#siamo tutti stanchi
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sefaiunbelrespiro · 11 months ago
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di futuri senza trucchi per sentirci meno fragili
ma siamo tutti stanchi, siamo vecchi e siamo stupidi vecchi anche i sentimenti e le parole per descriverli.
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mccek · 1 year ago
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Molti dei Millennial sono cresciuti sotto l’effetto di strategie fallimentari di educazione famigliare.
Per esempio, è sempre stato detto loro che erano speciali, che potevano avere tutto quello che volevano dalla vita solo perché lo volevano.
Quindi qualcuno ha avuto un posto nella squadra dei pulcini non perché fosse un talento, ma solo perché i genitori hanno insistito con l’allenatore.
Oppure sono entrati in classi avanzate non perché se lo meritassero ma perché i genitori si erano lamentati con la scuola, per non parlare di coloro che hanno passato gli esami non perché se lo meritassero ma perché gli insegnanti erano stanchi di avere rogne dai genitori.
Ad alcuni hanno dato medaglie di partecipazione per essere arrivati ultimi, una bella medaglia affinché nessuno si dispiaccia.
La scienza comportamentale non ha dubbi: è una svalutazione della medaglia e dei riconoscimenti di chi lavora duramente per ottenere un buon risultato, inoltre fa sentire anche in imbarazzo chi arriva ultimo perché, se ha un minimo di dignità, sa che non se l’è davvero meritata quella medaglia.
Così queste persone sono cresciute con l’illusione che, anche senza sforzarsi troppo, è possibile farcela in qualunque settore.
Allora finiscono l’università, magari a pieni voti e pretendono immediatamente che un tappeto rosso si srotoli sotto i loro piedi, invece sono gettati nel mondo reale e in un istante scoprono che non sono per niente speciali voto o non voto, che i genitori non gli possono fare avere un buon posto di lavoro e figuriamoci una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno niente, anzi rischi il licenziamento e, guarda un po’, non ottieni qualcosa solo perché semplicemente lo vuoi.
Non voglio fare ironia, credetemi, né tanto meno sorridere, la faccenda è davvero delicata poiché quando questa persona prende coscienza reale dalla situazione in cui si trova è un momento cruciale perché in un attimo, nell’istante preciso in cui concepisce la verità, l’idea che ha di se stessa va letteralmente in frantumi.
È questo anche il momento in cui si attacca alla sua fonte primaria di dopamina: i social network.
Ciò ci porta ad un altro problema : la tecnologia.
I Millennial sono cresciuti in un mondo fatto di Tik Tok, di Instagram ed altri social, dove siamo bravi a mettere filtri alle cose.
In cui siamo un po’ tutti fuoriclasse a mostrare alla gente che la nostra vita è magnifica: tutti in viaggio ad Ibiza, tutti al ristorante stellato, tutti felici e pimpanti anche se invece siamo tristi e depressi.
Ho letto un’interessante ricerca scientifica, che in sintesi dice che ogni qual volta che riceviamo una notifica sullo smartphone, un messaggio o quant’altro, nel nostro cervello viene rilasciata una bella scarica di dopamina (una sostanza che dà piacere).
Ecco perché quando riceviamo un messaggio è una bella sensazione oppure se da qualche ora non si illumina il cellulare, alcuna notifica, né un messaggio, iniziamo a vedere se per caso non è accaduto qualcosa di catastrofico.
Allo stesso modo andiamo tutti in stress se sentiamo il suono di una notifica e passano più di tre minuti senza che riusciamo a vedere di cosa si tratta.
È successo a tutti, ti senti un po’ giù, un po’ solo, e allora mandi messaggi a gente che forse nemmeno sapevi di avere in rubrica.
Perché è una bella sensazione quando ti rispondono, vero?
È per questo che amiamo così tanto i like, i fan, i follower.
Ho conosciuto un ragazzo che aveva sui 15 anni che mi spiegava quanto tra loro si discriminassero le persone in base ai follower su Instagram!
Così se il tuo Instagram cresce poco vai nel panico e ti chiedi: “Cosa è successo, ho fatto qualcosa di sbagliato?
Non piaccio più?”
Pensa che trauma per questi ragazzi quando qualcuno gli toglie l’amicizia o smette di seguirli!
La verità, e questa cosa riguarda tutti noi, è che quando arriva un messaggio/notifica riceviamo una bella botta di dopamina.
Ecco perché, come dicono le statistiche, ognuno di noi consulta più di 200 volte al giorno il proprio cellulare.
La dopamina è la stessa identica sostanza che ci fa stare bene e crea dipendenza quando si fuma, quando si beve o quando si scommette.
Il paradosso è che abbiamo veri limiti di età per fumare, per scommettere e per bere alcolici, ma niente limiti di età per i cellulari che regaliamo a ragazzini di pochi anni di età (già a 7 o 8 anni se non a meno).
È come aprire lo scaffale dei liquori e dire ai nostri figli adolescenti: “Ehi, se ti senti giù per questo tuo essere adolescente, fatti un bel sorso di vodka!
In sostanza, se ci pensate, è proprio questo che succede: un’intera generazione che ha accesso, durante un periodo di alto stress come l’adolescenza, ad un intorpidimento che crea dipendenza da sostanze chimiche attraverso i cellulari.
I cellulari, da cosa utile, diventano facilmente, con i social network, una vera e propria dipendenza, così forte che non riguarda solo i Millennials ma ormai tutti noi.
Quando si è molto giovani l’unica approvazione che serve è quella dei genitori, ma durante l’adolescenza passiamo ad aver bisogno dell’approvazione dei nostri pari.
Molto frustrante per i nostri genitori, molto importante per noi, perché ci permette di acculturarci fuori dal circolo famigliare e in un contesto più ampio.
È un periodo molto stressante e ansioso e dovremmo imparare a fidarci dei nostri amici.
È proprio in questo delicato periodo che alcuni scoprono l’alcol o il fumo o peggio le droghe, e sono queste botte di dopamina che li aiutano ad affrontare lo stress e l’ansia dell’adolescenza.
Purtroppo questo crea un condizionamento nel loro cervello e per il resto della loro vita quando saranno sottoposti a stress, non si rivolgeranno ad una persona, ma alla bottiglia, alla sigaretta o peggio, alle droghe.
Ciò che sta succedendo è che lasciando ai ragazzi, anche più piccoli, accesso incontrollato a smartphone e social network, spacciatori tecnologici di dopamina, il loro cervello rimane condizionato, ed invecchiando troppi di essi non sanno come creare relazioni profonde e significative.
In diverse interviste questi ragazzi hanno apertamente dichiarato che molte delle loro amicizie sono solo superficiali, ammettendo di non fidarsi abbastanza dei loro amici.
Ci si divertono, ma sanno che i loro amici spariranno se arriva qualcosa di meglio.
Per questo non ci sono vere e proprie relazioni profonde poiché queste persone non allenano le capacità necessarie, e ancora peggio, non hanno i meccanismi di difesa dallo stress.
Questo è il problema più grave perché quando nelle loro vite sono sottoposti a stress non si rivolgono a delle persone ma ad un dispositivo.
Ora, attenzione, non voglio minimamente demonizzare né gli smartphone né tantomeno i social network, che ritengo essere una grande opportunità, ma queste cose vanno bilanciate.
D’altro canto un bicchiere di vino non fa male a nessuno, troppo alcol invece sì.
Anche scommettere è divertente, ma scommettere troppo è pericoloso.
Allo stesso modo non c’è niente di male nei social media e nei cellulari, il problema è sempre nello squilibrio.
Cosa vuol dire squilibrio?
Ecco un esempio: se sei a cena con i tuoi amici e stai inviando messaggi a qualcuno, stai controllando le notifiche Instagram, hai un problema, questo è un palese sintomo di una dipendenza, e come tutte le dipendenze col tempo può farti male peggiorare la tua vita.
Il problema è che lotti contro l’impazienza di sapere se là fuori è successo qualcosa e questa cosa ci porta inevitabilmente ad un altro problema.
Siamo cresciuti in un mondo di gratificazioni istantanee.
Vuoi comprare qualcosa?
Vai su Amazon e il giorno dopo arriva.
Vuoi vedere un film?
Ti logghi e lo guardi, non devi aspettare la sera o un giorno preciso.
Tutto ciò che vuoi lo puoi avere subito, ma di certo non puoi avere subito cose come le gratificazioni sul lavoro o la stabilità di una relazione, per queste non c’è una bella App, anche se alcune delle più gettonate te lo fanno pensare!
Sono invece processi lenti, a volte oscuri ed incasinati.
Anche io ho spesso a che fare con questi coetanei idealisti, volenterosi ed intelligenti, magari da poco laureati, sono al lavoro, mi avvicino e chiedo:
“Come va?”
e loro: “Credo che mi licenzierò!”
ed io: “E perché mai?”
e loro: “Non sto lasciando un segno…”
ed io: “Ma sei qui da soli otto mesi!”
È come se fossero ai piedi di una montagna, concentrati così tanto sulla cima da non vedere la montagna stessa!
Quello che questa generazione deve imparare è la pazienza, che le cose che sono davvero importanti come l’amore, la gratificazione sul lavoro, la felicità, le relazioni, la sicurezza in se stessi, per tutte queste cose ci vuole tempo, il percorso completo è arduo e lungo.
Qualche volta devi imparare a chiedere aiuto per poi imparare quelle abilità fondamentali affinché tu possa farcela, altrimenti inevitabilmente cadrai dalla montagna.
Per questo sempre più ragazzi lasciano la scuola o la abbandonano per depressione, oppure, come vedo spesso accadere, si accontenteranno di una mediocre sufficienza.
Come va il tuo lavoro? Abbastanza bene…
Come va con la ragazza? Abbastanza bene.
Ad aggravare tutto questo ci si mette anche l’ambiente, di cui tutti noi ne facciamo parte.
Prendiamo questo gruppo di giovani ragazzi i cui genitori, la tecnologia e l’impazienza li hanno illusi che la vita fosse banalmente semplice e di conseguenza gliel’hanno resa inutilmente difficile!
Prendiamoli e mettiamoli in un ambiente di lavoro nel quale si dà più importanza ai numeri che alle persone, alle performance invece che alle relazioni interpersonali.
Ambienti aziendali che non aiutano questi ragazzi a sviluppare e migliorare la fiducia in se stessi e la capacità di cooperazione, che non li aiuta a superare le sfide.
Un ambiente che non li aiuta neanche a superare il bisogno di gratificazione immediata poiché, spesso, sono proprio i datori di lavoro a volere risultati immediati da chi ha appena iniziato.
Nessuno insegna loro la gioia per la soddisfazione che ottieni quando lavori duramente e non per un mese o due, ma per un lungo periodo di tempo per raggiungere il tuo obiettivo.
Questi ragazzi hanno avuto sfortuna ad avere genitori troppo accondiscendenti, la sfortuna di non capire che c’è il tempo della semina e poi quello del raccolto.
Ragazzi che sono cresciuti con l’aberrazione delle gratificazioni immediate, e quando vanno all’università e si laureano continuano a pensare che tutto gli sia loro dovuto solo perché si sono laureati a pieni voti.
Cosicché quando entrano nel mondo del lavoro dopo poco dobbiamo raccoglierne i cocci.
In tutta questa storia, sono convinto che tutti abbiamo una colpa, ma che soprattutto tutti noi possiamo fare qualcosa di più impegnandoci a capire come aiutare queste persone a costruire oggi la loro sicurezza e le loro abilità sociali, la cui mancanza rende la vita di questi giovani inutilmente infelice e inutilmente complicata.
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greatmoonballoon · 18 days ago
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Ogni volta che spiego il mio stato d'animo ai miei genitori anziché essere comprensivi mi rimproverano perché mi lamento sempre, ne ho sempre una che non va e quindi lasciandomi con la costante sensazione di essere una persona problematica e pessima.
In questo momento l'unica cosa che mi viene in mente è di farla finita.
È così da una vita!
Non basta "cambiare i pensieri" perché molto spesso si è stanchi di credere a determinate cose perché ne ho sopportate tante. E può succedere di non avere più speranze, di sentirsi una nullità ma per loro è inconcepibile provare questo tipo di emozioni perché è sintomo di qualcosa che non va e che mi lamento sempre.
Ho avuto tante difficoltà in passato e ho sempre dovuto sopportare questo atteggiamento come se io pretendessi troppo. E ho affrontato tutto sola alla fine..
Ma quali sono le cose che pretendo? Forse che alla mia età vorrei solo avere una famiglia tutta mia? Che vorrei essere molto più avanti rispetto a dove sono al momento? Che troppo spesso le cose sono sempre andate al contrario e continuano a farlo per circostanze che non posso controllare?
Sono arrabbiata, stanca, amareggiata. Non ho più le forze di sperare ancora. Ero una sognatrice ma adesso anche quella piccola parte di me si è spenta.
Ma no. Come al solito l'empatia non esiste, se non la pensi come loro e hai crisi ti puntano il dito e ti fanno sentire una merda. Però gli altri eccome se li ascoltano, eccome se gli stanno vicino.
Con me c'è sempre il giudizio. Da sempre. Sono cresciuta con una vocina che mi fa sentire una persona da niente, quasi da ricovero dopo che ho una discussione con loro.
È per questo che le persone quando parlano con me cerco sempre di non giudicarle, so cosa significa non essere compresi. Io mi metto sempre nei panni degli altri perché sicuramente c'è un motivo perché qualcuno si sente in un certo modo. Se si sfogano hanno bisogno di aiuto, la gente lancia grida di aiuto perché in fondo vuole solo essere tirato fuori da quel dolore ma non ce la fa! Puntare il dito non aiuta, non sapete mai quanto possa uccidere o salvare una sola parola. Mai!
Però ne ho bisogno anche io. Vorrei vivere in un mondo di empatici ma è impossibile. Vorrei incontrare me stessa in qualcun altro. Siamo esseri umani, non tutti siamo forti ma c'è chi è più fragile e sensibile e non va escluso. Non mi fido di chi si mostra sempre perfetto, sono stanca della puzza di perfezione!
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alonewolfr · 5 months ago
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Tumblr media
La verità è che siamo tutti stanchi. Ognuno di noi. Da una certa età in poi, non siamo altro che un esercito di cuori spezzati e di anime dolenti, alla disperata ricerca di realizzazione. Vogliamo di più, ma siamo troppo stanchi per chiederlo. Siamo stufi di dove siamo, ma siamo troppo spaventati per ricominciare. Abbiamo bisogno di rischiare, ma abbiamo paura di guardare crollare tutto ciò che ci circonda. Dopo tutto, non siamo sicuri di quante volte saremo in grado di ricominciare di nuovo.
|| The Huffington Post
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orotrasparente · 2 months ago
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comunque una cosa che mi fa riflettere è quando guardo le persone per strada, in giro, abbiamo tutti i volti stanchi, rabbuiati, lo sguardo nel vuoto, è incredibile quanto questo paese abbia fallito in ogni modo nel realizzare il benessere dei suoi cittadini, siamo un paese di zombie
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occhietti · 4 months ago
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Abbiamo bisogno di persone positive intorno a noi. Di persone che ci portano buon umore.
Di chi ci fa stare bene, chi ci fa allontanare dai brutti pensieri, chi ci incoraggia, chi trova una parola di conforto, chi non è mai in competizione con gli altri.
Chi è in grado di ammirare, di rispettare, di apprezzare, di gioire per la gioia altrui.
Ognuno di noi ha la sua storia, il suo vissuto, i suoi problemi quotidiani, la sua sofferenza di salute o altro... ognuno porta la sua croce. Ed è proprio questo il motivo per cui abbiamo bisogno di persone solari, nonostante le bastonate della vita, nonostante tutto.
Persone che siano un regalo. Un viaggio leggero. Che di bagagli pesanti… siamo tutti stanchi!
- Tania Catarama
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diluvioaluglio · 1 year ago
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confermate che siamo tutti mentalmente stanchi, esausti, distrutti, esauriti, stremati
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susieporta · 9 months ago
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c��era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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clo-rofilla · 22 days ago
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Non saprei dire di preciso come sia successo e quando, ma per la prima volta in queste feste sento una sorta di scarto, un cambiamento che è avvenuto in sordina nella mia concezione affettiva. Mi spiego (o almeno, ci provo).
Se finora in tutti questi anni quando tornavo a Roma a Natale, dai miei, "tornavo a casa", "dalla mia famiglia", e sentivo che Matteo era in qualche modo il mio "più uno", l'invitato alla nostra tavola e nella nostra tribù, per la prima volta quest'anno in maniera forte, lampante, inattesa, mi trovo a sentirmi parte di un nuovo nucleo, una nuova famiglia che siamo io e lui (e Dakota), che viene prima. "Che viene prima" non è l'espressione corretta, perché non è un primato né temporale né di importanza (e mai lo sarà). E' piuttosto un'appartenenza spontanea e naturale, un binomio in cui "mi siedo meglio", un'intesa in cui ci capiamo al volo, anche senza fiatare; una tribù con un linguaggio proprio, e un codice suo. Sì, insomma, una famiglia. E allo stesso modo, se penso a "tornare a casa", la visione si è ormai ribaltata e non penso alle pareti della casa di Roma, dove ho vissuto così tanti ricordi e che pure oggi non dicono più nulla (o quasi) di me. Penso invece alla nostra casa, a Como, quella che abbiamo costruito insieme un pezzo alla volta, con le nostre energie, i soldi, la fatica... le avventure e soprattutto le dis-avventure che hanno cementato il nostro legame ancora di più, su un piano nuovo, diverso, più complesso e in un certo senso anche più "razionale". Forse l'aggettivo che cerco è: più maturo.
Se penso all'idea di famiglia penso a noi due, a tutte le sfide che quest'ultimo anno ci ha messo davanti, a tutti i momenti in cui avremmo potuto sgretolarci rovinosamente, e forse ci siamo andati vicini, e a tutte le volte in cui invece abbiamo scelto - insieme - di rialzarci, di impegnarci, di lavorarci. Di spendere energie, porci in ascolto, aprirci al dialogo verso l'altro.
In questo senso sento che la maturità è una medaglia a due facce, che porta con sé un significato denso, pesante, travagliato. Che il nostro amore ha perso parte della leggerezza dell'inizio, in cui tutto è "bello e semplice" e le farfalle dentro la pancia svolazzano all'impazzata e sembra quasi che anche il cielo ti sorrida benevolo, complice e guardiano propizio di questo nuovo amore. E' un lutto a cui con immensa fatica mi accosto, e che mi addolora tanto più perché sento di avvertirlo con molta più forza che non il contrario.
E poi c'è, d'altro canto, ciò che il nostro amore ha guadagnato -qualcosa di nuovo e a tratti ingombrante, che è solidità, complicità, compromesso. Radici.
Non è facile per me, con la testa sempre protesa alle nuvole, guardare in basso e scoprire che i miei piedi hanno messo radici che si intrecciano a quelle di un'altra persona. Che non posso più dire "me ne torno a Parigi", "alla mia vita prima di te". Fa un po' paura, mi dà voglia di protestare, scalpitare, reclamare a gran voce: "ma io sono libera!". Spesso e volentieri, l'ho anche fatto. Ho lottato contro questo legame ingombrante con tutta me stessa, con la paura di una bestia in gabbia. Solo per ritrovarmi a capire che quella stessa gabbia non è mai stata l'altra persona né il suo amore per me. Quella gabbia sono sempre e ancora io.
In questi giorni ti ho osservato di nascosto, o di sfuggita, mentre non mi guardavi - e mi sono accorta che ogni piccolo gesto che compi, lo fai con nel cuore noi due; le tue attenzioni, le tue premure, il tuo pensiero sempre un passo più avanti. Quest'anno ci siamo inflitti anche del dolore, a vicenda, ma da questo dolore siamo cresciuti e abbiamo trovato il modo di venirne fuori ancora una volta mano nella mano.
Ripenso spesso a un verso di Cremonini che trovo immensamente calzante:
"Anche quando poi saremo stanchi troveremo il modo per navigare nel buio"
Mi parla di noi. Mi parla del nostro amore, che non è più l'amore cieco delle prime volte, o meglio lo è ancora, in qualche parte dentro di lui, ma è diventato altro, tanto altro. E' la lanterna, il faro, il porto, la bussola. Casa e famiglia.
Lotterò sempre con i legami emotivi, e sempre mi sentirò presa in questa irrisolvibile contraddizione, in antagonismo con ciò che mi àncora, e pericolosamente spersa alla deriva da sola; la mia vita è così: in precario equilibrio su questa dicotomia inscindibile di leggerezza e pesantezza (sarebbe meglio dire gravità, nell'accezione della gravitas latina).
Ma nel mio cuore, durante quest'anno, ho maturato una consapevolezza nuova: queste radici sono forti non per schiacciarmi al suolo, e soffocarmi, al contrario: per permettermi di elevarmi ancora più alta nel cielo.
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elperegrinodedios · 9 months ago
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Tante volte noi ci sentiamo stanchi anche senza aver fatto nessun lavoro. Troppo spesso infatti la stanchezza non è soltanto fisica, il nostro corpo, i nostri muscoli, non sono affaticati da qualcosa di materiale. È il nostro intimo ad essere stanco, a non avere più il vigore giusto, per affrontare le situazioni della vita. E siamo stanchi perchè non sappiamo cosa fare, o dove andare, perchè non riusciamo a capir bene qual'è la nostra posizione nel mondo e, a capire la nostra condizione nella vita. Vediamo tutto nero, tutto ci sembra troppo grande e sentiamo che ci mancano le forze, che non siamo più in grado di andare avanti, o che ci manca la spinta necessaria. Ci sentiamo vecchi, vecchi dentro, stanchi di lottare, si stanchi delle delusioni che la vita procura ogni giorno di più e noi ci sentiamo spossati, senza voglia e indifesi.
=👣=
Ricordo che durante i primi anni di cammini nei luoghi sacri, mi debilitavo molto, tornavo a casa dopo centinaia di km percorsi con vari acciacchi da curare, tra tendiniti, distorsioni, caduta delle unghie e vesciche e nonostante tutto, agli amici della taverna raccontavo che il cammino per me era riposante ed era veramente una buona cura antistress. Beh si, alcuni di essi mi dicevano che ero matto e non capivano bene perchè invece di andarmi a riposare sulle spiagge alle Seychelles o Copacabana, io preferivo andare a scalare con lo zaino in spalla le montagne del cammino. E si certo, tornavo a casa sempre con vari acciacchi ma tutto ciò, dopo pochi giorni sarebbe guarito, mentre tutti i tanti e vitali tesori e le ricchezze e, gli insegnamenti che portavo via da lì sarebbero rimasti per sempre. Dunque piano piano sempre più, qualcuno ha cominciato a fare caso alla mia perseveranza ha notato la mia serenità e ha cosi iniziato a chiedermi notizie sul cammino e la mia motivazione. Oggi, alcuni di quei qualcuno, sono veri pellegrini e molti di loro fratelli nella fede.
=📷=
=🙏=
Rivolgiamoci a Dio, chiediamogli l'aiuto che ci è necessario per andare avanti e per affrontare le difficoltà, che bene o male ogni giorno vengono a tappezzare la nostra esistenza. Credere in Dio accettare Gesù nella nostra vita, come amico e compagno di viaggio, oltre che come salvatore, non ci immunizza dalle vicissitudini nè ci rende la vita più facile ma ci rende di molto migliore il cammino. Pensaci bene amica, anche tu amico.
lan ✍️
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vividiste · 1 year ago
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😪😪😪😪😪
La prima notte urlano di dolore, abbaiano tanto da singhiozzare, smettono di mangiare e non esiste coperta né abbraccio che possa farli smettere di tremare. Le chiamano "cessioni", ma altro non sono che abbandoni alternativi che finiscono con "altrimenti sono costretto a portarlo in canile".
Cani anziani e malati che non sanno dove sono, come ci sono arrivati e soprattutto non capiscono perché. E mentre loro si disperano penso a quelli che mandate in canile per davvero dove di notte non c'è nessuno a dire loro che va tutto bene, che non devono avere paura. Dove possono sgolarsi e abbaiare all'infinito perché tanto nessuno li sente.
Dove il dolore uccide come il veleno e quel "non posso più" li spegne un poco alla volta.
Dove per avere un antidoto al dolore bisogna solo avere fortuna e la fortuna lo sappiamo tutti è cosa rara.
Sono stanca, siamo stanchi tutti.
Stanchi di quei "non posso" che fanno maledettamente male.
Non a me, non a voi.
Fanno male a loro che non sanno che farsene di una lista infinita di giustificazioni.
Forse un giorno impareremo anche noi a sentire le cose un po' come le sentono loro.
Forse basterebbe solo non dimenticare che un cane per noi si tufferebbe in mare anche se ha paura dell'acqua, smette di mangiare se sente la nostra mancanza, si farebbe uccidere pur di proteggere la sua famiglia e ci perdonerebbe anche le cose peggiori, cose dolorose come un abbandono alla fine di una vita intera.
Un cane non direbbe mai "non posso", nonostante tutto e fino alla fine.
Forse un giorno lo capiremo. O forse no.
Forse semplicemente dovremmo prima provarli certi dispiaceri, e quando sarà dovremmo augurarci di essere tanto fortunati da avere qualcuno al nostro fianco che non ci dica "mi dispiace, ma non posso".
Scritto da
Debora Rizzo .
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smokingago · 1 year ago
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“Come stai?” mi chiedi.
“Stanca” rispondo. Rispondiamo spesso così. Mi sento, ci sento: siamo adulti, siamo tanti e siamo stanchi tutti quanti.
“Come mai?” mi chiedi. Ma non è la domanda corretta. Non siamo stanchi perché lavoriamo troppo o dormiamo poco o mangiamo male o per carenza di ferro o magnesio. Non è una stanchezza chimica, è esistenziale. Non siamo stanchi per qualcosa. Siamo stanchi di qualcosa.
Io sono stanca dei miei pensieri che escono dal gregge, di non essere un buon cane pastore capace di girargli intorno, arginare, compattare. Perché spesso sono il lupo che minaccia di sbranare le certezze. Sono stanca dei sospesi: la lampadina che devo cambiare da un anno e tre mesi. Devo imbiancare, togliere gli adesivi di Cars dal mobile del salotto, dalle scale, ho ancora mezzo armadio pieno di vecchi vestiti, me ne dovrei disfare. È sempre stato più facile gettar via che sistemare.
Ma ci sono anche gli oggetti che non so buttare. L’oggetto del mio rancore, l’oggetto del desiderio, l’oggetto delle mie angosce, l’oggetto della mia malinconia, l’oggetto dell’invidia, sono un’accumulatrice seriale di piccole ossessioni. Sono stanca degli appelli mancati, quelli che manco io più di tutto, quando non ci sono nel modo giusto, sono stanca di mancare. Sono stanca di aver bisogno di questa stanchezza per sentirmi viva, perché se non sei stanca non hai fatto abbastanza.
Sono stanca perché il vero riposo per me è la soddisfazione del darmi da fare, anzi di fare fatica. Sono stanca e un po’ suonata, ogni tanto ripenso a quando ero più giovane e innamorata, così innamorata da potermi concedere il tormento con dubbi inesistenti. Ancora mi sorprende quanta resistenza si possa fare ad accettare la felicità. Oggi sono stanca della precarietà. Sono stanca del “per ora”, delle mani avanti che sono sempre le mie, della mia incapacità di pensare per assoluti, del senso di allerta che mi abita. Io peroro, tu perori, egli perora… voce del verbo “del doman non c’è certezza”. Ci diciamo che stiamo attraversando un periodo complicato. Una fase. Ma per quanto mi riguarda questo periodo complicato è iniziato quando mia sorella mi rivelò che Nicca Costa era molto più bella di me e non si è mai esaurito. La vita è una fase complicata dell’esistenza. È che la complicazione non è circoscritta e il periodo di cui sopra non si attraversa e via, quando trovi le strisce.
Se tocchi il fondo, immagini di scendere giù, verso un abisso di tristezza, ma poi di picchiare la pianta del piede e risalire rapido. E invece no, ti aspetta la merdosissima maratona nei fondali, anfibi disperati che non siamo altro, con le branchie che fanno contatto coi condotti lacrimali.
“Sei stanca” mi chiedi? Sì, ma per ora il gregge dei pensieri è in salvo, anche stasera il lupo non si è visto arrivare. Sono stanca, siamo stanchi, ma via e pedalare.
Enrica Tesio
🍀
#smokingago
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sayitaliano · 1 year ago
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Buongiorno e buon weekend!!
Oggi è una bella giornata qui, fa ancora caldo e c'è un bel sole! In teoria dovrebbe iniziare a piovere e fare più freddo nei prossimi giorni... vedremo! Al momento siamo tutti stanchi di questa continuazione d'estate... non se ne può più :/
Voi come state?
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davidewblog · 12 days ago
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A volte una battuta detta per scherzare ha molto più significato di quello che sembra. Ci ho pensato dopo una piccola cosa che è accaduta ieri sera.
Praticamente eravamo a cena, io e le studentesse che abitano con me, c'eravmo tutti e quattro. Come sempre, la sera, un po' stanchi, parliamo un po' a vanvera di tutto, senza seguire nessun filo particolare.
Ad un certo punto il discorso, non so neanche io come, è andato a fiire sui seni delle ragazze, e fin qui tutto normale: le mie coinquiline parlano spesso dei loro corpi e dei loro seni, per mille motivi. A volte perché vedono difetti dove non ne hanno, altri giorni, in cui hanno più autostima, per vantarsene e scherzarci. Abitando con delle ragazze ho imparato a capire quanto questi discorsi sono normali per loro.
Comunque, questo discorso è andato avanti ed è andato a finire sul seno di Violetta, al che, le altre due coinqiline, per ridere, hanno iniziato a dirle di mostrarle gridando in coro "Escile, escile". Violetta non lo ha fatto, e ha detto, come battuta: "Guardate che qui l'unico che può vedermi le tette è Davide".
Era tutta una semplice battuta, detta per gioco in una cena qualunque, però mi ha fatto riflettere. Ovviamente non era del tutto vero, cioè, è vero che lei ormai mi mostra il seno nuvo con disinvoltura e senza mettersi problemi, però non è vero che non lo mostra alle altre coinquiline, anzi, fra ragazze lo mostra ancora di più e a loro si mostra anche completamente nuda senza mutande, quindi non era questo: quando ha detto che gliele vedo solo io era per ridere.
Però mi ha fatto riflettere lo stesso, perché in fondo era la prima volta che, seppure per gioco, parlava apertamente davanti alle altre coinquiline che io le posso vedere il seno nudo. Era già successo che me lo mostrasse in loro presenza, forse una volta sola, perché di solito lo fa quando siamo soli io e lei, ma lo fa in silenzio e senza dire nulla. Sentirglielo dire mi ha davvero stupito positivamente ed emozionato.
Anche se scherzava, dicendolo ha dato per ovvio che le altre compagne di casa sapessero già che lei ha questa particolare confidenza con me per cui si mostra a seno scoperto non una ma tante volte, con normalità.
A volte una battuta in un momento in cui si è un po' inebriati dalla stanchezza di fine giornata, serve per sbloccare qualcosa che era sempre rimasto bloccato, ed è stato così. Questa cosa per me è importantissima, non so bene neanche io perché, ma lo è, davvero.
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deathshallbenomore · 1 year ago
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sì gazzelle siamo tutti stanchi qui
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millelenzuola · 10 months ago
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Van Houten,
io sono una persona buona ma uno scrittore di merda. Lei è una persona di merda ma un buon scrittore. Insieme faremmo una grande squadra. Non voglio chiederle favori, ma se ha tempo - e da quello che ho visto ne ha un sacco - mi chiedevo se potesse scrivere un discorso funebre per Hazel. Ho tutti gli appunti, ma sarei felice se lei potesse farli diventare un discorso coerente, o anche solo indicarmi che cosa dovrei fare in un altro modo.
Cara Hazel le cose stanno così: quasi tutti sono ossessionati dal pensiero di lasciare un segno nel mondo. Di tramandare qualcosa. Di sopravvivere alla morte. Tutti vogliamo essere ricordati. Anch'io. Questo è ciò che più mi disturba, essere un'altra immemorata vittima dell'antica e ingloriosa guerra contro la malattia.
Io voglio lasciare un segno.
Ma Van Houten, i segni che gli umani lasciano troppo spesso sono cicatrici. Costruisci un meganegozio orrendo, o fai un colpo di stato, o provi a diventare una rockstar e pensi “Adesso sì che si ricorderanno di me” ma (a) non si ricordano di te, e (b) tutto quello che ti lasci alle spalle sono altre cicatrici. Il tuo colpo di stato si trasforma in una dittatura. Il tuo negozio distrugge il paesaggio.
(Okay, magari non faccio così schifo come scrittore. Ma non riesco a mettere insieme le idee, Van Houten. I miei pensieri sono stelle che non riesco a far convergere in costellazioni.)
Siamo come un branco di cani che pisciano sugli idranti. Avveleniamo l'acqua di fonte con la nostra piscia tossica, segnando ogni cosa come MIA nel ridicolo tentativo di sopravvivere alla nostra morte. Io non riesco a smettere di pisciare sugli idranti. So che è sciocco e inutile - inutile in modo epico, nella mia attuale condizione - ma sono un animale come chiunque altro.
Hazel è diversa. Lei cammina leggera, vecchio mio. Lei cammina con passo leggero sulla terra. Hazel conosce la verità: la probabilità che abbiamo di ferire l'universo è pari a quella che abbiamo di aiutarlo, ed è molto probabile che non faremo né l'una né l'altra cosa.
La gente dirà che è una cosa triste lasciare una cicatrice più piccola, che saranno in pochi a ricordarla, che sarà stata amata in modo profondo, ma non a vasto raggio. Ma non è triste, Van Houten. È magnifico. È eroico. Non è questo il vero eroismo? Come dicono i medici: primo, non fare del male.
I veri eroi comunque non sono quelli che fanno le cose, i veri eroi sono quelli che NOTANO le cose, quelli che prestano attenzione. Il tizio che ha inventato il vaccino antivaiolo non ha inventato niente. Ha solo notato che le persone che avevano contratto il vaiolo bovino non si ammalavano di vaiolo.
Dopo che la mia PET si è illuminata tutta, mi sono intrufolato nel reparto di terapia intensiva e l'ho vista mentre era priva di sensi. Sono entrato dietro un'infermiera che aveva la tessera magnetica e sono riuscito a stare seduto accanto a lei per dieci minuti prima che mi scoprissero. Ho davvero pensato che sarebbe morta prima che che io avessi avuto il tempo di dirle che stavo per morire anch'io. È stato spaventoso: l'incessante aggressione meccanizzata della terapia intensiva. Aveva quest'acqua scura cancerogena che le usciva dal torace. Gli occhi chiusi. Era intubata. Ma la sua mano era ancora la sua mano, ancora calda, con le unghie dipinte di un blu così scuro che sembrava nero e io l'ho tenuta stretta e ho cercato di immaginare il mondo senza di noi e per circa un secondo sono stato una persona abbastanza buona da sperare che morisse in modo da non dover scoprire che stavo per morire anch'io. Ma poi ho chiesto più tempo per poterci innamorare. Il mio desiderio è stato realizzato, suppongo. E le ho lasciato la mia cicatrice. Un infermiere è entrato e mi ha detto che dovevo uscire, che non era consentita la presenza di visitatori, e io gli ho chiesto come stava e il tipo ha detto: “Sta ancora accumulando acqua.” Una benedizione nel deserto, una maledizione nell'oceano.
Cos'altro dire? È così bella. Non ti stanchi mai di guardarla. Non ti preoccupi se è più intelligente di te: lo sai che lo è. È divertente senza essere mai cattiva. Io la amo. Non puoi scegliere di essere ferito in questo mondo, vecchio mio, ma hai qualche possibilità di scegliere da chi farti ferire. A me piacciono le mie scelte. Spero che a lei piacciano le sue.
- John Green
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