantenere una temperatura accettabile malgrado il vento che filtrava da sotto la porta; seduta in un angolo, anche lei in attesa, c’era una donna, quando sono arrivata dormiva, poi mi ha detto di essere in attesa di una stanza, poi si è addormentata di nuovo. Le ore trascorse in quella saletta sono state le più lente del mio ricovero - adesso, col senno di poi, penso che fosse anche perché non sapevo bene cosa sarebbe successo poi: nessuno me l’aveva anticipato, non c’era l’ombra di un medico, li pensavo impegnati altrove, con persone più gravi e sofferenti di me, eppure non riuscivo a smettere di chiedermi dove fossero tutti. Poco dopo mezzanotte, mentre provavo a dormire sdraiata alla bell’e meglio sulle sedie, la porta chiusa ermeticamente si è aperta, e per un istante ho creduto di stare vivendo un film: davanti a me c’erano tre medici, e il mio primo pensiero è andato agli astronauti pronti a un volo nell’interspazio; erano così ugualmente impersonali, coperti e mascherati a quel modo, che mi riusciva difficile distinguerli l’uno dall’altro, o capirli perfettamente quando parlavano. Mi hanno fatta sdraiare su un lettino, e rivolto pressappoco, per metterle a verbale, le stesse domande che mi erano già state fatte; mi hanno misurato la temperatura, la pressione, il livello di ossigeno nel sangue; quindi un prelievo, e una radiografia al torace; e, infine, il tampone per verificare la positività o meno al COVID-19. La denominazione precisa è quella di tampone rino-faringeo; confesso di non essermi mai interrogata sulla natura di questo esame, prima di doverlo fare, e di aver erroneamente dedotto che mi avrebbero estratto un tampone di saliva dalla bocca. In realtà, il tampone rino-faringeo consiste, invece, nel prelievo di materiale esaminabile con l’aiuto di quello che sembra un cotton fioc di circa quindici centimetri di lunghezza; lo strumento viene inserito prima in una narice, poi nell’altra, e il risultato è una sensazione di dolore misto a fastidio, oltre che alla tentazione di starnutire. Tutti e tre i medici sono stati, nel corso dell’intera procedura, estremamente gentili e umani, nel tentativo di distrarmi, e persino di farmi sorridere; non l’ho dato per scontato, non a mezzanotte passata, non dopo chissà quanti altri tamponi ed esami fatti. Questo genere di persone, chi continua a fare bene il proprio lavoro anche in situazioni di stress, ritmi serrati e allarmismo, sono coloro che più si avvicinano alla mia definizione di eroi moderni. A esami conclusi, e sempre con l’equipaggiamento - mascherina, guanti, copriscarpe - del caso, sono stata trasferita nell’area destinata alla degenza dei pazienti in attesa del risultato del tampone. In tempi normali, per esaminare un tampone bastano tre ore; all’inizio dell’epidemia di Coronavirus in Italia, intorno al 21 febbraio, la media dei tempi di attesa era di circa sei ore; oggi, complice la grande quantità di tamponi realizzati ogni giorno, i tempi di attesa [n.d.r.: almeno per quanto riguarda il Sacco, il cui team di infettivologi esamina i tamponi in loco, senza doverli spedire altrove] possono dilatarsi fino alle quarantott’ore. Non sapevo, inizialmente, quanto avrei dovuto aspettare; a dire il vero, l’idea dell’attesa, una volta entrata finalmente nella mia camera, non mi pesava neppure. Le camere dei pazienti per i quali non si può escludere il contagio da COVID-19 sono singole, e strutturate come normali camere d’ospedale, non fosse per l’anticamera - in gergo: il filtro - che le separa dal corridoio del reparto, nella quale ai pazienti è vietato sostare: il filtro è dove gli infermieri depositano i pasti per i degenti; una volta usciti gli infermieri, i pazienti possono recarsi nel filtro, con mascherina e guanti, e portare in camera i pasti. Una volta in camera, possono stare senza maschera e guanti; prima che qualcuno entri nella stanza, vengono avvisati tramite interfono, e viene loro prescritto di indossare guanti e mascherine e di muoversi il meno possibile. I contatti con il personale medico sono ridotti all’osso: due volte al giorno, alle tre del pomeriggio e alle otto di sera, ai pazienti viene richiesto di provarsi la febbre, e di comunicare tramite interfono la propria temperatura corporea. Per quanto mi riguarda, ho ricevuto la visita di un medico solo il primo giorno, perché avevo la febbre alta; i restanti due, alle sei del mattino, quella di un’infermiera che passava a misurarmi la saturazione e a valutare le mie condizioni di salute. A chiunque vedessi chiedevo con ansia degli esiti dei miei esami, che tardavano ad arrivare. Attraverso le pareti sottili trapelavano i rumori dell’ospedale intorno: le chiacchierate al telefono della signora nella camera accanto alla mia, risultata positiva al COVID-19 benché asintomatica; i colpi di tosse di altre due, forse tre persone. Dall’unica finestra, priva di maniglie e impossibile da aprire, come quelle dei grattacieli, non vedevo niente, perché il vetro era smerigliato e opaco. Avevo come l’impressione di essere sospesa fuori dal mondo. Nelle circa trentasei ore di attesa del risultato del mio tampone, oltre a leggere e a tenermi informata, tramite social media, su quello che avveniva fuori, ho pensato principalmente due cose: uno: visto dall’interno, il COVID-19 sembra destare serie, serissime preoccupazioni; due: Dio benedica la sanità pubblica. Quanto alla prima affermazione, posso solo che motivarla dicendo che la mia percezione - la percezione non di un medico o di un virologo, ma di una comune cittadina che si sforza di tenersi costantemente informata sui fatti - è stata quella di una situazione di indubbia emergenza: le misure prese nei miei confronti sono state onnipresenti, calcolate al millimetro, restrittive a dir poco. Percepivo la cautela, il professionalissimo timore negli sguardi degli infermieri, la loro volontà di trattenersi il meno possibile nella mia camera; la stanchezza, anche. La prima notte, l’infermiera che mi ha accompagnata in radiologia mi ha detto, mantenendo accuratamente la distanza di sicurezza di due metri: «In questi giorni sto ringraziando di non avere famiglia: i miei colleghi non riescono più a vedere mogli e figli. Non sanno che turni avranno, quando potranno dormire». Aveva gli occhi cerchiati e violacei, sopra la mascherina. Eppure era premurosa e attenta, mi ha chiesto quanti anni avessi, che scuola facessi, ha sorriso all’idea che fossi più grande di quanto pensasse; e premurosi lo sono stati tutti, sempre, a discapito di tutto. L’idea che in molti lottino da settimane e in silenzio, mettendo a repentaglio salute, ritmi di vita e legami affettivi dovrebbe aiutarci a ridimensionare il fenomeno, a capire che le persone coinvolte, al di 2 là dei veri e propri malati, di quelli che purtroppo sperimentano il COVID-19 sulla loro pelle, sono molte di più; che questa guerra riguarda noi, tutti noi, e non soltanto gli altri. In secondo luogo, si diceva: Dio benedica la sanità pubblica. Non oso immaginare quanto il mio ricovero di tre giorni mi sarebbe venuto a costare se fossi stata, mettiamo, una cittadina dello Stato di New York: sei, settemila dollari? Ottomila? Il solo tampone rino-faringeo avrebbe sfiorato i tremila dollari; è facile tirare le somme, e concludere che una buona fetta della popolazione americana, con grande gioia del COVID-19, non potrà permettersi l’esame. Il nostro diritto alla diagnosi è alla portata di tutti, ed è giusto che sia così; ma non si dovrebbe dare per scontato, perché scontato non è. Quanto a me, oggi, in data 4 marzo, a distanza di quasi trentasei ore, è arrivato l’esito del mio tampone: negativo. A comunicarmi il risultato sono stati due medici giovanissimi, forse specializzandi; hanno aperto la porta della mia stanza senza paura, sorridenti, quasi espansivi, hanno detto: «Portiamo buone notizie.» Li ho ringraziati con la stessa gratitudine che avrei voluto dimostrare a ogni medico, a ogni infermiere. In risposta loro mi hanno visitata, ancora una volta; mi hanno detto di prepararmi, che mi dimetteranno di qui a un’ora, un’ora e mezza. Ho ancora un po’ di tosse, ma niente più febbre. Io e i miei polmoni asmatici ce ne andremo di qui leggeri come non mai. Questa stanza verrà pulita, disinfettata, cambieranno le lenzuola, svuoteranno i cestini. Sarà presto pronta per qualcun altro. #ospedalesacco #coronavirus #covid-19
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