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#sezione egizia
lospeakerscorner · 1 month
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La magnifica e scandalosa Iside
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a-tarassia · 2 years
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Parlami del museo egizio di Torino
Il Museo Egizio di Torino è uno dei più antichi e importanti musei egizi al mondo, fondato nel 1824. Possiede una vasta collezione di oggetti d'arte, mummie, papiri, statue e monumenti che coprono un arco temporale di oltre 5000 anni di storia egizia. Il museo è famoso per la sua esposizione di sarcofagi, tra cui quello del re Ramesses II, e per la sua sezione dedicata alla vita quotidiana in antico Egitto. La sua posizione a Torino, in Italia, lo rende una tappa obbligata per gli appassionati di storia e cultura egizia.
Questo è quello che ho chiesto a ChatGPT e cosa l’AI di produzione testi mi ha suggerito in risposta. È tutto corretto? Sono andata al museo di recente e non mi è sembrato per un cazzo di vedere il sarcofago di Ramses II, vero è che di sarcofagi è pieno il museo, ma non c’era quello di nessun Ramses. ChatGPT deve smetterla di dire minchiate e affinare la tecnica di ricerca, approvvigionamento e rielaborazione delle info se vuole competere con boold and flesh, ma ci sta, di certo non demonizzerei la tecnologia, bisogna imparare ad addestrarla e ad usarla invece di ostracizzare in un moderno ritrovato luddismo, il flusso non lo fermi caro mio, no no.
Volevo parlare di ChatGPT? No. Volevo parlare di morti.
Il Museo Egizio di Torino è il secondo contenitore al mondo di antichità egizie, il primo mi pare sia al Cairo. Come mai proprio a Torino? Eh beh come te lo spiego? Diciamo che i regnanti all’epoca volevano della storia da esporre e visto che di proprietà non ne avevano, almeno non ne avevano di prestigiosa, allora hanno deciso di andarsela a cercare. Contesto e congiunture vogliono che si vada a finire in Egitto, mettono insieme una squadra e si va alla scoperta di archeologia del luogo, precisamente archeologia di pratiche funerarie, insomma si va a trafugare tombe. Belle tombe per carità. Tombe ricche, ma sempre tombe. Mi immagino tipo che tra mille anni comincino a scavare nei vari cimiteri monumentali e a portarsi via le lastre, le urne, i mausolei, che ne so, i lumini, ste cose e poi le mettono tutte in un edificio per mostrarle ai posteri: guarda cos’abbiamo trovato, che grande civiltà, morivano, vedete? Una volta morivano. Mi è piaciuto il museo egizio di Torino? Please, Ferragni, come to visit Musei Egizi Because we want be famous like Uffizi Ecco boh io ho preferito gli Uffizi, ma ho un debole per le statue e un po’ più di idiosincrasia verso resti biologici umani dentro delle fasce. I cocci mi annoiano, ma vengo da quindici anni trascorsi a Roma e lì i cocci la gente li trovava anche sotto il lavandino della cucina se scavava un metro di troppo, quindi non è che vado matta per le ciotole in cui si mangiava tremila anni fa, non sono cambiate di molto, son sempre ciotole, l’ikea è piena, meno della metro di Roma certo. I cocci mi annoiano, i gioielli mi annoiano, ho scoperto che pure i libri dei morti mi annoiano, i lunghissimi libri dei morti che venivano redatti per chi trapassava per evitare una vita ultraterrena difficile, voi dell’aldilà non trattatemi male il mio morto. Insomma la visita partiva già male prima di iniziare, in più nel museo egizio c’erano i morti, quelli veri. Antichissimi morti. Morti per i quali il libro dei morti è ben servito a poco visto che nessuno avrebbe mai potuto prevedere che il corpo del defunto venisse usato come oggetto da esposizione per orde di visitatori della domenica, don’t you think? Ecco il morto, ecco il lunghissimo libro del morto. Benvenuti. Non sono una fan dei musei, non di certi tipi di musei, del resto non sono ancora molto convinta del restauro a tutti i costi, quindi mi spiace non andremo mai d’accordo. Da Torino, e non solo, partivano spedizioni di studiosi per scavare ste tombe, tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900 per scoprire e portare alla luce queste tombe ormai sotterrate dal tempo sotto strati di terra e colline, operai egiziani, all’epoca ancora di colore, non mediorientali, quanto ancora proprio africani, non so come dirlo, ma oggi quelli che ho visto (direttamente in egitto) e che ho conosciuto qui sembrano di un’altra razza proprio, voi non trovate? Scavavano tombe, le ripulivano, ne mettevano insieme i pezzi, mummie, arredi, gioielli, animali tumulati insieme a loro, sarcofagi, libri dei morti e poi una volta pronti li portavano in Europa per esporli. A Torino ci sono anche delle enormi statue dedicate agli dei egizi che sono state portate fin qui e tirate su, in una stanza ci saranno decine di statue identiche della stessa dea, altissime, enormi, come le palle che mi sono fatta a girarle tutte. Ad un certo punto, nella prima stanza c’è un morto (che stranezza) infilato in un buco e messo in posizione fetale, un morto in un buco, ma era un bel buco, con del terreno interessante, evidentemente un terreno che aveva delle caratteristiche particolari al punto che il morto dall’Egitto di migliaia di anni fa stava a Torino in una teca per il nostro piacere culturale. Del resto chi non si sveglia una mattina e pensa che è proprio la giornata giusta per andare a farsi un tour dei morti. Uno scheletro vero, di una persona vera, chissà chi, infilata in un buco. Bellissimo rega’, bellissimo. Poco dopo c’era questa mummia, nel senso di cadavere conservato dentro delle bende, di uno scribacchino, un funzionario dell’epoca, che è morto ovviamente, essendo uno che in un certo senso contava, lo hanno fasciato, inserito in un sarcofago con i propri oggetti personali, amuleti, che ne so cocci, cosette sue, calato nel suo sarcofago e via biglietto di sola andata per Torino, in una teca. Ci pensate? Io impazzisco. Sfilze di morti fasciati nelle bende, che sia chiaro, cambiano da epoca ad epoca bende e rito, ed è l’unica cosa interessante, perché tutto il museo parla della civiltà egizia come se questi avessero una sola cosa interessante e solo quella: il rito del morto. Per carità, ci sta, ma davvero il rito funerario è arte? E che lo sia o no, ammettiamo pure che lo sia, è davvero un elemento, un momento, un passaggio da esporre come se fossero numeri da circo? Che senso ha esporre i morti? E se non è arte, ma una componente di una civiltà evidentemente più grande di ciò allora perché incaponirsi sulle mummie? Vedete? Qui c’è una mummia col sarcofago. E qui un’altra mummia con sarcofago e col suo gatto, anch’esso mummificato. Certo ok tutto a posto, tutti tranquilli, hanno mummificato pure il gatto, oggi volevo proprio vederlo un gatto mummificato. E qui la sua sedia e i vestiti per la vita ultraterrena. E i due chilometri di testo del libro dei morti. Qui una coppia, era una tomba matrimoniale, due sarcofagi e due mummie yeah! Qui c’è la galleria con dentro le mummie di ogni età, vanno dai neonati fino ad alcune mummie adulte, ma se non vi regge lo stomaco potete evitarla, c’è un avviso prima. È vero. C’è la galleria che spiega come funziona il processo di mummificazione che in ogni caso è cambiato nel corso delle epoche e prima di entrare in questa galleria c’è proprio un disclaimer che parla di questo dilemma etico: esporre o no i morti? Io sono entrata a vederli, so che mi lamento e me ne sono lamentata tutto il tempo, ma Luca ormai è abituato e di solito ride, però la curiosità mi mangia viva e allora anche se non tollero la vista di cadaveri, di nessun tipo, e sono sinceramente sensibile al tema, sono andata a vedere le mummie dei neonati e no, il dilemma etico per me parte da ben prima della decisione di esporre o no i morti, ha senso certamente, dal punto di vista culturale, come la buona parte di voi direbbe, ma è anche vero che la maggior parte di voi attraverserebbe questo museo, e buona parte della cultura di cui siamo invasi, come un fantasma letterario attraversa i muri, senza curarsene e senza notarlo nemmeno. Quindi non venitemi a dire niente per favore, ok? C’erano gli animali domestici mummificati, i pet, gatti, cani, piccoli coccodrilli, uccellini, uno spettacolo raccapricciante, pareva di stare nel castello di francesco ferdinando in boemia perdio. Pare che, nell’antico egitto, ci fossero le bancarelle con gli animali mummificati in vendita, che magari se ti moriva un parente e tu volevi che un dio in particolare lo prendesse sotto la sua tutela allora lo tumulavi con un animale, mummificato in sacrificio, però il problema è che se non te lo mummificavi tu l’animale, è possibile che ti vendessero un fake, tipo come il mattone al posto dell’iphone e il dio col cazzo che ti tutelava. Succedeva anche nell’antico egitto, ma ste cose al museo non te le dicono, devi informarti ed è forse per questo che serve il museo, a traumatizzarti. Ovviamente gioco, più o meno, non è un posto in cui muoio dalla voglia di tornare e non ho un interesse così estremo verso i riti funerari in generale, né verso i cadaveri, però è chiaramente un’opinione personale. È ancora più controverso, a mio avviso, che quelli che abbiamo visto, essendo quelli meglio conservati e “facilmente” ritrovati erano in un certo qual senso quelli che se lo potevano permettere, che avevano soldi per un processo costoso, che avessero soldi per occupare spazi molto grandi anche da morti, che avessero talmente tanta roba al punto che valesse la pena di portarsela appresso in un’altra vita, gente che scriveva per loro lunghissimi testi di presentazione per il regno dei morti, il libro dei morti è una sorta di curriculum praticamente e quindi mi immagino che anche oggi noi stiamo qui a celebrare chi si è potuto permettere un posto nel futuro, quelli che si so fatti il sarcofago più bello e grosso, i vestiti dei tessuti migliori e la storia è sempre la stessa insomma. Fatto sta che se fosse come dicono loro, nell’aldilà noi saremo quelli co le pezze al culo senza uno straccio e decomposti per intero, loro invece c’avranno pure gli animali da compagnia e un curriculum coi controcoglioni. Chiamali scemi.
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blogexperiences · 4 days
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Bologna: Suggestioni culturali e sopravvivenze al Museo Civico Archeologico
Nel 2024 il Museo Civico Archeologico del Settore Musei Civici Bologna celebra un’importante ricorrenza: il trentesimo anniversario del riallestimento della Sezione Egizia. Originariamente esposta al primo piano del museo, la collezione composta da circa 3.500 oggetti di straordinario valore storico-archeologico – tra le più significative in Italia e in Europa – è stata trasferita nel 1994 al…
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A Benevento 'patto' con Torino, sezione egizia diventi museo
Un ‘patto’ tra Benevento, Università Orientale di Napoli e il museo Egizio di Torino per creare un gruppo di lavoro al fine di ottenere il riconoscimento in museo della sezione Egizia del museo del Sannio della Rete Museale della Provincia di Benevento. E’ l’obiettivo a cui si punta e che è emerso in occasione della visita a Benevento, su invito del sindaco Clemente Mastella, di Evelina…
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lamilanomagazine · 1 year
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A Benevento riapre l'Hortus conclusus: un simbolo di arte e cultura restituito alla città
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A Benevento riapre l'Hortus conclusus: un simbolo di arte e cultura restituito alla città. Benevento. "Un simbolo di arte che restituiamo alla città. La bellezza estetica dell'Hortus conclusus, opera di un Maestro e di un intelligenza artistica di fama mondiale come Mimmo Paladino, è un orgoglio per tutti noi", così il Sindaco di Benevento Clemente Mastella stamane alla riapertura dell'Hortus conclusus, dopo l'opera di valorizzazione del sito finanziata con le risorse del programma Pics. Il Maestro Mimmo Paladino ha parlato di una "giornata di gloria" giunta a suggello di un' "opera rifinita pietra dopo pietra" e "di uno straordinario lavoro corale". E' stato il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano a chiudere l'evento con un intervento in cui ha ricordato "la qualità umana che caratterizza la città di Benevento che da campano conosco bene", ha poi richiamato, in luogo simbolo dell'arte contemporanea, l'attenzione che il Governo vi dedica: "Ogni anno una città sarà capitale dell'arte contemporanea". Ha poi ribadito che la "cultura è fondamentale per dare una prospettiva qualitativa credibile ai giovani che vogliono restare nel Mezzogiorno" . "Con Clemente Mastella, amico di vecchia data, discuteremo serenamente per potenziare il Teatro comunale", per il quale il Sindaco ha chiesto fondi per un impianto di climatizzazione. "La sezione egizia? Quello di Benevento è per quanto mi riguarda già Museo Egizio", ha concluso poi il Ministro della Cultura rispetto all'istanza del sindaco Mastella di valorizzare il patrimonio egizio della città.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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scienza-magia · 1 year
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I Segni dei Tempi: Il viaggio oltre tombale del Faraone Silvio Berlusconi
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Un antico passato in numeri che tenta di emergere con l'Intelligenza Artificiale? Il massone Silvio Berlusconi. Il Fratello Silvio Berlusconi è stato iniziato dalla loggia massonica del Grande oriente d'Italia Democratico, come attesta la lettera aperta del 26 luglio 2010 del suo leader Gioele Magaldi e fa riferimento all'interesse che Berlusconi nutre per l'esoterismo in generale. Il massone, quindi, elenca in punti gli aspetti del Silvio Segreto cominciando dalla "natura iniziatica e massonica del complesso di Villa Certosa in Sardegna" e del mausoleo funebre presente all'interno di Villa San Martino ad Arcore. Il massone Magaldi continua rivelando gli interessi del Presidente del Consiglio per l'astrologia e cita alcune letture del mondo massonico a cui Berlusconi si sarebbe ispirato per utilizzare le televisioni al fine di condizionare le masse di spettatori. L'ultimo punto, invece, riguarda la gestione del potere imprenditoriale, mediatico e politico che, stando alla lettera, "è stata scandita da rapporti e relazioni con precisi personaggi, cenacoli e logge dell'establishment massonico mondiale"1.
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Il Mausoleo, per Berlusconi è come una piramide alla stregua di quelle che si facevano erigere gli antichi faraoni d'Egitto, per far da loro sacelo tombale, similmente ad una barca per il viaggio per la sua rinascita stellare e del fatto che il loro "ka" sarebbe diventato un "Luminoso" della Duat, come una stella della costellazione di Orione. Il "ka" è l'energia vitale e impersonale. Tramandata da genitori a figli, sopravviveva alla morte della persona e doveva essere nutrita per permettere al defunto di vivere nell'aldilà. Il primo segno. Ad Apricena la prima Via Silvio Berlusconi: l'annuncio ufficiale Apricena, in Puglia, nella provincia di Foggia, è la prima città a intitolare una sua strada a Silvio Berlusconi, scomparso il 12 giugno scorso all’età di 86 anni. A dare l’annuncio ufficiale della decisione presa è stato il sindaco del comune nel Foggiano, Antonio Potenza. L’annuncio del sindaco di Apricena sulla strada intitolata a Berlusconi Il sindaco di Apricena, Antonio Potenza, eletto nel 2019 in una lista civica vicina al centrodestra, ha spiegato in alcune dichiarazioni riportate dall’agenzia ‘AGI’: “Come comunità nazionale, abbiamo assistito al tripudio di affetto nei confronti del Presidente Silvio Berlusconi, a poche ora dai suoi funerali di Stato e dalla proclamazione del lutto nazionale dopo la scomparsa nella giornata di lunedì”. Poi l’annuncio sull’omaggio della città a Silvio Berlusconi: “La nostra città ha deciso di cristallizzare quest’ondata di affetto nei confronti dello statista, imprenditore, leader politico e presidente del Consiglio che più di ogni altro ha fatto parlare di sé in tutto il mondo e che tanto ha fortemente contribuito alla storia del Paese intitolandogli una via del nostro centro abitato”. Il primo cittadino di Apricena, Antonio Potenza, ha infine aggiunto: “La Giunta comunale da me presieduta ha deliberato la reintitolazione dell’attuale ‘Via Modena’ in ‘Via Silvio Berlusconi’. Appena possibile, procederemo con una cerimonia pubblica in cui sarà ufficialmente intitolata questa strada al Cavaliere Berlusconi”2. Il secondo segno riportato sulla carta topografica di Apricena Un triangolo aureo la chiave geometrica della piramide egizia di Cheope
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Figura 1: Estratto della mappa di Apricella (Foggia). La via di Berlusconi è come l'albero di una vela di una barca e corrisponde al segno regale di un triangolo all'insegna della Sezione Aurea.
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Figura 2: Dal triangolo aureo ABC si ricava il triangolo ACD , la sagoma della Piramide di Cheope. Il potere della parabola nella Grande Piramide C’è propensione che la piramide di Cheope della piana di Giza d'Egitto, col suo intero complesso, costituisca un ideale modello di una prodigiosa macchina energetica rivolta ad una probabile rigenerazione vitale di natura metafisica. Infatti il suo scopo era di costituire il sacello tombale del faraone Cheope per renderlo immortale, anche se in effetti non si è mai trovato alcuna prova in merito, nel sarcofago della Camera cosiddetta del Re posta in sede della torre dello Zed.
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Dunque se la piramide è una ipotetica “macchina” deve pur rientrare in una concezione che possa essere formulata in termini matematici e naturalmente essere intravista con l’ausilio di una ipotetica geometria. Oltre a tutto ciò non si può trascurare il fatto che la piramide non è stata mai posta in relazione con una barca trovata in una fossa sul lato sud di essa dagli archeologi nel 1954.
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Figura 3: La barca solare di Cheope. (fig. 3) Racchiusa in una camera ermeticamente sigillata, la barca era scomposta in 1224 pezzi, il cui legno si è conservato intatto per più di 4600 anni. In proposito sono state formulate due ipotesi sulla valenza religiosa dell'oltretomba egizio di questa barca: la prima, quella più antica e risalente alla I dinastia, descrive una rinascita stellare del sovrano e del fatto che il suo "ka" sarebbe diventato un "Luminoso" della Duat, come una stella della costellazione di Orione; la seconda espone, invece, il nuovo credo religioso, che indicava l'oltretomba ad occidente, dove ogni giorno il Sole personificato nel Dio Atum che tramonta. È evidente che i testi delle piramidi risentono della teologia di Ra e del credo che il sovrano, dopo la sua rinascita, avrebbe seguito l'orbita del Sole in processione dietro le barche sacre degli dei5. Traducendo ora questa simbolica barca solare in una ideale concezione geometrica, relativa ad un’altrettanta ipotesi di natura metafisica, potremmo immaginare che il complesso piramidale siffatto cheopiano, poggia su una base a mo’ di una sorta di barca che viaggia idealmente nel tempo. A ragione di ciò, dunque, non scandalizza intravedere il complesso piramidale unito ad una parabola geometrica sottostante, così come è stata considerata dal punto di vista della geometria dellla fig. 4 con la quale immagino delle correlazioni funzionali con le due Camere del Re e della Regina al suo interno.
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Figura 4: Piramide di Cheope. Sezione trasversale. A sostegno di questa ipotesi, che in effetti non ha riscontri reali in sede della base strutturale, è la presenza in loco di una barca ritenuta del faraone Cheope che, ovviamente costituisce il simbolo per la supposta barca metafisica per viaggiare dopo la sua morte verso la rinascita corporea, secondo la religione del suo tempo, accennata in precedenza. Di qui, in un lampo, ecco disporsi le cose in merito, associate alla ipotetica energia circolante nella piramide (su cui molti studiosi sono concordi), e tutto per merito di una prodigiosa parabola, reale configurazione geometrica della barca osiderea. Ma c’è di più sull’apporto di questa parabola, considerato che la piramide-macchina è “solare” e deve in qualche modo captare le energie solari del dio Ra e convertirle al suo centro focale, in sede della Camera della Regina, naturalmente la dea Iside. Intanto, con la fig. 4 sono mostrati i dati geometrici della fig. 3, utilizzando la concezione del rapporto aureo su cui c’è concordanza: y² = 2 p x, dove p = 1 (equazione della parabola) ya = √ = 0,786151377... xa = ya² / 2 = 0,309016994...
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Figura 5: Geometria della piramide di Cheope con l'ausilio di una piramide particolare, il tutto all'insegna della sezione aurea. phi = 38,17270763...° 180° – 4phi = 27,30916948...° yi = tang (180° – 4 phi) = 0,516341175... xi = yi² / 2 = 0,133304104... d = yR = 0,080615621… xR = d²/ 2 = 0,003711446… La luminosità è un requisito fondamental delle gemme preziose e le loro studiate sfaccettature moltiplicano i giochi di luce scomposta nei suoi colori, cosiddetti dell’iride, all’interno per sprigionarsi in modo sfolgorante all’esterno (fig. 6). Nulla allora che meravigli, dunque, vedere la piramide di Cheope come uno speciale cristallo e costatare subito una particolare proprietà dovuta a un ipotetico raggio di luce che interagisce in esso.
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Figura 6: Taglio di una pietra preziosa. Gioco di luce con la scomposizione nei colori dell’iride. Dalle illustrazioni 2 e 3 si può capire di seguito cosa si tratta. Il raggio IP è normale alla parabola e si imbatte di ritorno sulla parete C’B’ riflettendosi in Q della parete opposta C’A’. Prosegue da qui la riflessione luminosa, supposta energetica, in modo verticale fino in fondo sulla parabola in R. Si sa che tutti i raggi verticali confluenti su una parabola si riflettono convergendo nel fuoco relativo, che nel nostro caso è il punto F. Naturalmente si è capito che il punto I di partenza del supposto raggio luminoso è unico in modo che la sua inclinazione riferita alla verticale sia 180° – 4 phi come indicato sulle figure 15 e 16. Phi è il semi-angolo al vertice della piramide. Il simbolo di phi è φ. Nessun commento su questo raggio salvo a vedere ora il raffronto con lo spaccato della piramide di Cheope (fig. 7), in cui si vedono i vari elementi che vi fanno parte: la tomba del Re e della Regina, la Grande Galleria ed altro.
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Figura 7: Lo scettro di Osiride e dei faraoni. Ed ecco il fatto meraviglioso che spiega il titolo di questo capitolo: Una parabola per il mistero della Grande Piramide! Due cose in una: il fuoco F della parabola di arco A’OB’, su cui è posta la piramide A’B’C’, coincide con un certo punto della tomba della Regina e il raggio verticale QR della ipotetica luce, all’interno della piramide in questione, coincide con l’asse della tomba del Re, lo Zed (fig.7). In merito allo Zed (fig. 8) e alla funzione piezoelettrica del sistema dei ranghi di basalto, ritenuti la fonte di energia circolante nella piramide, in relazione al potere che serve per la rigenerazione vitale alla base del potere che vi deriva, mi fa pensare alla spiegazione in che modo le ossa si rigenerano. Il modo con cui molti organismi viventi usano la piezoelettricità è molto interessante: le ossa agiscono come dei sensori di forza. Applicando una forza, le ossa producono delle cariche elettriche proporzionali alla loro sollecitazione interna.
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Figura 8: sezione trasversale dello Zed. Queste cariche stimolano e causano la crescita di nuovo materiale osseo, rinforzando la robustezza della struttura ossea in quelle zone in cui la deflessione interna è più elevata. Ne risultano strutture con minimo carico specifico e, pertanto, con eccellente rapporto peso-resistenza6. Un’altra cosa è possibile suggerire come riscontro ideografico fra i geroglifici egizi, con il raggio energetico verticale QR della fig. 5 sopra analizzato. Mi viene di intravederlo nello Scettro o Wзs nella mano del dio dei morti Osiride e di altri dei egizi, nonché in quella dei faraoni assisi sul trono. La cima di questo scettro termina con una sorta di maniglia di traverso particolarmente sagomata che può benissimo riferirsi alla parete della piramide dove il raggio si riflette; mentre la parte terminale è munita di una forcina a due punte che potrebbe riferirsi alla riflessione del raggio energetico. Il terzo segno. La nuova via Berlusconi sostituisce la vecchia via Modena La nuova via Berlusconi di Apricena sostitusce la vecchia via Modena, come a dare un terzo segno, che vuol dire? Forse il segno va ricercato nell'origine del nome Modena. La teoria che più colpisce è quella che lega la città di Modena al nome latino Mutina: l'etnico era Mutinenses, Mutinensis o Multinenses. A sua volta è un toponimo che viene messo in relazione ad una divinità etrusca, il dio Math che era il dio etrusco della morte. E così la parola Modena potrebbe derivare da mutanu, ovvero epidemia, tomba. Dalla tomba di Modena tenta di riemergere la Morte con un popolo di robot dotati di intelligenza artificiale?
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L’intelligenza artificiale è un argomento estremamente dibattuto in questo periodo, sia per le opportunità che offre, sia i rischi ad essa associata. Vediamo nel dettaglio quali sono questi ultimi. Sempre più spesso si sente parlare di intelligenza artificiale e dei rischi che essa comporta per l’uomo. Per esempio non molto tempo fa un gruppo di esperti, tra cui Elon Musk, ha pubblicato una lettera su Future of Life dove era chiesta l’interruzione momentanea dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, così da permettere a chi di dovere di regolamentarla e mitigarne i rischi. Ancora oggi molte persone non sono in grado di identificare questi rischi in maniera chiara. Ma conoscerli e comprenderli è fondamentale per limitare le possibilità che questi si concretizzino. Vediamo quali sono alcuni tra quelli considerati più pericolosi. Intelligenza artificiale: i 10 rischi più pericolosi Quali sono i rischi più pericolosi collegati all’intelligenza artificiale? Alcuni tra questi è più probabile che si concretizzino, mentre per altri la possibilità è più remota. A tutti questi e a quelli che nasceranno in futuro, comunque, è necessario prestare grande attenzione e - se possibile - provare a limitarli. 1) Dipendenza Affidarsi eccessivamente all’intelligenza artificiale può rappresentare un grande rischio per l’umanità, poiché essa potrebbe perdere la capacità di pensare e trovare soluzioni creative. Se la civiltà umana è stata in grado di crescere e svilupparsi in maniera così esponenziale nel corso degli anni, una grande parte del merito lo deve alla sua capacità di pensare in maniera critica e spontanea. Lasciare all’intelligenza artificiale la possibilità di «pensare» al posto dell’uomo potrebbe portare la società a perdere la sua capacità di escogitare soluzioni creative, fondamentali per lo sviluppo e la sopravvivenza della società umana. 2) Perdita del lavoro Questo è forse uno dei rischi più concreti e anche più discussi nell’ultimo periodo. Molti esperti temono fortemente che l’intelligenza artificiale possa portare un grandissimo numero di persone a perdere il loro posto di lavoro e ad essere sostituite dalle macchine. Effettivamente questo rischio si è in parte già concretizzato: oggi molti chatbot svolgono compiti di assistenza alla clientela che un tempo erano ad esclusivo appannaggio delle persone. Il rischio, in questo caso, non è che il normale progresso della tecnologia porti alcuni lavori a diventare obsoleti, ma che questo avvenga troppo rapidamente facendo perdere il lavoro a molte persone nello stesso periodo e rendendo complesse le pratiche di reintegrazione nel mondo del lavoro. 3) Crescita delle disuguaglianze L’intelligenza artificiale potrebbe contribuire ad aumentare le disuguaglianze nella società. Per capire come, è possibile pensare al medesimo strumento in mano ad una persona normale oppure in mano ad una grande azienda: una persona comune potrà sicuramente trarre dei vantaggi dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale, ma questi saranno sicuramente insignificanti rispetto a quelli che potrebbe avere una grande azienda tech, i cui introiti potrebbero crescere in maniera ben più vertiginosa grazie all’impiego di queste tecnologie. 4) Privacy Un altro aspetto che preoccupa molti esperti è quello della privacy. Ad oggi molti dei sistemi di intelligenza artificiale utilizzati quotidianamente dalle persone sono alimentati con grandi masse di dati presi da internet in maniera pressoché casuale, il che può comportare anche gravi violazioni della privacy delle persone. Read the full article
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gaetaniu · 2 years
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Gli archeologi trovano affreschi spettacolari in un antico tempio egiziano
Gli archeologi trovano affreschi spettacolari in un antico tempio egiziano
L’antico tempio di Esna, Egitto: gli avvoltoi volanti sulla sezione centrale del soffitto, con la trave trasversale settentrionale (architrave) dietro. Gli archeologi hanno scoperto una serie di affreschi dai colori vivaci in un antico tempio di Esna, in Egitto, situato a circa 60 km a sud dell’antica capitale egiziana di Luxor. L’antico tempio di Esna, dedicato alla divinità egizia Khnum, è…
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micmol · 3 years
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Figura di giovane uomo, sezione egizia dei Musei Vaticani #egyptianmuseum #ancientart #portraitdrawing #egyptianart #youngman (at Vatican Museums - Musei Vaticani) https://www.instagram.com/p/CasuDZdIz0i/?utm_medium=tumblr
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𝗗𝗢𝗥𝗢𝗧𝗛𝗬 𝗘𝗔𝗗𝗬: 𝗜𝗟 𝗠𝗜𝗦𝗧𝗘𝗥𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗦𝗔𝗖𝗘𝗥𝗗𝗢𝗧𝗘𝗦𝗦𝗔 𝗗𝗜 𝗜𝗦𝗜𝗗𝗘 𝗥𝗘𝗜𝗡𝗖𝗔𝗥𝗡𝗔𝗧𝗔.
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Dorothy Eady nacque nel 1904 in una normale famiglia borghese nei sobborghi di Londra. Alla tenera età di tre anni la bambina cadde dalle scale, e si ferì alla testa. Il medico non poté fare altro che comunicare ai genitori la morte della loro figlioletta. Immaginate la sorpresa del professionista quando, tornato nella stanza per predisporre la salma, si trovò di fronte la bambina viva e vegeta.
Da quel momento, la piccola cominciò a comportarsi in modo strano. Chiedeva in maniera insistente di essere portata a casa:
Al compimento dei suoi quattro anni i genitori organizzarono una gita al British Museum ma, arrivati nella sezione egizia, la bimba sembrò impazzire baciando i piedi delle statue presenti nella stanza e abbracciando piangente i coperchi dei sarcofagi.
Diceva che voleva tornare là, in Egitto, poiché apparteneva a quel luogo.
Il padre le comprò alcune riviste con immagini dell’Egitto e la bambina identificò il tempio di Seti I ad Abydos come il luogo cui apparteneva. L’unica stranezza rilevata da Dorothy era che ricordava nella parte posteriore del tempio un giardino. Questa cosa sembrava disturbarla parecchio. Crescendo, l’interesse della bambina per l’Egitto non accennò a diminuire, e fu a quindici anni che Dorothy cominciò a fare sogni ricorrenti sulla sua vita passata. Intanto la sua vita continuava e la ragazza si trasferì a Londra, dove conobbe un giovane egiziano, di nome Imam Abdel Maguid, lo sposò e si trasferì al Cairo.
Dorothy ricordava con precisione eventi, luoghi e persone. Il suo nome egizio era Bentreshyt, “Arpa della Gioia”, affidata al tempio di Iside all’età di tre anni dal padre soldato a seguito della morte della madre. La fanciulla crebbe presso il tempio, studiando le cerimonie e istruendosi per diventare sacerdotessa di Iside, una giovane vergine consacrata alla dea. In questa veste all’età di quattordici anni conobbe il faraone Seti I, i due si innamorarono e Dorothy rimase incinta.
Un sacerdote del Tempio, scoperta la gravidanza, la terrorizzò, e Bentreshyt atterrita, per evitare di dover confessare il nome del padre del bambino, si suicidò. Anche Dorothy ebbe un figlio, a cui diede il nome del faraone: Seti, e da quel momento la donna si fece chiamare Om Seti “madre di Seti”. Lei e il marito dopo poco si separarono.
Insieme al figlio, finalmente si recò ad Abydos per una breve visita nel 1952, quel giorno Dorothy lasciò la valigia in albergo e andò dritta al Tempio di Seti, dove trascorse tutta la notte a bruciare incenso e a pregare gli dei.
La sua straordinarietà, rispetto ad altre testimonianze sulla reincarnazione, è la precisione e la quantità di particolari che Dorothy è riuscita a produrre. Dopo aver studiato egittologia, lavorò nel dipartimento delle antichità egizie, professione che le permise di entrare in contatto con diversi studiosi. Questi ricercatori rimanevano sbalorditi dalla sua capacità di leggere i geroglifici e dalla sua sicurezza nel descrivere pitture ed edifici scomparsi da millenni.
Negli anni successivi gli scavi hanno permesso di appurare la presenza di un giardino, nell’esatta posizione descritta dalla donna. La storia di Om Seti ben presto divenne conosciuta in tutto il mondo. Tuttora l’esperienza di Dorothy rimane una delle prove più convincenti a sostegno della tesi della reincarnazione.
Dorothy divenne custode del tempio di Abydos e disegnatrice tecnica per il Dipartimento delle Antichità Egizie, alloggiando in una casa non lontano dal Tempio di Seti, e rimase nella sua amata città dal 1956 fino alla morte, avvenuta nell’aprile del 1981. Il suo contributo all’Egittologia è scientificamente riconosciuto, e il suo approccio alle antiche religioni egizie viene tutt’oggi studiato come esempio di approfondimento della conoscenza di antichi culti dimenticati.
Carl Sagan, astronomo e astrofisico statunitense, descrisse Omm Sety come “una donna vivace e intelligente, che ha apportato un contributo reale all’Egittologia. Questa è una realtà sia che si creda alla sua reincarnazione o meno“.
M. Castagnavizza
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freedomtripitaly · 4 years
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Firenze è il capoluogo della Toscana, ma è anche una delle più importanti culle della cultura italiana. Nel corso dei secoli, questa città, ha mantenuto il proprio fascino attirando milioni di turisti da tutto il mondo ogni anno. Firenze è una città davvero meravigliosa, una città ricca di sorprese, di arte, cultura, colori, architetture storiche che ne evidenziano il fascino e l’importanza nel corso della storia. Si sa, Firenze è una città d’arte imperdibile ed è possibile visitarla in qualsiasi periodo dell’anno, da soli o in coppia, con bambini o amici. La città di Firenze è molto nota per essere la culla del Rinascimento italiano, un vero e proprio museo all’aperto: i monumenti e gli antichi palazzi sono a portata di bicicletta o, più semplicemente, di rilassanti passeggiate. Oggigiorno, Firenze, è considerata la capitale dell’arte ed infatti, se facciamo riferimento alle statistiche prodotte dall’UNESCO, è proprio questa la città che possiede il 60% delle bellezze artistiche di tutta Italia. Dal XIII al XVI secolo, la città di Firenze, è stata il luogo in cui sono state concepite molte opere di importanti artisti italiani, quali Michelangelo, Dante, Boccaccio e Brunelleschi. Musei di Firenze: arte e cultura tutta da scoprire Gli storici palazzi e le antiche piazze di Firenze, nel corso del Rinascimento, sono diventati veri e propri musei a cielo aperto: in Piazza della Signoria, per esempio, sono state installate maestose statue e fontane. Le chiese, i palazzi, le basiliche ed i musei cittadini, poi, sono il vero e proprio tesoro di Firenze, catturando l’interesse e la curiosità di milioni di visitatori. Sicuramente il museo più famoso di Firenze è quello degli Uffizi, il quale ospita opere di Leonardo da Vinci, Botticelli, Rubens e Tiziano. Altri importanti musei sono il Museo Archeologico di Firenze, Museo del Novecento, Museo Galileo e molti altri. Ogni anno la città di Firenze attira milioni di visitatori in quanto centro culturale di grande importanza: periodicamente vengono organizzate interessanti esibizioni e feste d’arte. Nei mesi estivi le piazze di Firenze offrono intrattenimenti ogni sera con rinfreschi e visite agli edifici circostanti. Le altre stagioni, ad ogni modo, non sono da meno se consideriamo che i più importanti teatri di Firenze attirano molti visitatori grazie ai balletti, le opere e gli spettacoli; in più le principali vie della città sono gremite di mostre, concerti, esposizioni. Firenze, dunque, fonde arte e cultura con l’obiettivo di creare ogni volta qualcosa di nuovo ed interessante visto che la città offre infinite possibilità di conoscere le opere d’arte ed architettoniche più importanti del nostro Paese. Museo Archeologico Nazionale di Firenze Il Museo Archeologico Nazionale di Firenze è uno fra i più importanti d’Italia e si colloca all’interno di un fenomeno di portata europea: la nascita dei musei in qualità di istituzioni statali legate alla formazione delle nazioni moderne. Questo museo raccoglie i più importanti scavi toscani, così come alcuni reperti etruschi e romani provenienti da Umbria e Lazio. Il Museo Archeologico Nazionale ospita cinque diverse sezioni: quella etrusca, romana, greca, egizia e numismatica. Gli appassionati di storia non potranno certo perdersi la Chimera d’Arezzo, un importante pezzo della civiltà etrusca: si tratta di un plastico bronzo raffigurante la mitica fiera leonina restaurata da Francesco Carradori, il quale ricostruì la coda serpentina che mordeva la testa di capra. Buna parte dei reperti di questa sezione riguarda la cultura funeraria, in particolare i sarcofagi e le urnette. Fra le opere più interessanti della sezione romana troviamo alcuni bronzi antichi come, per esempio, il Treboniamo Gallo, risalente al III secolo. La sezione greca, invece, ospita una serie di antiche ceramiche provenienti da tombe etrusche e da collezioni private. La sezione egizia è seconda solo al Museo Egizio di Torino e ospita reperti provenienti dalle attività quotidiane dell’antico Egitto: oggetti in tessuto, legno e osso. Fra le opere più interessanti a amirare, possiamo trovare i modelli di due servitori, la macinatrice di grano e la donna che fa la birra risalenti all’antico regno. Infine, la sezione numismatica contiene importanti ed antiche raccolte numismatiche italiane. Museo Galileo di Firenze Il Museo Galileo di Firenze è uno degli imperdibili della città e si trova in Piazza dei Giudici. Questo museo ha sede presso Palazzo Castellani, un’antica fortificazione costruita sulla sponda destra dell’Arno. Il Museo Galileo si è dotato negli ultimi anni di laboratorio multimediale atto alla produzione di applicazioni interattive, online e offline, per la divulgazione della cultura. Una parte molto importante di questo ente museale è sicuramente la biblioteca, la quale è situata al terzo piano: essa conserva un gran numero di opere appartenenti ai fondi antichi. Particolarmente interessante è il fondo Mediceo-Lorenese che comprende testi scientifici inerenti alle scienze fisico-matematiche. Villa Bardini Villa Bardini è situata sulla costa San Giorgio, a Firenze. È un importante centro espositivo che ospita mostre temporanee, il Museo Capucci ed il Museo Annigoni. Originariamente, questo palazzo, era la famosa Villa Manadora, la quale fu costruita nella prima metà del Seicento per opera di Gherardo Silvani, importante architetto dell’epoca. Dopo diversi anni di abbandono, l’attuale Villa Bardini è stata ristrutturata dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e riaperta al pubblico nel 2006 con una serie di interessanti esposizioni. Villa Bardini conta con circa sessanta stanze, un numero comprensivo anche di sale e saloni, oltre agli uffici e gli spazi dedicati a conferenze e convegni. Giardino di Boboli Il Giardino di Boboli è il parco più famoso della città di Firenze. Si tratta di un giardino storico connesso al Forte di Belvedere e che ospita ogni anno oltre 800.000 visitatori. I giardini furono costruiti, originariamente, dai Medici: inizialmente avevano un’impostazione di stile tardo-rinascimentale, la quale venne poi modificata dalla costruzione di nuove porzioni con impostazioni differenti. Il giardino è caratterizzato da imponenti statue ed edifici come la settecentesca Kaffeehaus, che permette di godere di un panorama mozzafiato della città. Il giardino ha quattro ingressi pubblici e dal 2017 il circuito museale comprende anche il Museo degli argenti, la Galleria del Costume, il Museo delle porcellane e il Giardino Bardini. Casa di Dante a Firenze La Casa di Dante è un museo storico di Firenze, suddiviso in tre piani che raccontano le vicende di vita più importanti del poeta. Presso questo museo di Firenze è possibile partecipare a diversi itinerari per conoscere meglio la vita del Sommo poeta e la Firenze antica: le proposte comprendono visite guidate e tour della città sulle tracce di Dante Alighieri. L’edificio originale venne costruito prima del 1265, anno in cui nacque Dante Alighieri e ad oggi ha come scopo fondamentale quello di diffondere la cultura e la conoscenza della vita e delle opere dell’autore. Il museo si articola in tre piani, ognuno dei quali tratta di una tematica diversa che illustra la vita di Dante Alighieri: la sua vita amorosa, l’esilio, la vita politica. Galleria degli Uffizi e cappelle medicee La Galleria degli Uffizi di Firenze fa parte del complesso museale conosciuto come le Gallerie degli Uffizi e comprendente le collezioni di Palazzo Pitti ed il Giardino dei Boboli. Questo famoso museo fiorentino ospita svariate collezioni ed opere d’arte di grande valore provenienti dalla famiglia dei Medici, tra le quali spicca una serie di opere religiose derivate dalla soppressione di monasteri e conventi tra il XVIII ed il XIX secolo. La Galleria degli Uffizi vi riserverà splendide sorprese: godetevi una rilassante passeggiata varcando la Sala dei Primitivi o attraversate la famosa sala del Quattrocento lasciandovi catapultare nel passato. Fra tutti gli sguardi dei dipinti presenti all’interno della galleria, sarà proprio quello di un frate carmelitano a catturare la vostra attenzione; coglierete, poi, l’infinita bellezza della “Lippina”, capolavoro del noto Filippo Lippi. Non perdetevi le straordinarie opere di Sandro Botticelli, fra le quali “La nascita di Venere” e “L’allegoria della Primavera”, simboli della pittura italiana. Ma vi consigliamo anche una visita alle sale che ospitano le opere del grande Michelangelo, di Raffaello, Tiziano e Correggio: rimarrete stupiti dalla grandiosità di queste bellezze artistiche. Nel Museo Statale di Firenze, inoltre, sono le famose cappelle medicee, costruite dall’omonima famiglia e oggi bellezza artistica del capoluogo toscano. Questi ambienti sono stati costruiti tra il XVI e XVII secolo in qualità di estensione della basilica brunelleschiana allo scopo di elogiare l’omonima famiglia. Museo Novecento di Firenze e Palazzo Davanzati Il Museo del Novecento di Firenze è situato in Piazza S. Maria Novella ed è interamente dedicato all’arte italiana del XX secolo: sono presenti circa 300 opere distribuite in quindici ambienti. Il museo presenta collezioni permanenti, mostre temporanee e progetti speciali che animano particolarmente le attività dell’ente museale stesso; a questi si aggiunge anche la ricca offerta del dipartimento di mediazione culturale, il quale organizza regolarmente incontri educativi, laboratori e visite guidate. Da non perdere è il famoso Palazzo Davanzati, notevole esempio di architettura residenziale fiorentina del Trecento. Nel suo complesso, questo antico palazzo, è la testimonianza del passaggio da casa-torre medievale a residenza rinascimentale: gli ambienti sono molto suggestivi, a cominciare dal cortile interno dotato di un pozzo a muro privato. Le sale di Palazzo Davanzati sono riccamente affrescate, in particolare la Sala dei Pappagalli, molto colorata e suggestiva, così come la Sala dei Pavoni; quest’ultima conserva la Madonna col bambino di Brunelleschi. Galleria dell’Accademia di Firenze Per ultima, ma non meno importante, vogliamo ricordare la Galleria dell’Accademia di Firenze. Si tratta di un museo molto apprezzato dai visitatori ed espone il maggior numero di sculture del noto Michelangelo. La visita a questa galleria potrà essere spunto per diverse riflessioni complementari, in grado di soddisfare passioni per la musica, l’arte, la botanica e le varie tecniche pittoriche. Il museo vi accoglierà nella maestosa Sala del Colosso, la quale oggi ospita il modello preparatorio di Giambologna per il ratto delle Sabine, importante esempio di scultura cinquecentesca. Lasciatevi poi conquistare dai meravigliosi dipinti di Lippi, Bronzino e Ghirlandaio: selezionare le opere più importanti è una mossa molto delicata, soprattutto se consideriamo il calibro degli artisti di cui parliamo. https://ift.tt/3e80b7w Musei di Firenze: quali visitare assolutamente Firenze è il capoluogo della Toscana, ma è anche una delle più importanti culle della cultura italiana. Nel corso dei secoli, questa città, ha mantenuto il proprio fascino attirando milioni di turisti da tutto il mondo ogni anno. Firenze è una città davvero meravigliosa, una città ricca di sorprese, di arte, cultura, colori, architetture storiche che ne evidenziano il fascino e l’importanza nel corso della storia. Si sa, Firenze è una città d’arte imperdibile ed è possibile visitarla in qualsiasi periodo dell’anno, da soli o in coppia, con bambini o amici. La città di Firenze è molto nota per essere la culla del Rinascimento italiano, un vero e proprio museo all’aperto: i monumenti e gli antichi palazzi sono a portata di bicicletta o, più semplicemente, di rilassanti passeggiate. Oggigiorno, Firenze, è considerata la capitale dell’arte ed infatti, se facciamo riferimento alle statistiche prodotte dall’UNESCO, è proprio questa la città che possiede il 60% delle bellezze artistiche di tutta Italia. Dal XIII al XVI secolo, la città di Firenze, è stata il luogo in cui sono state concepite molte opere di importanti artisti italiani, quali Michelangelo, Dante, Boccaccio e Brunelleschi. Musei di Firenze: arte e cultura tutta da scoprire Gli storici palazzi e le antiche piazze di Firenze, nel corso del Rinascimento, sono diventati veri e propri musei a cielo aperto: in Piazza della Signoria, per esempio, sono state installate maestose statue e fontane. Le chiese, i palazzi, le basiliche ed i musei cittadini, poi, sono il vero e proprio tesoro di Firenze, catturando l’interesse e la curiosità di milioni di visitatori. Sicuramente il museo più famoso di Firenze è quello degli Uffizi, il quale ospita opere di Leonardo da Vinci, Botticelli, Rubens e Tiziano. Altri importanti musei sono il Museo Archeologico di Firenze, Museo del Novecento, Museo Galileo e molti altri. Ogni anno la città di Firenze attira milioni di visitatori in quanto centro culturale di grande importanza: periodicamente vengono organizzate interessanti esibizioni e feste d’arte. Nei mesi estivi le piazze di Firenze offrono intrattenimenti ogni sera con rinfreschi e visite agli edifici circostanti. Le altre stagioni, ad ogni modo, non sono da meno se consideriamo che i più importanti teatri di Firenze attirano molti visitatori grazie ai balletti, le opere e gli spettacoli; in più le principali vie della città sono gremite di mostre, concerti, esposizioni. Firenze, dunque, fonde arte e cultura con l’obiettivo di creare ogni volta qualcosa di nuovo ed interessante visto che la città offre infinite possibilità di conoscere le opere d’arte ed architettoniche più importanti del nostro Paese. Museo Archeologico Nazionale di Firenze Il Museo Archeologico Nazionale di Firenze è uno fra i più importanti d’Italia e si colloca all’interno di un fenomeno di portata europea: la nascita dei musei in qualità di istituzioni statali legate alla formazione delle nazioni moderne. Questo museo raccoglie i più importanti scavi toscani, così come alcuni reperti etruschi e romani provenienti da Umbria e Lazio. Il Museo Archeologico Nazionale ospita cinque diverse sezioni: quella etrusca, romana, greca, egizia e numismatica. Gli appassionati di storia non potranno certo perdersi la Chimera d’Arezzo, un importante pezzo della civiltà etrusca: si tratta di un plastico bronzo raffigurante la mitica fiera leonina restaurata da Francesco Carradori, il quale ricostruì la coda serpentina che mordeva la testa di capra. Buna parte dei reperti di questa sezione riguarda la cultura funeraria, in particolare i sarcofagi e le urnette. Fra le opere più interessanti della sezione romana troviamo alcuni bronzi antichi come, per esempio, il Treboniamo Gallo, risalente al III secolo. La sezione greca, invece, ospita una serie di antiche ceramiche provenienti da tombe etrusche e da collezioni private. La sezione egizia è seconda solo al Museo Egizio di Torino e ospita reperti provenienti dalle attività quotidiane dell’antico Egitto: oggetti in tessuto, legno e osso. Fra le opere più interessanti a amirare, possiamo trovare i modelli di due servitori, la macinatrice di grano e la donna che fa la birra risalenti all’antico regno. Infine, la sezione numismatica contiene importanti ed antiche raccolte numismatiche italiane. Museo Galileo di Firenze Il Museo Galileo di Firenze è uno degli imperdibili della città e si trova in Piazza dei Giudici. Questo museo ha sede presso Palazzo Castellani, un’antica fortificazione costruita sulla sponda destra dell’Arno. Il Museo Galileo si è dotato negli ultimi anni di laboratorio multimediale atto alla produzione di applicazioni interattive, online e offline, per la divulgazione della cultura. Una parte molto importante di questo ente museale è sicuramente la biblioteca, la quale è situata al terzo piano: essa conserva un gran numero di opere appartenenti ai fondi antichi. Particolarmente interessante è il fondo Mediceo-Lorenese che comprende testi scientifici inerenti alle scienze fisico-matematiche. Villa Bardini Villa Bardini è situata sulla costa San Giorgio, a Firenze. È un importante centro espositivo che ospita mostre temporanee, il Museo Capucci ed il Museo Annigoni. Originariamente, questo palazzo, era la famosa Villa Manadora, la quale fu costruita nella prima metà del Seicento per opera di Gherardo Silvani, importante architetto dell’epoca. Dopo diversi anni di abbandono, l’attuale Villa Bardini è stata ristrutturata dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e riaperta al pubblico nel 2006 con una serie di interessanti esposizioni. Villa Bardini conta con circa sessanta stanze, un numero comprensivo anche di sale e saloni, oltre agli uffici e gli spazi dedicati a conferenze e convegni. Giardino di Boboli Il Giardino di Boboli è il parco più famoso della città di Firenze. Si tratta di un giardino storico connesso al Forte di Belvedere e che ospita ogni anno oltre 800.000 visitatori. I giardini furono costruiti, originariamente, dai Medici: inizialmente avevano un’impostazione di stile tardo-rinascimentale, la quale venne poi modificata dalla costruzione di nuove porzioni con impostazioni differenti. Il giardino è caratterizzato da imponenti statue ed edifici come la settecentesca Kaffeehaus, che permette di godere di un panorama mozzafiato della città. Il giardino ha quattro ingressi pubblici e dal 2017 il circuito museale comprende anche il Museo degli argenti, la Galleria del Costume, il Museo delle porcellane e il Giardino Bardini. Casa di Dante a Firenze La Casa di Dante è un museo storico di Firenze, suddiviso in tre piani che raccontano le vicende di vita più importanti del poeta. Presso questo museo di Firenze è possibile partecipare a diversi itinerari per conoscere meglio la vita del Sommo poeta e la Firenze antica: le proposte comprendono visite guidate e tour della città sulle tracce di Dante Alighieri. L’edificio originale venne costruito prima del 1265, anno in cui nacque Dante Alighieri e ad oggi ha come scopo fondamentale quello di diffondere la cultura e la conoscenza della vita e delle opere dell’autore. Il museo si articola in tre piani, ognuno dei quali tratta di una tematica diversa che illustra la vita di Dante Alighieri: la sua vita amorosa, l’esilio, la vita politica. Galleria degli Uffizi e cappelle medicee La Galleria degli Uffizi di Firenze fa parte del complesso museale conosciuto come le Gallerie degli Uffizi e comprendente le collezioni di Palazzo Pitti ed il Giardino dei Boboli. Questo famoso museo fiorentino ospita svariate collezioni ed opere d’arte di grande valore provenienti dalla famiglia dei Medici, tra le quali spicca una serie di opere religiose derivate dalla soppressione di monasteri e conventi tra il XVIII ed il XIX secolo. La Galleria degli Uffizi vi riserverà splendide sorprese: godetevi una rilassante passeggiata varcando la Sala dei Primitivi o attraversate la famosa sala del Quattrocento lasciandovi catapultare nel passato. Fra tutti gli sguardi dei dipinti presenti all’interno della galleria, sarà proprio quello di un frate carmelitano a catturare la vostra attenzione; coglierete, poi, l’infinita bellezza della “Lippina”, capolavoro del noto Filippo Lippi. Non perdetevi le straordinarie opere di Sandro Botticelli, fra le quali “La nascita di Venere” e “L’allegoria della Primavera”, simboli della pittura italiana. Ma vi consigliamo anche una visita alle sale che ospitano le opere del grande Michelangelo, di Raffaello, Tiziano e Correggio: rimarrete stupiti dalla grandiosità di queste bellezze artistiche. Nel Museo Statale di Firenze, inoltre, sono le famose cappelle medicee, costruite dall’omonima famiglia e oggi bellezza artistica del capoluogo toscano. Questi ambienti sono stati costruiti tra il XVI e XVII secolo in qualità di estensione della basilica brunelleschiana allo scopo di elogiare l’omonima famiglia. Museo Novecento di Firenze e Palazzo Davanzati Il Museo del Novecento di Firenze è situato in Piazza S. Maria Novella ed è interamente dedicato all’arte italiana del XX secolo: sono presenti circa 300 opere distribuite in quindici ambienti. Il museo presenta collezioni permanenti, mostre temporanee e progetti speciali che animano particolarmente le attività dell’ente museale stesso; a questi si aggiunge anche la ricca offerta del dipartimento di mediazione culturale, il quale organizza regolarmente incontri educativi, laboratori e visite guidate. Da non perdere è il famoso Palazzo Davanzati, notevole esempio di architettura residenziale fiorentina del Trecento. Nel suo complesso, questo antico palazzo, è la testimonianza del passaggio da casa-torre medievale a residenza rinascimentale: gli ambienti sono molto suggestivi, a cominciare dal cortile interno dotato di un pozzo a muro privato. Le sale di Palazzo Davanzati sono riccamente affrescate, in particolare la Sala dei Pappagalli, molto colorata e suggestiva, così come la Sala dei Pavoni; quest’ultima conserva la Madonna col bambino di Brunelleschi. Galleria dell’Accademia di Firenze Per ultima, ma non meno importante, vogliamo ricordare la Galleria dell’Accademia di Firenze. Si tratta di un museo molto apprezzato dai visitatori ed espone il maggior numero di sculture del noto Michelangelo. La visita a questa galleria potrà essere spunto per diverse riflessioni complementari, in grado di soddisfare passioni per la musica, l’arte, la botanica e le varie tecniche pittoriche. Il museo vi accoglierà nella maestosa Sala del Colosso, la quale oggi ospita il modello preparatorio di Giambologna per il ratto delle Sabine, importante esempio di scultura cinquecentesca. Lasciatevi poi conquistare dai meravigliosi dipinti di Lippi, Bronzino e Ghirlandaio: selezionare le opere più importanti è una mossa molto delicata, soprattutto se consideriamo il calibro degli artisti di cui parliamo. Sono veramente tanti i musei di Firenze da visitare, dal Museo del Novecento alla celebre Galleria degli Uffizi, senza dimenticare la Casa di Dante.
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purpleavenuecupcake · 5 years
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Il ruolo femminile nella storia al centro del convegno “mediterraneo, mare di pace”
(Santa Fizzarotti Selvaggi) In occasione del Convegno “ Mediterraneo, mare di pace “ organizzato dall'Associazione Crocerossine d’Italia Onlus Sez di Bari, al quale ha partecipato un foltissimo e qualificato pubblico, il prof. Oronzo Sciacovelli, illustre scienziato, ha presentato il testo che qui di seguito si pubblica con il suo consenso. Dopo l’intervento del Prof. Filippo Maria Boscia, parimenti pubblicato in questa sede e riguardante i bambini in transito, si propone la relazione  del prof. Oronzo Sciacovelli per la riflessione sul ruolo femminile nella storia. Una storia, in questo caso, non a tutti nota,  ma che si ritiene sia di straordinaria importanza per ribadire il ruolo della donna quale fondamenta di pace. Ed è proprio in questo ruolo che l’Associazione Crocerossine d’Italia Onlus crede fortemente.  Il primo trattato di pace scritto dell’Umanità: Kadesh e il sigillo della Regina
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“Il tema dell’incontro organizzato dalla sezione di Bari verte sul Mediterraneo come mare di pace ma, prima di parlare di pace, bisogna parlare di guerre poiché, se è vero che il Mediterraneo è il mare che ha contribuito a diffondere la parte maggiore e più significativa del progresso e della cultura umana, è anche vero che nelle acque del Mediterraneo, o sulle sue sponde, sono state combattute battaglie decisive per il destino di popoli. Greci contro Persiani. Maratona nel 490 a.C.; Termopili, Leonida aveva 61 anni quando bloccò i persiani alle Termopili, per fortuna dei Greci allora non esisteva ‘quota 100’; a Salamina (480 a.C.), la flotta greca fermò l’invasione persiana affondando 300 navi i cui relitti finirono sulla spiaggia di Colia. Ciò rese comprensibile il vaticinio: Le donne di Colia abbrustoliranno l’orzo con i remi. Romani contro Cartaginesi. Per l’egemonia nel Mediterraneo occidentale, Roma e Cartagine combatterono tre guerre. Le battaglie più famose: Canne (Puglia, 2 agosto 216 a.C.) e Zama (Africa 19 ottobre 202 a.C.) furono vinte, rispettivamente, da Annibale (il più grande generale di tutti i tempi) e Scipione l’Africano che, a 17 anni, in battaglia (Ticino) aveva salvato la vita al padre ferito. La 3^ guerra punica non ebbe storia, Cartagine fu rasa, letteralmente, al suolo da Scipione Emiliano nel 146 a.C. Cristiani contro Musulmani. In tempi meno lontani (1571), si combatté la battaglia di Lepanto tra le flotte della Lega Santa (Pio V) e dell’Impero Ottomano e fu molto cruenta, i cristiani vollero vendicare l’atroce supplizio subito da Marcantonio Bragadin a Famagosta ad opera degli ottomani. Se teniamo in conto il vicino e medio-oriente, che pure gravitano sulle coste orientali del Mediterraneo, possiamo affermare che, nell’area mediterranea, sono state combattute più guerre che nel resto del mondo. Attualmente, la pace, intesa come assenza di guerra, ‘regna’ nel Mediterraneo con l’eccezione della guerra civile in Siria. Teoricamente, anche Israele è in pace con i suoi vicini arabi. Ma non è la pace significata dalle parole ‘Shalom’ e ‘Salam’. Eppure, proprio sulle sponde del Mediterraneo, nel 1259 a.C., fu stipulato il primo trattato di pace scritto dell’Umanità (trattato di Kadesh). Per definizione, un trattato di pace mette fine a una guerra, il trattato in questione, come vedremo in seguito, andò molto oltre. Prima di esporlo, parlerò dei suoi contraenti e del contesto storico in cui essi vissero e operarono. In tal modo, emergerà meglio la peculiarità di quel trattato, le cui le clausole erano molto avanzate rispetto al modus operandi dell’epoca. Per la sua importanza storica, una copia del trattato è collocata nel palazzo sede dell’O.N.U. Il trattato di Kadesh mise fine ad un lungo periodo di ostilità tra l’Egitto e il regno degli Ittiti. Quando Ramses divenne Faraone (nel 1279 a.C.), gli Ittiti avevano esteso la loro influenza su principati e regni vassalli dell’Egitto ubicati nella Siria del nord, all’epca centro commerciale importante per l’approvvigionamento di metalli e del legno per la costruzione di navi, materiali dei quali l’Egitto era privo. Per riprendere quei territori, Ramses decise di affrontare gli Ittiti a Kadesh. Quando giunse alla fortezza di Kadesh (maggio del 1274 a.C.), Ramses cadde in un’imboscata. 2.500 carri da combattimento ittiti attaccarono e annientarono una divisione egizia per poi attaccare l’accampamento del Faraone. Ramses, nonostante disponesse in quel momento di forze inferiori: 4.000 fanti, compresa la sua guardia del corpo: 500 Sherden (ex-pirati sardi), reagì con coraggio e determinazione. Lasciò ai fanti la difesa dell’accampamento, sali sul suo carro e guidò i suoi 700-800 carri contro i 2.500 carri ittiti. Attaccò l’ala dello schieramento ittita, la disperse ed ebbe così via libera per attaccare alle spalle tutto lo schieramento. Questo gli fu possibile perché, i carri egizi erano un capolavoro della tecnologia dell’epoca, robusti e leggerissimi, pesavano poco più di una valigia (tra i 25 e 30 kg, a Firenze è conservato un esemplare che pesa 24 kg) e potevano trasportare due persone: l’auriga e l’arciere. I carri ittiti,per attaccare la fanteria, trasportavano due arcieri oltre l’auriga. In combattimento, il maggior peso dei carri ittiti (130-150 kg) li rendeva più lenti e meno manovrabili, ecco perché Ramses riuscì ad aggirarli e attaccare alle spalle. Inoltre, per la differenza di peso e di manovrabilità, i cavalli aggiogati a carri ittiti si stancavano molto prima di quelli aggiogati ai carri egizi. Con un’irruenza che deve aver terrorizzato i nemici; Ramses riorganizzò e guidò i suoi all’attaccò per ben sei volte. Vedere Ramses combattere doveva essere impressionante. Egli era alto 1,85, quindi molto alto rispetto ai suoi contemporanei. Era di pelle chiara e aveva una chioma di capelli di un rosso fulvo, colore naturale. Era anche un bravo arciere, in grado di saettare una decina di frecce al minuto. I carri ittiti, accerchiati e decimati dagli attacchi di Ramses, si diedero alla fuga. Il comandante ittita mandò all’attacco tutti gli altri carri, ma anche questi furono travolti, Ramses era ormai padrone del campo di battaglia. Inoltre, era giunta a dargli man forte una divisione alleata. Si chiuse così la prima giornata della battaglia. Non si hanno notizie di successivi combattimenti. Gli ittiti, pur avendo la fanteria in perfetta efficienza, avevano perso la maggior parte dei carri e si rinchiusero nella fortezza di Kadesh. Ramses disponeva di due sole divisioni efficienti; le altre tre erano state duramente provate dai combattimenti. Quindi, non avendo forze sufficienti per assediare la fortezza, se ne ritornò in Egitto. Nessuno aveva vinto, anche se ognuno si attribuì la vittoria. Dopo la battaglia di Kadesh, Egizi e Ittiti non si scontrarono più direttamente e quindici anni dopo Ramses e Hattusili conclusero la guerra stipulando il trattato di Kadesh. Quel trattato non esisterebbe o, almeno, non esisterebbe nella sua stupefacente versione se non si fosse verificato che…. Sulla via del ritorno da Kadesh, Hattusili si fermò in un tempio della dea Istar e fu colpito dalla bellezza di un’adolescente sacerdotessa, Puduhepa, se ne innamorò e la sposò. Nonostante la differenza di età, Hattusili aveva 40 anni e Puduhepa era quindicenne, tra i due si stabilì un legame unico per le consuetudini di allora (e non solo di allora): costituirono una coppia con poteri uguali nel governare, nelle relazioni con altri paesi, nell’amministrare la giustizia etc. Hattiusili era un militare, era stato il comandante in capo dell’esercito ittita; sotto l’influenza di Puduhepa, egli divenne diplomatico e mediatore. Una volta divenuto imperatore (1265 a.C.), sviluppo relazioni diplomatiche con i regnanti degli Stati confinanti e degli Imperi di pari importanza e coinvolse gli stati vassalli in una rete di pacifica collaborazione. Alcuni aspetti del trattato di interesse per noi moderni 1 - La prima e la più sorprendente delle novità è che, il trattato fu firmato anche da una donna. Più precisamente, dato che all’epoca non esistevano le firme, sul trattato appose il proprio sigillo personale : la Regina degli Ittiti, Puduhepa, oltre al Faraone e all’Imperatore degli Ittiti. La regina Puduhepa appose il proprio sigillo poiché aveva contribuito, in maniera determinante: ai negoziati di pace, alla formulazione delle norme che avrebbero regolato i rapporti tra i due Stati e, fra queste, alle garanzie sul rispetto dei diritti umani. 3.278 anni fa, Puduhepa, una giovane donna di 30 anni, cresciuta in una società di guerrieri, regina in uno stato totalitario, riuscì a convincere il Faraone più celebre della storia - rappresentato sui bassorilievi mentre calpesta e uccide nemici - a inserire in un trattato di pace e per la prima volta, il rispetto dei diritti umani. Oggi, qualcosa non funziona nella scala dei valori umani se si infierisce sui prigionieri davanti alle telecamere o se si abbattono donne e ragazzi disarmati. 2 - Di recente, il presidente Trump ha riconosciuto la sovranità di Israele sulle alture del Golan, occupate dal 1967. Il gesto di Trump non cambia probabilmente la situazione di fatto... Nel trattato di pace di Kadesh non sono indicati i confini delle zone d’influenza, i quali, per altro, costituivano il motivo per cui era iniziata la guerra. I negoziatori di quel trattato erano giunti alla conclusione che stipulare la pace era il fine prioritario, poi un accordo sui confini si sarebbe raggiunto. 3 - Non fu un trattato di pace tra vincitori e vinti, ma fu un trattato di pace tra pari. L’Egitto e l’impero degli Ittiti erano allora, per potenziale militare, quello che oggi sono gli Stati Uniti e la Russia: due superpotenze. Il Faraone d’Egitto e l’Imperatore degli Ittiti si erano resi conto che, continuare a combattere per il controllo del nord della Siria, non aveva senso. Il nord della Siria era un crocevia di traffici commerciali e in guerra i commerci languivano. Inoltre, la battaglia di Kadesh era stata emblematica, nessuno aveva vinto, eppure in nessun’altra battaglia dell’antichità erano stati impiegati tanti carri da combattimento (5.500). Tra morti e feriti, Ramses aveva perso circa 10.000 uomini su 15.000 combattenti e gli ittiti 7.000 dei 10.500 carristi che avevano in totale. Ramses era stato sul punto di essere ucciso o catturato e aveva combattuto sul suo carro per ore; da parte ittita, due fratelli dell’imperatore ittita erano caduti in combattimento. Quindi, era più conveniente congelare lo status quo, per quel che riguardava le rispettive zone di influenza, e stringere un trattato di pace e di alleanza. Il trattato Le versioni originali erano redatte su lastre d’argento. La versione egizia in geroglifici, e con apposto il sigillo del Faraone, fu inviata all’imperatore degli Ittiti e la versione ittita, inviata a Ramses, recava apposto, oltre al sigillo dell’Imperatore, il sigillo personale della Regina. Gli esemplari originali non sono stati trovati, sono state rinvenute copie delle due versioni: su frammenti di tavoletta di argilla, in lingua accadica e scrittura cuneiforme e in lingua egiziana e scrittura geroglifica (tempio di Karnak). Sulla copia egiziana è tutt’ora leggibile il sigillo della Regina...omissis… è il sigillo di Padukhepa, la grande sovrana del paese di Kheta…omissis… Sintesi dei punti qualificanti 1) Per la prima volta una dichiarazione di pace era vincolante per le future generazioni di regnanti e, cosa più straordinaria, la dichiarazione coinvolgeva nel processo di pace i rispettivi popoli (A quei tempi, i trattati erano stipulati tra i regnanti e impegnavano solo i contraenti). 2) Dichiarazione di non aggressione La rinuncia, sempre (cioè in qualsiasi caso) e per sempre, a qualsiasi forma di ostilità tra i due Paesi: ‘ nessuno dei due Regnanti attraverserà la frontiera dell’altro Paese per impadronirsi di qualcosa e ciò per sempre.’ 3) Alleanza militare L’alleanza militare era solo difensiva ed era ben articolata: a) sarebbe entrata in vigore solo su esplicita richiesta dell’autorità regnante aggredita b) l’alleato poteva intervenire direttamente nel conflitto o, in alternativa, mettere il suo esercito a disposizione del paese aggredito. Il trattato prevedeva l’intervento militare dell’alleato anche in caso di rivolte interne o, in generale, di altri soggetti, cioè ribellioni di popoli vassalli. 4) Estradizione Il trattato distingueva due categorie di rifugiati; i Vip (fuggitivi per reati ‘politici’) e la gente comune (emigranti). L’obbligo di estradare ii Vip era esteso agli stati vassalli. Ai rifugiati Vip non doveva essere concesso asilo o permesso di risiedere, dovevano essere presi e consegnati: i rifugiati ittiti ad Hattusili, e quelli egizi a Ramses. Agli emigrati doveva essere negato il permesso di residenza e dovevano essere rispediti in patria. Ciò è comprensibile poiché alcune categorie di artigiani erano strategiche per i rispettivi Paesi, ad esempio, per l’Egitto, i costruttori di carri da combattimento e, per l’Hatti, i fonditori di ferro per la costruzione. 5) Garanzie per il rispetto dei Diritti Umani Gli estradati dovevano essere riconsegnati ‘in vita, salute e forza’. Il trattato imponeva che non si agisse nei confronti dei parenti (mogli e figli) e dei beni dei fuggitivi. Proibiva, altresì, l’uccisione dei rimpatriati, così come la comminazione di pene corporali. La regina Puduhepa Della regina Puduhepa, non ci sono pervenute statue o dipinti. Ci è pervenuta parte della Sua corrispondenza (istituzionale e privata) sufficiente a delineare la sua personalità: un’eccellente donna di governo, una buona moglie e madre. I suoi limiti scaturivano dal fatto che era consapevole delle proprie capacità e della propria intelligenza; vene di ironia permeano, a volte, le sue lettere, e di ciò dà splendida testimonianza una lettera scritta al Faraone.Visse 90 anni e regnò ufficialmente insieme al figlio e poi, di fatto, con il nipote. Il suo sigillo è un capolavoro di affermazione del suo ruolo di donna. L’imperatore non vi è rappresentato, mentre lei e’ rappresentata nel sigillo dell’imperatore. Il sigillo, di forma circolare, è diviso in due semicerchi dal nome della regina scritto in geroglifici ittiti. Nei due semicerchi vi sono i profili stilizzati di due visi femminili, l’uno rivolto verso l’altro, sulla destra la regina, a sinistra la divinità: la dea del sole Arinna, semplici profili, non vesti, non ornamenti, non simboli di potere divino o temporale. Il sigillo colpisce per la sua essenzialità: la Regina e la Divinita’. E’ probabile che l’apposizione del sigillo avesse per la Regina, oltre al valore di firma, anche quello di impegno religioso. Il contributo alla pace di Puduhepa non si limitò al trattato. Da reperti archeologici, risulta che la regina chiese (cioé impose) al re della città-stato di Ugarit, di firmare un trattato di pace con l’Egitto. Inoltre, dopo la firma del trattato, allacciò rapporti epistolari con Ramses e Nefertari, la bella e colta Nefertari. A quei tempi mantenere dei rapporti epistolari regolari non era una cosa semplice per due motivi: la scrittura e i trasporti. Gli egiziani parlavano l’egizio (una lingua semitica) e per scrittura usavano i geroglifici. Gli ittiti parlavano l’ittita una delle più antiche lingue indo-europee, la scrittura era di tipo cuneiforme. La lingua usata nei rapporti tra gli Stati era l’accadico, (la più antica lingua semitica) e la scrittura di tipo cuneiforme. Quindi, una lettera inviata dal Faraone doveva essere tradotta dai geroglifici egizi in accadico cuneiforme e giunta all’Imperatore degli ittiti da accadico (lingua semitica) a ittita (lingua indoeuropea). La risposta subiva il procedimento inverso. I messaggeri percorrevano oltre 2.000 km per giungere da Luxor ad Hattusa,dei quali 500 per attraversare le impervie montagne dell’Anatolia. Inoltre, all’epoca non c’erano staffette a cavallo, il cavallo non era stato ancora completamente addomesticato ed era usato per il tiro dei carri da combattimento, per i viaggi si utilizzavano carri trainati da onagri, asini selvatici molto robusti. E’ ragionevole supporre che per uno scambio di lettere (messaggio e risposta) occorressero dai quattro ai sei mesi, a seconda delle stagioni climatiche. La difficoltà nei collegamenti mi permette di riportare un episodio che evidenzia come la pace avesse modificato i rapporti tra Egitto e Hatti. Qualche tempo dopo la firma del trattato, Hattusili ebbe una infezione agli occhi e i medicinali per curarla erano disponibili solo in Egitto. Ramses sapeva che Hattusili a Kadesh gli aveva teso l’imboscata, ma ora non erano più in guerra e Hattusili aveva bisogno di lui. Ramses organizzò un trasporto celere di medicinali da Luxor ad Hattusa (più o meno, Bari-Kopenhagen senza strade e autostrade) e gli scrisse: ‘Ho disposto che un carro da combattimento porti il mio inviato con i medicinali dal principe di Amurru, il quale li recapiterà a Te tramite un ufficiale di collegamento dei vostri carri da combattimento.” Erano stati acerrimi nemici e si erano combattuti aspramente ma, dopo aver firmato il trattato, non pensarono a rivalse o vendette, deposero le armi e vissero in pace e fratellanza, aiutandosi nei momenti di difficoltà. Quando, molti anni dopo, una terribile carestia colpì il paese degli Ittiti (Ramses e Hattusili erano già morti), Merempath, figlio e successore di Ramses, soccorse la popolazione ittita inviando il grano necessario. Non gli passò per la mente di approfittare della situazione per riprendersi la Siria del nord. Il trattato di Kadesh funzionò bene e le violazioni furono di poco conto. La sua riuscita si deve al fatto che i contraenti avevano capito che, tra Stati sovrani, la stabilità delle relazioni è legata ad una sostanziale reciprocità dei diritti e doveri stabiliti nei trattati. Solo questa reciprocità può generare sicurezza. Inoltre, Il trattato in questione, per quanto vecchio di 3.278 anni, impartisce al mondo moderno due lezioni. La prima lezione è semplice da evidenziare: nel trattato non vi sono centralismi etnici, politici o religiosi. La seconda lezione è più sottile. Ai tempi di Ramses, gli egizi utilizzavano il termine ‘htp’ (hotep) per indicare la pace come situazione di non ostilità (militare e politica). Pertanto, un trattato di pace (hotep) stabiliva le norme di convivenza non ostile tra due popoli. Il trattato di Kadesh insiste sulla pace e sulla fratellanza, non disgiunge quasi mai i due termini. La pace è una relazione tra popoli. La pace e la fratellanza creano una comunità che va al di là dell’appartenenza ad un popolo. Questa differenza era ben nota alla Regina Puduhepa, che, oltre che regina, fu una sacerdotessa per tutta la vita: gli stati creano le società, la religione crea la comunità. Intorno ad un’altra regina : Nefertari. Permettetemi un fuori tema su un’altra donna, regina anch’essa, più del cuore del marito che degli Egizi. Quasi ogni giorno leggiamo di atti di violenza e di omicidi commessi da uomini contro donne. Desidero ricordare la stima, il rispetto e l’amore di cui Ramses circondò Nefertari. Ramses la sposò giovanissimo e l’amò intensamente. Nell’ antico Egitto i templi si costruivano solo in onore dei Faraoni. Ramses fece erigere un tempio per Nefertari, ad Abu Simbel. La facciata è larga 28 metri e le statue che raffigurano Ramses e Nefertari sono alte 10 metri ed è l’unico tempio egizio nel quale la regina abbia la stessa importanza del faraone. Sul frontespizio del tempio, Ramses fece scolpire queste due dediche: - Il Faraone Ramses II ha costruito un tempio scavando la montagna, un’opera umana destinata ad essere eterna, questo tempio il Faraone lo ha costruito per la Grande Sposa Reale Nefertari. - Questo tempio di grandi e imponenti monumenti è dedicato alla Grande Sposa Reale Nefertari, per amore della quale il sole sorge… Una splendida espressione; Ramses universalizza l’oggetto del suo amore, come farà Dante con Beatrice in un celeberrimo sonetto ‘par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare’ (tanto gentile e tanto onesta pare). Ramses fu un uomo fortunato poiché ebbe una donna che seppe catturare il suo amore, al punto che, come ultima dichiarazione di amore, Ramses scrisse: “Lei è il mio unico amore, nessuna può competere con lei, lei è la più bella donna al mondo. Ora, morendo, ha portato via con sé il mio cuore.” (Oronzo Sciacovelli . Ordinario di Chimica Organica ( iq) Università degli Studi di Bari) Read the full article
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lamilanomagazine · 2 years
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Mantova, il secondo incontro della serie “Flash d’arte” dedicato a Giuseppe Acerbi e al papiro egizio
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Mantova, il secondo incontro della serie “Flash d’arte” dedicato a Giuseppe Acerbi e al papiro egizio.   Mercoledì 22 marzo, alle 18, presso il Maca a Palazzo San Sebastiano si terrà il secondo incontro della serie Flash d’arte. L’evento, organizzato dal Comune di Mantova in collaborazione con il Civico Museo Archeologico di Milano, sarà dedicato alla sezione egizia e alla figura straordinaria del suo protagonista, Giuseppe Acerbi (1773 – 1846), studioso multidisciplinare che, in qualità di direttore del periodico letterario milanese La Biblioteca d’Italia, intratteneva stretti rapporti culturali con la Biblioteca Braidense al punto che, ricoprendo la carica di console generale d'Austria in Egitto, contribuì con diversi materiali ad arricchire la collezione milanese. Della raccolta egizia, procurata da Acerbi, fa parte il prezioso frammento di rotolo di papiro contenente parte del Libro dei Morti appartenuto alla defunta Aset-uret, datato ad epoca tolemaica, concesso in comodato a lungo termine dal Comune di Milano al Comune di Mantova, oggi esposto al Museo Maca dopo un delicato intervento di restauro per arricchire la sala “Una casa per l’eternità”. Il papiro policromo rivela, infatti, al suo interno alcuni capitoli con vignette di un Libro dei Morti. Questo testo conteneva le Formule per uscire alla luce del giorno, un insieme di formule magiche che permettevano al defunto di affrontare il difficile viaggio nell’oltre tomba. L’incontro sarà condotto dall’egittologa Sabrina Ceruti del Civico Museo Archeologico di Milano con approfondimenti curati dalle restauratrici del reperto Viviana Goggi e Sonia Antoniazzi. Per prenotazioni o informazioni tel. 0376 367087, o sul sito: macamuseimantova... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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maec-cortona-blog · 6 years
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🐮🥖 cibi magici - Su questa tavoletta di offerta in terracotta sono rappresentati dei cibi in rilievo: la testa di un bue, la coscia di un animale, un pane e due fascette di legumi. Le tavole di offerta erano realizzate in pietra o terracotta. Per gli egizi avevano lo scopo di approvvigionare magicamente il defunto di tutto il necessario ad una agiata vita nell'Aldilà. Erano decorate con rilievi (i cibi veri avrebbero alterato le pitture) e con scanalature per far defluire i liquidi che venivano versati come offerta. Non conosciamo con precisione l'epoca di questo manufatto conservato nella sezione egizia del MAEC. #MAECcortona #MAEC #MAECmuseo #Cortona #archeology @comunediCortona #apropositodelMAEC #ig_toscana #archaeology #egypt #igersarezzo #archeologia #egitto #archeologicalmuseum #MAECcollection (presso Maec Cortona) https://www.instagram.com/maec_cortona/p/Bt_EnggHvC8/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1ipzcp06zqilu
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L’Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti – Pescara è titolare di numerose e prestigiose missioni archeologiche all’estero, da Cirene, in Libia, l’MPM Project a Cipro, a Bliesbruck Reinheim, in Francia, a Durazzo, in Albania, a Maday, in India e a Tebe, nella Valle dei Notabili, in Egitto.
Mario Verin all’opera e l’archeologa Ilaria Zelante – Foto di Daniele Mancini
La recente missione di gennaio febbraio 2020, l’ultima missione archeologica prima dei blocchi imposti dall’emergenza sanitaria, si è tenuta proprio a Tebe, missione che ho avuto la fortuna di visitare durante il mio ultimo viaggio in Egitto e che è stata seguita anche da un team EuroTeCH-Erasmus+, il progetto europeo  che mira ad aumentare il livello delle qualifiche e potenziare le possibilità di carriera professionale degli archeologi, coordinato da Oliva Menozzi, docente della D’Annunzio.
Del team, che ha partecipato a meeting in situ con lezioni agli studenti intervenuti per un diretto coinvolgimento sul campo, erano presenti Francis Tasseaux, archeologo e professore emerito dell’Università di Bordeaux, Piotr Dyczek, Janusz Recław, Wojciech Ejsmond, Krzysztof Narloch, dell’Università di Varsavia, la giornalista Giulia Castelli Gattinara e il fotografo Mario Verin, che hanno pubblicato un articolo su Il Giornale dell’Arte, n.407, Aprile 2020 (pp. 30-32). Dal Ministry of Antiquities egiziano, un dovuto ringraziamento, per cortesia, gentilezze e disponibilità, è doveroso farlo a Dr. Fathi Yasin, General Manger of the Archaeology in the West Bank, Dr. Bahaa Abd el Gaber, General Manager, Dr. Ramadan Ahmed, Director of the Missions, Dr. Ezz  el Noby, Director of the Archaeology of the Middle area of the West Bank, Dr. Ahmed Boghdady, Chief inspector of the Middle area of the West Bank, Mohamed Ahmed Selim Abo el Aagag, Ispector, Manal Nasif, Conservator, Mohamed Basry, restorer.
La missione archeologica, diretta da Oliva Menozzi, da quasi dieci anni si occupa dalle Tomba di Neferhotep, la TT49 (acronimo di Theban Tombs n. 49), non così spettacolare, ma scientificamente completa e densa di spunti storico archeologici di rilievo. Secono la Menozzi «Ciò che rende speciale questa tomba è il palinsesto di culture e fasi storiche che si susseguono in un arco di tempo che va dalla XVIII dinastia (1300 a.C. circa) all’epoca tolemaica, e più oltre al periodo copto. Con il riutilizzo degli stessi ambienti e la loro trasformazione secondo le necessità del momento».
Oltre al team di Chieti, nel complesso funerario di Neferhotep lavorano altri tre gruppi: quello dell’egittologa argentina Maria Violeta Pereyra, direttrice del progetto, che da anni conduce studi minuziosi sulle decorazioni della cappella funeraria principale; a lei si affianca il team di Antonio Brancaglion, egittologo e curatore della sezione egizia del Museo Nazionale di Rio de Janeiro, salito alla ribalta delle cronache per il doloroso incendio del 2018; l’équipe tedesca di restauratori guidata da Christine Verbeek conduce i lavori all’interno dell’ipogeo.
Illustri studiosi, dai nomi altisonanti, hanno preceduto l’attuale team internazionale in preliminari studi sulla tomba e le sue decorazioni: Edward William Lane, Jean-François Champollion, Ippolito Rosellini, Theodore Davies e John Gardner Wilkinson.
Decorazione amarniana nella TT49
Per ripulire le decorazione da una pesante patina nera provocata da falò accesi nella tomba, la Verbeek ha usato per la prima volta il laser: «Ero davvero spaventata dal lavoro, le pitture erano quasi invisibili. Inizialmente abbiamo provato le tecniche conosciute che si usano in questi casi, ma nessuna sembrava efficace. La copertura nera era grassa e resistente a causa degli oli bruciati e dei bendaggi delle mummie. Allora abbiamo pensato al laser e siamo rimasti sbalorditi dal risultato»
Le iconografie delle decorazioni rimandano a un periodo particolare della storia egiziana, l’Epoca amarniana (secondo quarto del XIV secolo a.C.) quando è salito sul trono del regno egiziano il faraone Amenhotep IV, ancor meglio conosciuto come Akhenaton!
Akhenaton è noto per essere definito il faraone eretico, colui che avrebbe condotto la religione egizia verso uno pseudo-monoteismo. Quanto di più errato: la riforma del faraone, in estremo contrasto con il ricco e potente clero tebano, viaggiava verso una religione di stampo enoteistica monolatrica che prevede la preminenza di un dio su tutti gli altri, accentrandone il culto e senza escludere le altre divinità!
Nelle decorazioni della TT49, tomba di questo influente notabile reale, appare, unica nella valle, l’unica rappresentazione esistente del Tempio di Karnak, nella sua configurazione prima delle evoluzioni architettoniche ramessidi e quelle successive.
Di una scena particolare, in cui il faraone porge una preziosa collana a Neferhotep e alla sua consorte, la Pereyra ne spiega il significato: «Credo che questa immagine del re che ricompensa i nobili sia l’espressione di una costruzione teologica realizzata per sostenere il potere politico del momento, a beneficio dei nobili, nella mediazione con il faraone».
Dal cortile antistante la TT49, si aprono gli ingressi ad altri ipogei funerari, di cui si occupa precipuamente la missione italiana. TT187, TT362, TT363, TT347 e TT348 sono le tombe che conducono a nuovi ambienti tutti nella classica conformazione architettonica della Necropli tebana, a T rovesciata, che abbracciano diversi periodi storici perché, spesso, riutilizzate.
La Menozzi: «La camera funeraria (TT362) è di epoca ramesside. Il soffitto stellato è da restaurare, ma si riconosce il disegno della barca funeraria, la preparazione della mummia con il dio Anubi e il trasporto del sarcofago. Poi nel Terzo Periodo Intermedio hanno scavato un pozzo e aggiunto una figura maschile, un nubiano che fa il saluto al sole. Il cartiglio del nome però va a coprire la barca ramesside precedente».
Anche alcune di queste tombe sono state depredate da tombroli antichi e moderni ma, quest’anno, un deposito di circa 50 minuscoli «ushabti» in faïence integri e meno integri ha arricchito il tesoro archeologico di questo settore della necropoli, già parzialmente aperta ai turisti. Si auspica, a fine scavi, che anche la TT49 subisca la stessa lieta sorte.
Daniele Mancini
Foto gentilmente concesse da Mohamed Ahmed Selim Abo el Aagag
      L’UNIVERSITÀ D’ANNUNZIO A TEBE, EGITTO L'Università degli Studi G. D'Annunzio di Chieti - Pescara è titolare di numerose e prestigiose missioni archeologiche all'estero, da Cirene, in Libia, l'MPM Project a Cipro, a Bliesbruck Reinheim, in Francia, a Durazzo, in Albania, a Maday, in India e a Tebe, nella…
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italianaradio · 5 years
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Trieste Science+Fiction Festival: si parte con i 40 anni di Alien
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Trieste Science+Fiction Festival: si parte con i 40 anni di Alien
Trieste Science+Fiction Festival: si parte con i 40 anni di Alien
Trieste Science+Fiction Festival: si parte con i 40 anni di Alien
Trieste Science+Fiction Festival, in programma fino a domenica 3 novembre, dedica la giornata di mercoledì 30 ottobre ai grandi cult della fantascienza.
Alle ore 10.00 inaugurano le conversazioni mattutine di Futurologia: appuntamento al ridottino del Teatro Miela con una serie di incontri a ingresso libero volti ad esplorare il confine tra scienza e fantascienza, per riflettere sul cortocircuito che si innesca tra fiction e realtà.
Alle 15.30 sempre al Miela verrà proiettato in anteprima internazionale “Steampunk Connection” di Annie Deniel, documentario dedicato alla comunità artistica steampunk che si ispira tanto alla fantascienza quanto alla Rivoluzione Industriale.
Alle 17.00 appuntamento al Rossetti con l’anteprima italiana di “Memory: The Origins of Alien” di Alexandre O. Philippe, che verrà proiettato alla presenza del regista. Il documentario racconta le inquietanti origini del celebre film di Ridley Scott, che quest’anno festeggia i primi 40 anni dall’uscita nelle sale. Grazie a materiali inediti appartenuti allo sceneggiatore Dan O’Bannon e al designer H.R. Giger, il documentario svela le ispirazioni alla base di “Alien”, dalla mitologia greca ed egizia ai fumetti underground, dalla letteratura di H.P. Lovecraft all’arte di Francis Bacon, fino alle allucinazioni oscure di O’Bannon e Giger.
Alle 17.30 al Miela si terrà l’anteprima italiana di “Hi, AI” di Isa Willinger, ironico e commovente documentario sull’intelligenza artificiale, che ci mostra il mondo di domani nella quotidianità di oggi.
Alle 20.00 al Rossetti verrà proiettato in anteprima italiana “After Midnight” di Jeremy Gardner e Christian Stella, film rivelazione del Tribeca. Sempre alle 20.00 al Teatro Miela sarà la volta di “Blood Machines” del duo Seth Ickerman con le musiche di Carpenter Brut.
Alle 20.30 presso la Chiesa Evangelica Luterana Luca Maria Baldini sonorizza con le sue matrici elettroniche “L’uomo meccanico”, film muto del 1921 di e con André Deed (noto per il ruolo di Cretinetti).
Alle 22.00 arrivano sul grande schermo del Politeama Rossetti gli attesissimi cyborg di “Terminator: destino oscuro”, film che riunisce, per la prima volta dopo 28 anni, il premio Oscar James Cameron con le star della serie originale Linda Hamilton e Arnold Schwarzenegger, dando vita a una nuova ed elettrizzante avventura che riprende da dove ci aveva lasciati “Terminator 2 – Il giorno del giudizio”.
Alle 22.00 al Miela verrà proiettato “Time Perspectives” di Ciro Sorrentino, che riprende il filone sci-fi dei viaggi nel tempo, mentre alle 00.30 sempre al Miela sarà la volta di “Rabid” di Jen e Sylvia Soska, remake del classico di David Cronenberg ad opera delle “Gemelle Terribili” del cinema horror che apre la sezione Midnight.
Trieste Science+Fiction Festival, il programma nel dettaglio di mercoledì 30 ottobre:
  DALLE 10.00 – RIDOTTINO MIELA INCONTRI DI FUTUROLOGIA
DALLE 10.00 – SAVOIA EXCELSIOR PALACE FANTASTIC FILM FORUM | INCONTRO
14.00 – POLITEAMA ROSSETTI EUROPEAN FANTASTIC SHORTS PART 1
DALLE 14.00 – MEDIATECA FANTASTIC FILM FORUM | WORKSHOP
15.30 – TEATRO MIELA STEAMPUNK CONNECTION di ANNIE DENIEL CANADA, 2019, 75’
17.00 – POLITEAMA ROSSETTI MEMORY: THE ORIGINS OF ALIEN di ALEXANDRE O. PHILIPPE USA, 2019, 95’
17.30 – TEATRO MIELA HI, AI di ISA WILLINGER GERMANIA, 2019, 88’
20.00 – POLITEAMA ROSSETTI AFTER MIDNIGHT di JEREMY GARDNER, CHRISTIAN STELLA USA, 2019, 83’
20.00 – TEATRO MIELA BLOOD MACHINES di SETH ICKERMAN FRANCIA, 2019, 50’
20.30 – CHIESA EVANGELICA LUTERANA SONORIZZAZIONE DEL FILM “L’UOMO MECCANICO” di ANDRÉ DEED ITALIA, 1921, 40’
22.00 – POLITEAMA ROSSETTI TERMINATOR: DESTINO OSCURO di TIM MILLER USA, 2019, 128’
22.00 – TEATRO MIELA TIME PERSPECTIVES di CIRO SORRENTINO ITALIA, 2019, 82’
00.30 – TEATRO MIELA RABID di JEN E SYLVIA SOSKA CANADA, 2019, 107’
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Trieste Science+Fiction Festival: si parte con i 40 anni di Alien
Trieste Science+Fiction Festival, in programma fino a domenica 3 novembre, dedica la giornata di mercoledì 30 ottobre ai grandi cult della fantascienza. Alle ore 10.00 inaugurano le conversazioni mattutine di Futurologia: appuntamento al ridottino del Teatro Miela con una serie di incontri a ingresso libero volti ad esplorare il confine tra scienza e fantascienza, per […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Redazione
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morepoetry-blr · 5 years
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ogni singola volta che torno da un viaggio, piango.
piango sempre, c’è poco da fare, ci provo a trattenermi, ma niente.
ho questa capacità di non piangere per mesi e poi scoppiare tutta d’un botto.
come quella volta che sono andata alla national gallery, stavo lì, col naso all’insù e la bocca spalancata, incantata come una bambina la mattina di natale, quando trova tutti i pacchi sotto l’albero e non capisce come ci siano finiti.
giro, schivo la gente, vago senza meta e poi sbam! qualcosa chiama il mio sguardo, mi giro, il mio corpo va da solo verso un quadro, uno di turner che vi giuro, è piccolo di un piccolo che più piccolo non si può. ma io vado lí.
non faccio in tempo a guardarlo che il mio labbro superiore inizia a tremare, gli occhi mi si riempiono di lacrime come dei palloncini per gavettoni, apro i rubinetti e inizio a dar sfogo a tutte le emozioni.
continuo il giro, singhiozzando come non so cosa, me ne frego delle persone che mi guardano, anzi, in realtà non mi si filava nessuno, come fosse normale. a me sembra normalissimo piangere.
arrivo da van gogh e niente, stessa scena, uguale a prima, con la differenza che stavolta sono stizzita. c’è troppa gente e non riesco a vedere bene. scappo via, potrei dare di matto.
continuo il giro, convinta che a questo punto io sia abbastanza al sicuro da pianti improvvisi. giro un paio di angoli, con un alone di malinconia addosso, ma è gestibile.
sono quasi all’uscita quando, di nuovo, i miei piedi vanno da soli, un quadro mi sta chiamando ed eccolo lì, il motivo della mia crisi di pianto più grande degli ultimi mesi. un quadro di un artista mai sentito, mai visto, mai studiato, in cui vi è rappresentato san giorgio che uccide il drago.
quando ero piccola andavo sempre al paese dei miei nonni siciliani e, vicino alla spiaggia, c’era questo quadro del protettore del paese, ovvero san giorgio, davanti al quale passavo intere ore, senza muovermi, guardando e basta, in totale contemplazione facendo a volte preoccupare tutta la sfilza di parenti perché non mi si trovava.
forse è stato proprio questo ricordo a farmi piangere tanto, però io sto lì, non mi muovo, piango e basta. vorrei mettermi seduta, evitare che altri mi si piazzino davanti per vederlo, vorrei fosse mio, mio e solo mio. ma mi limito a esercitare il moccio per le prossime olimpiadi de “il pianto più lungo della storia”.
a un certo punto scappo via, cerco i miei amici, li trovo seduti, arrivo da loro e andrea mi fa “come va?”. io, che ho appena smesso di piangere, con due occhi da pesce palla, il naso di rudolf e le spalle pronte per la disco dancing, mi giro, lo guardo, e inizio a piangere.
il giorno dopo, british museum. io gasata come un bambina il primo giorno della prima elementare, mi faccio il giro col mio migliore amico.
passa la sezione egizia, quella assira e quella babilonese. sto discutendo con lui della raffinatezza dei dettagli delle sculture di questi popoli antichi e nel frattempo camminiamo.
a un certo punto, a tradimento, ma a tradimento vero, giro l’angolo e mi ritrovo davanti una statua greca. mezzo secondo e niente scoppio a piangere. emi mi guarda preoccupata e in quel momento vedo andrea e irene e scrocco nuovamente un fazzoletto a andre. non ce la sto facendo. singhiozzo come quando avevo cinque anni e facevo i capricci.
si lo so, sembra che io non faccia altro che piangere. ma non è finita qui.
la sera dopo sono all’o2 a vedere il concerto di john mayer. sto lì sulla mia bella poltroncina numero 175 e vedo alla perfezione il palco, siamo un po’ lontani è vero, ma amen io e i miei amici siamo qui per il concerto e basta.
i minuti passano, l’arena si riempie, noi ci facciamo i nostri selfie di rito, contenti come pochi. a un certo punto si spengono le luci, parte una proiezione sul maxi schermo, inizia lo spettacolo.
appena lo vedo lì, in carne e ossa a poche entrate da me, inizio a piangere e a ridere come una pazza isterica. non mi sembra vero.
il concerto va avanti, io mi ripiglio, l’unica cosa che vorrei è ballare ogni singola canzone.
pausa. mi giro verso i miei friends e siamo tutti increduli, emozionati, spaventati dalla seconda parte. scommettiamo sulla scaletta e mentre ancora ci guardiamo totalmente smarriti, john ricomincia.
mi fanno male le mani, un po’ per gli applausi, un po’ perché sto giro andò alla piccola batterista sulle mie cosce. domani sarò piena di lividi, lo so già.
una, due, tre canzoni, ma quella che aspetto io non arriva.
uno dei suoi musicisti fa un pezzo cantato meraviglioso, io lo ascolto, totalmente rapita, mi perdo nei miei pensieri tanto che non mi accorgo che ha finito di cantare. realizzo appena in tempo per sentire la prima nota della canzone che voglio sentire, anzi no l, che fremo di sentire live da tutta la vita.
alla seconda nota sono già faccia spalmata sui palmi, e piango. piango tantissimo, non respiro, cerco di essere silenziosa, non voglio perdermi nulla, ma non riesco a guardare il palco, continuo a piangere e piango, piango, sempre, fino alla fine. otto minuti di canzone e io li piango tutti, dal primo all’ultimo.
la canzone finisce, io sono disperata, guardo emi, lui senza dire nulla, mi abbraccia, mi accarezza la testa e piange, più composto di me. non abbiamo nemmeno un minuto di tregua da quello strazio dilaniante, che il concerto riprende, e noi con lui.
usciamo. morale sotto i piedi, gioia tanta. io cerco un bagno, devo fare pipì e sciacquarmi la faccia. sembro un panda. ho il trucco nero che è arrivato fino al collo.
esco, trovo gli altri, cerchiamo un bus per tornare a casa. faccio fatica a parlare, sono troppo immersa nelle mie emozioni.
arriviamo a casa, una fame della madonna, mi metto ai fornelli e faccio una pasta per me e emi, andre e ire si mangiano due cagate e vanno a letto.
mangiamo, facciamo due chiacchiere, ci laviamo e ci mettiamo a letto anche noi. io ho sonno zero e così costringo quel povero cristo di emiliano a rimanere sveglio con me, anche se la cosa non sembra dispiacergli.
si fanno le quattro, propongo uno shot di vodka ghiacciata di frigo, il mio compagno di bevute preferito accetta di buon grado. spariamo due cazzate in cucina e torniamo in camera.
ho un macigno sullo stomaco, me ne devo liberare, do fiato alla bocca.
chiedo scusa a emi per tutto, per non avergli risposto, per averlo ingorato, per non avergli detto come stanno le cose, quanto sono agitata per l’università, la mia continua spirale di depressione, i litigi con mia sorella, lui che mi manca da dio perché si è trasferito.
mi salgono le lacrime, sto per fare come gli altri giorni, come qualche ora prima, sto per aprire tutta la diga di sentimenti che trattengo molto, troppo spesso.
gli ripeto quanto mi manca, quanto non so vedermi senza di lui a due passi da casa, anche se in realtà non ci vediamo praticamente mai. però ecco mi sembra bello sapere che una persona sta lì e che al limite basta suonare a un campanello. adesso no, adesso lui sta a chilometri e chilometri da me, e nonostante fino a qualche anno fa la cosa era al contrario, ora mi sembra che c’è qualcosa fuori posto. gli dico che lui è il mio centro, il mio punto fisso e ora è come se la mia stella polare si fosse spostata, facendomi perdere in un mare sconfinato di tristezza.
sono arrabbiata con lui perché mi ha lasciata sola.
lui mi abbraccia, mi accarezza la schiena, i capelli, mi coccola e mi culla, quasi fossi una bambina impaurita, mi sento piccola piccola vicino a lui. gli infradicio la maglietta, continuo a piangere, non riesco a fermarmi, finché non so se per il suo respiro calmo o il ritmo crescente del suo battito cardiaco, riesco piano piano a riprendermi.
mi dice che anche a lui manco molto. mi aggiusto fra le sue braccia, fino a che le nostre labbra si sfiorano. lui le appoggia delicatamente sulle mie e iniziamo a baciarci. sono baci di consolazione, dolcissimi, assomigliano molto al primo bacio, il primo in assoluto, che non sai come funziona ma lo fai, totalmente guidato dall’istinto.
mi scende ancora qualche lacrima, ma continuo a baciarlo, ormai troppo presa per smettere. ad essere sincera non voglio smettere. io lo voglio, lo voglio con tutta me stessa. i baci cambiano ritmo, si fanno le sei, ci mettiamo a dormire, io ho smesso di piangere e lui ha iniziato a russare. mi addormento felice.
il giorno dopo non piango, mai, mi rattristo forse, ma non piango. strano ma vero.
oggi siamo tornati a casa. abbiamo fatto notte bianca e io sono collassata sul volo. mi sveglio una volta atterrati. mi viene da piangere, piango. gli altri non mi vedono, direi anche menomale perché la cosa potrebbe risultare patetica, quantomeno per andre e ire, per emi no, mi rimprovera sempre quando dico di essere patetica se piango.
usciamo dall’aeroporto, mi accompagnano al treno.
ogni singola volta che torno da un viaggio, piango. non importa se è stato lungo, breve, stancante, divertente o deprimente. io piango, sempre.
piango perché lascio i posti, saluto le persone, il clima, le abitudini, insomma devo salutare tutto.
devo salutare i miei compagni di viaggio, il che mi uccide sempre. fosse per me vivrei solo con i miei amici. sempre.
ogni singola volta che torno da un viaggio, piango.
come adesso, che sono due ore che sto sul treno, e ho bisogno di un idraulico perché sto piangendo come una disperata.
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