#società vita apostolica
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🇻🇦 Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica: Papa Francesco nomina una suora, Simona Brambilla, Prefetto dell'ufficio che coordina i religiosi del mondo. È la prima donna nella chiesa a capo di un dicastero..
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Sentimenti antioccidentali e populismo internazionale
Ogni scusa è buona per dare addosso all'Occidente. Il mito antioccidentale aggiunge al classico campionario delle accuse anche quella climatica. Il tribunale green e woke persuade personaggi sempre più autorevoli e sbarca fino in Vaticano. «Se invoco il giudizio finale del Signore è solo per rispetto delle vittime, sapendo bene che – in quanto occidentale privilegiato – io appartengo ai carnefici». Così sentenziava nel 2004 Enzo Bianchi, all’epoca priore della comunità di Bose, allineandosi alla schiera dei cattolici italiani che già allora condannavano senza possibilità di remissione l’Occidente, militanti in prima linea nella quinta colonna, nel fronte interno che dal secondo dopoguerra ha scelto di descrivere l’Occidente come la peggiore delle civiltà, di far credere che sia responsabile – per avidità, egoismo, assenza di valori umani – di tutti i danni e le sofferenze dell’umanità nei secoli. L’intenzione è che chi nasce in Occidente si vergogni, si senta in colpa, disprezzi se stesso e le generazioni che lo hanno preceduto e chi vive oltre i suoi confini nutra sentimenti sempre più ostili, di rivalsa nei suoi confronti e si senta legittimato a combatterlo. Molti oggi sono convinti delle “colpe” storiche che gli vengono attribuite: tratta transatlantica degli schiavi africani, invasione e colonizzazione degli altri continenti, sfruttamento e depredazione delle loro risorse, imposizione di inaudite discriminazioni di genere. Nel frattempo a queste è stata aggiunta l’accusa, che in un certo senso le riassume tutte, di inquinare irrimediabilmente il pianeta e di provocare cambiamenti climatici gli irreparabili effetti avversi dei quali ricadrebbero su popolazioni innocenti. Gli argomenti degli attivisti antioccidentali hanno via via persuaso personaggi sempre più autorevoli per carica, ruolo e posizione sociale. «Sono profondamente consapevole dei miei limiti personali. Sono anziano, bianco, occidentale e uomo! Non so che cosa sia peggio! Tutti questi aspetti della mia identità limitano la mia comprensione. Vi chiedo quindi perdono per l’inadeguatezza delle mie parole». Pronunciate sul serio o per rompere il ghiaccio, è con queste frasi inopportune che il frate domenicano Timothy Radcliffe ha introdotto la sua prima meditazione il 1° ottobre rivolgendosi ai partecipanti all’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi.
Su temi di importanza cruciale persino il Papa, suprema autorità morale, dimostra quanto profondamente le ideologie antioccidentali abbiano cambiato la rappresentazione dei fatti. In Laudate Deum, l’esortazione apostolica sulle questioni ambientali rivolta «a tutte le persone di buona volontà», dopo aver liquidato come «sprezzanti e irragionevoli» le opinioni di chi dà credito agli innumerevoli scienziati che ritengono mera congettura la teoria del riscaldamento globale di origine antropica e, dati alla mano, respingono quella secondo cui i fenomeni atmosferici estremi si siano moltiplicati, afferma: «un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra. I gruppi umani hanno spesso creato l’ambiente, rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo e metterlo in pericolo». Invece, prosegue, sono un «fatto innegabile» le conseguenze negative dello «sfrenato intervento umano sulla natura negli ultimi due secoli». Laudate Deum termina con la denuncia esplicita dello «stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale». La capacità delle società indigene di vivere in armonia con la natura è un mito usato per denunciare quello occidentale come un modello di sviluppo che produce ricchezza violando la natura. L'usura delle terre africane, ad esempio, la loro fragilità sono il risultato di un processo millenario. Derivano dal loro sfruttamento senza apporti di fertilizzanti, senza effettuare opere di bonifica, di raccolta e canalizzazione delle acque piovane, quasi senza aiuti animali e meccanici, utilizzando attrezzi rudimentali. Una delle conseguenze più evidenti è l'estensione del deserto del Sahara formatosi circa 10.000 anni fa a causa di variazioni climatiche che l'uomo, nei secoli, ha assecondato invece di contrastare. Nella sua visita a Marsiglia il 22 e 23 settembre, parlando con il presidente francese Emmanuel Macron e con il ministro dell’interno Gèrald Darmanin, il Papa invece ha affrontato il problema dell’emigrazione. La chiusura del porti, l’indisponibilità ad accogliere, ha detto, è la naturale conseguenza del ricorso a un lessico emergenziale, all’uso di espressioni come «invasione» ed «emergenza» che «alimentano le paure della gente»; non quindi del fatto che si tratti di ingressi illegali che solo in minima parte si giustificano per condizioni disperate. Ma soprattutto hanno colpito le sue parole contro l’Europa sulla quale – ha detto – ricade la colpa dell’immigrazione illegale perché «il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà». Non considera il Papa, sopraffatto dalle rappresentazioni parziali dell’attuale assetto mondiale, quanta povertà affligge l’Europa, quanti europei si ingegnano con crescente difficoltà a far bastare il denaro di cui dispongono, quanti ogni mattina consultano le app che aggiornano sulle offerte nei supermercati dei prodotti di prima necessità, senza però che arrivino a soccorrerli migliaia di organizzazioni non governative e di dipendenti delle agenzie Onu e anzi raggiunti da continue richieste di aiuti per quelle che operano in altri continenti. Né considera quanta opulenza ostentata, per giunta frutto di ricchezze mal guadagnate, e quanto spreco di risorse gridano giustizia sull’altra sponda, quella africana. Tutto concorre a far credere che solo l’insicurezza dell’Occidente, la sua destabilizzazione possano portare giustizia, mentre il modello occidentale così tanto criticato, per i suoi valori fondanti dovrebbe essere invece indicato a esempio perché proprio negli ultimi due secoli è riuscito a lottare contro la povertà, a prolungare la vita, a consentire di viverla in condizioni migliori. Ma soprattutto – cosa che nessuno dice o rivendica mai – perché è l’unico modello di società che afferma come principio irrinunciabile il diritto di ognuno a contribuire con il suo lavoro e i suoi talenti alla creazione della ricchezza e a goderne i frutti. Read the full article
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La missione pontificia che indaga sugli abusi della congregazione peruviana Sodalicio prepara un rapporto con i racconti delle vittime
Pedro Salinas è agnostico, ma da decenni attende un miracolo: la soppressione del Sodalicio, la congregazione religiosa che lo ha manipolato durante l’adolescenza e la prima giovinezza. Vale a dire che perde l’approvazione canonica che Papa Giovanni Paolo II le diede nel 1997, conferendole lo status di società di vita apostolica, e i suoi membri vengono giudicati come civili e non si nascondono…
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Quando Padre Pio convertì al Cattolicesimo una famiglia di “ortodossi”
Un episodio della prodigiosa vita di Padre Pio per ricordarci che solo la Chiesa Cattolica Apostolica Romana è la vera Chiesa di Gesù Cristo ed il suo Corpo Mistico, fuori dalla quale non vi sono che sette di perdizione!
La storia della conversione di un’intera famiglia di ortodossi operata da Padre Pio. Il racconto è della signora Rina Caterinovich, che fu la prima a convertirsi. Lo trascrivo da Il Messaggio di Padre Pio di K. Tangari (M. D’Auria ed. Napoli):
«Partii con una mia amica, cattolica di pochi anni, per San Giovanni Rotondo. Abitavamo a Capri dove, da diversi anni, avevamo sentito parlare di Padre Pio, delle conversioni e guarigioni da lui operate. Appartenendo alla Chiesa ortodossa greca, ai santi viventi ai miracoli poco credevo. Ma a Capri conobbi un’inglese convertita da lui, due olandesi protestanti ugualmente convertiti e molto entusiasti di Padre Pio. La mia curiosità di conoscerlo divenne vivissima: volevo conoscere un vero “santo”, volevo vedere qualche cosa di “straordinario”. Romena di nascita, ero praticando della Chiesa ortodossa, ma come tutti gli ortodossi senza vero misticismo, perché se la religione ortodossa conserva dogmi quali ha la religione cattolica, in pratica i sacerdoti stessi non sembrano convinti che nella Santa Comunione riceviamo Gesù vivo. La confessione anche non è che una forma che non libera l’anima dall’oppressione e dal male. Già da quando avevo iniziato i miei studi universitari capivo che non avrei potuto credere come prima, perché la Chiesa ortodossa non appaga quelli che vogliono spiegazioni e che hanno bisogno di aver illuminata l’intelligenza. Non essendo mai riuscita a fare alcuna cosa senza convinzione, abbandonai le pratiche religiose. Prima di sposarmi dovetti confessarmi e fare la Comunione: ero a Roma ed il sacerdote era una persona coltissima, di alta società: credetti di trovare in lui quel che cercavo, cioè spiegazioni e schiarimenti, ma qui pure fui delusa: fu quella la mia ultima confessione. Per diciotto anni non andai in Chiesa, neppure facevo il segno della croce, però in certi periodi pregavo più per affetto verso i miei cari, che in omaggio alla divinità. Mii interessavo invece alle diverse correnti spirituali, leggevo molto e mi appassionai in particolar modo ai libri della religione indiana. È lungo tracciare le vicende della vita spirituale che ho trascorso in questi diciotto anni. La guerra mi riportò a Dio, ma non alla Chiesa; ritenevo sempre che bastasse vivere bene, cercare la verità e pensare che Iddio è amore infinito: null’altro. Quando mi recai da Padre Pio non pensavo a divenire cattolica, né sentivo il bisogno della Chiesa. Avevo pregato la mia amica di domandare a Padre Pio se potevo confessarmi, sicura che non ne me lo avrebbe rifiutato; invece la risposta fu negativa. Ed eccomi ad assistere alla sua Messa durante la quale una profonda commozione mi pervase, con pianto continuo per il dolore inconsolabile della mia miseria, dei miei peccati, e dell’essere fuori della Casa di Dio. Il dolore di non aver la vera patria mia sulla terra: eppure ne ho due di patrie qui, che amo una più dell’altra: l’Italia, mia patria spirituale, e la Romania che mi ha dato la vita. Un cattolico si sente sempre a casa sua, sia in estremo Oriente sia a New York o in qualunque cittadina del mondo, ove esiste una chiesa cattolica: io questa casa non l’avevo, dovevo rimanere fuori della porta! Quando potetti avvicinare Padre Pio, ebbi una seconda volta un pianto dirotto (io mai piangevo facilmente dinanzi alle altre persone). “Perché piangi così?” mi domandò Padre Pio. “Perché non sono cattolica” fu la mia risposta, non voluta e non pensata. “E chi ti impedisci di esserlo?”. Esposi alcuni miei dubbi, ma Padre Pio disse che il dubbio era inutile, perché il Signore mi voleva. Mi spiegò lui stesso in un piccolo catechismo che mi offrì le preghiere che avrei dovuto imparare: mi parlò semplice come ad una bambina. E quando gli chiesi se dovevo prepararmi prendendo delle lezioni, mi disse: “Bisogna amare, amare, amare e niente più”. Era il 5 ottobre 1923. Non sentivo e non vedevo in lui ciò che tanti avevano visto; soltanto che vicino a lui sentivo più vivo il desiderio di accostarmi alla Santa Comunione, sentivo che la vita senza Santa Comunione non è più vita, e che i cattolici erano felici di poterla avere, mentre io ne ero priva. Capii allora che di tutte le chiese sola la cattolica è quella che aiuta veramente a seguire Gesù, quella che ci sostiene, ci incoraggia, ci aiuta nella vita di tutti i giorni. L’ortodossia non mi dava invece ami nulla. Non ho mai sentito in nessun posto del mondo come a San Giovanni Rotondo, quanto siamo lontani da Colui che ha dato tutto se stesso per salvarci! Non ho cambiato religione perché il rito della Chiesa Cattolica mi sia piaciuto di più, ma perché avendo anche un corpo, non posso vivere solamente con lo spirito, ed ho bisogno quindi di un aiuto che solo la Chiesa Cattolica può dare, l’unica che abbia conservato lo spirito di Cristo e che aiuti a seguirlo. Trascorsi l’inverno preparandomi “al gran passo” tra i pericoli di lotte interne, di tentazioni e di prove; ma chiedendo sempre l’aiuto del Signore. Nella primavera del 1924, il 10 aprile, tornai a San Giovanni Rotondo con la mia vecchia zia che mi aveva allevata, e con la quale ero tanto unita spiritualmente e con la mia figliuola. Il 12 feci l’abiura nelle mani del padre guardiano, la confessione generale ed il 13 finalmente mia accostai alla Santa Comunione, che da quel giorno è diventata il mio più grande sostegno, la mia forza, la mia consolazione nelle molte prove e tribolazioni avute in questi ultimi anni. In quel giorno il Signore mi concesse un’altra grandissima gioia, la conversione inaspettata e miracolosa della mia zia-mamma. Carattere leale, sincero e onesto, donna di fede purissima, era intransigente per sé e per gli altri. Ortodossa convinta, considerava di cambiare religione come una mancanza di fedeltà, un disonore, una bassezza. Sofferse molto per la mia decisione, senza dirmelo (lo seppi dopo la sua conversione). Il primo giorno andò al Convento, parlò con Padre Pio, ma rimase scossa e mal impressionata dalle sue parole. Siccome le avevano detto che Padre Pio non spingeva nessuno a farsi cattolico, alla domanda di lui: “Mi vuol seguire?” rispose di no, dicendo che aveva compreso che Iddio è Uno e che la Chiesa pure dovrebbe essere Una, ma poiché sentiva che la sua religione era molto vicina alla cattolica comprendeva essere lei troppo vecchia ormai per mutare religione, tanto più che facendo questo avrebbe arrecato troppo dolore ai suoi parenti. Allora Padre Pio replicò: “Crede Lei che davanti al Signore ci sarà la sua famiglia a rispondere per lei?”. Il giorno dopo mia zia non tornò al convento; e nemmeno sarebbe tornata la domenica successiva, se non avesse avuto qualche giorno prima da Padre Pio una immaginetta sulla quale erano scritte parole che l’avevano colpita. Dopo la Messa e la mia prima vera Comunione, rimase pochissima gente in chiesa, e Padre Pio era nei banchi dietro la zia a pregare. Quando poi andò in sagrestia, noi lo seguimmo, e la zia gli disse: “Grazie per la sua bontà, e perdoni se le ho fatto dispiacere”. “Non dispiacere” replicò Padre Pio, “mi ha dato un vero dolore!”. Talché la zia si sentì sconvolta dalle sue parole. Per più di mezzora il Padre Pio le parlò ancora, facendo crollare una ad una le pietre di quella fortezza che sembrava inespugnabile. “La Chiesa Ortodossa è agonizzante” le disse tra l’altro, e poco più di un anno vedemmo come si fossero avverate queste parole, perché la chiesa ortodossa si divise fra tanti patriarchi e metropoliti. Fu una lotta durissima, ma finalmente la zia fu vinta e tutta commossa gli disse: “Prometto di entrare nella Chiesa Cattolica!”. Promessa mantenuta alcuni mesi più tardi a Capri. È ora delle più ferventi cattoliche, come per guadagnare il tempo perduto, e combatte volentieri per la sua fede contro tutti quelli che le sono contrari, tanto da aver scosso molte anime col suo esempio. Rimaneva nella nostra famiglia ancora nella ortodossia mio marito. Ed era il più difficile a convertire, perché avendo sempre fatto una vita moralissima, onesta e laboriosa, non vedeva necessità di cambiare religione per servire meglio il Signore. Retto, sincero e intransigente, quanto la zia o più di essa, essendo stato ufficiale nell’esercito imperiale della Russia, considerava come un disonore, come bassezza, tradire la propria fede. Quando mi decisi io a quel passo, egli non si oppose, non mi sconsigliò; mi fece soltanto promettere di non cercare mai di indurlo a convertirsi. Ciò che feci, solo mettendolo nelle mai di Dio, senza mai parlargli della mia Fede, se non richiesta; ma intanto pregavo continuamente e procuravo i modificare i miei difetti col dargli con l’esempio una prova che la mia fede era la migliore. Le virtù essenziali che imparai a stimare e che nella chiesa ortodossa e nella nostra vita mancava del tutto erano l’umiltà e la carità di cui avevo avuto begli esempi nell’Italia meridionale; erano le virtù che mancavano a me e a mio marito: il quale severissimo verso se stesso lo era anche con gli altri, fino al punto da non saper perdonare le offese ricevute, come non perdonava le debolezze, le cadute, le miserie umane. Nel settembre 1926 per la terza volta tornai a San Giovanni Rotondo e mio marito volle accompagnarmi. Appena veduto Padre Pio sentì per lui una grande devozione, un senso di tenerezza e di gioia nello stargli vicino. Anche lui, come me, si sentì in uno stato di isolamento, e durante la Messa di Padre Pio pianse. Aveva l’impressione di essere un grande peccatore, che Iddio non volesse accettarlo tra i suoi figli, ma poi, quando si mise a parlare con Padre Pio sulla questione religiosa, rimase irremovibile. Per mio marito Padre Pio era un uomo santo, pieno di bontà, di amore, che egli avrebbe sempre voluto avere vicino a sé, ma per questo affetto non si sentiva di fare un atto contrario alla sua coscienza ed al suo cuore. Nell’estate egli fu gravemente malato, tanto che credeva di dover morire, ma S. Teresa del Bambino Gesù e Padre Pio lo aiutarono molto. Sicché nel settembre 1927 tornammo di nuovo al convento del Gargano, queste volta anche con la nostra figliuola, rimanendo lassù per diversi giorni. Allora accettò di ascoltare da Padre Pio le ragioni della scissione della Chiesa orientale, e si mise a discutere con lui sulle divergenze esistenti, finché un giorni queste discussione sebbene volute da lui, lo irritarono talmente, che volle lasciare il convento e tornare a Capri. Malgrado il mio dolore, non seppi oppormi a questa decisione. Egli però non partì. Tuttavia non tornò più al convento fino a che non gli portai la parola di Padre Pio, il quale gli diceva che, se pure non potevano intendersi sulla religione, potevano rimanere amici. Allora tornò al convento, e quando partimmo da San Giovanni Rotondo, la sua decisione era già presa: mancavano sole le carte per le formalità necessarie. Al nostro ritorno a casa, cominciò però una lotta più aspra che mai tra dubbi e prove e dispiaceri, che sembravano indizi del malcontento del Signore per la decisione presa. Le lotte interne erano tremende, e in certi periodi, lui così buono abitualmente e così affettuoso, si allontanava da noi, si faceva estraneo, chiuso e freddo. Ma Gesù misericordioso non volle farlo soffrire ancora per lungo tempo, ed in luglio tornammo ancora a San Giovanni Rotondo per il gran giorno! Il 6 luglio fece l’abiura a Foggia nelle mani del Vescovo, e la sera del 7 si confessò da Padre Pio. Il giorno 8 fece la sua Comunione ed il 10 la Cresima. “Voglio fare la Cresima come suggello del passo fatto” mi disse. Grazie al Signore, da quel momento egli è scrupoloso nei suoi doveri religiosi, e sopporta molto meglio le prove che gli vengono dal Cielo. Anche verso gli altri è più caritatevole, e trova conforto a parlare della sua Fede, che sa difendere parlando con gli ortodossi».
(sì sì no no, Anno XV – n. 1, 15 Gennaio 1989, pp. 4-5. Testo raccolto da Giuliano Zoroddu)
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Presentazione
Il presente blog si prefigge di aiutare il lettore nell’approfondimento della Sacra Scrittura, con un linguaggio semplice e accessibile e un indirizzo di tipo spirituale ed esistenziale, atto a inserire il lettore in un cammino di trasformazione interiore che lo renda via via più conforme a Cristo e poter ripetere come San Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).
Gli articoli presenti si dividono in due categorie: “La Parola è gioia” e “La gioia nella liturgia”. Nella prima si affrontano tematiche bibliche legate alla gioia. Lo spunto, ovviamente, ce lo offre Papa Francesco con tutto il suo ministero, soprattutto con la sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium. La seconda categorie racchiude propriamente dei commenti legati alla Liturgia della Parola proclamata quotidianamente durante le S. Messe.
In un società sempre più connessa che obbliga l’uomo a relazioni virtuali isolandolo sempre di più, chiudendolo in se stesso, ripiegandolo sui suoi bisogni, e per questo rendendolo sempre più triste, sentiamo forte l’invito a far rifiorire la speranza nei cuori dei tanti nostri fratelli cristiani. Animati dallo Spirito di Dio che ci invia come missionari, speriamo di essere suoi strumenti per l’edificazione del Regno dei cieli e l’affrettare la sua venuta (Cfr. 2Pt 3,12), facendo nostro il grido di San Paolo VI nell’Udienza Generale del 20 dicembre 1972: “DIO È GIOIA“.
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Gesuiti salentini in America (II parte)
di Francesco Frisullo e Paolo Vincenti
Le vicende risorgimentali costrinsero a più riprese i gesuiti alla fuga dall’Italia. In particolare, i gesuiti salentini, che interessano da vicino la nostra disamina, dopo aver vagato tra i collegi di Malta, Spagna, Francia, presero la via dell’America.
Occorre dire che l’ordine dei gesuiti risulta ab imis vocato ai viaggi e alle esplorazioni delle terre lontane. I figli di Ignazio più degli altri confratelli si rivelano cittadini del mondo, essi fin dal Cinquecento si disperdono per i cinque continenti e si spingono verso le terre selvagge con l’obiettivo di evangelizzare i popoli.
Tra i primi gesuiti italiani che dovettero lasciare l’Italia alla volta degli Stati Uniti troviamo Giuseppe Bixio (1819-1889) fratello del più noto Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi. Nel 1844 giunse negli Stati Uniti, nei territori delle Montagne Rocciose, il gesuita Michele Gil Accolti (1807-1878) che molte voci dicono erroneamente nato a Copertino, Lecce, ma che è in realtà originario di Conversano[1]. Gil Accolti nel 1851 a Santa Clara (California) fonda l’omonima Università che oggi si presenta come “The Jesuit University in Silicon Valley”, nel cui cimitero riposano anche i resti di Vito Carrozzini, missionario originario di Soleto. Una storia lunga e proficua, dunque, quella delle missioni gesuitiche italiane nel Nuovo Continente[2].
Vito Carrozzini
Nasce a Soleto (Lecce), il 15 agosto 1838. Entra nel collegio dei Gesuiti a Napoli il 22 dicembre 1857[3], all’età di 20 anni. Il suo esempio viene seguito un anno dopo da uno dei suoi fratelli, Vincenzo. Quando scoppiò la rivoluzione nel regno di Napoli, le case e i collegi dei gesuiti furono chiusi ed i frati dispersi in altre Province della Società. Carrozzini fu inviato a Balaguer, in Spagna, insieme al fratello, per seguire il corso di filosofia[4]. Nell’autunno del 1863, per ordine dei Superiori, partirono in missione[5]. Tra il 1854 e il 1868, a più riprese i gesuiti vennero cacciati dalla Spagna e a parziale compensazione il governo iberico consentì l’insediamento della Compagnia nelle Antille. Nel 1852, per volere della regina Isabella II, era stato fondato il Colegio de Belén, a L’Avana. Vito e Vincenzo Carrozzini partirono dunque da Balaguer per Porto Rico. Arrivati a L’Avana, furono costretti a sbarcare, poiché Vincenzo era gravemente ammalato e prossimo alla morte. A malincuore, Padre Vito riprese il viaggio alla volta di Porto Rico, lasciando il fratello, che morì tre o quattro giorni dopo. A Porto Rico, Carrozzini insegnò un anno grammatica e quattro anni scienze naturali. Fu molto ligio al dovere di insegnante pur non trascurando la missione apostolica. A causa dei pochi mezzi per ventilare la stanza nella quale viveva, inalò una grande quantità di gas nocivo che gli procurò la malattia cardiaca che, qualche anno dopo, lo portò alla morte. Nel 1868 fu richiamato in Spagna per avviare lo studio di teologia, nella città di Leon. Si trasferì però subito a Laval, dove passò quattro anni nello studio di teologia.
Ripartì per l’America nel 1873[6]. Dopo una breve permanenza a Porto Rico, venne inviato nel Nuovo Messico e nel Colorado. Tra estremi sacrifici, portò avanti con zelo la sua attività, pur afflitto da difficoltà respiratorie. Per visitare la vasta comunità cattolica presente in quel territorio doveva percorrere molte miglia nella sconfinata e selvaggia distesa che si estendeva da Las Animas a Trinidad, costretto spesso a passare la notte all’aria aperta, senza bere né mangiare. Carrozzini lavorò molto anche a San Miguel, a Las Vegas, nelle città di La Junta e Pueblo, senza risparmiare energie. Di lui ci parla, unica fonte italiana, Padre Barrella[7]. Quando le sue condizioni di salute peggiorarono, venne mandato nel clima più mite della California, per potersi ritemprare. Giunse nel mese di giugno 1876 a Santa Clara, California, sede dell’omonima università fondata nel 1851 dai gesuiti. Qui morì per complicazioni polmonari a 39 anni, dopo 19 trascorsi nella Compagnia di Gesù[8]. Oltre alle scienze naturali, egli aveva un talento particolare per la pittura. Il ritratto di Sant’Ignazio, custodito nella sala ricreativa dei Padri del Woodstock College[9], è opera sua, così come molte altre pitture presenti nelle missioni che aveva frequentato. Il profilo di Padre Carrozzini è tratto da una importante fonte gesuitica americana, le Woodstock Letters[10].
Giovanni Guida
Nasce a Nola nel 1828, si trasferisce con tutta la famiglia a Lecce. Qui fu influenzato dalla presenza del collegio /convitto gesuitico lupiense, retto da Carlo Maria Turri dal 1839, e infatti ben presto maturò la vocazione di entrare nella Compagnia di Gesù e prendere i voti[11]. Il 15 giugno 1843, a quindici anni, fu ricevuto nel noviziato di Sorrento[12]. Studia teologia e filosofia a Napoli e viaggia in Italia, in Francia e in Belgio. Inizia l’insegnamento a Benevento, ma soffre problemi di salute, infatti è colpito da una infermità polmonare che lo costringe ad abbandonare la cattedra. Viene ordinato sacerdote nel settembre 1854. La professione dei voti ebbe luogo il 15 agosto 1862. Ristabilitosi in salute, ben presto si trasferisce negli Stati Uniti, a Georgetown, Washington, dove tiene lezioni di teologia presso la Georgetown University, fondata nel 1789 e diretta dalla Compagnia di Gesù dal 1851 fino ad oggi, e poi a Boston, presso il Boston College, fondato nel 1863 dai gesuiti. Quando era a Georgetown, Padre Guida fu protagonista di un episodio davvero singolare che portò il suo nome agli onori delle cronache. Per un fortuito quanto rocambolesco scambio di persona, egli venne infatti ritenuto l’assassino del Presidente degli Stati Uniti Abramo Lincoln. Venne così arrestato, prima che l’equivoco fosse risolto. Le cronache locali si impadronirono di quell’episodio e intorno ad esso fiorirono delle leggende, dovute alle diverse versioni che la vulgata attribuiva all’accaduto. In particolare, l’episodio alimentò la nota leggenda nera per la quale più volte nella storia la Compagnia è stata accusata di regicidio, accusa che viene dai sentimenti anticattolici all’epoca largamente presenti nella società europea. Sta di fatto che Padre Guida passò dagli altari alla galera per una caso che oggi definiremmo di malagiustizia. Probabilmente, a determinare la sua incriminazione fu la notevolissima somiglianza con John Wilkes Booth, un famoso attore di teatro che era a capo di una larga cospirazione contro il Presidente Lincoln e che fu l’esecutore materiale dell’omicidio. Lincoln venne colpito il 14 aprile, mentre assisteva ad uno spettacolo al Ford’s Theatre di Washington durante le fasi conclusive della guerra di secessione americana, e morì la mattina successiva, 15 aprile. Guida, interrogato ed esaminato da un ufficiale non fu in grado di scagionarsi e venne quindi detenuto fino a quando non fu rintracciato il vero criminale.
Chiamato dal vescovo Machebeuf, di Denver, giunse in Colorado nell’agosto 1879, quando iniziò la sua missione. Fra mille difficoltà e ostacoli, fondò la Parrocchia del Sacro Cuore e, durante i diciannove anni del suo missionariato, eresse molte altre chiese nella diocesi. Nel 1890, costruì una scuola e una residenza per le suore. Insegnò filosofia e teologia alla Georgetown University. Cultore dei classici antichi, parlava fluentemente inglese, francese e spagnolo, oltre alla sua lingua madre. Pur ammalatosi, nel luglio del 1896, Padre Guida fu nominato Rettore del Sacred Heart College di Denver. Nell’ottobre 1898, venne richiamato a Napoli per diventare rettore del nuovo scolasticato a Posillipo. Nel 1902, tornò a Denver, dove rimase fino alla sua morte. Il 15 giugno 1918, festeggiò il settantacinquesimo anniversario del suo ingresso nella Compagnia e il 23 maggio 1919 passò a miglior vita. La Messa funebre venne celebrata nella sua adorata Chiesa del Sacro Cuore[14].
Alessandro Leone
Su Padre Alessandro Leone sappiamo che nasce a Scorrano, Lecce, il 28 dicembre 1838. Entra nella Compagnia di Gesù il 26 ottobre 1855[15] e nel 1870 viene inviato nella Missione del New Mexico e del Colorado. Durante gli anni del suo missionariato, fu indefesso nell’opera apostolica e spese tutto sé stesso nell’evangelizzare e convertire i messicani al Cristianesimo. Le fonti americane lo descrivono come uno di più zelanti gesuiti nell’instancabile opera a difesa della fede. Appena giunto in America, viene mandato nelle parrocchie di Albuquerque, La Junta, Trinidad e Isleta. Percorre lunghe distanze a cavallo per visitare i suoi parrocchiani, accontentandosi di pasti frugali e ricoveri di fortuna. Muore ad Albuquerque, la sera del 26 luglio 1913[16]. Di lui ci ha lasciato un ritratto Rosa Maria Segale, ovvero Suor Blandina (1850-1894), proveniente da Cincinnati (Ohio) ma originaria di Genova, appartenente all’ordine delle Suore di Carità, missionaria a Trinidad, tra il Colorado e il Nuovo Messico, che riportò i suoi ricordi in un prezioso diario più volte ripubblicato[17].
Salvatore Personè
Su Padre Salvatore Personè, uno dei pionieri della missione nel New Mexico-Colorado, disponiamo di molte informazioni. Nacque ad Ostuni, nel 1833, ultimo di una famiglia di otto figli, sette ragazzi e una ragazza. Dei ragazzi, tre divennero religiosi: Raffaello, teatino; Carlo e Salvatore, gesuiti. Frequentò il Regio Liceo San Giuseppe a Lecce e poi entrò nel Collegio Argento sempre a Lecce. A vent’anni decise di accompagnare suo fratello Carlo (di due anni più grande[18]) a Napoli, dove entrò nel noviziato, il 14 novembre 1853. A Napoli, Padre Personè, oltre al suo insegnamento, iniziò a predicare nelle diverse chiese, inclusa la Cattedrale. La sua naturale eloquenza attirava grandi folle di fedeli. Quando nel 1860 i gesuiti vennero espulsi dal regno, la maggior parte dei membri dispersi raggiunse la Francia e gli scolastici continuarono i loro studi a Vais, il collegio della provincia di Tolosa. Salvatore in breve tempo padroneggiò facilmente il francese; così, anche da studente, accompagnava l’eminente moralista padre Gury a svolgere le missioni nelle città circostanti. Dopo la sua ordinazione, il 14 giugno 1865, ritornò in Italia e frequentò molte residenze della Campania e della Basilicata. Intenzionato a prendere i voti, quand’era al terzo anno di prova, venne raggiunto dall’ordine di imbarcarsi per l’America in compagnia di altri fratelli. Lungo la costa occidentale della Francia (la guerra franco-prussiana imperversava), procedendo con cautela da una città all’altra, la nave raggiunse Brest, da dove salpò per gli Stati Uniti. Giunto a Frederick, nel Maryland, dopo molto tempo e con grande fatica poté riprendere il viaggio che lo portò ad Albuquerque, nel New Mexico, allora quartier generale della missione. Fu lì, il 26 novembre 1871, che prese i suoi ultimi voti. Si recò a Conejos, in Colorado, e fu il primo gesuita a giungere in quella città. Richiamato a Las Vegas, nel New Mexico, dove era stata avviata la Revista Catolica, divenne superiore della residenza. Da quel momento, coprì la maggior parte del Nuovo Messico nelle sue escursioni apostoliche, predicando in quasi tutti gli insediamenti del territorio. Fu spesso anche in Messico. Quando venne aperto il Collegio di Las Vegas, divenne il suo primo rettore, il 4 novembre 1878. Poiché i mezzi di comunicazione e di trasporto erano scarsi, doveva abbastanza frequentemente prendere il posto degli insegnanti assenti e impossibilitati a raggiungere la missione, per permettere agli studenti di non perdere le lezioni. Nonostante queste difficoltà, il Collegio si sviluppò e prosperò, i ragazzi erano numerosi, si mantenevano elevati standard di studio e la città era orgogliosa della sua sede di apprendimento.
Nel 1883 Padre Personè lasciò la presidenza a Padre Pantanella mentre tornava ad Albuquerque come superiore. Questa disposizione, tuttavia, non durò a lungo. Verso la fine del 1884 a Padre Pantanella fu affidato il compito di aprire un nuovo collegio a Morrison, vicino Denver, e Padre Personè tornò a Las Vegas e vi rimase fino a quando i collegi di Las Vegas e Morrison furono fusi nel Sacred Heart College (ora Regis College) di Denver. Dal 1892 al 1902, fu superiore a Trinidad, in Colorado. Nel 1902 venne richiamato in Italia e nominato rettore del Collegio di Lecce. Fu nel Salento che subì il primo attacco di reumatismi infiammatori, un disturbo dal quale non si riprese mai più. Su consiglio dei medici tornò in America, la terra che amava. Del resto, come riferisce Barrella, a Lecce non era molto apprezzato[19] e questo fatto rafforzò il suo proposito di abbandonare l’Italia. Per qualche tempo governò a Las Vegas, fino a quando nel 1908 assunse ancora una volta la direzione della residenza di Trinidad. Qui si adoperò per la costruzione di una nuova e più grande casa della missione, benedetta dal vescovo di Denver l’11 febbraio 1912[20].
Padre Personè, soprannominato dai nativi americani “il Nemico della tristezza”[21], era costretto a lunghi soggiorni in ospedale. La sua memoria divenne compromessa e i suoi occhi si indebolirono; aveva ormai ottant’anni. Il 20 dicembre 1922, entrò per l’ultima volta in ospedale. Morì il 30 dicembre dello stesso anno. Al suo funerale, presieduto dal reverendo vicario generale della diocesi di Denver, parteciparono non solo i cattolici, ma anche i protestanti e gli ebrei e vi fu un grandissimo concorso di popolo[22].
Note
[1] Su Accolti si veda Voce, a cura di G. McKevitt, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús (4 volúmenes) biográfico-temático, a cura di Charles E.O’Neill e Joaquín María Domínguez, Universidad Pontificia Comillas, Madrid, Insititutum Historicum Societatis Iesu, Roma, 2001, p. 63 (del pdf); Voce, a cura di Pietro Pirri, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 1, 1960 (on line).
[2] Per la precisione storica, i primi gesuiti arrivarono in America nel 1566. Per la storia della Compagnia di Gesù nel Nord America si rinvia a Raymond A. Schroth, S.J., The American Jesuits A History, New York, University Press, 2007. Un’opera monumentale sulla presenza dei gesuiti italiani in America con molti riferimenti anche ai missionari citati in questo contributo è: Gerard McKevitt, Brokers of Culture Italian jesuits in the American West 1848-1919, Stanford University Press, Stanford, California, 2007, passim.
[3] Catalogo Provinciae Neapolitanae, 1859, p.53.
[4] Catalogus Provinciae Hispanie, 1861, p. 36.
[5] Antonio López de Santa Anna, Los Jesuítas en Puerto Rico de 1858-1886 contribución a la historia general de la educación en Puerto Rico Santander, España : [Sal Terrae], 1958, p.161: “P. Carrozzini Vicente-Scol. . . . 1863-1865 e P. Carrozzini Vito-Scol 1863- 1868”.
[6] Catalogus Provinciae Merylandiae 1873, p.8. Precisamente, nel noviziato di Frederick Maryland risulta: “Patres Tertiae Probationis Vitus Carrozzini”.
[7] Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù nelle Puglie 1574-1767. 1835-1940, a cura dell’Istituto Argento, Lecce, Tip. Editrice Salentina, 1941, p.133.
[8] Jack Mitchell, S.J., Necrology of the California province of the Society of Jesus 1845-2008, p. 80.
[9] Il Woodstock College venne inaugurato nel 1869 e primo rettore fu il gesuita napoletano Angelo Paresce (1817-1879). Ha operato fino al 1975.
[10] Woodstock Letters, Volume VI, Number 2, 1 May 1877, pp. 124-129.
[11] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1839, p. 18.
[12] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1844, p. 23.
[13] https://www.jesuit.ie/news/the-assassins-lookalike/
[14] Preziosa fonte per la conoscenza di questa figura sono le Woodstock Letters, Volume XLIX, Number 1, 1 February 1920, pp. 122-126. Le pubblicazioni delle Woodstock Letters vanno dal 1872 al 1969, per un totale di 98 volumi.
[15] Catalogus Provinciae Neapolitanae 1856, p.17.
[16] Woodstock Letters, Volume XLIII, Number 1, 1 February 1914, p.99.
[17] Suor Blandina una suora italiana nel West, a cura di Valentina Fortichiari, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1996, pp.200-201.
[18] Carlo Pesonè è stato missionario in America dal 1831 al 1916: Voce Salvatore Personè, a cura di T. Steele, in Diccionario, cit., p. 6404.
[19] Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù, cit., pp. 34-35.
[20] Father Persone 50 Years Priest to Sing Jubilee Mass at Trinidad; Founder of Sacred Heart College, in «Denver Catholic Register», Vol. IX, n.45, June 11, 1914, pp.1, 4.
[21] Suor Blandina una suora italiana nel West, cit., p.198.
[22] Woodstock Letters, Volume LIII, Number 3, 1 October 1924, pp.387-390. Inoltre si veda J. Manuel Espinosa, The Neapolitan Jesuits on the Colorado Frontier, 1868-1919, in «The Colorado Magazine», Vol. XV, Denver, Colo., March, 1938, n.2, p. 68 (l’articolo cita anche Alessandro Leone); Voce, a cura di T. Steele, in Diccionario, cit. Questa fonte indica che Salvatore fu addirittura ad Albuquerque (1883-1884) presidente della prima compagnia petrolifera del New Mexico.
Per la prima parte vedi:
Gesuiti salentini in America – Fondazione Terra D’Otranto
#Alessandro Leone#Carlo Maria Turri#Francesco Frisullo#gesuiti salentini#Giovanni Guida#Michele Gil Accolti#Paolo Vincenti#Salvatore Personè#Vincenzo Carrozzini#Vito Carrozzini#Pagine della nostra Storia#Spigolature Salentine
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Viene comodo in queste condizioni il discorso di Nanni Moretti nel Caimano: Berlusconi ha vinto da almeno vent'anni perché è penetrato nei nostri cuori, ha occupato le nostre menti, ha plasmato la nostra anima, ha modellato le nostre percezioni e il nostro linguaggio. Se è così, c'è da sentirsi anche peggio, giacché vuol dire che stiamo combattendo una battaglia di retroguardia. Stiamo resistendo in nome di idee che nel mondo reale non hanno più cittadinanza. Siamo vittime delle nostre impuntature, di ubbie e manie personali. Sotto questa luce, la sinistra è una specie di vizio. [...] Data la situazione, non è difficile assimilare la nozione che restare a sinistra è una colpa o un mezzo peccato. Qualcosa che stilisticamente non si addice a questa Italia tanto moderna e disincantata, capace di convivere così bene con il proprio disagio, perché il disagio è sempre di qualcun altro. [...] Come la soubrettina davanti a un perplesso Maurizio Costanzo: "Ah, io ciò 'n'ammirazione pe' lla Chiesa, pe 'l penziero de Ratzinger, 'na spiritualità, 'na sapienza, 'na teologgia...". Quindi vuol dire che lei segue tutti i dettami di Santa Madre Ecclesia, cattolica apostolica e romana, per esempio il magistero sulla morale sessuale? "Eh no, quelli so' cazzi mia, pardon". Con una definizione di semplice e definitiva eleganza, il filosofo Carlo Galli ha concluso che la comunità, anzi die Gemeinschaft, si è trasformata in una gamma di immense platee televisive "implose nella privacy". In queste poche parole c'è la sentenza che condanna alla sua condizione amorfa tutta la società italiana di oggi. Anziché una collettività strutturata, ecco allora una moltitudine dispersa, che si addensa negli appartamenti della sottoborghesia; un formicolio umano visibile nei condomini popolari, una "nuova classe" priva di connotati, che trova come unico metro di giudizio gli standard televisivi e lo stile da sfoggiare in studio. E allora sarà difficile mobilitare i cittadini in vista di una trasformazione, di un cambiamento più o meno accentuato, di un complesso di riforme. La risposta implicita è: preferisco stare nella mia favela, e continuare a consumare beni materiali e immaginari secondo i parametri di reddito che mi sono concessi. [...] In questo panorama, sarà bene abbandonare l'idea che ci sia una differenza sostanziale fra "noi" e "loro", cioè fra noi di sinistra e loro di destra. Anzitutto, è già molto dubbio che esista un "noi": la dissoluzione delle entità collettive ha investito tutta la società, e noi siamo pulviscolo sociale come tutti gli altri, atomi impazziti che si agitano dentro campi di forze ignoti. In secondo luogo, non si vede in base a quale criteri la sinistra dovrebbe essere migliore della destra. Sembra ragionevole affermare che, in certi momenti, la sinistra è apparsa più professionale, e che il suo sistema di relazioni fra le istituzioni e i poteri presenta profili più consumati, cioè un complesso di lealtà reciproche e buone maniere sperimentato nel corso dei decenni. Ma questo non basta per individuare la gente di sinistra, cioè i cittadini elettori, come una componenti più qualificata, ossia più seria, studiosa e onesta rispetto ai suoi omologhi che votano dall'altra parte. Non era vero trent'anni fa, quando si menava il torrone con la storia del paese legale e del paese reale, inventando la favoletta che i cittadini erano molto migliori dei loro rappresentanti in politica, figurarsi se è vero adesso. [...] Ah, è vero, rimane la Lega. Ha raddoppiato i voti, ha cominciato a invadere l'Emilia e la Romagna, si sposta verso l'Appennino, dove trova terreno fertile nelle vecchie comunità bianche. Guadagna consenso perché punta sulle inquietudini, perché dà voce alle paure delle gente comune, angosciata dal mutare delle vie cittadine e dei quartieri, dall'apparire, a gruppetti, di persone diverse, dal crescere quotidiano di ciò che viene avvertito come un degrado inarrestabile, da comportamento cui non si è abituati. Ma si dovrebbe sapere che la sicurezza è una percezione: basta un alito di spavento, un brivido di incertezza, un soffio sulle braci e passa subito al primo posto nella classifica dei temi caldissimi, e quindi delle priorità politiche. A quel punto, basta poco a capire che la destra riesce molto meglio a dare risposte alle angosce dei cittadini, perché non ha tabù: desiderano lor signori l'esercito? Pronti. Le ronde urbane? Eccovele. I provvedimenti speciali, le impronte digitali, lo sgombero dei campi nomadi, l'abbattimento delle moschee? E che ci vuole? [...] Il fatto è che la politica e la società italiane hanno attraversato l'inferno dei primi anni Novanta, allorché i partiti storici si sono inceneriti, e i cittadini sono rimasti orfani. Orfani di entità che detestavano, partiti corrotti e impresentabili, invadenti e ormai impossibili da sopportare nella vita civile, ma comunque orfani, cioè privi di concezioni generali, di una filosofia, di qualche modello teorico, e quindi incapaci di trovare riferimenti per definire un profilo di società desiderabile.
Edmondo Berselli, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica (2008)
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Lettera del Priore Generale in occasione della solennità della Vergine del Carmelo 2020
Lettera ai Frati Carmelitani, alle Sorelle Contemplative, ai Fratelli e Sorelle delle Congregazioni di Vita Apostolica, ai Membri del Terz'Ordine Carmelitano, ai Laici Carmelitani e a tutti coloro che celebrano con devozione speciale la Festa della Madonna del Monte Carmelo:
Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,51).
Cari Fratelli e Sorelle nel Carmelo,
in questo giorno di festa, mentre ci rallegriamo per essere fratelli e sorelle della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, raggiungo ciascuno di voi nel vincolo dell’amore. In questi giorni stiamo pensando molto, meditando come Maria, a tutto ciò che sta accadendo nel nostro mondo. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore (Lc 2,19) e ponderando su ciò che stava succedendo nel suo mondo, Ella trovò la volontà di Dio. Maria la contemplativa, Maria la piena di grazia, piena di Dio, piena di Vangelo: questo è il tipo di persona che può rispondere a ciò che sta accadendo nel mondo di oggi.
In questo periodo di confino, è possibile che noi, persone con un senso di Dio e capaci di meditare, abbiamo trovato, in queste nuove condizioni, nuove opportunità di solidarietà e di evangelizzazione nel mondo. Eccoci di fronte a nuove manifestazioni della volontà di Dio che ci aiutano a crescere e a maturare come custodi del nostro mondo e gli uni degli altri.
Siamo cresciuti insieme nelle nostre comunità. Costretti a rimanere in casa, abbiamo così scoperto tante verità sulla nostra fede e sulla nostra vocazione Carmelitana, meditando da soli o con gli altri. Mentre alcuni di noi hanno sempre avuto l'Eucaristia, altri hanno dovuto fare affidamento a Internet e recitare le preghiere per la comunione spirituale. Tutto ciò ha sollevato domande su come apprezziamo l'Eucaristia. Per le persone che normalmente celebrano l'Eucaristia ogni giorno, è stato difficile adattarsi alla sua assenza. Per le persone che erano fedeli all'Eucaristia domenicale, è stato qualcosa di molto nuovo dire che non dovevano andare a Messa. Quando torneremo alla normale celebrazione dell'Eucaristia, può darsi che lo faremo con maggiore convinzione e comprensione, a motivo di ciò che divenne un digiuno eucaristico.
Da molti mesi, ormai, viviamo con restrizioni e con un po' di paura. Le famiglie sono in lutto. Gli ospedali si stanno ancora occupando delle vittime del virus; medici, infermieri, tutto il personale e l’apparato sanitario hanno dimostrato tutta la loro dedizione, professionalità e zelo, al di là del dovere. Le persone hanno fatto sacrifici per assicurarsi che ci fosse il pane sulle nostre tavole e, come ovunque, le persone stanno facendo i conti con la propria vita, del duro prezzo da pagare dopo le perdite dei propri cari, con la malattia, con la perdita del lavoro e dei mezzi di sussistenza. Potremmo dire che stiamo assistendo a un'esplosione di umanità.
Se fosse tutto alle nostre spalle, potremmo avere una visione diversa; ad ogni modo, - ora che stiamo imparando a convivere con il virus e cerchiamo di non cadere nella paura che sia in arrivo qualcosa di più serio - tutti dobbiamo chiederci come possiamo prenderci cura gli uni degli altri, come dobbiamo agire in futuro, come limitare gli effetti negativi di questo virus per creare una società in cui non siamo vincolati dalla paura e nessuno è lasciato nel bisogno? Potrebbe essere semplicemente una questione di cura e condivisione.
Ardo di zelo per il Signore (1Re 19,10).
Generare, prendersi cura e proteggere sono alcuni dei carismi che vediamo in Maria, la Madre di Dio e nostra Madre. Mentre penso alle varie comunità carmelitane di uomini e donne in tutto il mondo, sono colpito da quanto questa Festa sia importante per tutti noi. In alcuni luoghi è solamente il giorno stesso, in altri sono i tre giorni del Triduo di riflessione e preghiera e in altri ancora sono i nove giorni interi della Novena. Le celebrazioni sono intrise di calore, devozione e di convinzione che ci fanno pensare che forse questo è un momento in cui noi carmelitani siamo più zelanti.
Il mondo di oggi ci chiede di essere pieni di zelo. Nel corso dei secoli, i Carmelitani hanno fatto eco e ripetuto le parole del Profeta Elia, "Ardo di zelo per il Signore Dio degli eserciti" (1Re 19). La nostra Celebrazione della Solennità della Madonna del Monte Carmelo potrebbe essere un ottimo momento per rinnovare, ravvivare e dirigere il nostro zelo. Quattro giorni dopo, avremo un'altra opportunità: quando celebreremo la Solennità del Profeta stesso.
Lo zelo è un dono. E come tale, dobbiamo pregare per ottenerlo. Dobbiamo chiedere a Dio di darci zelo, di renderci chi diciamo di essere. Tuttavia, lo zelo non è sempre una parola attraente; esso, a volte, suggerisce l'estremismo e non sentiamo automaticamente che vogliamo questo dono. Ricordo lo zelo di Giovanni Battista, la voce che grida nel deserto e che viveva di locuste e miele selvatico (Mc 1,6) e lo paragono alla calma di Gesù quando parla alle persone nella Sinagoga (Lc 4,21-22).
Penso al Vangelo, dove vediamo Cristo sulla Croce, con Maria e Giovanni ai suoi piedi. Questi sono tutti momenti di zelo, dove, per zelo, intendiamo un cuore che arde di desiderio per tutto ciò che è buono e con uno spirito che lavora duramente e fa sacrifici per ottenerlo. La globalizzazione dello zelo potrebbe essere l'antidoto alla globalizzazione dell'indifferenza di cui Papa Francesco parla così spesso. Viste le esigenze reciproche, ci rendiamo conto che stiamo entrando in una nuova era di condivisione. All'interno della nostra Famiglia, siamo consapevoli che le comunità hanno perso alcune delle loro entrate. Tra i laici carmelitani ci sono coloro che hanno perso il lavoro e le cui case possono essere pignorate. I nuovi progetti nella nostra Famiglia avranno sempre bisogno di finanziamenti. Di fronte alle necessità che stanno emergendo, dobbiamo rivedere il modello della prima comunità cristiana, un'immagine e una realtà che hanno ispirato la Regola carmelitana. Quella comunità si descrive cosi, “erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno”. (At 2,42-45). Man mano che ci rendiamo conto dei bisogni reciproci e se nessuno deve esserlo lasciato nel bisogno: possiamo dunque aiutarci a vicenda ed essere un esempio per gli altri, di quel tipo di condivisione che in futuro sarà necessaria alla nostra società. Mi viene in mente il dialogo nel Vangelo di Giovanni (Gv 6,9-10) ove Andrea disse: “C'è qui un ragazzo con cinque pani d'orzo e due pesci, ma che cosa è questo per tanta gente?” Alla fine, nessuno fu lasciato nel bisogno. Nel nostro zelo per le cose del Vangelo, dobbiamo affrontare questa sfida con la saggezza di Maria alle nozze di Cana: "Fate quello che vi dirà" (Gv 2,5). La Solennità di quest'anno sarà diversa da quella degli altri anni. Come una famiglia, siamo stati risparmiati, in diversi modi, ma non dimentichiamo coloro che sono morti in Olanda e in Italia. Lasciamo che la Celebrazione di quest'anno sia contrassegnata dalla nostra preghiera per le persone, le famiglie e le comunità che hanno subìto gli effetti peggiori del Coronavirus. In questa Festa ognuno possa sentire di nuovo le parole pronunciate da Gesù in croce: "Ecco tuo figlio", "Ecco tua madre", (Gv 19,26-27) e sappia che, così come il nostro Salvatore ci ha consegnati gli uni agli altri e a Maria, possiamo anche noi sapere come prenderci cura gli uni degli altri nella casa comune che è benedetta dalla presenza di Maria nostra Madre e Sorella.
Priore Generale
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Madre Yvonne Reungoat, membro per la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Madre Yvonne Reungoat, nominata da Papa Francesco membro per la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Source: Madre Yvonne Reungoat, membro per la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
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Lectio Divina: 14ª Domenica del tempo ordinario (C)
Lectio
Domenica, 7 Luglio, 2019
L’invio dei 72 discepoli
Ricostruire la Vita Comunitaria
Luca 10,1-12.17-20
1. Orazione iniziale
Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l'hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione.Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.
2. Lettura
a) Chiave di lettura:
La predicazione di Gesù attira molta gente (Mc 3,7-8). Attorno a lui comincia a nascere una piccola comunità. Prima, due persone (Mc 1,16-18); poi altre due (Mc 1,19-20); dopo, dodici (Mc 3,13-19); ed ora, nel nostro testo, più di settantadue persone (Lc 10,1). La comunità va crescendo. Una delle cose in cui Gesù maggiormente insiste è la vita di comunità. Lui stesso ha dato l’esempio. Non volle mai lavorare da solo. La prima cosa che fece all’inizio della sua predicazione in Galilea fu chiamare la gente a stare con lui ed aiutarlo nella sua missione (Mc 1,16-20; 3,14). L’ambiente di fraternità che nasce attorno a Gesù è un saggio del Regno, una prova della nuova esperienza di Dio come Padre. Ed allora, se Dio è Padre e Madre, allora siamo tutti una famiglia, fratelli e sorelle. Così nasce la comunità, la nuova famiglia (cf. Mc 3,34-35).
Il Vangelo di questa domenica ci indica norme pratiche per orientare i settantadue discepoli nell’annuncio della Buona Novella del Regno e nella ricostruzione della vita comunitaria. Annunciare la Buona Novella del Regno e ricostruire la vita comunitaria sono due lati della stessa medaglia. L’uno senza l’altro non esiste e non si capisce. Nel corso della lettura del testo cerca di scoprire questo legame che c’è tra la vita in comunità e l’annuncio del Regno di Dio.
b) Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
Luca 10,1: La Missione
Luca 10,2-3: La Corresponsabilità
Luca 10,4-6: L’Ospitalità
Luca 10,7: La condivisione
Luca 10,8: La comunione attorno alla mensa
Luca 10,9a: L’accoglienza degli esclusi
Luca 10,9b: La venuta del Regno
Luca 10,10-12: Scuotere la polvere dei sandali
Luca 10,17-20: Il nome scritto nei cieli
c) Testo:
Luca 10,1-12.17-20
1Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.5In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: 11Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. 12Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
17I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».
3. Momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Qual è il punto di questo testo che più ti è piaciuto o che ti ha colpito maggiormente? Perché?
b) Quali sono, una ad una, le cose che Gesù ordina di fare, e quali ordina di evitare?
c) Cosa vuole chiarire Gesù con ognuna di queste raccomandazioni così diverse dalla cultura odierna?
d) Come realizzare oggi ciò che il Signore chiede: “non portate borsa”, “non passate di casa in casa”, “non salutate nessuno lungo la strada”, “scuotete la polvere dei sandali”?
e) Perché tutti questi atteggiamenti raccomandati da Gesù sono un segnale della venuta del Regno di Dio?
f) Gesù chiede di essere attenti a ciò che è più importante e dice: “I vostri nomi sono scritti nei cieli!” Cosa significa questo per noi?
5. Per coloro che desiderano approfondire il tema
a) Contesto letterario e storico:
Poco prima del nostro testo, in Luca 9,51, inizia la seconda tappa dell’attività apostolica di Gesù, cioè, un lungo viaggio verso Gerusalemme (Lc 9,51 a 19,29). La prima tappa avvenne in Galilea ed iniziò con la presentazione del programma di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,14-21). Nella seconda tappa, entra in Samaria, invia messaggeri davanti a lui (Lc 9,52), ed attira nuovi discepoli (Lc 9,57-62). La seconda tappa inizia con la designazione degli altri 72 discepoli e con la presentazione del programma che deve orientarli nell’azione missionaria (Lc 10,1-16). Luca suggerisce così che questi nuovi discepoli non sono più giudei della Galilea, ma samaritani, e che il luogo dove Gesù annuncia la Buona Novella non è più la Galilea bensì la Samaria, il territorio degli esclusi. L’obiettivo della missione che i discepoli ricevono è la ricostruzione della vita comunitaria. Al tempo di Gesù c’erano vari movimenti che, come Gesù, cercavano un modo nuovo di vivere e convivere: farisei, esseni, zeloti, Giovanni Battista ed altri. Molti di loro formavano una comunità di discepoli (Gv 1,35; Lc 11,1; At 19,3) ed avevano i loro missionari (Mt 23,15). Ma c’era una grande differenza. Le comunità dei farisei, per esempio, vivevano separate dalla gente. La comunità attorno a Gesù viveva in mezzo alla gente. La proposta di Gesù per i 72 discepoli riscatta gli antichi valori comunitari che si stavano perdendo, quali per esempio l’ospitalità, l’accoglienza, la condivisione, la comunione attorno alla mensa, l’accoglienza degli esclusi. Gesù cerca di rinnovare e di riorganizzare le comunità, in modo che siano di nuovo un’espressione dell’Alleanza, una espressione del Regno di Dio.
b) Commento del testo:
Luca 10,1: La Missione
Gesù invia i discepoli nei luoghi dove lui proprio deve andare. Il discepolo è il portavoce di Gesù. Non è il padrone della Buona Novella. Gesù li invia a due a due. Ciò favorisce l’aiuto reciproco, e così la missione non è individuale, bensì comunitaria. Due persone rappresentano meglio la comunità.
Luca 10,2-3: La corresponsabilità
Il primo compito è quello di pregare affinché Dio invii operai. Tutti i discepoli di Gesù devono sentirsi responsabili della missione. Per questo deve pregare il Padre, per la continuità della missione. Gesù invia i suoi discepoli come agnelli in mezzo a lupi. La missione è un compito difficile e pericoloso. Ed il sistema in cui vivevano ed in cui ancora viviamo era e continua ad essere contrario alla riorganizzazione della gente in comunità vive. Chi, come Gesù, annuncia l’amore in una società organizzata a partire dall’egoismo individuale e collettivo, sarà agnello in mezzo ai lupi, sarà crocifisso.
Luca 10,4-6: L’ospitalità
I discepoli di Gesù non possono portare nulla, né borsa, né sandali.Solo devono portare la pace. Ciò significa che devono confidare nell’ospitalità della gente. Così il discepolo che va senza nulla portando appena la pace, mostra che ha fiducia nella gente. Pensa che sarà ricevuto e la gente si sente rispettata e confermata. Per mezzo di questa pratica i discepoli criticavano le leggi dell’esclusione e riscattavano gli antichi valori della convivenza comunitaria del popolo di Dio. Non salutare nessuno lungo la stradasignifica che non si deve perdere tempo con le cose che non appartengono alla missione. E’ possibile che sia un’evocazione dell’episodio della morte del figlio della sunammita, dove Eliseo dice all’impiegato: “Parti! Se qualcuno ti saluta, non rispondergli” (2Re 4,29), perché si trattava di un caso di morte. Annunciare la Buona Novella di Dio è un caso di vita o di morte!
Luca 10,7: La Condivisione
I discepoli non devono andare di casa in casa, ma rimanere nella stessa casa. Cioè devono convivere in modo stabile, partecipare nella vita e nel lavoro della gente del luogo e vivere di ciò che ricevono in cambio, perché l’operaio merita il suo salario. Ciò significa che devono aver fiducia nella condivisione. E così, per mezzo di questa nuova pratica, loro riscattavano una delle più antiche tradizioni del popolo di Dio, criticando una cultura di accumulazione che marcava la politica dell’Impero Romano ed annunciavano un nuovo modello di convivenza umana.
Luca 10,8: La comunione attorno alla mensa
I discepoli devono mangiare ciò che la gente offre loro. Quando i farisei andavano in missione, andavano preparati. Portavano sacco e denaro per potersi occupare del proprio cibo. Sostenevano che non potevano aver fiducia nel cibo della gente perché non sempre era ritualmente “puro”. Così, le osservanze della Legge della purezza legale, in vece di aiutare a superare le divisioni, indebolivano il vissuto dei valori comunitari. I discepoli di Gesù non dovevano separarsi dalla gente, ma al contrario, dovevano accettare la comunione attorno alla mensa. Nel contatto con la gente, non potevano aver paura di perdere la purezza legale. Il valore comunitario della convivenza fraterna prevale sull’osservanza delle norme rituali. Agendo così, criticavano le leggi della purezza che erano in vigore, ed annunciavano un nuovo accesso alla purezza, all’intimità con Dio.
Luca 10,9a: L’accoglienza agli esclusi
I discepoli devono occuparsi dei malati, curare i lebbrosi e cacciare i demoni (cf Mt 10,8). Questo significa che devono accogliere dal di dentro della comunità coloro che da essa furono esclusi. La pratica della solidarietà critica la società che esclude una persona dal resto della comunità. E così si recupera l’antica tradizione profetica delgoêl. Fin dai tempi più antichi la forza del clan o della comunità si rivelava nella difesa dei valori della persona, della famiglia e della possessione della terra, e concretamente si manifestava ogni “sette volte sette anni” nella celebrazione dell’anno giubilare (Lv 25,8-55; Dt 15,1-18).
Luca 10,9b: L’arrivo del Regno
Ospitalità, condivisione, comunione attorno alla mensa, accoglienza degli esclusi (goêl) erano le quattro colonne che dovevano sostenere la vita comunitaria. Però a causa della situazione difficile della povertà, della mancanza di impiego, della persecuzione e della repressione da parte dei romani, queste colonne si erano rotte. Gesù vuole ricostruirle ed afferma che, se si ritorna a queste quattro esigenze, i discepoli possono annunciare ai quattro venti: Il Regno dei cieli è qui! Annunciare il Regno non è in primo luogo insegnare verità e dottrine, ma portare le persone ad un nuovo modo di vivere e di convivere, ad un nuovo modo di agire e di pensare, partendo dalla Buona Novella che Gesù ci annuncia: Dio è Padre, e quindi noi siamo fratelli e sorelle gli uni degli altri.
Luca 10,10-12: Scuotere la polvere dai sandali
Come intendere questa minaccia così severa? Gesù non è venuto a portare una cosa totalmente nuova. E’ venuto a riscattare i valori comunitari del passato: l’ospitalità, la condivisione, la comunione attorno alla mensa, l’accoglienza degli esclusi. Ciò spiega la severità contro coloro che rifiutano il messaggio. Ma loro non rifiutano qualcosa di nuovo, bensì il loro passato, la propria cultura e saggezza! Il programma di Gesù ai 72 discepoli aveva lo scopo di scavare nella memoria, di riscattare i valori comunitari della più antica tradizione, di ricostruire la comunità e di rinnovare l’alleanza, di rifare la vita e così, fare in modo che Dio diventi di nuovo la grande Buona Notizia per la vita umana.
Luca 10,17-20: Il nome scritto nel cielo
I discepoli ritornano dalla missione e si riuniscono con Gesù per valutare quanto fatto. Cominciano a raccontare. Informano con molta allegria che, usando il nome di Gesù, sono riusciti a scacciare i demoni! Gesù li aiuta nel discernimento. Se loro riescono a cacciare i demoni, è proprio perché Gesù ha dato loro potere. Stando con Gesù non potrà succedere loro nulla di male. E Gesù dice che la cosa più importante non è scacciare i demoni, ma avere il loro nome scritto nel cielo. Avere il proprio nome scritto nel cielo vuol dire avere la certezza di essere conosciuti ed amati dal Padre. Poco prima, Giacomo e Giovanni avevano chiesto di far cadere un fuoco dal cielo per uccidere i samaritani (Lc 9,54). Ora, per l’annuncio della Buona Novella, Satana cade dal cielo (Lc 10,18) ed i nomi dei discepoli samaritani entrano nel cielo! In quel tempo molte persone pensavano che ciò che era samaritano era cosa del demonio, cosa di Satana (Gv 8,48). Gesù cambia tutto!
c) Ampliando le informazioni:
Le piccole comunità che si vanno formando, sia in Galilea come in Samaria, sono in primo luogo “saggio del Regno”. La comunità attorno a Gesù è come il volto di Dio, trasformato in Nuova Novella per la gente, soprattutto per i poveri. Sarà che la nostra comunità è così?
Ecco alcune tratti della comunità che si formò attorno a Gesù. Sono tratti del volto di Dio che si rivelano in essa. Servono da specchio per la revisione della nostra comunità:
i) “Uno solo è il maestro e voi tutti siete fratelli" (Mt 23,8). La base della comunità non è il sapere, nemmeno il potere, ma l’uguaglianza tra tutti: fratelli e sorelle. E’ la fraternità.
ii) Gesù insiste nell’uguaglianza tra uomo e donna (Mt 19,7-12) e da ordini tanto agli uomini come alle donne (Mt 28,10; Mc 16,9-10; Gv 20,17). Tutti loro “seguono” Gesù, dalla Galilea (Mc 15,41; Lc 8,2-3).
iii) C’era una cassa comune che era condivisa con i poveri (Gv 13,29). Questa condivisione deve raggiungere l’anima ed il cuore (At 1,14; 4,32). Deve giungere fino al punto che non ci siano segreti tra di loro (Gv 15,15).
iv) Il potere è servizio. “Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti!” (Mc 10,44). Gesù da l’esempio (Gv 13,15). "Non sono venuto per essere servito, ma per servire" (Mt 20,28). "Sono in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27). "Siamo servi inutili!" (Lc 17,10)
v) A causa dei molti conflitti e divisioni, Gesù insiste affinché la comunità sia un luogo di perdono e di riconciliazione. E non di condanna reciproca (Mt 18,21-22; Lc 17,3-4). Il potere di perdonare fu dato a Pietro (Mt 16,19), agli apostoli (Gv 20,23) ed alle comunità (Mt 18,18). Il perdono di Dio passa per la comunità.
vi) Pregavano insieme nel Tempio (Gv 2,13; 7,14; 10,22-23). A volte Gesù forma gruppi minori (Lc 9,28; Mt 26,36-37). Pregano prima di mangiare (Mc 6,41; Lc 24,30) e frequentano le sinagoghe (Lc 4,16).
vii) Allegria che nessuno può togliere (Gv 16,20-22) "Beati voi!" Il vostro nome è scritto nel cielo (Lc 10,20), i loro occhi vedranno la promessa (Lc 10,23-24), il Regno è vostro! (Lc 6,20).
La comunità attorno a Gesù serve da modello ai primi cristiani dopo la sua risurrezione (At 2,42-47)! La comunità è come il volto di Dio trasformato in Buona Novella per la gente.
6. Preghiera del Salmo 146 (145)
Il Volto di Dio, confermato da Gesù
Alleluia.
Loda il Signore, anima mia:
loderò il Signore per tutta la mia vita,
finché vivo canterò inni al mio Dio.
Non confidate nei potenti,
in un uomo che non può salvare.
Esala lo spirito e ritorna alla terra;
in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni.
Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe,
chi spera nel Signore suo Dio,
creatore del cielo e della terra,
del mare e di quanto contiene.
Egli è fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dá il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri,
il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge lo straniero,
egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione.
7. Orazione Finale
Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell'unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
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2 APR 2019 15:58
IL SESSO È UN DONO DI DIO? – PUBBLICATA L’ESORTAZIONE DI PAPA FRANCESCO AI GIOVANI “CHRISTUS VIVIT”, IN CUI SI PARLA PURE DI SESSUALITÀ: “NIENTE TABÙ. LA MORALE SESSUALE È CAUSA DI INCOMPRENSIONE E ALLONTANAMENTO DALLA CHIESA PERCHÉ PERCEPITA COME UNO SPAZIO DI GIUDIZIA E CONDANNA" – “CI SONO GIOVANI CHE SENTONO LA PRESENZA DELLA CHIESA COME FASTIDIOSA E PERFINO IRRITANTE…” (IRRITANTE COME UN PRETE PEDOFILO)
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1 – PAPA FRANCESCO DICE CHE LA MORALE SESSUALE ALLONTANA I GIOVANI DALLA CHIESA
(askanews) – La morale sessuale è spesso “causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna”. Papa Francesco ripropone un passaggio del documento finale del sinodo sui giovani che si è svolto in Vaticano dal tre al 18 ottobre scorsi nell’esortazione apostolica Christus vivit pubblicata oggi.
“I giovani riconoscono che il corpo e la sessualità sono essenziali per la loro vita e per la crescita della loro identità”, scrive Francesco al paragrafo 81. “Tuttavia, in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive. Per questa e per altre ragioni, la morale sessuale è spesso – prosegue Jorge Mario Bergoglio citando il testo finale approvato dai vescovi ad ottobre – ‘causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna’. Nello stesso tempo, i giovani esprimono ‘un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità'”.
Al Sinodo, scrive ancora il Papa al paragrafo 40, “si è riconosciuto che ‘un numero consistente di giovani, per le ragioni più diverse, non chiedono nulla alla Chiesa perché non la ritengono significativa per la loro esistenza.
Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, poiché sentono la sua presenza come fastidiosa e perfino irritante. Tale richiesta spesso non nasce da un disprezzo acritico e impulsivo, ma affonda le radici anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani; la scarsa cura nella preparazione dell’omelia e nella presentazione della Parola di Dio; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società contemporanea’”.
2 – GIOVANI, IL PAPA: NESSUN TABÙ SULLA SESSUALITÀ, È UN DONO DI DIO
Domenico Agasso jr. per “la Stampa”
Papa Francesco si sofferma sull’«ambiente digitale», che ha creato «un nuovo modo di comunicare» e che «può facilitare la circolazione di informazione indipendente». Presenta «i migranti come paradigma del nostro tempo». E assicura: «I giovani sentono fortemente la chiamata all'amore e sognano di incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia».
Dio ha creato la sessualità, che è un Suo dono, e dunque «niente tabù». Nell’esortazione post-sinodale dedicata ai ragazzi e intitolata «Christus vivit» («Cristo vive»), pubblicata oggi, 2 aprile 2019, il Pontefice ricorda ai ragazzi che «c’è una via d’uscita» in tutte le situazioni buie e dolorose. Riflette su quelli «impegnati», affermando che possono a volte correre «il rischio di chiudersi in piccoli gruppi».
Sottolinea che tutti sono chiamati a essere «missionari coraggiosi». Firmato lunedì 25 marzo nella Santa Casa di Loreto e indirizzata «ai giovani e a tutto il popolo di Dio», nel documento, composto di nove capitoli divisi in 299 paragrafi, il Vescovo di Roma spiega di essersi lasciato «ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo» dei giovani, che si è svolto in Vaticano nell’ottobre 2018.
E dà indicazioni chiare alla pastorale giovanile: non può che essere sinodale, cioè capace di dar forma a un «camminare insieme»; e comporta due grandi linee di azione: la ricerca e la crescita. Deve essere «popolare, più ampia e flessibile, che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro».
Che cosa dice Dio sui giovani?
Francesco ricorda che «in un’epoca in cui i giovani contavano poco, alcuni testi mostrano che Dio guarda con altri occhi». Gesù, «l’eternamente giovane, vuole donarci un cuore sempre giovane» e aggiunge: «Notiamo che a Gesù non piaceva il fatto che gli adulti guardassero con disprezzo i più giovani o li tenessero al loro servizio in modo dispotico. Al contrario, chiedeva: “Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane”. Per Lui, l’età non stabiliva privilegi, e che qualcuno avesse meno anni nonsignificava che valesse di meno». Francesco afferma: «Non bisogna pentirsi di spendere la propria gioventù essendo buoni, aprendo il cuore al Signore, vivendo in un modo diverso».
No alla Chiesa sempre in guerra per due o tre temi «che la ossessionano»
Non bisogna pensare, scrive Francesco, che «Gesù fosse un adolescente solitario o un giovane che pensava a sé stesso. Il suo rapporto con la gente era quello di un giovane che condivideva tutta la vita di una famiglia ben integrata nel villaggio», «nessuno lo considerava un giovane strano o separato dagli altri».
Il Papa fa notare che Gesù adolescente, «grazie alla fiducia dei suoi genitori... si muove con libertà e impara a camminare con tutti gli altri». Questi aspetti della vita di Gesù non dovrebbero essere ignorati nella pastorale giovanile, «per non creare progetti che isolino i giovani dalla famiglia e dal mondo, o che li trasformino in una minoranza selezionata e preservata da ogni contagio». Servono invece «progetti che li rafforzino, li accompagnino e li proiettino verso l’incontro con gli altri, il servizio generoso, la missione».
Il Signore «ci chiama ad accendere stelle nella notte di altri giovani». Francesco parla quindi della giovinezza della Chiesa e scrive: «Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri. No». È giovane «quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio».
È vero che «noi membri della Chiesa non dobbiamo essere tipi strani», ma al contempo «dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale». La Chiesa può essere tentata di perdere l’entusiasmo e cercare «false sicurezze mondane. Sono proprio i giovani che possono aiutarla a rimanere giovane».
Il Papa torna poi su uno degli insegnamenti a lui più cari e spiegando che bisogna presentare la figura di Gesù «in modo attraente ed efficace» dice: «Per questo bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo. Questo comporta che riconosca con umiltà che alcune cose concrete devono cambiare».
Nell’esortazione si riconosce che ci sono giovani i quali sentono la presenza della Chiesa «come fastidiosa e perfino irritante». Un atteggiamento che affonda le radici «anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società».
Ci sono giovani che «chiedono una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo. Non vogliono vedere una Chiesa silenziosa e timida, ma nemmeno sempre in guerra per due o tre temi che la ossessionano. Per essere credibile agli occhi dei giovani, a volte habisogno di recuperare l’umiltà e semplicemente ascoltare, riconoscere in ciò che altri dicono una luce che la può aiutare a scoprire meglio il Vangelo».
Per esempio, una Chiesa troppo timorosa può essere costantemente critica «nei confronti di tutti i discorsi sulla difesa dei diritti delle donne ed evidenziare costantemente i rischi e i possibili errori di tali rivendicazioni», mentre una Chiesa «viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni delle donne», pur «non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi».
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..Pubblichiamo di seguito stralci della Lettera che il Santo Padre Francesco ha inviato al Cardinale Giuseppe Versaldi, Gran Cancelliere dell’Università Cattolica del Perù, in occasione del primo centenario dell’Ateneo..Lettera del Santo Padre..Al signore cardinale Giuseppe Versaldi, grande cancelliere della pontificia università cattolica di Perù..caro fratello: mi è caro salutarti e salutare la pontificia università cattolica a motivo del primo centenario della sua istituzione..ringrazio il Signore per tutti i benefici ricevuti dalla sua infinita bontà durante questi anni dedicati al servizio della chiesa e della società di questo caro paese..questo lieto evento, ci offre la possibilità di pensare alla natura e allo scopo di questa università..nel suo statuto è definita come una ..comunità di insegnanti, studenti e laureati dedicata al fine essenziale di una istituzione universitaria cattolica.. (art.1)..in questa formulazione già è sintetizzato tutto un progetto, non solo educativo ma anche di vita..è prima tutto di una comunità, il che dovrebbe significare essere membri di un stessa famiglia, parte di una storia comune, con stessi principi fondamentali dai quali ebbe origine e che ha fatto in modo che come comunità si formasse e si consolidasse..occorre continuare a camminare insieme e uniti, valorizzando l'eredità che avete ricevuto e che dovete difendere, sia trasmettendola al mondo presente che a quello delle nuove generazioni..è innegabile che il fondatore di tale centro educativo lanciò una proposta coraggiosa al servizio della società peruviana e della Chiesa..è una chiamata all'apertura verso le altre culture e realtà..se invece si trattiene tutto dentro di sé, contemplando da soli il proprio sapere e i propri risultati, il tutto è destinato al fallimento..perché comunque, conoscere il pensiero degli altri ci arricchisce, e ci stimola a suo tempo ad approfondire in noi stessi per potere avviare un dialogo serio e fruttuoso con chi ci circonda..inoltre tale comunità ha formato insegnanti, studenti e laureati..i ruoli sono diversi ma vi è la necessità di apprendere dall'altro sinceramente..l'insegnante è uno, Nostro Signore (mt 23,8; gv 13,13); e chi è chiamato a insegnare ha che fare con l'imitazione di Gesù, buono insegnante, che oltre a seminare ogni giorno con sua parola, era paziente e umile nel trattare con gli altri..se noi contempliamo il suo esempio, allora dobbiamo tenere conto che per insegnare la prima cosa è imparare, essere discepolo..questo ultimo è ancora l'esempio del suo insegnamento e essere attenti al suo insegnamento ci può, vi può, aiutare a essere migliori..questa tensione interna aiuta a essere e a riconoscersi umili e bisognosi della grazia divina per potere fare fruttificare i talenti che avete ricevuto..insegnare e imparare è un processo lento e approfondito, che necessita di attenzione e di amore costante, per cui, lavorare con il Creatore a dare forma al lavoro delle sue mani..attraverso questo compito ..sacro..è possibile promuovere la conoscenza e far fruttificare perfezione e bontà, doni presenti nelle creature care a Dio, riflesso della saggezza e bontà infinita di Dio (laudato si’, 69). in questo compito, tutti, professori, studenti e dottori, sono necessari..ciascuno fornisce il contributo del suo sapere e la specificità della sua vocazione e vita, arricchendo il centro di studi di splendore non solo accademico, ma anche come scuola di umanità..infine, la comunità ha come obiettivo la ricerca e il fine essenziale di essere una istituzione universitaria cattolica..essere evangelizzati per evangelizzare..il cristiano è stato conquistato dal Signore e tale incontro lo trasforma in testimone..l'apprendimento della conoscenza non è abbastanza, bisogna lavorare sulla vita, essere fermento nella massa..noi discepoli siamo missionari e siamo chiamati a diventare il mondo in un vangelo vivo..l'esempio della nostra vita e delle nostre buone opere sarà una testimonianza per Cristo, che cambia il cuore dell'uomo trasformandolo in una creatura nuova..questa istituzione, con tutti isuoi membri, deve raccogliere la sfida di uscire per andare incontro all'uomo e alla donna di oggi, portare una parola autentica e salvifica..per raggiungere questo fine, deve ricercare ardentemente e con rigore la verità, e appropriatamente trasmetterla, lavorando in questo modo alla promozione della persona umana e alla costruzione della società, come incoraggiava a fare anche Giovanni Paolo II..questa università, che in conformità con sua origine, storia e missione, ha un collegamento speciale con il successore di Pietro e, in comunione con lui con la chiesa universale, avrà raggiunto i suoi obiettivi se è in grado di portare al tessuto sociale quella dose di professionalità e umanità, che sono proprie di un cristiano che ricerca con passione la sintesi tra la fede e la ragione..raccomando alla nostra madre, la vergine maria, trono di saggezza, i progetti e le sfide che ha la pontificia università cattolica di Perù, come anche chiedo al Signore che formi tale università come comunità educativa, e sua famiglia..vi chiedo di non dimenticare di pregare per me, e imparto a tutti voi la benedizione apostolica..Francesco..
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Mercoledì 8 Luglio 2020 : Commento Concilio Vaticano II
La missione divina affidata da Cristo agli apostoli durerà fino alla fine dei secoli (cfr. Mt 28,20), poiché il Vangelo che essi devono predicare è per la Chiesa il principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli apostoli, in questa società gerarchicamente ordinata, ebbero cura di istituire dei successori. Infatti, non solo ebbero vari collaboratori nel ministero ma perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte, affidarono, quasi per testamento, ai loro immediati cooperatori l'ufficio di completare e consolidare l'opera da essi incominciata raccomandando loro di attendere a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo li aveva posti a pascere la Chiesa di Dio (cfr. At 20,28). Perciò si scelsero di questi uomini e in seguito diedero disposizione che dopo la loro morte altri uomini subentrassero al loro posto. Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa, secondo la testimonianza della tradizione, tiene il primo posto l'ufficio di quelli che costituiti nell'episcopato, per successione che decorre ininterrotta fin dalle origini sono i sacramenti attraverso i quali si trasmette il seme apostolico. Così, come attesta S. Ireneo, per mezzo di coloro che gli apostoli costituirono vescovi e dei loro successori fino a noi, la tradizione apostolica in tutto il mondo è manifestata e custodita . I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi. Presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa. Come quindi è permanente l'ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, cosi è permanente l'ufficio degli apostoli di pascere la Chiesa, da esercitarsi in perpetuo dal sacro ordine dei vescovi.
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Gli adolescenti hanno bisogni di salute e psico-sociali suoi propri, che permettano loro di affrontare le nuove sfide ed emergenze della società in cui si muovono
SORRENTO (NA) – Al Teatro Tasso in piazza Sant’Antonino sabato 19 ottobre dalle ore 9 alle ore 13 si terrà l’importante convegno La Società degli adolescenti grande evento a favore degli adolescenti a cura della SIMA | Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza, presieduta dalla dottoressa Gabriella Pozzobon, e della Consulta Sanità dell’Amministrazione comunale sorrentina, coordinata dal dottor Costantino Astarita.
Il convegno gode del patrocinio degli Assessorati alla Cultura e alla Pubblica Istruzione, guidato da Maria Teresa De Angelis, e alle Pari Opportunità, retto da Rachele Palomba.
Il Convegno scientifico La Società degli adolescenti, in cui i massimi esperti nazionali forniranno le “istruzioni per l’uso” per vivere al meglio le mille contraddizioni e sfide dell’età della transizione.
La SIMA, inserita dal Ministero della Salute nell’elenco delle Società scientifiche abilitate a produrre linee guida cui i Medici e gli altri operatori sanitari dovranno attenersi nello svolgimento della propria attività. La sua mission è il continuo miglioramento e aggiornamento delle conoscenze e competenze di chi a vario titolo si prende cura della salute degli adolescenti. L’adolescenza è intesa come fase della vita che va dalla comparsa dei primi segni di sviluppo puberale al raggiungimento del pieno e completo sviluppo fisico e psicologico tipico dell’età adulta.
Ciò che rende necessaria l’esistenza di una Società che abbia competenze specifiche sull’adolescente è l’assoluta peculiarità di questa epoca della vita, una sorta di “terra di mezzo”, con bisogni di salute e psico-sociali suoi propri, che spesso non trovano adeguata possibilità di accoglienza e soluzione da parte di chi non sia adeguatamente formato, soprattutto a causa delle nuove sfide ed emergenze della società in cui si muovono i ragazzi.
La Consulta Sanità del Comune è invece un organismo tecnico che affianca e supporta l’Amministrazione pubblica riguardo alle problematiche e decisioni riguardanti la salute del cittadino, e già ha dimostrato in diverse occasioni notevole sensibilità nei confronti di informazione, prevenzione e tutela della salute della comunità.
Il Convegno di aggiornamento e formazione sarà ad ingresso gratuito per tutti, e rivolto sia ai sanitari (medici di varie discipline, psicologi, nutrizionisti, infermieri, fisioterapisti e terapisti della riabilitazione, logopedisti, tecnici, sociologi, pedagogisti) sia a dirigenti scolastici, docenti, educatori e scolaresche (scuole medie e superiori), sia alla cittadinanza tutta. La Giornata prevede brevi relazioni degli esperti con successivo ampio spazio alle domande, alla discussione e allo scambio di reciproci commenti con i partecipanti, ai quali sarà rilasciato attestato di partecipazione.
L’importanza dell’evento informativo/formativo è grande: diverse associazioni no-profit, tanto del territorio quanto nazionali, hanno concesso il loro patrocinio: Associazione scientifica farmacisti italiani (Asfi), Associazione psicologi Penisola sorrentina (Aspes), Associazione culturale Completamente, Associazione culturale Cypraea Onlus, Diamo vita ai giorni, Fidapa BPW Italy sez. Castellammare di Stabia, Fidapa BPW Italy sez. Penisola sorrentina, International Hinner Wheel Sorrento, Istituto di cultura Torquato Tasso, Accademia Calcio Sorrento, Amiche del Museo Correale, Leo-Club Sorrento, i due Lions Clubs di Castellammare di Stabia, Lions Club Penisola sorrentina, Rotary Club Roma Appia Antica, Rotary Club Sorrento, Ricomincio da me, SLAM Corsi e Formazione, Unitre Penisola sorrentina. Il programma prevede una prima parte dedicata agli aspetti clinici: delle modificazioni ormonali che caratterizzano l’adolescenza e della loro patologia parlerà il dottor Armando Grossi, Dirigente endocrinologo dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Roma e Consigliere nazionale SIMA, moderato dal “papà” dell’endocrinologia pediatrica in Campania, il dottor Salvatore Di Maio; la Presidente SIMA, Dirigente Pediatra del Dipartimento Materno-Infantile, Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’IRCCS Ospedale San Raffaele/Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, Gabriella Pozzobon, parlerà dell’importanza dell’attività sportiva in adolescenza, moderata dal Presidente della Società Italiana di pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), Giuseppe Di Mauro; della prevenzione in adolescenza attraverso dieta sana, integratori, probiotici, parlerà Carlo Alfaro, Dirigente Pediatra Ospedali Riuniti Stabiesi, Consigliere nazionale SIMA e membro Consulta Sanità Sorrento, moderato da Renato Vitiello, già Direttore UOC di Pediatria e Neonatologia dei PO di Boscotrecase e di Vico Equense. La seconda parte sarà invece dedicata alle tematiche psico-sociali, a partire dalla relazione, moderata dal dottor Luigi Tarallo, Direttore della UOC di Pediatria degli Ospedali Riuniti Sabiesi, dell’Avv. Giuseppe Fortunato, Roma, “Lo Scudo della Cybervittima”, con il contestuale lancio del “Difensore della Cybervittima”, un organismo costituito da SIMA, Civicrazia (rete di oltre quattromila associazioni impegnate assieme affinché il potere pubblico sia davvero al servizio del Cittadino) e Associazione Nazionale dei Difensori Civici Italiani. L’Avvocato Fortunato, Difensore Civico presso la Regione Campania, è stato componente del Garante per la protezione dei dati personali, Avvocato Capo del Settore legale e legislativo della Vice Presidenza del Consiglio dei Ministri in Palazzo Chigi e Direttore nei ruoli del Consiglio di Stato, ha coordinato più organismi internazionali di autorità pubbliche nel campo della tutela dei diritti (Laboratorio Privacy Sviluppo, Conferenza internazionale di 25 Autorità Garanti della privacy, The International Ombudsman, International ombudsman Counter), è avvocato presso l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica ed è specialista in diritto amministrativo e scienze dell’amministrazione ed in diritto del lavoro e relazioni industriali. Si prosegue poi con la relazione in videoconferenza, moderata dal dottor Luca De Franciscis, endocrinologo, “Cyber education: contesti, modelli, problemi”, a cura del Prof. Mario Caligiuri, Professore associato di Pedagogia della comunicazione all’Università della Calabria, dove dall’anno accademico 1996/97 insegna Comunicazione pubblica e nel biennio 2001/2003 è stato ricercatore temporaneo in Psicologia generale. Professore affidatario alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma, collabora con la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (per la quale ha diretto il Corso di Eccellenza “Comunicare lo sviluppo”), ha tenuto seminari in numerose Università italiane, è Presidente della Fondazione “Italia Domani”, è stato coordinatore del Gruppo di lavoro nazionale sulla Comunicazione Pubblica dell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia), Presidente del Centro Europeo sull’Etica dei Media e Direttore dell’Universitè d’Etè di Soveria Mannelli. Per la Rubbettino editore dirige le collane “Comunicazione pubblica” e “Intelligence e comunicazione” e ha la Delega alla Cultura ed ai Beni Culturali. Infine, la psichiatra e psicologa clinica Rosalba Trabalzini, Consigliere nazionale SIMA e direttore di Guidagenitori.it, parlerà della funzione degli influencer su emozioni e comportamenti degli adolescenti, moderata dal dottor Antonio Campa, già direttore della UOC Pediatria d’Urgenza dell’Ospedale Santobono e Presidente SIMEUP (Società Italiana di Medicina Emergenza Urgenza Pediatrica) Campania.
I responsabili scientifici del Convegno La Società degli adolescenti sono Gabriella Pozzobon e Costantino Astarita, la segreteria scientifica e organizzativa è a cura di Carlo Alfaro e Luca De Franciscis.
Di seguito il programma in dettaglio
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Adolescenti e Società Gli adolescenti hanno bisogni di salute e psico-sociali suoi propri, che permettano loro di affrontare le nuove sfide ed emergenze della società in cui si muovono…
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Ma sono ancora più strane, nello stesso tempo spaventose e rattristanti, l'audacia e la leggerezza di spirito di uomini che si dicono cattolici, che sognano di rifare la società in simili condizioni e di stabilire sulla terra, al di sopra della Chiesa cattolica, "il regno della giustizia e dell'amore", con operai venuti da ogni parte, di tutte le religioni oppure senza religione, con o senza credenze, purché dimentichino quanto li divide, le loro convinzioni religiose e filosofiche, e mettano in comune quanto li unisce, un 'generoso idealismo' e forze morali prese "dove possono". Quando si pensa a tutto quanto è necessario in forze, in scienza, in virtù soprannaturali per istituire la città cristiana, e alle sofferenze di milioni di martiri, e alle illuminazioni dei Padri e dei Dottori della Chiesa, e alla dedizione di tutti gli eroi della carità, e a una potente gerarchia nata dal Cielo, e ai fiumi di grazia divina, e il tutto edificato, collegato, compenetrato dalla Vita e dallo Spirito di Gesù Cristo, la Sapienza di Dio, il Verbo fatto uomo; quando si pensa, diciamo, a tutto questo, si è spaventati nel vedere nuovi Apostoli intestardirsi a fare di meglio mettendo in comune un vago idealismo e virtù civiche. Che cosa produrranno? Che cosa sta per uscire da questa collaborazione? Una costruzione puramente verbale e chimerica, in cui si vedranno luccicare alla rinfusa e in una confusione seducente le parole di libertà, di giustizia, di fraternità e di amore, di uguaglianza e di umana esaltazione, il tutto basato su una dignità umana male intesa. Si tratterà di un'agitazione tumultuosa, sterile per il fine proposto e che avvantaggerà gli agitatori delle masse meno utopisti (....). Temiamo che vi sia ancora di peggio. Il risultato di questa promiscuità nel lavoro, il beneficiario di quest'azione sociale cosmopolitica, può essere soltanto una democrazia che non sarà né cattolica, né protestante, né ebraica; una religione... più universale della Chiesa cattolica, che riunirà tutti gli uomini divenuti finalmente fratelli e compagni, nel "regno di Dio".- "Non si lavora per la Chiesa: si lavora per l'umanità". E ora, pervasi dalla più viva tristezza, ci domandiamo, Venerabili Fratelli, che cosa è diventato il cattolicesimo del Sillon [movimento francese- ndr]. Ahimè! Esso...è stato captato, nel suo corso, dai moderni nemici della Chiesa e d'ora innanzi forma solo un misero affluente del grande movimento di apostasia, organizzato, in tutti i paesi, per l'instaurazione di una Chiesa universale, che non avrà né dogmi né gerarchia, né regole per lo spirito, né freno per le passioni, e che, con il pretesto della libertà e della dignità umana, ristabilirebbe nel mondo, qualora potesse trionfare, il regno legale dell'astuzia e della forza, e l'oppressione dei deboli, di quelli che soffrono e che lavorano
Lettera Apostolica di San Pio X agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi, Notre charge apostolique, Roma, 25 agosto 1910
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"Sposi, non è amore se non è aperto alla procreazione"
Nel 50° anniversario di Humanae Vitae è importante riscoprire (come ha chiesto anche papa Francesco) il contenuto fondamentale dell'enciclica di san Paolo VI. Vale a dire che i rapporti sessuali devono sempre essere aperti alla fecondità perché si possa parlare di amore coniugale; mentre la contraccezione porta alla banalizzazione del sesso.
di Stephan Kampowski* (11-11-2018)
Con la sua enciclica Humanae vitae papa san Paolo VI ci ha lasciato in eredità un documento profetico di cui stiamo celebrando quest’anno il 50° anniversario. Nella sua Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, Papa Francesco esprime la sua stima per l’enciclica, affermando ben due volte che il suo messaggio “va riscoperto” (cfr. AL 82 e AL 222), mentre fa esplicito riferimento ai paragrafi nn. 10-14, che sono quelli in cui è formulato il contenuto normativo dell’enciclica. In quanto segue, accetteremo l’invito di Francesco con una breve riflessione.
La Humanae vitae si occupa in primo luogo della trasmissione della vita umana e dei modi in cui la missione e la vocazione specifica delle coppie sposate alla genitorialità può essere vissuta responsabilmente. Affrontando questi temi, Paolo VI viene subito a parlare delle esigenze dell’amore coniugale, un amore che riguarda l’essere umano nell’unità di corpo e anima, un amore che abbraccia tutta la vita, che è fedele ed esclusivo, e che è fecondo (cfr. HV 9). In particolare, l’enciclica considera le condizioni necessarie che devono essere soddisfatte affinché gli atti di rapporti sessuali tra i coniugi possano veramente essere chiamati atti di amore coniugale. Per questo è necessario pensare sempre insieme sessualità e fecondità (cfr. HV 12), anche se non è necessario che gli sposi sempre intendano concepire un figlio quando si uniscono nella carne (cfr. HV 16). Per tenere insieme i due significati dell’atto coniugale, cioè il significato unitivo e quello procreativo (cfr. HV 12), secondo l’Humanae vitae è sufficiente che gli sposi non rendano deliberatamente infertile questo atto.
I coniugi possono essere consapevoli del fatto che, per motivi indipendenti dalla loro volontà, nessun figlio può essere concepito in questo atto perché la donna si trova nel suo periodo sterile o perché la fertilità della coppia è stata diminuita da qualche malattia o dalla vecchiaia. A livello di ciò che viene scelto, il loro atto di rapporto coniugale avrà comunque un significato procreativo a causa dellapotenzialità sostanziale che è insita in questo gesto come atto sessuale tra un uomo e una donna. Sotto questo aspetto il loro atto continua ad essere un atto generativo. Prende la sua descrizione specifica dal fatto che si tratta di un atto compiuto tra un uomo e una donna che non si sono manipolati e che fanno un uso degli organi appropriati.
Le cose cambiano quando l’uomo e la donna si rendono deliberatamente sterili. Non possono più scegliere l’atto del rapporto sessuale come atto di tipo generativo (cfr. G.E.M. Anscombe, “Contraccezione e castità”, in Id. Una profezia per il nostro tempo: ricordare la sapienza di Humanae vitae, Cantagalli, Siena 2018). Anche se la contraccezione può fallire e un bambino può comunque essere concepito, sotto l’aspetto di ciò che la coppia sceglie, scelgono un atto che è intrinsecamente sterile. Pertanto, non si può dire che un atto sessuale contraccettivo abbia un significato procreativo.
Ora la tesi principale di Humanae vitae è che un atto coniugale può essere veramente chiamato atto di amore coniugale solo se conserva il suo significato procreativo. Quando perde il suo significato procreativo, perde anche il significato di unione amorosa. Questa è l’essenza del cosiddetto “principio di inscindibilità” proposto da Humanae vitae n. 12. L’enciclica enuncia questo principio senza dedicare molto spazio a esplicitarlo argomentativamente. Bisogna ricordare il genere letterario di un’enciclica papale, che mira a definire i termini fondamentali di un dibattito, decidendo su questioni difficili, ma che non ha bisogno di addentrarsi in argomentazioni teologiche o filosofiche più profonde. Se è vero, tuttavia, che un atto coniugale è solo un atto di amore sponsale quando conserva il suo significato procreativo – cioè, quando può essere scelto come atto generativo – e se difatti occorre che ogni atto sessuale sia un atto di amore coniugale (il che è l’essenza del sesto comandamento), allora è “esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione” (HV 14).
Le coppie sposate che si rendono deliberatamente sterili chiaramente separano la loro sessualità da qualsiasi nozione di fecondità. La maggior parte delle persone, anche i critici dell’enciclica, probabilmente potranno concedere questo fatto. Ma dove sta il problema? Qual è la base dell’affermazione dell’Humanae Vitae secondo cui i significati unitivo e procreativo dell’atto sessuale sono “inscindibili”, cosicché quando uno esclude deliberatamente un significato, uno perde anche l’altro? Per vedere come questi due significati siano inscindibilmente uniti, le seguenti considerazioni possono essere d’aiuto. A livello di cultura e società, assistiamo oggi ad una banalizzazione senza precedenti della sessualità umana. L’attività sessuale è stata “liberata” da ogni vincolo sociale. Che cosa è cambiato? Qual era la ragione dei potenti tabù del passato sulla sessualità? In passato, la società ha custodito attentamente l’attività sessuale proprio per il suo potenziale procreativo. Ciò che rendeva gli atti sessuali così significativi, che ne faceva un modo così forte di esprimere l’unione d’amore; ciò che esigeva l’esclusività dei partner e il loro essere uniti con una mutua promessa per tutta la vita, era proprio questo: la loro capacità di dare vita a nuovi esseri umani. Ma se gli atti sessuali sono privati di quello che li rende così significativi,allora, nell’ultima conseguenza, saranno banalizzati. Se il rapporto sessuale non è più scelto come qualcosa di potenzialmente fecondo, allora – almeno sul piano sociale e culturale – diventa rapidamente uno dei tanti possibili tipi di interazione amichevole, che non è necessariamente più importante di una partita a scacchi, da cui non ci si possono aspettare drastiche conseguenze capaci di cambiare la vita. Nessuno è mai diventato padre o madre giocando a scacchi. Come diceva una volta la filosofa inglese G.E.M. Anscombe, l’uso diffuso della contraccezione e la conseguente separazione tra sessualità e fecondità ha ridotto il significato del rapporto sessuale a “nulla più di una specie di bacio estremo che potrebbe essere alquanto scortese rifiutare” (“Contraccezione e castità”, p. 92).
Se, d’altra parte, quando si incontrano nei loro rapporti sessuali, marito e moglie si considerano sempre come la fonte di una possibile nuova vita, guardandosi continuamente l’un l’altra come potenziale padre e potenziale madre dei loro figli comuni, allora il loro incontro è sempre di grande importanza, e l’esclusività del loro rapporto sessuale non richiede ulteriori giustificazioni. Come disse una volta Karol Wojtyła, ciò che è in gioco nell’atto sessuale è “l’accettazione della possibilità della procreazione”, cioè la consapevolezza dalla parte dell’uomo e della donna che tramite questo atto “‘io posso essere padre’, ‘io posso essere madre’” (Amore e responsabilità, Torino, 168). Anche se il marito e la moglie si astengono periodicamente perché ora, per buoni motivi, non vogliono concepire (ulteriori) figli, trattano sempre l’un l’altra e il loro atto sessuale come qualcosa di potenzialmente fecondo. Proprio per questo motivo si sono astenuti durante i giorni fertili della donna. Semplicemente non avendo rapporti sessuali in certi giorni non è un gesto capace di cambiare il tipo di atto che compiono nei giorni non fertili. Quello che scelgono continua ad essere un atto di tipo generativo, un atto potenzialmente fecondo nel suo genere in quanto si tratta di un atto compiuto da un uomo e una donna con gli organi appropriati.
Coloro che, al contrario, praticano la contraccezione non scelgono un atto sessuale potenzialmente fecondo. L’aspetto della fecondità è stato escluso proprio a livello di volontà per la scelta di utilizzare un metodo contraccettivo. Ciò che scelgono è un atto sterile e, in quanto sterile, è anche, alla fine, un atto banale. Quinon si uniscono come possibile padre e madre dei loro figli comuni. Così, anche escludono da questo atto uno degli aspetti più importanti del loro essere marito e moglie, in quanto “la vita coniugale, considerata oggettivamente, non è una semplice unione di persone, ma un’unione delle persone in rapporto alla procreazione” (Wojtyła, Amore e responsabilità, p. 226). Pertanto, quello che fanno difficilmente può essere definito un atto di amore coniugale, un amore fecondo che comprende tutti gli aspetti della loro vita, compreso l’aspetto della loro potenziale paternità.
Mentre si commemora il 50° anniversario della Humanae vitae, occorre rispondere a un’obiezione che senza dubbio si farà sentire da molti angoli. L’obiezione è che la Chiesa parlerebbe troppo della sessualità. È vero che san Giovanni Paolo II, ad esempio, ha dedicato grande spazio al tema, soprattutto nella sua “teologia del corpo”. Ha ribadito che la sessualità umana abbia a che fare con la vocazione all’amore; che il senso del corpo sia il dono e – si può riassumere – che qui sia in gioco il senso della nostra vita. Ma come si può mettere in relazione la sessualità con il senso della vita? Capiremo questa affermazione – anzi, diventerà ovvio – una volta che pensiamo insieme la sessualità e la fecondità e una volta che ci rendiamo conto che la fecondità non è una funzione puramente biologica ma che essa ha profondo significato personale. La questione della fecondità – “A chi ho dato la vita?” – è intimamente connessa alla questione della nostra identità. Può essere plausibilmente riformulato come la questione del significato della vita: “Per che cosa ho vissuto?” “Che cosa resterà di me?”
Se pensiamo alla sessualità e alla fecondità insieme, allora vediamo anche che la sessualità non è semplicemente un’“intensa esperienza di sé” come alcuni, anche tra i teologi cattolici, hanno proposto non molto tempo fa. Un modo così sterile di vivere la propria sessualità non può che essere fonte di alienazione, perché allora i due (ma perché solo due?), mentre fanno qualcosa insieme, tuttavia prima di tutto e soprattutto mirano a se stessi, cercando la propria esperienza e poi solo in secondo luogo, se mai, cercano l’altro (o gli altri). Invece, se pensiamo della sessualità come intrinsecamente connessa con la fecondità, allora vediamo che la sessualità umana è un progetto di vita in cui un uomo e una donna si imbarcano insieme per l’avventura di costruire una vita comune – una famiglia. Dal progetto di fondare una famiglia seguono logicamente alcuni requisiti: ci vogliono due e non più persone, di sesso opposto e non dello stesso sesso, che si scambiano una promessa che corrisponde al loro progetto, includendo così la permanenza nel tempo e l’esclusività sessuale.
Mentre commemoriamo l’enciclica Humanae vitae, è importante ricordare l’importanza delle domande collegate alla sessualità, al matrimonio e alla famiglia. Non sono questioni minori nel cosmo della fede. Infatti, come ci ha ricordato Benedetto XVI nel suo Discorso al Convegno Diocesano di Roma, tenutosi il 6 giugno 2005, l’intero vocabolario cristiano nasce dal contesto familiare e diventa incomprensibile per chi è estraneo a questa esperienza: Dio si rivela a noi comePadre; ci manda il suo Figlio unigenito; la Chiesa è nostra Madre; noi siamo fratelli esorelle gli uni verso gli altri. Le relazioni familiari sono relazioni di origine, hanno a che fare con la procreazione. Quando oggi si sostiene che i rapporti familiari possano essere pensati indipendentemente dalla procreazione e quindi dalla domanda della nostra origine, quando la famiglia diventa quello che si decide di chiamare con quel nome, allora il concetto di famiglia rischia di andare perduto e con esso il vocabolario stesso e gli orizzonti dell’esperienza che rendono la fede intelligibile in primo luogo. Queste tendenze, compresa la teoria del genere, sono l’estrema conseguenza della separazione tra sessualità e procreazione. È proprio il grande merito dellaHumanae vitae di aver contrastato questa separazione. Perciò, se vogliamo essere in grado di rispondere a queste sfide e fare in modo che la fede sia comprensibile anche per le generazioni future, allora diventa sempre più urgente il compito di “riscoprire” l’insegnamento dell’enciclica di san Paolo VI (cfr. AL 82 e 222).
Infine è da notare che la Humanae vitae ha anche un significato cruciale per la bioetica in quanto, come disse una volta Paolo VI, commentando la sua enciclica: “La difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza” (Omelia in occasione del XV anniversario dell’incoronazione del Papa, 29 giugno 1978). Tutte le domande dell’inizio vita, includendo quelle della procreazione artificiale e dell’aborto, riceveranno una luce decisiva quando si comincia di nuovo a concepire e a vivere la sessualità come quello che essa è in realtà: sorgente di vita umana. Ma anche le domande di fine vita ne sono collegate. Se si può dominare tecnologicamente le sorgenti della vita, perché poi non la vita stessa? Se si può dominare l’inizio dell’esistenza umana, perché non dominare anche la fine? (Per approfondire le questioni bioetiche dalla prospettiva cattolica, nel gennaio 2019 è programmato l’inizio di una nuova edizione del Master in Bioetica e Formazione, promosso dal Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II insieme all’Istituto di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma: www.masterbioetica.it). Il rispetto della vita umana incomincia con il rispetto degli atti che ne stanno all’origine. È il grande merito della Humanae vitae di ricordarcene. * Professore di Antropologia filosofica Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, Roma.
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