#scritti vari
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Molti anni fa, quando ancora mi trovavo nei mitici ‘enti, un caro amico per chiedermi come stavo mi mandò un messaggio di testo. Un sms, l’ormai vintage; che solo nominarlo, per chi è nato nel secolo breve, apre una finestra di ricordi e mondi relazionali che sono preistoria a pensarli oggi.
Il testo diceva: “Ciao! Come ti tratta la vita?”
All’epoca mi sembrò solo un modo delizioso e originale per fare una domanda semplice, però qualcosa dentro di me ne intuiva una profondità inedita. Ero ancora molto giovane per essere consapevole di quali corde avesse fatto vibrare dentro di me.
Quella domanda non mi ha più abbandonato, l’ho portata con me. Negli anni mi ha fatto compagnia e ogni volta che l’ho mentalmente rivolta a me stessa mi ha permesso di scandagliare le percezioni dentro e fuori di me. In essa sono presupposte altre domande: come tratta la vita gli altri? E io come tratto la vita?
In altre parole: cambiare punto di vista, CRESCERE.
Perché dico questo? Perché oggi, ancor più di ieri, questa domanda è per me altamente sfidante. Soprattutto se penso alla me di allora e incontro la me presente.
“Il passato è un luogo molto vasto, ci si può trovare di tutto dentro! Il presente no invece! Il presente è una piccola feritoia dove c’è spazio per un solo paio di occhi, i miei!”
(The Young Pope, Paolo Sorrentino)
Queste parole, oltre che essere belle e poetiche, fendono lo spazio-tempo per riportarci nel qui e ora e rammentarci che un punto di vista è tanto necessario, quanto mutevole, perché non solo definisce una precisa posizione ma al contempo la contestualizza.
Tornando alla domanda di cui sopra. Oggi mi ha portato a riflettere sui metodi di selezione e sulla figura professionale del RECRUITER. Mi sono chiesta se l’età possa essere una componente importante, se non fondamentale per svolgere questa professione. Mi spiego.
Un/a recruiter troppo giovane o giovane può essere un ostacolo da superare per chi presenta una candidatura per una posizione lavorativa?
Riflettendoci non sono riuscita a d avere una risposta semplice, o chiara, o del tutto onesta. Però quella antica domanda si è subito riaffacciata, come uno specchio.
Nell’epoca della semplificazione, dello smart, della sintesi, a volte ho la sensazione che si vada perdendo la complessità della vita. Crescere è un percorso complesso e in molti casi davvero poco lineare.
Oggi è importante mostrare un curriculum molto sintetico, di impatto, non necessariamente esaustivo, e qui si apre una discussione che al momento preferisco sorvolare, perché è chiaro che un curriculum ha lo scopo di condurre a un colloquio dove le possibili incongruenze possono essere argomentate in maniera esaustiva dal medesimo candidato. Il fatto è che la mia domanda ne ha fatto sorgere un’altra:
L’età di un/a recruiter, e quindi la consapevolezza, può essere un elemento che influisce in modo sostanziale in questo processo per un candidato più maturo che magari sulla carta appare incongruo?
Avere consapevolezza di come a volte può “trattare la vita gli esseri umani e non”, a discapito di tutti i piani belli tondi e ragionevoli[1] che si possono aver fatto (soprattutto quando si pongono questioni come la salute, propria e dei cari) è una componente importante per svolgere una professione che può cambiare la vita ad altri?
Non sono riuscita a darmi una risposta, se non parziale e scatenando un effetto domino che ha sollevato in me le stesse critiche e argomentazioni che immagino possano sollevare gli addetti ai lavori. Rimane dunque una domanda aperta, anzi, apertissima.
Tuttavia, da una qualche parte dentro di me risuona un sì. Un sì che ha il sapore di quella terra di mezzo in cui ciascuno di noi può intuire il riverbero della fragilità della condizione umana
E a voi come vi tratta la vita?
[1] Trafitto, CCCP Fedeli alla linea
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TRGTKLS - GOLD
Il sito web https://trgtkls.org/ è una piattaforma blog che fornisce informazioni su vari argomenti. È specializzato in aree come "Blog" e "Webmaster" e interagisce con un ampio pubblico di lettori. Mira inoltre a offrire ai visitatori una prospettiva diversa fornendo contenuti informativi sull'"Italia".
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...Mi capita di leggere parecchi post, scritti da schiave, dove sono tutte in eterno calore.
Tutte sempre vogliose, bagnate e pronte...
...e quindi mi chiedo: come è possibile che in me convivano le varie forme di donna che sono e la Sua schiava?
Perché io non sono stata contagiata dalla "umidità 24/7" che colpisce questa schiave?
Faccio affidamento al mio amato neurone che mi fa respirare e fermare un attimo per riflettere .
Riflettere sul fatto che sono proprio come il Padrone mi vuole.
Io non sono un take away, sempre pronto,
piuttosto un piatto elaborato da decidere, preparare...cucinare attentamente per poi essere gustato.
Si...sono proprio un piatto elaborato, io.
emme🌷
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Giorno dopo giorno
Ieri sera ho preparato il porta pillole settimanale a mia madre.
Mentre inserivo le varie compresse contandole sottovoce per sicurezza, come quando da bambino contavo per essere sicuro di aver diviso equamente i biscotti con mio fratello, i miei pensieri hanno preso forme.
È davvero incredibile come da semplici gesti quotidiani, piccoli accadimenti che si possono incontrare durante la giornata, i miei pensieri prendano forma.
Senza forzatura, anzi non riesco a fermarli. Dirompenti.
Così mi sono ritrovato a leggere i giorni scritti sui vari comparti del porta pillole settimanale, sul passare dei giorni. Uno dopo l'altro, sembrano lenti e a volte uguali, eppure sommandoli alla fine sono una vita.
Il passare dei giorni, che trasforma le nostre esistenze in varie presenze o mancanze. Dovremmo avere tutti un porta qualcosa settimanale. Dove trovare giorno dopo giorno un sorriso, un abbraccio, una soddisfazione, un cuore che batte per noi e tanto altro.
Io stesso sono stato un amore in un lunedì, trovato nello scomparto di quel giorno da una persona. Poi giorno dopo giorno mi sono ritrovato a essere un pezzetto di relazione strappato. Non più da ricucire. Mentre io avevo ago e filo per provarci.
Nel mio porta qualcosa settimanale posso trovarci le chiacchiere notturne. Le decisioni mai prese e le scuse per cui, forse, ne è valsa la pena resistere. Ma il tempo passa e temo che i rimpianti occuperanno più spazio nel mio porta qualcosa.
Nel mio porta qualcosa troverò le parole che non ho mai detto, ma anche quelle che avrei voluto sentire.
I ciuffi degli animali che ho amato, che mi hanno lasciato comunque degli insegnamenti. Si anche loro.
Nel mio porta qualcosa ci sono le pillole di saggezza che ho letto, le compresse di amore che ho vissuto e le pastiglie dei pasticci che ho combinato.
Giorno dopo giorno, una passo dietro l'altro, mi sembrano spesso uguali e lenti. Mi fermo e mi giro, solo in quel momento mi accorgo di aver camminato per anni. Il tempo, così impalpabile spesso si maschera di noia, fregandoti. Passando veloce.
Vorrei prendere dal mio porta qualcosa settimanale un desiderio, assumerlo per via orale. Magari baciando. E tornare a sognare con il cuore vivo.
Apro spesso gli scomparti dove ci sono i sorrisi dei miei figli. Sono le medicine dell'anima migliori che io conosca. Potenti, senza controindicazioni o effetti collaterali. Bisogna solo stare attento a non assuefarmi, un giorno potrebbero allontanarsi e di sicuro mi mancherebbero come l'aria che respiro.
Vorrei mettere nel mio porta qualcosa chi dico io. Assumerla regolarmente, per essere felice.
Ma alla fine, giorno dopo giorno, sono arrivato fino qui con il mio porta qualcosa pieno di cose belle, ricordi amari e rimpianti mai dimenticati.
Ora devo ricontare le pastiglie e le compresse di mia madre, non vorrei aver sbagliato a contarle. Quando sogno da sveglio perdo il contatto con la realtà.
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Agenzia immobiliare giapponese n.4
Avevo finalmente trovato l'appartamento PERFETTO. Era mio, lo avrei preso a qualsiasi prezzo, volevo solo vederlo giusto per, ma lo avrei preso anche se avesse avuto qualche difetto in più del previsto.
Ieri sera, volevo rivedere le foto e mi accorgo che sul sito è sparito. Nel panico e con la paura che succedesse di nuovo che mi facessero arrivare fino a Tokyo per poi dirmi che era stato preso, scrivo una mail all'agenzia anche se erano le 19 passate dicendo:"Dal sito vedo che l'appartamento non c'è più. Per favore se nel frattempo è stato prenotato voglio che me lo diciate prima" (tradotto letteralmente così in jap).
Stamattina mi sveglio con la sveglia DI SABATO MATTINA per far quadrare l'appuntamento con l'agenzia. Mi arriva la risposta alla mail del giorno prima:"L'agenzia che gestisce il palazzo apre alle 10, quindi le farò sapere intorno alle 10:15".
Mi alzo nella speranza che l'appartamento sia ancora disponibile e faccio colazione. Nel frattempo arriva un'altra email che mi dice:"Ecco qui il link. L'appartamento è ancora disponibile". Faccio un soffio di sollievo e corro per prendere il treno in tempo.
Arrivo in agenzia e l'agente, dopo avermi fatto stilare tutte le mie preferenze e chiesto varie domande, mi dice:"Prima di vedere l'appartamento, poiché è venuta fino a qui, se ne ha altri che le interessano magari possiamo controllare insieme...", così gli faccio vedere un po' di posti. Lui, per ogni posto, chiama l'azienda che gestisce e ogni volta è un "gli stranieri no" (almeno 5 appartamenti così e poco prima al mio "non voglio aggiungere troppe preferenze perché da straniera per me è difficile...", lui aveva risposto:"Ma guardi che gli appartamenti aperti agli stranieri stanno aumentando!".... ora si sarà reso conto della sparata che ha cacciato?!?).
Ebbene, quando trova un appartamento che pare mi piaccia e che sia nel mio range di prezzo per le spese iniziali, cosa mi dice?? "In verità l'appartamento che voleva vedere oggi, è okay per gli stranieri, ma solo coreani...".
Raga, io non sono delusa, amareggiata e furiosa come una bestia.... DI PIÙ.
1. Io la PRIMA COSA CHE CHIEDO quando vedo un appartamento che mi piace è: è libera? GLI STRANIERI SONO OKAY? (SONO ITALIANA) Quante sono più o meno le spese?
Quindi, se permetti, io PRETENDO che tu mi dica che è okay SOLO QUANDO TI SEI ACCERTATO AL 100% che TUTTO sia okay e, SOLO DOPO, mi dici "non si preoccupi, è disponibile anche per stranieri".
2. CI SIAMO SCRITTI EMAIL FINO A STAMATTINA.
Posso capire (anche no, ma insomma) che hai chiamato stamattina per chiedere se l'appartamento non era stato prenotato e solo in quel momento ti viene detto che è okay solo per i coreani. Però, SE SEI UNA PERSONA ONESTA, nella mail mi dici:"È disponibile MA purtroppo solo per coreani."
È OVVIO che poi non vengo più in agenzia però magari mi scrivi nella mail "venga pure lo stesso che le propongo altre cose". Non è la stessa cosa? Certamente, MA NON PUOI PRENDERE PER IL CULO IN QUESTA MANIERA.
QUESTI SONO I VERI GIAPPONESI. Quelli dal servizio clienti ECCELLENTE, quelli SEMPRE GENTILI e PRONTI AD AIUTARE SEMPRE IL PROSSIMO.
Quelli che ci mettono UN CAZZO DI MICROSECONDO A RACCONTARTI PALLE E PIGLIARTI PER IL CULO (soprattutto se si parla di LAVORO e di FARE BUSINESS).
Quanto è vera la Madonna che (non) è in cielo, io
LI
VOGLIO
BRUCIARE
VIVI
TUTTI
QUANTI.
#I GIAPPONESI SONO MERDE UMANE#Scherzo quando dico che la bomba atomica se la sono meritata ma OGGI NO. SI MERITANO QUESTO E ALTRO.#si meritano l'economia di merda#si meritano la mancanza di nascite#e si meritano DI SPARIRE COME RAZZA DALLA FACCIA DELLA TERRA#ci sono paesi dove ti trattano peggio? SÌ#però PERCHÈ SOLO QUESTO PAESE È OSANNATO POSITIVAMENTE E PURE PER COSE FALSE??????#io è QUESTO CHE NON SOPPORTO DELLA GENTE#giappone#my life in tokyo
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«Il latino non poteva essere di tutti. Allora, ha deciso il Dogma, non dev’essere di nessuno: muoia. E il latino è morto, o quasi. L’uguaglianza vuole il facile e il basso».
-Guido Ceronetti (scritti vari e inediti)
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Non sono l'anonimo di prima. Non voglio fare polemica. Pirandello aderì al fascismo più per convinzione o per necessità? (non è una scusante, è una constatazione, mi sembra di ricordare che aderirono al fascismo la maggior parte dei docenti universitari ). Ciò che scrive è tutto da buttare? (Secondo me no, però mi interessa la sua opinione) Voglio dire, da quel poco che ho letto mi sembra che dalle sue opere emerga una visione nichilista e assurda della realtà più che una visione ideologica "in linea" con gli ideali fasciste di ieri e ahimè di oggi (dio, patria, famiglia, identità, ecc. ecc). Ora che glielo scrivo mi viene il dubbio che il nichilismo sia fascista (non lo so, non credo, non tutto almeno! i no vax sì, cioè sì loro sono fascisti, ignoranti ma non nichilisti, non credo) cazzo, mi sono perso. Scusi il disturbo, buona serata. Grazie. Complimenti per il blog, è molto bello a partire dall'aggettivo "italianissimo" che m ricorda il cioccolato novi che adesso che è stato comprato da una multinazionale svizzera o francese è diventato ancora più italiano di prima. ecc ecc. Grazie, buonasera.
Faccio due premesse, la prima è che rispondevo ad un anon (che ha visto i tag di altri utenti al mio post) e quindi ho presupposto che il problema principale con la figura di Pirandello fosse l'adesione al fascismo, la seconda è che ho ricordi "scolastici" dello scrittore, nulla di più nulla di meno, quindi chiedo scusa se dirò boiate o inesattezze (e siete liberi di commentare). Comunque facendo una ricerca veloce su internet pare ci siano varie tesi a riguardo la sua adesione al fascismo, c'è chi dice che fosse sfiduciato dalla classe politica del tempo, chi invece pensa che il fascismo gli ricordasse gli ideali del risorgimento (di cui era ammiratore), quindi oserei dire che fosse più per convinzione che per necessità...? Sostanzialmente lui è un personaggio che in genere si collega poco al fascismo perché è morto nel 36 e non ha visto gli anni più bui del ventennio, e perché pare che nelle sue opere non sia presente l'ideale fascista (ora non so se dirti se in tutte o no), perché appunto come dici era conosciuto più per il nichilismo, ma dalle sue opere sembrava anche anarchico, anti-sistema, e queste cose qua facevano storcere il naso ai fascisti (ed è stato anche censurato dal regime se non erro).
Quindi da ignorante direi che no, non è tutto da buttare se l'ideale fascista non compare nella stragrande maggioranza dei suoi scritti, però preferisco non esprimere un'opinione più approfondita perché davvero, ammetto la mia ignoranza a riguardo e ho paura di dire stupidaggini.
Grazie per i complimenti <3, buona serata anche a te! (e per favore non darmi del lei, mi sento vecchia)
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KANT
di Sebastiano Maffettone
Domani, 22 aprile, Immanuel Kant compie 300 anni (1724-2024). Ho usato il tempo presente non a caso. Perché, che lo si sappia o no, Kant vive ancora in mezzo a noi. Meglio, le sue idee e le sue teorie sono parte integrante del nostro patrimonio intellettuale. Lo si vede chiaramente dalla nostra comune ideologia, dalle più rilevanti ipotesi filosofiche che hanno popolato il secolo ventesimo e l’inizio del nostro, e in sostanza dal nostro modo di pensare nel suo complesso. Non è facile argomentare decentemente una tesi come questa. Certo, si può dire che Kant era un genio assoluto, si può sostenere che ha messo insieme profonde intuizioni sul suo tempo con una tecnicalità filosofica perfettamente compiuta, oppure ancora che egli ha incarnato come nessuno lo spirito della modernità di cui siamo ancora – volenti o nolenti – figli riluttanti. Tutto vero, beninteso.
Ma, non appena si cerca di sostenere qualcosa di simile alla luce dei suoi scritti, interpretazioni generali come questa mostrano la corda. E per varie ragioni. La prima è banale e ineliminabile: leggere Kant è complicato, quasi impossibile senza una guida. Non puoi, intendo, prendere i suoi testi più importanti e, pur armato di buona volontà, sperare da solo di capire ciò che il filosofo sostiene. Innanzitutto, perché il nostro tratta problema estremamente astratti e complessi, del tipo di come sia possibile la conoscenza e che cosa vuol dire essere liberi. In secondo luogo, perché Kant non aveva il dono di una scrittura persuasiva e gradevole, come per esempio lo sono quella di Rousseau e quella di Hume. Certo, la sua prosa è ardua perché, come detto, si arrampica su cime abissali, ma è difficile negare che l’autore ci metta del suo. Il tedesco di Kant è indubbiamente ostico, come del resto i suoi primi lettori non esitarono ad affermare.
Kant, diciamo la verità, era un tipo strano. Metodico fino all’esasperazione e prussiano nell’animo, così lontano non solo dalla mia immaginazione mediterranea ma anche dalle esperienze di vita degli altri filosofi della modernità. Cartesio, Hobbes, Spinoza, Locke e compagnia avevano avuto vite movimentate, ed erano stati costretti all’esilio per ragioni diciamo così ideologiche. Kant, invece, come molti sanno, non si era mai mosso dalla sua Königsberg, ai suoi tempi cittadina mercantile fiorente nella Prussia Orientale ora – con il nome sovietico di Kaliningrad (sic!) – centro di un exclave russo sul Baltico che rischia di essere un pericoloso corridoio bellico nel prossimo futuro. La sua vita era scandita da ritmi sempre uguali. Lo svegliava il fedele servitore Lampe prima delle 5, poi studiava e preparava le lezioni che avrebbe tenuto all’Università Albertina di Königsberg, dopo di che consumava l’unico pasto del giorno (talvolta in compagnia), e nel tardo pomeriggio faceva la famosa passeggiata quotidiana rigorosamente in solitario (quella su cui si dice i locali regolassero l’orologio). Al ritorno, leggeva fino a quando arrivava l’ora di andare a dormire. Era genericamente stimato dai suoi concittadini anche se la sua carriera accademica era stata lenta e faticosa, ed era finito a 80 anni nel 1804 dopo una vecchiaia fertile di studi e pubblicazioni.
Se si dovesse scegliere una frase tra le tante che Kant ha lasciato impresse nella nostra memoria, direi di partire da quella che ci invita a prendere in considerazione due fondamentali universi quello del «cielo stellato sopra di noi» e quello della «legge morale dentro di noi». Dal complesso rapporto tra di loro, discende il nucleo dell’opus kantiano. Quest’ultimo è senza dubbio costituito in primo luogo dalle tre Critiche, Critica della ragion pura (1781, seconda edizione rivista 1787), Critica della ragion pratica (1788), Critica del Giudizio (1790). Ciò, anche se Kant era un genio poliedrico, in grado di esprimersi ad alti livelli su temi di fisica, matematica, diritto, astronomia, antropologia, geografia, teologia e via di seguito. E anche se –oltre alle Critiche – Kant ha scritto molti altri lavori di enorme importanza filosofica, tra cui quelli dedicati alla politica e alla religione.
Nelle sue opere, emerge – come mai altrove – lo spirito dell’Illuminismo, con la sua fede nel progresso e la fiducia nella scienza (a cominciare dalla fisica di Newton), ma col passare del tempo anche la pacata consapevolezza dei suoi limiti e un’apertura al clima culturale che sarebbe seguito. Se, in tutto ciò, un concetto dovesse farci da guida direi che è quello di «autonomia». L’autonomia kantiana riguarda sia la conoscenza teoretica che la vita pratica ed è il vero faro che illumina il percorso della modernità.
Nella Critica della ragion pura si trova l’essenziale della filosofia teoretica di Kant, che riguarda il mondo come è. Nella Critica della ragion pratica – ma anche nella tarda Metafisica della morale (1797) - il nucleo della filosofia pratica di Kant che riguarda il mondo come dovrebbe essere. In entrambi i casi, sia pure in maniera diversa, il soggetto dà leggi a sé stesso, cosa che poi corrisponde al concetto di autonomia di cui si diceva. Nella Ragion pura il nucleo del ragionamento kantiano coincide con la cosiddetta «rivoluzione copernicana», che fornisce la riposta alla fondamentale domanda sul come possiamo conoscere a priori la struttura del mondo sensibile. La risposta suggerisce che il mondo sensibile, o mondo delle apparenze, è in fin dei conti costruito dalla mente umana tramite una complessa interazione di materia che riceviamo dall’esterno e di forme apriori che derivano dalle nostre capacità cognitive innate. Si tratta di una nuova visione costruttivista dell’esperienza, che costituisce davvero una rivoluzione nel campo del pensiero (come quella di Copernico a suo tempo). Lo strumento analitico principale in questo tour de force è costituito dall’idealismo trascendentale, che all’osso è la dottrina secondo cui noi facciamo esperienza solo delle apparenze attraverso le forme a priori di spazio e tempo, mentre le cose in sé restano inconoscibili. In questo modo, Kant toglieva certamente autorità alla metafisica, ma – come ebbe a dire lui che aveva avuto una profonda educazione religiosa ispirata al pietismo – lasciava al tempo stesso più spazio alla fede.
Se la filosofia teoretica di Kant concepisce l’autonomia come capacità squisitamente umana di fornire l’apparato a priori che consente l’esperienza, la stessa autonomia gioca un ruolo ancora più centrale nella filosofia morale di Kant. La legge morale è – come ci hanno raccontato a scuola – basata sull’imperativo categorico, ed è fondata sul lavoro della ragione là dove la conoscenza poggia sull’intelletto. Anche qui, sullo sfondo c’è l’idealismo trascendentale, ma in questo caso non ci accontentiamo delle apparenze ma entriamo nell’ambito delle cose in sé. Se non altro perché la natura è altro da noi, mentre la moralità è squisitamente umana. La ragion pratica così concepita aiuta a comprendere la fondamentale libertà che abbiamo avuto in sorte. Naturalmente, di ciò non possiamo avere una pura consapevolezza teoretica, ma dobbiamo partire da un profondo sentire che consente a ognuno di noi di avvertire la legge morale, secondo la dottrina detta del «fatto della ragione».
A questo punto, il disegno complessivo della critica sembra essere inevitabilmente condannato a un dualismo, che non può che stridere con la mentalità sistematica di Kant. Da un lato c’è il determinismo della natura, dall’altro la libertà dell’essere umano. Scopo della Critica del Giudizio, è proprio il tentativo di superare questo dualismo tra teoria della conoscenza e il dominio della pratica. L’unità del progetto viene raggiunta, in quest’opera, introducendo una terza opzione cognitiva, che fa capo alla capacità riflessiva del giudizio. Tramite tale capacità noi concepiamo la natura nel suo complesso come dotata di scopo. Il giudizio estetico, la scoperta cioè del bello e del sublime nell’arte e nella natura, rivela un’armonia ultima tra il gioco dell’immaginazione e il creato. Consentendo, così, di pensare la natura come frutto di un disegno intelligente e come coerente con i nostri scopi. Soprattutto, sono gli organismi viventi che suggeriscono una finalità intrinseca all’esistenza e alla realtà.
Tutto ciò, oltre a essere complicato per chi non sa e semplicistico per chi sa, ha l’ovvio difetto di apparire scolastico. Kant può risultare, letto in questo modo, come un continuatore particolarmente sofisticato del razionalismo illuministico dei Leibniz e dei Wolff, capace di temperarlo con il lascito dell’empirismo britannico di Locke e Hume. Per capire che non è così, basta guardare alla differenza tra la filosofia che lo precede e quella che lo segue, a cominciare da Hegel e Marx. Per non parlare dell’eredità enorme lasciata da Kant nella filosofia del secolo ventesimo, un secolo in cui tutte le grandi scuole di pensiero – dalla fenomenologia all’esistenzialismo e al positivismo logico – sono in fin dei conti derive dell’opus kantiano. Ma non basta, perché la filosofia del linguaggio dopo Wittgenstein, la filosofia sociale e politica di Habermas e Rawls e la riflessione sul postmoderno non sarebbero neppure immaginabili senza partire dalla rivoluzione del pensiero apportata dal genio di Königsberg.
Dirò di più, credo sia impossibile per noi eredi del progetto incompleto della modernità trovare il bandolo delle nostre idee senza tornare a Kant. Con il compito, direi ovvio, di doverci confrontare con un mondo sociale mutato in cui certi passaggi razzisti, sessisti e classisti di Kant che pure ci sono, non hanno (o non dovrebbero avere?) più cittadinanza. E con una realtà ontologicamente trasformata dalla condizione digitale in cui siamo immersi, dalle guerre (da rileggere ora il saggio kantiano del 1795 su La pace perpetua) e con un pianeta in cui l’Occidente, di cui il nostro era chiara espressione, non rappresenta più l’avanguardia della civiltà. Ma anche per questo compito futuro il lascito di Kant resta fondamentale, un punto di partenza filosofico senza il quale sarebbe impossibile capire il nostro essere nel mondo.
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Una vita lunga 101 anni - di cui una trentina vissuti in Estremo Oriente - più di 30 libri scritti, due secoli attraversati da protagonista, a partire dalla Belle Époque sino alle rivolte studentesche del 1968.
Questi sono solo alcuni dei "numeri" di una donna veramente straordinaria, la prima occidentale ad aver mai visitato nel 1924 Lhasa, capitale e città santa del Buddismo tibetano.
Alexandra David-Néel nacque nei dintorni di Parigi il 24 ottobre del 1868 da un francese ugonotto e socialista, e da una belga cattolica e monarchica, che per molti versi era l'opposto del marito.
Fin da bambina desiderò, come scrisse lei stessa, "andare oltre il cancello del giardino e partire per l'ignoto", immaginato come luogo dove potersi sedere da sola a meditare, senza nessuno accanto.
Proprio per questo, a 16 anni s'allontanò dalla casa di famiglia in Belgio, in tempi in cui le donne sole erano considerate pazze o prostitute, per raggiungere l'Olanda a piedi e di qui imbarcarsi per l'Inghilterra, poi l'Italia, la Francia e la Spagna, in un peregrinare incessante.
A Londra conobbe Mrs. Morgan che l'introdusse nel ristretto mondo della teosofia, corrente di pensiero per cui tutti gli esseri viventi appartengono a un'unica famiglia nella quale le varie religioni sono espressioni di una sola verità, che a lei - figlia di un protestante e una cattolica - si attagliava perfettamente.
In questo ambiente s'accostò per la prima volta al Buddismo Zen che la folgorò al punto da diventare la ragione di vita che la spinse, fra l'altro, a studiare le lingue orientali, a partire dal sanscrito sino al tibetano.
A 21 anni partì per la prima volta per l'India, con l'intento di approfondire i suoi studi.
Tornata in Europa senza un soldo, si sforzò per un po' di vivere "all'occidentale" scontrandosi però quotidianamente con i limiti - per lei intollerabili - imposti al suo genere dalle convenzioni del tempo, tanto da risolversi ad accettare un impiego da cantante lirica presso l'Opéra di Hanoi al solo scopo di tornare in Estremo Oriente.
In Vietnam rimase dal 1895 al 1897, anno in cui rientrò in Francia per imbattersi nell'ingegner Philip Néel, che sposò senza alcun trasporto nel 1904 perché lui, a lei, garantiva una certa solidità economica; lei invece, a lui, il prestigio sociale derivante dal matrimonio con una donna che s'era già costruita un nome coi suoi primi scritti.
La repulsione di Alexandra per il sesso e tutto ciò che fosse maschile, causata anche dall'ipocrisia di una società dove gli uomini si sposavano per generare figli, ma trovavano il piacere fuori dal vincolo coniugale, l'indusse subito a trascorrere pochissimo tempo accanto al marito, che tuttavia nutrì sempre nei suoi confronti un affetto sincero.
L'Ing. Néel, comprendendo il disagio psicologico della moglie, accettò la sua proposta d'intraprendere "un lungo viaggio" da sola in Oriente, lasciandola partire nel 1911 senza però immaginare che non l'avrebbe più rivista per ben 14 anni.
L'India e il misteriosissimo Sikkim (piccolo stato himalayano) furono le prime tappe del suo viaggio. Proprio a Gangtok conobbe il locale Maharajah, il Dalai Lama e il "Gomchen" ("il grande meditatore") del monastero di Lachen, di cui divenne discepola seguendone gli insegnamenti per oltre due anni, durante i quali il suo fisico si trasformò, rifiorendo.
Sempre in Sikkim fece conoscenza con un ragazzetto quattordicenne, Aphur Yongden, per il quale provò un legame spirituale immediato tanto da adottarlo come figlio e tenerselo accanto per oltre quarant'anni, sino alla sua morte prematura.
Ormai espertissima di Buddismo Zen, con lui viaggio in Giappone, Corea, Cina e Mongolia, dove soggiornò a lungo presso il monastero di Kumbum di cui, in uno dei suoi libri, descrisse incantata la straordinaria processione mattutina di circa 3.800 monaci buddisti diretti alla sala delle meditazioni.
Viaggiando a piedi o, quando andava bene, a dorso d'asino o di yak, nel 1923 raggiunse in incognito e travestita da uomo, sempre col fedele Yongden, la mitica città tibetana di Lhasa, interdetta alle donne, dove s'intrattenne a lungo venendo però alla fine scoperta e cacciata a causa dell'unico "vizio" occidentale rimastole: quello di farsi un bagno caldo quotidiano nella vasca portatile che aveva con sé.
Rientrata in Francia nel 1925, si separò dal marito col quale però avrebbe sempre mantenuto rapporti cordiali, per stabilirsi con Yongden in Provenza, a Digne-les-Bains, in una villa chiamata "Samten-Dzong ("Fortezza della meditazione") dove si dedicò alla scrittura dei suoi numerosi libri, fra cui il famoso "Viaggio di una parigina a Lhasa", nel contempo ricevendo visitatori da tutto il mondo, sempre intrattenuti con le sue riflessioni, e non mancando di ripartire di tanto in tanto per l'amato Oriente.
Poco prima di spirare l'8 settembre del 1969, quasi cento-unenne, volle rinnovare il passaporto con l'idea d'intraprendere un ultimo viaggio che, invece, avrebbero fatto le ceneri sue e di Yongden nel 1973, per essere disperse nelle sacre acque del Gange, a Benares, come lei desiderava tanto.
Accompagna questo testo una foto di Alexandra David-Néel in compagnia del fido Aphur Yongden
(Testo di Anselmo Pagani)
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In questo si che mi piace credere. Le religioni, tutte incluse sono per deboli o psicopatici è più facile che vi sia vita nell' universo che dar credito a libri vari scritti da uomini per altri uomini. In nome della fede, di ciascuna fede, sono stati perpretati i più grandi crimini dell' uomo.
Nel 1975 Frank Mershberger un chirurgo ,alzando gli occhi nulla Cappella Sistina rimase sbalordito. Quello che vide era qualcosa che conosceva molto bene: l’esatta riproduzione di un cervello umano, esattamente l emisfero destro, quello creativo, illimitato e intuitivo.
Michelangelo intendeva davvero suggerire che Dio è una creazione della mente? A me piace pensarla proprio così.
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Il vero discorso di capodanno.
Personalmente non ho mai guardato ed ascoltato nessuno dei discorsi di fine anno dei vari presidenti della repubblica, semplicemente perché facevo altro, ma da diversi anni mi guardo il discorso di capodanno di Balasso, che sembra strano ma è più reale di qualsiasi politico o persona che vi parla dalla tv come a dei bambini. Lo metto in fondo.
Oggi mi sono svegliato presto nonostante non abbia dormito molto e bene, cosa che sta diventando un'abitudine, dovrei fare come i nobili di un tempo, almeno da quello che ci è arrivato da scritti degli storici, che dormivano in stanze separate, qual era il motivo non lo spiegano o almeno ne danno diversi ed è il lettore poi a scegliere quello che gli piace di più, che so lui russava e lei non riusciva a dormire (questo è quello che capita a me), lei emanava flatulenze immonde e lui sveniva nel sonno rischiando di morire, ecc ecc. Ma a differenza dei nobili che avevano dei palazzi enormi per poche persone, io non possiedo un maniero e alcune volte, quelle dove ero stanco e volevo fortemente dormire, mi andavo a buttare nel divano, che però è nella stanza contigua sulla stessa parete della testiera del letto e in alcuni casi e grazie al mio udito fino (e al sonno leggero) la sentivo lo stesso, russare. E' questo il punto focale, lei dice che quando è stanca russa, adesso perché una volta non lo faceva. Si lo so, me li ha consigliati anche Spock, ma non riesco a metterli sti cazzo di tappi per le orecchie, non entrano. E poi mi viene male già solo quando un pò di cerume occupa lo spazio uditivo, figuriamoci a chiuderlo completamente, andrei matto (famoso psicologo russo).
Detto tutto questo che tanto lo so che non ve ne fotte un cazzo e se lo leggete è perché non avete una cippa da fare, vi saluto col discorso di Balasso di capodanno.
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Jane Birkin
Jane Birkin, attrice, cantante e regista, è stata una delle figure più amate e iconiche della musica e del cinema.
Talento e presenza magnetica sullo schermo l’hanno resa una delle artiste più apprezzate di ogni tempo.
Ispiratrice di moda e stile, porta il suo nome la borsa più desiderata al mondo la “Birkin bag” di Hermès, creata apposta per lei nel 1984.
Una carriera eclettica, la passione per le arti e il suo impegno per diverse cause umanitarie l’hanno resa una personalità indimenticabile.
Nata il 14 dicembre 1946 a Londra, in Inghilterra, era la secondogenita del maggiore David Birkin (comandante della Royal Navy) e dell’attrice e cantante Judy Campbell, famosa per le sue interpretazioni nei musical di Noël Coward.
La sua carriera di attrice è iniziata a teatro, a 17 anni.
A 19 anni ha sposato il compositore John Barry, l’autore delle musiche dei film di James Bond, dalla cui unione è nata la sua prima figlia, Kate Barry, nata nel 1967.
A cinema ha esordito nel 1965 con Non tutti ce l’hanno di Richard Lester, ma è stato l’anno successivo, con Blow-Up di Michelangelo Antonioni che ha raggiunto la celebrità.
Nel 1968, sul set del film francese Slogan, ha conosciuto il cantante e musicista Serge Gainsbourg, con cui è nato un lungo sodalizio sentimentale e professionale che li rese una delle coppie più celebri e trasgressive del jet set dell’epoca.
Alla fine del 1968, incisero insieme il loro primo album, intitolato Jane Birkin – Serge Gainsbourg, anticipato dal celebre singolo Je t’aime… moi non plus, che fece scandalo per il testo esplicito che alterna parole d’amore alla descrizione di un rapporto sessuale. Vietato e censurato in diversi paesi, tra cui l’Italia, ha venduto oltre cinque milioni di copie in tutto il mondo.
Nel 1971 nacque la figlia, l’attrice Charlotte Gainsbourg.
Durante gli anni settanta, Jean Birkin ha inciso diversi album, scritti prevalentemente dal marito. Parallelamente proseguiva la sua carriera di attrice, ha recitato nei film La piscina, Il romanzo di un ladro di cavalli, Una donna come me, Assassinio sul Nilo. È stata anche diretta da Gainsbourg nel controverso Je t’aime moi non plus (1976), in cui ha recitato nuda per buona parte del film.
Nel 1980 si sono separati come coppia ma hanno continuato a collaborare a progetti musicali fino a quando lui è stato in vita.
La relazione col regista francese Jacques Doillon ha inaugurato una nuova fase della sua carriera, ha abbandonato l’immagine sexy e trasgressiva, per dare spazio alla sua personalità di donna più consapevole della propria forza e versatilità. Nel 1982 ha avuto una terza figlia, Lou Doillon, modella, cantante e attrice.
Ha recitato in oltre settanta film e stabilito un importante sodalizio professionale con la regista Agnès Varda, che nel 1988 le ha dedicato il film Jane B. par Agnès V.
È stata candidata due volte ai premi César, il principale riconoscimento cinematografico francese, nel 1984 e nel 1986.
Ha sempre alternato la carriera di attrice a quella di cantante, Baby Alone in Babylone del 1983, scritto da Gainsbourg, le è valso il Disco d’oro in Francia. Nel 1987, ha iniziato un’attività di recital nei teatri. Nel 1990 è uscito Amour des feintes, l’ultimo album scritto per lei da Serge Gainsbourg. Dopo la morte di lui, avvenuta l’anno dopo, gli ha reso omaggio con Versions Jane, una raccolta di sue canzoni riarrangiate con vari musicisti ospiti, tra i quali Goran Bregović e Les Négresses Vertes. Ha continuato a onorare la memoria del suo pigmalione in eventi e recital teatrali. Nel 1998 À la légère è stato il suo primo album che non conteneva alcun brano dell’ex compagno.
Al cinema, La bella scontrosa di Jacques Rivette, le era valsa una candidatura come miglior attrice non protagonista ai Premi Cèsar del 1992.
Negli anni successivi ha continuato a incidere diversi album di successo in Francia, collaborando spesso con altri artisti come Paolo Conte, Manu Chao, Bryan Ferry, Caetano Veloso, Yann Tiersen e a esibirsi dal vivo in concerti e spettacoli teatrali.
Nel 2007 ha diretto il film autobiografico Boxes.
In seguito a una malattia cronica, si è ritirata dalle scene, chiudendo la sua carriera cinematografica con Quai d’Orsay di Bertrand Tavernier, nel 2013.
Molto attiva anche in ambito sociale e umanitario, da ambasciatrice di Amnesty International, è stata in Bosnia, in Cecenia, ha cantato in Cisgiordania e a Ramallah, e si è impegnata a favore delle vittime del conflitto in Ruanda. È stata fra le duecento persone firmatarie dell’appello contro il riscaldamento globale pubblicato nel 2018 in prima pagina dal quotidiano Le Monde.
Nel 2016 è stata omaggiata al Festival del Cinema di Locarno con un tributo alla carriera.
Nel 2021 la figlia Charlotte le ha dedicato il semi-documentario Jane by Charlotte.
Si è spenta nella sua casa di Parigi, il 16 luglio 2023, aveva 76 anni.
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LA SERA
Ci sono delle sere che non sono sere come le altre.
In realtà credo che ogni serata sia diversa, anche se spesso nella routine della vita ci possano sembrare uguali, scontate come tante altre.
Se imparassimo a osservare e percepire le sfumature, le sere, ci racconterebbero tante storie diverse.
Narrazioni che nascono anche dagli stessi protagonisti che, quasi sempre, hanno parti importanti nella nostra vita.
Ieri sera, per esempio, seduto a cena ho ascoltato i progetti e le ambizioni dei miei figli.
L'Università, i percorsi e gli eventuali studi all'estero. Gli esami d'ammissione, il lavoro temporaneamente trovato per mettersi da parte dei soldi. La voglia di confrontarsi all'estero con scuole che porterebbero a dei Master.
I viaggi, il concerto a Roma la prossima estate, le vacanze e tutto questo con l'entusiasmo di chi ha vent'anni, ma anche gli sguardi interlocutori di chi ancora cerca l'approvazione del padre.
Sguardi che prima o poi non mi cercheranno più, occhi che guarderanno avanti con le decisioni da loro prese senza la ricerca di un consenso. Un "tu che dici papà?"
E io con le posate in mano che, tra una pausa e l'altra mi ostino a pensare alle volte che si stava sul divano a guardare i cartoni animati, con i loro ciucci in bocca e i peluche in mano.
Dannazione a me e a queste aderenze affettive a certi ricordi.
Chissà cosa accadrà. Se mai in futuro riceverò i loro auguri di Buon Natale da un'altra città, da un altro paese, da un'altra nuova famiglia.
Ieri sera. Ho chiuso il computer tardi, il lavoro su un contratto che devo consegnare il giorno dopo mi aveva impegnato molto. Ero stanco. Parole tecniche, cifre economiche, numeri di dimensioni, tempistiche, iter burocratici.
Prima di spegnere il computer la osservo. Una cartella. Ho quella cartella lì, posizionata su desktop, denominata "Scritture" che mi aspetta da un bel po'. Da assemblare e unire, cucendo i vari pezzi scritti in essa contenuti.
Dentro c'è scritto tanto da me, su di me e sulla lettura della vita con i miei occhi. Sarà per un'altra volta, l'ennesimo rinvio.
S'è fatto tardi, ho bisogno di dormire, tutti stanno già dormendo.
Spengo la luce uscendo dalla stanza dove lavoro, e nella penombra del disimpegno illuminato dai tanti led verdi del modem di casa, sento il richiamo di guardare verso la cucina.
Lo vedo, come se fosse reale. Come faceva sempre, ovvero l'aspettarmi per ultimo per darmi a modo suo la buona notte.
Stava seduto ben eretto sul tavolo, come se fosse un soprammobile. Il pelo rosso nella penombra prendeva le tinte dell'amaranto e dell'ocra scura. Gli occhi completamente dilatati avevano i riflessi verdi dei led verdi accesi.
Il suo non era un miagolio, ma una voce leggera e nello stesso tempo acuta, breve e penetrante, un "miao" che sembrava tantissimo un "mio". Ero "suo".
L'abbraccio, le fusa i miei baci sul suo musetto, il suo lappare sul mio naso.
Ti ho sentito Alvin ieri sera, sai?
Ho finito quel contratto, quello di cui "ti avevo parlato" quando mi confidavo con te, sulle mie certezze ma anche sulle mie paure.
Una volta per me esistevano anche i post serata, non li vivo più.
Assumo quello che mi serve per fermare i pensieri, per fermare le idee, i ricordi, i rimpianti e i rimorsi... per bloccare il cervello. Addormentandomi.
Le serate non sono tutte uguali, per quanto si scandiscano le stesse azioni, lo sfondo può essere diverso.
Può essere un cielo stellato di Van Gogh, una notte tenebra alla Caravaggio, le notti nebbiose di Honoré Daumier oppure quelle illuminate dalle insegne di Edward Hopper.
La sera, generalmente è quando percepisco di più la mancanza di qualcosa che non c'è più da tempo, di qualcosa che forse neanche io conosco veramente.
Sperando sempre che possa vivere una volta la serata perfetta, una sola sera, giusto per raccontarla, in quella cartella denominata "Scritture".
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Sono seduta su un divano sfondato di A Stare, il locale che Martyn ha iniziato a costruire 5 anni fa svuotando il magazzino della casa di suo padre dalle cianfrusaglie accumulate nel corso di 20 anni.
La prima volta che sono stata qui risale al 31 dicembre 2018. A Stare era poco più che un cantiere, composto di mobili rubati dalle campagne o dai depositi dei rifiuti speciali.
Nell'ingresso c'era una barca da pesca. Una barca da pesca vera, Martyn ci disse di averla rubata una notte dalla spiaggia di Torre Canne.
Adesso A Stare è un locale vero e proprio. Ha un bagno funzionante, con tanto di sapone per le mani e carta igienica. Ha un soppalco enorme, costruito da zero su un progetto creato da una persona con nessuna competenza di architettura.
Ci sono luci ovunque, stufe, divani, quadri, tappeti.
E anche tante persone, tra cui la storica ex F, che oggi sono venute qui per ascoltare la presentazione della raccolta di racconti di Martyn.
È un libro pubblicato postumo, in cui il padre di Martyn ha raccolto le sue poesie e i suoi racconti scritti tutti sgrammaticati e senza punteggiatura.
Martyn era la classica persona che non sapeva scrivere, però sentiva di avere tanto da dire.
Adesso ad A Stare siamo rimasti solo noi amici, sparpagliati nei vari metri quadri del locale. Sotto di me si cantano canzoni alla chitarra mentre qui sul soppalco si gioca a Magic.
L'ambiente è pieno di risate, fumo di sigaretta e vino. M. ride e canta, la stessa M. che poco meno di tre ore fa si è accasciata piangendo sulla mia spalla mentre leggevano le parole di Martyn.
È uno spazio strano, quello del lutto.
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Ciao! Volevo dirti che, anche se ho cominciato da poco a seguirti, ammiro molto la modalità di condivisione delle tue giornate <3
Il tuo blog, oltre ad avere la capacità di infondere serenità (contagiosa) in modo del tutto naturale, è straconfortante da leggere e avere qualcuno con cui confrontarsi con le varie sfide della vita, anche quelle che normalmente non vengono raccontate (come l’avere difficoltà, qualche volta, a concentrarsi o a finire un compito nei tempi prestabiliti).
Molto interessante anche la scelta di aprirsi ad un pubblico internazionale, che può avere il vantaggio di un più ampio feedback e forse il pregio di un distacco maggiore tra scrittura e autore. Davvero complimenti per il tuo lavoro, ogni volta che ti leggo mi fai venir voglia di cominciare il journaling <3
PS: Mi piacerebbe molto poter leggere dei tuoi scritti se ne hai! Have a nice day <3
Ciao!! Grazie mille per aver aver usato un po' del tuo tempo per scrivermi questo messaggio 💜🌿 Questo blog è nato con lo scopo principale di aiutrare a motivarmi e condividere il mio percorso di studi e se in qualche modo fa sentire chi lo legge un po' meno solo nei probliemi accademici e della vita di tutti i giorni mi fa davvero tanto piacere. Ti ringrazio di cuore.
(ho un scritto qualche cosa di molto amatoriale più che altro per allenamento, e questo mi ricorda che dovrei riprendere perché è da decisamente troppo tempo che non scrivo)
buona giornata!!💜🌿
#ask#asked#asks#cris speaks#answered#ita#this is the kind of interaction i live for#mine#the---hermit
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“ La carne si dissolve come acqua, il sangue e le ossa si mutano in fuoco liquido mentre la loro essenza brucia fino a distruggersi…a trasformarsi”
La lettura del “Il Cavaliere del Sole Nero”, primo libro della trilogia del Sole Nero è stata inaspettata. Andando avanti con la lettura non mi aspettavo che mi avrebbe preso a tal punto da diventare uno dei miei libri preferiti. Nonostante la sua mole consistente di ben 600 pagine, lo si legge in maniera molto scorrevole. Lo stile di scrittura della Friedman è ricercato, ipnotico per tutta la narrazione, attraverso la quale si viene trasportati su Erna, il pianeta dove è ambientata la storia.
I personaggi che descrive l’autrice sono ben scritti, ci vengono descritti e subiscono lungo il loro cammino uno sviluppo interiore, che porta i personaggi ad essere dei personaggi grigi.
Non vengono presentati con un’unica faccia della medaglia, bensì presentano aspetti sia positivi che negativi. In particolare il personaggio con cui ho enfatizzato di più è stata la figura del Cacciatore, figura avvoltadal mistero, e che penso sia fra i personaggi che abbia subito una maggiore trasformazione interiore.
Inoltre, per me, il cacciatore è uno dei migliore personaggi di cui abbia mai letto, per il suo carisma, presenza e altro, ma anche per ciò che rappresenta e sulle sue origini.
Il cuore portante di questa storia è la crescita dei personaggi, ma anche per i temi che racchiudono i vari personaggi. Ogni personaggio ci presenta un aspetto diverso della società, ma anche di altre società che riscontriamo. Per esempio usi e costumi delle popolazioni e il loro adattamento su Erna.
Altra cosa che ho amato è stata l’ambivalenza del Fae, energia che esiste e permane ovunque il pianeta; fonte di magia o energia che viene utilizzata per infondere le proprie intenzioni.
Un libro grimdark scifi che spero vi possa intrigare e che leggerete, infine un ringraziamento a @fanuccieditore e @libriefrasi.italia per la copia 🖤
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P.S- quando il secondo?
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