#scipione compagno
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maertyrer · 2 months ago
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Scipione Compagno The martyrdom of Saint Agatha
Oil on canvas, 62,5 x 100 cm, 17th century
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palmiz · 7 years ago
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Da : (Andrea Forgione)
TERRONE TORNA A CASA TUA. QUI NON TI VOGLIAMO .
PER NON DIMENTICARE
Alla fine della prima media mio padre decise che dovevamo trasferirci a Fiorano Modenese, dove lui aveva trovato lavoro in una fabbrica di mattonelle. Ci servivano i soldi per ricostruire una vecchia casa che avevamo appena comprato. Fiorano era un posto carino: non molto grande, situato in pianura, con inverni nebbiosi ed estati afose, regno dalle zanzare. Poco male, le zanzare non mi pungono, mi possono camminare addosso ma non amano il mio sangue. La nostalgia di Paternopoli mi assalì quasi subito. Niente fiume dove fare il bagno, poche lucertole da catturare, niente piazzetta dove giocare scalzi a nascondino, niente frutta da rubare. Solo macchine, fabbriche ed un dialetto sconosciuto, quasi uno slang francese. E venne il primo giorno di scuola. Fui assegnato alla seconda media sezione B. Entrai in classe e mi sedetti in un banco singolo, l’unico libero. Pochi minuti ed entrò l’insegnante di italiano. Fece l’appello e per ultimo indicò me. Usò queste parole: “Ragazzi, quest’anno abbiamo un nuovo compagno di scuola, viene da Avelino”. Poi mi fece alzare per presentarmi.
Fu allora che in dialetto paternese articolai alcune parole che per tutti risultarono incomprensibili, compresa la professoressa. Tutti risero… qualcuno si spinse a domandare se Avellino era in Italia. Mi sedetti sul banco come se un macigno mi fosse crollato sulle spalle. Terminata l’ora di lezione vennero i 5 minuti di pausa. Una ragazzina alta e magra, Angela Beltrami, anni dopo deceduta in un incidente stradale, si avvicinò e mi toccò il braccio. Poi, con la stessa mano, toccò un’altra ragazzina dicendo di aver toccato l’animale terrone. Questa a sua volta toccò un’altra ragazzina e così via. Ognuna di loro appena sfiorata faceva una faccia schifata e gridava come in un delirio collettivo. Un gioco, sì, solo un gioco, ma crudele e razzista. Ed io lì, in piedi, fermo nel corridoio a guardare e subire i loro insulti. Uno scattò d’ira mi assalii ed allora spinsi per terra l’ultima ragazzina toccata dalle amiche che aveva avuto la sfrontatezza di dirmi “Terun, torna a casa tua”.
A quel punto tre maschi, con in testa il più grosso della classe, mi circondarono e presero a darmi botte. Fui salvato dal bidello, meridionale anche lui di Nardo'( Lecce), che mi portò in bagno per mettermi l’acqua sul viso e per consigliarmi ‘di sopportare tanto alla fine mi avrebbero accettato’. Per due giorni non andai a scuola poi mio padre mi impose di tornarci. Appena entrato in classe riprese il gioco crudele con la gang sempre più in vena di angherie. Una mattina eravamo tutti davanti alla scuola in attesa del suono della campana, io da solo appoggiato ad un muretto, quando quattro ragazzini si fecero avanti per ordinarmi di tornare a casa. Questa volta, però, prima che il capo potesse mettermi le mani addosso gli applicai la tecnica appresa in piazza Angelo da Scipione, al secolo Volpe Giovanni, attuale comandante dei vigili urbani di Paternopoli: appena fu a tiro gli detti una sonora testata sul naso. Il ragazzo cadde a terra con il sangue che usciva copioso dalle narici. Disteso a terra con la faccia sanguinante non faceva più tanta paura.
Alla vista del sangue gli amici del piccolo boss scapparono mentre gli altri si girarono a guardarmi. Io, invece di fuggire, li sfidai: “Qualcun altro vuole fare la stessa fine?” Suonò la campana ed entrammo. Il ragazzino fu portato in ospedale e di lì a poco giunsero i suoi genitori ed io fui convocato in Presidenza. Fui redarguito pesantemente ma nessun provvedimento fu preso, perché l’episodio era avvenuto fuori dall’orario di lezione, ad esclusione del fatto che mio padre dovette andare dal preside il giorno dopo. Da quel giorno nessuno più si prese gioco di me, anzi, mi evitarono totalmente. E questa cosa mi feriva più del giochino crudele delle ragazzine, che nel frattempo avevano smesso di praticarlo. Furono settimane di disagio e riflessione. Infine compresi che un problema esisteva: non sapevo scrivere e parlare in italiano. Fu così che un pomeriggio mi recai al comune di Fiorano, dove mi avevano detto c’era una fornitissima biblioteca comunale. Era un ambiente grande, a due piani, con scaffali enormi pieni di libri, divisi per letteratura.
La signora, gentilissima, mi accolse e mi chiese di cosa avevo bisogno. Io risposi: “Voglio imparare l’italiano”. Lei allora disse: “Ragazzino, per imparare l’italiano devi leggere, leggere e leggere”. Fu così che mi fece l’iscrizione e mi consegnò tre libri di avventura. Dopo pochi giorni ero di nuovo in biblioteca per restituirli. Le settimane passavano e la signora mi guidava nella lettura scegliendo i libri per me. Finite le ore di scuola prendevo i miei libri e salivo al santuario-castello di Fiorano, una chiesa posta su una piccola collina da dove si godeva il panorama del paese e dell' intera pianura. Poi, un giorno chiesi alla signora la “Disubbidienza” di Moravia. La signora me lo diede e aggiunse: “Da oggi in poi scegli da solo i libri”. In un anno lessi Verga, Svevo, Pirandello, Montale, Proust, Joice, Kafka, Hemingway, Dostoevskij e il mio preferito Hermann Hesse. Il risultato fu che verso la fine dell’anno i miei risultati scolastici erano cresciuti in maniera esponenziale, fra lo stupore dei compagni. L’anno volgeva al termine ed un giorno la professoressa di italiano diede tre tracce per l’ultimo compito in classe. Io scelsi la traccia di attualità che verteva proprio sulle nuove emigrazioni.
Dopo tre giorni venne il momento della consegna del compito. L’insegnante era solita chiamare per nome l’alunno che doveva andare alla cattedra per ascoltare il giudizio e ricevere il voto. Chiamò tutti fuorché me. Allora chiesi di sapere il mio voto. Lei, rivoltasi alla classe, disse: “Ho tenuto per ultimo il tema di Andrea perché è bellissimo, il più bel tema che abbia corretto negli ultimi anni. E’ un elaborato scritto in un italiano corretto e dai contenuti profondi che denotano una sensibilità rara e preziosa. Bravissimo Andrea in questo anno hai fatto un ottimo lavoro. Ti do il massimo voto nella mia materia”. E poi lesse il tema e nel tema c’ero io, il ragazzo del naso rotto, le ragazze , la professoressa… c’eravamo tutti, compresa Nadia Frigeri, la più bella ragazzina della classe. C’era Paternopoli, Fiorano, mio padre, il padre del ragazzo sanguinante , il preside… c’erano le nostre storie. Finii la scuola e fui promosso. Al quel punto mio padre mi permise di tornare finalmente a Paternopoli per le vacanze. La partenza era fissata per il lunedì successivo. Nel pomeriggio salii come al solito sulla collinetta del santuario. Ero seduto sulla panchina a leggere quando vidi tre ragazzine in bicicletta. Si avvicinarono. Erano tre compagne di scuola ed una era Nadia, la biondina. Scesero dal sellino, Nadia mi salutò e disse: “Andrea, ti farebbe piacere venire sabato al mio compleanno?”
La guardai e rimasi in silenzio, temendo uno scherzo di cattivo gusto, ma Nadia insistette: “Mi farebbe piacere, davvero. Lo faccio a casa mia sulla strada per Spezzano. Puoi venire in bici se vuoi”. “Nadia, - risposi- io non ho la bicicletta, ma verrò’”. Le tre ragazzine risalirono e si allontanarono. Sabato sera andai a casa di Nadia a piedi. Aveva una casa bellissima: una villetta con giardino e diverse macchine costose parcheggiate nel viale. Suonai e subito venne ad aprirmi la festeggiata. Era davvero la più bella della classe. Fu cordiale e mi fece entrare. Mi presentò ai suoi genitori, due persone perbene. La madre, forse di origine austriaca, disse: “Andrea, Nadia ci parla spesso di te. Eppure non sembri un meridionale. Sei biondo con gli occhi chiari. Pensavo che eri scuro con i capelli neri. Mio marito una volta, durante il servizio militare, è stato ad Avellino, è molto lontano da qui?” “Signora circa 700 Km” le risposi. Cominciò la festa, mangiammo poi misero su la musica. Io uscii fuori in giardino e covavo l’intenzione di andarmene, quando Nadia mi raggiunse fuori e mi invitò a ballare. Un ballo veloce di gruppo, ma nel gettarmi in pista mi teneva per mano, la stessa mano che pochi mesi primi mi aveva trattato come un lebbroso. Per quel gesto non l’avrei mai più amata ma, adesso, quella stessa mano mi restituiva la dignità di essere umano. Alla fine della terza media io mi iscrissi al liceo scientifico mentre la maggior parte di loro preferì scuole con diplomi finiti. Non cercai mai di somigliargli. Anzi, mi sforzai di rimanere me stesso, lo scinziato di sempre. Cambiai compagni e mi feci qualche amico vero ma a volte, nonostante siano passati 40 anni, qualcuno di quella scuola media ancora mi telefona per gli auguri di Natale. I bambini e gli adolescenti sanno essere molto cattivi ma lo sono sempre perché le famiglie e la scuola insegnano ad aver paura dell’estraneo, paura che genera l’incomprensione e la diffidenza, l' anticamera del razzismo.
Eppure il nostro Cristo è ebreo
e la nostra democrazia è greca.
La nostra scrittura è latina
e i nostri numeri sono arabi.
La nostre moto sono giapponesi
ed il caffè è brasiliano.
Il nostro orologio è svizzero
e il nostro cellulare è cinese.
La pizza è italiana
e la nostra camicia hawaiana.
Le vacanze sono turche,
tunisine , marocchine, egiziane…
Siamo cittadini del mondo,
non possiamo rimproverare al nostro vicino
di essere straniero.
Apparteniamo tutti all’unica razza conosciuta, quella umana… diceva Albert Einstein.
Ecco perché proibisco categoricamente ai miei figli termini quali negro, scimmia, zenghere etc. Siamo tutti fratelli. Se bisogna rompere il naso a qualcuno lo devi fare senza pensare al suo credo religioso, al colore della pelle o alla sua provenienza. Bisogna romperglielo solo perché quel naso è il naso di uno stronzo ed un violento e non ci sono margini per una discussione civile.
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beppebort · 4 years ago
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PADRE OLINTO MARELLA
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Opera Padre Marella > Padre Olinto Marella
Giuseppe Olinto Marella nasce il 14 giugno 1882 a Pellestrina (Venezia) da una famiglia benestante. Il padre, medico condotto dell’isola, muore nel 1903, lasciando la vedova Carolina de Bei, insegnante, con tre giovani figli. Olinto, secondogenito, dimostra fin dall’adolescenza inclinazione alla vita ecclesiastica, grazie alle particolari cure dello zio monsignor Giuseppe M. Marella.
Terminate le scuole, il giovane Olinto viene mandato a Roma a proseguire gli studi nell’Apollinare, l’Istituto superiore di studi ecclesiastici, dove ha come compagno di corso Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII. Consegue la laurea in Teologia e Filosofia. Sacerdote il 17 dicembre del 1904, don Olinto celebra la prima Messa nella città natale. Sacerdote aperto e brillante, gli viene affidato l’incarico di insegnante nel seminario di Chioggia. Nel 1909, con l’aiuto del fratello Tullio, studente di ingegneria, progetta il Ricreatorio popolare a Pellestrina e, in breve tempo, raccoglie attorno a sé i bambini della parrocchia, educandoli con quei metodi moderni che gli procureranno non pochi problemi. Nello stesso anno, il 25 settembre 1909, infatti don Olinto Marella viene sospeso “a divinis” con il divieto di accostarsi all’Eucarestia in diocesi; il tutto dovuto alla ospitalità data allo “scomunicato” Romolo Murri, suo amico fin dal seminario.
Con molta amarezza e dolore è costretto a lasciare la sua terra e come insegnante comincia a peregrinare in varie città italiane dove riesce a ottenere le cattedre di insegnamento. Nel 1916 consegue la laurea in Storia e Filosofia e il diploma di Magistero in Filosofia. Nel 1919 viene incaricato all’insegnamento della Filosofia nel Liceo Canova di Treviso. Insegna a Messina, Pola, Rieti, e Padova. Cura anche la traduzione del libro di G. B. Vico: “De nostri temporis studiorum ratione” e altri libri di pedagogia. Fa anche parte della Commissione Centrale per la revisione dei libri di testo. Nel 1924 approda a Bologna come insegnante di storia e filosofia nei prestigiosi Licei Galvani e Minghetti, dove rimarrà in cattedra fino al 1948.
Il 2 febbraio 1925, festa “Presentazione al Tempio”, il Card. Nasalli Rocca toglie a don Olinto Marella la sospensione a divinis, lo riabilita e lo accoglie nella Diocesi di Bologna, dove può finalmente esercitare il suo sacerdozio divenendo in breve fulgido esempio di apostolo, soprattutto nella periferia della città tra i poveri e i derelitti. Dal 1932 fa parte del Consiglio della San Vincenzo. In seguito, dopo la costruzione delle case Popolari di via Vezza, Piana, Pier Crescenzi, Mascarella, Scipione del Ferro, dirige l’assistenza religiosa degli agglomerati urbani. In quegli anni trasforma in piccole cappelle alcune cantine dei palazzoni appena costruiti detti degli “umili”. Negli stessi anni ospita nell’appartamento di via S. Mamolo 23, dieci piccoli bambini orfani, dove contemporaneamente trovano rifugio anche perseguitati politici.
Don Marella, che ben presto diventa per tutti Padre Marella, per la sua paternità esercitata sul campo, è l’uomo mandato da Dio che, dopo aver peregrinato e sofferto per sedici lunghi anni, marcisce come un chicco di grano e rinasce come una rigogliosa spiga per portare frutti abbondanti nella ricca, grassa e godereccia Bologna, città famosa per la sua cultura e gastronomia, ma non altrettanto famosa per la sua carità e testimonianza di fede.
Padre Marella con la sua presenza silenziosa e forte, con la sua fede impregnata di carità, con la sua concretezza ed immediatezza nel porgere aiuto a chiunque, tocca il cuore di tutti. Nessuno riesce a passargli accanto senza essere folgorato dalla sua Carità. Padre Marella diventa così la coscienza di Bologna, un faro di luce che illumina una città forse troppo borghese.
Si fa mendicante per condividere e capire meglio la condizione dei poveri, ma soprattutto, ispirato da Dio, sceglie questa forma eloquente ed umile di testimonianza per dare la possibilità a tante persone frettolose, distratte e indifferenti, di riflettere, arrestare la loro corsa e mettere in moto il meccanismo interiore della solidarietà.
Sceglie una cattedra di umiltà senza precedenti, da quell’angolo di strada, arroccato su quell’umile sgabello, lancia un silenzioso e penetrante messaggio a tutti i passanti: “non si può restare indifferenti di fronte a chi soffre”. Il periodo bellico lo vede autore di innumerevoli gesti di coraggio e altruismo; è costretto ad accogliere nelle sue case rifugio un impressionante numero di orfani, di sbandati, di poveri di ogni genere.
Costruisce chiese, si consuma giorno e notte alla questua davanti ai luoghi di spettacolo ed in alcuni punti strategici della città, e riesce anche ad ottenere dalla nettezza urbana un vecchio magazzino, che nel 1948 sarà trasformato nella prima rudimentale “Città dei Ragazzi” in via Piana a Bologna. Lo stesso anno lascia l’insegnamento per dedicarsi a tempo pieno ai “suoi ragazzi”. Gli anni a seguire vedono Padre Marella protagonista di diversi riconoscimenti come i due “Premi della Bontà” da parte della Regione e della Provincia; il premio “Notte di Natale” Angelo Motta.
La sua fama di santità cresce a dismisura davanti agli occhi del popolo, mentre per alcuni suoi confratelli di sacerdozio è un personaggio da tenere sotto controllo perché troppo evangelico e poco canonico; infatti fino a che è stato in essere il famoso sant’uffizio, veniva richiesta annualmente una relazione scritta al vescovo di Bologna, sul comportamento di questo sacerdote troppo originale e innovatore.
Nel 1960 Papa Giovanni XXIII scrive una lettera al Card. Lercaro a favore dell’”Opera assistenziale del mio carissimo amico e Padre Marella”, inviando l’offerta di un milione. L’8 ottobre 1968 don Olinto detta il suo Testamento Spirituale e nomina suo successore Padre Alessandro Mercuriali.
Il 6 settembre 1969, dopo aver ricevuto pienamente i conforti religiosi, attorniato dai suoi ragazzi, si spegne all’età di 87 anni, lasciando un’eredità di amore e carità che a 50 anni dalla sua scomparsa porta ancora frutti copiosi perché affonda le radici nella Divina Provvidenza, la quale non abbandona mai nessuno, ma soprattutto chi si prende cura dei poveri.
La salma del Padre dal 1980 riposa nella Chiesa della Sacra Famiglia in San Lazzaro come da suo desiderio: “Vicino ai miei ragazzi”.
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PROCESSO DI BEATIFICAZIONE
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fondazioneterradotranto · 5 years ago
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La settecentesca accademia di S. Vito dei Normanni (1/2)
di Armando Polito
Inutile cercarla  in rete o in biblioteca, almeno che non si ricorra, sapendolo, all’unica fonte esistente, vale a dire un manoscritto (ms_F/7) del XVIII secolo custodito nella biblioteca pubblica arcivescovile “Annibale De Leo” a Brindisi. Quello delle accademie è un fenomeno molto diffuso nei secoli passati e se ne ebbero di tutti i gusti, nel senso che i temi in esse dibattuti potevano essere di natura scientifica, filosofica o, in senso lato, letteraria. Tra le accademie letterarie chi non ha almeno una volta sentito parlare dell’Arcadia, fondata a Roma nel 1690 da Giovanni Mario Crescimbeni e della quale negli anni furono pastori (così si chiamavano i soci) anche parecchi salentini1?
Non tutta la produzione di ogni accademia ebbe il privilegio di esser data alle stampe e non mancano casi, come il nostro, in cui solo una fortuita e fortunata circostanza consente di liberarne, magari solo parzialmente, la memoria dalla polvere del tempo e dalla limitatissima frequentazione tipica dei manoscritti: in fondo, se è lecito paragonare le piccole cose alla grandi, pure Fleming scoprì la penicillina per caso …
Il manoscritto, in gran parte inedito (solo pochi componimenti di pochi autori sono stati pubblicati da Pasquale Sorrenti in La Puglia e i suoi poeti dialettali: antologia vernacola pugliese dalle origini ad oggi, De Tullio, Bari, 1962; ristampa Forni, Sala Bolognese, 1981; una copia è custodita nella biblioteca “Achille Vergari” di Nardò), del quale ci accingiamo a leggere una parte (è mia intenzione, se avrò vita e voglia, di pubblicarlo integralmente), è una sorta di diario, con allegata documentazione, delle assemblee tenute dai componenti di un’accademia che si riuniva a S. Vito in casa del principe Fabio Marchese2.
Il tutto ricalca perfettamente, anche nei dettagli (tra i quali spicca la finalità, in alcuni casi, dichiaratamente  encomiastica) le coeve pubblicazioni a stampa di altre accademie, in primis l’Arcadia, con l’unica differenza che non risultano indicati  i soprannomi  che i singoli pastori si davano. Se i temi trattati non fossero seri (con preponderanza di quelli religiosi) qualcuno potrebbe ritenere che l’Accademia di San Vito fosse un’associazione di buontemponi , anche perché, come vedremo, ad un certo punto gli associati l’11 giugno 1730 elessero a loro principe (un ruolo parallelo a quello che nell’Arcadia era ricoperto dal custode), come vedremo, Vito Petrino, un ragazzo di appena quattordici anni, al quale spettava esprimere un giudizio sulla questione del giorno trattata prima in due parti da due distinti componenti dell’assemblea; per giunta, l’imberbe fanciullo succedeva al principe della precedente (o, più precisamente, la prima registrata) riunione del 5 marzo 1730, il sacerdote Francesco Ruggiero, che molto probabilmente, come vedremo in seguito, è lo stesso che sarebbe diventato arciprete della chiesa maggiore (S. Maria della Vittoria) dI S. Vito dei Normanni.
Vito Petrino fu principe anche della terza riunione del  5 novembre 1730; le successive (17 gennaio, 2 aprile e 14 marzo del 1731 e 1 gennaio e 12 febbraio 1738) non ebbero principe. L’elezione a principe di Vito Petrino è celebrata nella carta che di seguito riproduco.
c. 54r
Eiusdem ad Illustrem Dominum Vitum Petrinum quarto decimo anno natum, qui prò excellentia virtutis Princeps praesentis Achademiae conspicitur. Sexasticon
  Laudibus es dignus, laudes Petrine mereris,
rethoricas artes dum studiosus amas.
Tu puer egregia fulges Demostenis arte.
Laurea virtutum pendet ab ore tuo.
Sit tibi longa salus, sint Nestoris Anni,
ut Domui Lumen sis, patriaeque decus.
  Ad Dominam Victoriam Avossa Matrem eiusdem, prae gaudio flentem. Octasticon
  Mellifluo eloquio nati Victoria gaudes,
et lato ostendis corde tui lacrimas.
Mater amas, et amare licet sine crimine Natum,
virtutum comitem, moribus atque piis
apparent vultu, mentem quae gaudia tentant,
ex oculis meritò fletus ut unda fluit.
Laetare o felix, faciemque ostende serenam,
doctrinis Gnati laeta, iucunda fave.
            (del medesimo [Scipione Ruggiero] all’illustre Don Vito Petrino a 14 anni, che per eccellenza di virtù viene considerato principe della presente accademia. Esasticoa
  O Petrino, sei degno di lode, meriti lode, mentre diligente ami la retorica. Tu ragazzo risplendi nell’arte di Demosteneb dalla tua bocca pende l’alloro delle virtù. Abbia tu lunga vita, abbia tu gli anni di Nestorec, affinché tu sia luce per la famiglia e decoro per la patria.
  A Donna Vittoria Avossa3 madre del medesimo, piangente per la gioia. Ottasticod
  Tu, Vittoria, godi dell’eloquio del figlio e mostri per il tuo  gran cuore le lacrime. da madre tu ami ed è lecito amare senza distinzione il figlio compagno delle virtù e per i pii costumi appaiono in volto le gioie che accarezzano la mente, dagli occhi a ragione il pianto scorre come onda. Rallegrati, o felice e mostra il volto sereno, lieta del sapere del figlio, gioiosa applaudi)
______________  
a Epigramma di sei versi.
b Famoso politico e oratore greco del IV secolo a. C.
c Fu il più vecchio e il più saggio tra i sovrani greci che, sotto la guida di Agamennone, assediarono Troia.
d Epigramma di otto versi.
  Le altre carte che ho estrapolato e che ora riproduco costituiscono, per così dire, l’ossatura dell’intero manoscritto. La prima riunione avvenne il 5 marzo 1730, come testimonia la carta che segue
c. 12v
Problema Accademico ove vieppiù approfittara si puose un virtuoso nell’Accademie, ovvero nello solitario studio. Sostenuto nella Casa delli Signori de Leo dalli Signori clerici Don Carmine di Leo, e Signor Don Ortenzio di Leo, e giudicato dal Reverendo Signor Don Francesco Ruggiero Prencipe dell’Accademia a 5 marzo seconda Domenica di Quaresima 1730 Santo Vito
________
a Nel senso etimologico di giovare (quando ancora la collaborazione non aveva assunto il concetto egoistico con cui il verbo viene usato oggi).
  Spiccano i nomi della famiglia De Leo, soprattutto quello di Ortensio, esperto in legge, archeologo ed antiquario, zio di Annibale, il fondatore della biblioteca brindisina. Le carte 13r-14v riportano l’introduzione all’argomento a firma di Francesco Ruggiero, le 15r-19v l’intervento di Carmine De Leo, le 20r-25r quello di Oronzo De Leo (altro rappresentante della famiglia), la 25v il giudizio di Francesco Ruggiero, lo stesso che aveva introdotto l’argomento. Le carte 26r-36v contengono componimenti poetici di Carlo De Marco, Scipione Ruggiero (molto probabilmente parente di Francesco), Andrea De Leonardis (2), Vito Petrino (4), Oronzo Calabrese (2), Anselmo De Leo (2), Giuseppe Ruggiero (probabilmente parente di Francesco e di Scipione) (2), Francesco Ruggiero (2) (non recitato/come Prencipe non potè recitare), Giuseppe Milone, Ferdinando De Leo.
Di Carlo De Marco la stessa biblioteca conserva molti manoscritti costituenti il fondo del suo epistolario (alcune lettere sono indirizzate a Ferdinando De Leo).
Per quanto riguarda la famiglia De Leo a Carmine ed Ortensio (di lui nello stessa biblioteca si custodisce un manoscritto contenente la Vita di Gianfrancesco Maia Materdona di Mesagne, datata 1780, per cui vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/02/19/mattarella-la-cagnetta-mesagne-larcivescovo-brindisi/) si sono aggiunti Anselmo e Ferdinando, per la famiglia Ruggiero a Francesco si sono aggiunti Scipione e Giuseppe. La partecipazione, tenendo conto del numero dei componimenti inseriti per ciascuno o per ciascuna famiglia, appare abbastanza bilanciata. Al numero di contributi di Vito Petrino potrebbe non essere estraneo il fatto che appartenesse, magari solo per parentela, allo stretto entourage di Fabio Marchese2.
  La seconda riunione ebbe luogo il 14 giugno 1730, come si legge nella carta che segue.
c. 39r
Problema accademi: se San Vito avesse dimostrato magior costanza nella Fede per non sgomentarsi dalli minaccie de’ Tiranni, o pure per resistere alli vezi di bellissime sonzelle. Sostenuto nella Casa dell’Eccellentissimo Sig. Principe di Santo Vito dalli Signori Dottori D. Giacomo de Leonardis,e Ferdinando di Leo; e giudicato dal Signor Vito Petrino Principe dell’Accademia alli 14 di Giugno vigilia del detto Santo. 1730 ore 22
Le carte 40r-41v  contengono l’introduzione di Vito Petrino, le 42r-45v l’intervento di Giacomo De Leonardis, le 46r-50v quello di Ferdinando De Leo, le 51r-51v il giudizio di Vito Petrino, le 52r-89r i componimenti poetici di Scipione Ruggiero (6, il secondo3 e il quarto4 presentano un tema che ha dei punti di contatto con quanto riportato in nota 2), Andrea Felice De Leonardis (3), Domenico Oronzo Ruggiero (4), Fra’ Rosario Mazzotti di Brindisi, lettore filosofo dell’Ordine dei Predicatori (7; il sesto e il settimo, carte 73r-73v sono in dialetto), Lorenzo  (6), Teodomiro De Leo (4), Giuseppe Giovanni Greco (2), Carmine De Leo (11), Francesco Ruggiero (8), Fra’ Luigi Maria dell’ordine dei Predicatori (2), Fra’ Domenico dei Minori Osservanti, Fra’ Rusino da S. Vito dei Minori Osservanti (3), Fra’ Anselmo da S. Vito dei Minori Osservanti, Salvatore Calcagnuti, Giuseppe Ruggiero, Giuseppe Bardari (5), Ortensio De Leo (2), Giacinto Greco, Cosmo Greco di Taranto (2).
Da notare come ai precedenti sisono aggiunti nuovi nomi, come ai rappresentanti della famiglia De Leo si è aggiunto Teodomiro e come nell’elenco che ho riportato la parte del leone la recitano con il loro elevato numero di contributi Rosario Mazzotti con 7 componimenti e, soprattutto, Carmine De Leo con 11.
La terza riunione ebbe luogo il 5 novembre 1730, come si legge nella carta che segue.
c. 91r
Problema accademico. Qual renda più glorioso un principe: l’uso dell’esatta giustizia, o quello della clemanza? Tenuta in Casa dell’Eccellentissimo Signor Principe di S. Vito a 5 novembre giorno di domenica nell’anno 1730 coll’intervento dell’Illustrissimo D. Cono Del Vermea Vescovo d’Ostuni ad ore 22
_____
a Fu vescovo di Ostuni dal 1720 al 1747; di lui fu pubblicata la Dichiarazione fatta in favore della causa della venerabile madre suor Rosa Maria Serio carmelitana, s. n., Ostuni, 1747. Di Maria Serio si parlerà più avanti in riferimento a Vito Petrino.
Fino c. 92v prosegue l’introduzione di Vito Petrino Principe dell’Accademia. le carte 93r-100v  contengono l’intervento di Francesco Ruggiero, le 101r-108r quello di Giuseppe Bardari, le 108v-110r il giudizio di Vito Petrino Principe dell’Accademia, le 110v-129r i componimenti poetici di Vito Petrino, Cono Dello Verme Monsignore d’Ostuni (10), Giuseppe Marchese (probabilmente parente di Fabio), Angelo Lauresich canonico d’Ostuni (5), Carmine De Leo (4), Teodomiro De Leo (4), Fra’ Raimondo Arcuti di Ruffano lettore filosofo dell’Ordine dei Domenicani (2, il secondo, a c. 128r è in dialetto leccese), Giuseppe Ruggiero (2).
Altri nomi si sono aggiunti e tra essi spicca, anche per il numero di contributi, quello del vescovo dimOstuni Cono Luchini del Verme.
La quarta riunione si svolse il 17 gennaio 1731, come apprendiamo dalla carta che segue.
c. 129v
Assemblea accademica in occasione del natale dell’Eccellentissimo Signore D. Fabio Marchese tenuta nella Sala del detto Eccellentissimo Signore alli 17 gennaio giorno di mercordì festa di S. Antonio Abbate1731 ad ore 22.
Le carte 130r-140v contengono i componimenti poetici di Carmine De Leo (3, il secondo a c. 134r è ropalico), Ferdinando De Leo (7; il terzo a c. 138v è un anagramma purissimo letterale).
La c. 141r contiene il sonetto introduttivo di Teodoro De Leo alla sua commedia, che occupa le cc. 141v-146r. Le cc. 146v-156v ospitano componimenti di Ortensio De Leo (3), Giuseppe Ruggieri (2), Girolamo Bax, Oronzo De Leo (2), Francesco Ruggiero.
La quinta riunione si ebbe il 2 aprile 1731, come testimonia la carta che segue.
c. 161r
Problema accademico. Qual sia stato maggior portento del Glorioso San Francesco di Paola; l’entrar nel fuoco, e non abbruggiarsi o il passar il mare e non annegarsi. Tenuta nella Chiesa del Convento dei PP. Antoniani di Santo Vito a 2 aprile 1731 lunedì ad ore 21 giorno del detto Glorioso Santo
Le cc. 162r-171v contengono il discorso di Andrea Felice De Leonardis, le 172r-190v i componimenti di Scipione Ruggiero, Giuseppe Giovanni Greco (3), Francesco Ruggiero (2), Carmine De Leo (2), Ferdinando De Leo (5),Teodomiro De Leo (5), Ortensio De Leo (4).
La sesta riunione si svolse il 14 marzo 1731, come attesta la carta che segue.
c. 191r
  Problema accademico. Qual fusse stato magiore: il piacimento di Modesto nel’aver il Glorioso San Vito abbracciata la fede Cattolica, o la dispiacenza d’Ila nel’aver il detto Santo suo figlio lasciato l’infedeltà? Sostenuta la prima Parte dal Reverendo Signor D. Andrea Felice De Leonardis licenziato in Teologia, e la 2a parte fu sostenuta dal Dottor Signor D. Ferdinando di Leo. E la detta Accademia fu tenuta nella Maggior Chiesa della Terra di Santo Vitoa sotto li 14 del Mese di Giugno del 1731 Giorno di Giovedì viggilia del menzionato nostro Protettore Martire di Cristo Glorioso S. Vito. E s’incominciò ad ore 22 del suddetto giorno. Li discorsi de quali sono l’infrascritti.
14 marzo 1731 ore 22
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a È la chiesa di S. Maria della Vittoria.
Le cc. 192r-197v contengono L’intervento di Andrea Felice De Leonardis, le 198r-203r quello di Ferdinando De Leo; seguono alle cc. 204r-211r i componimenti di Francesco Ruggiero (2), Carmine De Leo, Teodomiro De Leo (3), Ortensio De Leo (4)
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1 Sul tema vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/ 
2 Casimiro di S. Maria Maddalena, Cronica della provincia de’ Minori Osservanti Scalzi di S. Pietro Alcantara, Abbate, Napoli, 1729, tomo I, p. 234: Nell’anno 1698 la Terra di Martano assieme con Calimera dal medesimo D. Orazio Trani, Duca di Corigliano fu venduta a D. Girolamo Belprato Marchese, Principe di Crucoli, e S. Vito. Tomo 3 del Repertor. fog. 594, e Quintern. 185 fog. 86. Questa nobilissima Famiglia: Marchese prese ancora il Cognome Belprato, allorchè D. Giuseppe Marchese Principe di Crucoli, restò erede di D. Pompeo, e D. Bernardino Belprato, Conti d’Anversa in Appruzzo, che morirono senza Figli. A D. Giuseppe succedè D. Girolamo suddetto suo Figlio primo Signor di Martano. Nel mese di Novembre dell’anno 1676, aveva già presa per Moglie D. ELeonora Caracciolo de’ Marchesi dell’Amorosa. Da Lei ebbe il presente D. Fabbio suo Figlio Principe di Crucoli, e S. Vito, e secondo Signor di Martano. A’ 7 di Febbraio del 1700 sposò D. Fulvia Gonzaga, ch’er de’ più stretti Parenti del Duca di Mantova. Egli vive con una generosità, e magnificenza propria di Principe, onde pare, ch’abbia accresciuto maggiore splendore alla sua cospicua Famiglia. Sugli antenati di Fabio Marchese fino a quasi la metà del secolo XVII vedi Ferrante della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non comprese nei seggi di Napoli, Beltrano, Napoli, 1641, pp. 224-236.
3 Giuseppe Gentili, Vita della Venerabile Madre Rosa Maria Serio di S. Antonio, Recurti, Venezia, 1742, pp. 338-340: Molti altri miracoli trovo ancora registrati ne’ processi, operati dalla Serva di Dio nella Terra di S. Vito, uno de’ quali fu in persona dell’Eccellentissimo Signor Principe D. Fabio Marchesi Padrone di detta Terra. Ritrovandosi egli nel mese di Luglio dell’anno 1726 attaccato da Febbre maligna con pessimi segni, e sintomi mortali, e vedendo, che il male ogni giorno più l’opprimeva, senza ricevere giovamento alcuno da tanti medicamenti sperimentati, un giorno, in cui per la violenza del male neppure poteva sofferire un picciolo spiraglio di luce, onde gli conveniva star totalmente all’oscuro, gli sovvenne di ricorrere alla Serva di Dio Suor Rosa Maria, di cui aveva avuto in dono dalla Superiora del monastero di Fasano un Berrettino intriso del suo sangue. Chiamato pertanto un Giovane, che gli assisteva, per nome Vito Domenico Petrini, e fattogli prendere dal suo scrigno il detto Berrettin, con gran divozione, e con viva fede nei meriti della Serva di Di, applicollo alla sua testa, e indi a non molto comandò a’ suoi domestici, che aprissero le Finestre, e ad alta voce esclamò: – Io sto bene, ed ho ricevuto la grazia -. Quasi nel tempo medesimo sopraggiunsero i Medici, e disse loro, che voleva alzarsi, sentendosi bene in salute, per ispeciale miracolo della Serva di Dio; e quantunque i Medici lo trovassero netto di Febbre, nulladimeno non volevano accordargli l’uscir da lett, mentre non avendo egli avuta crisi alcuna, era cosa facile, che ritornasse la Febbre. Ma egli affidato nella protezione della sua liberatrice: – No – soggiunse loro – non tornerà, perché questa è grazia, ed io ho viva Fede nella Serva di Dio, che me l’ha fatta -. E in loro presenza volle alzarsi dal letto, né più lo molestò la Febbre, godendo poi una perfetta salute. Da questa miracolosa guarigione concepì il detto Signor Principe tale affetto, e fiducia verso la Serva di Dio, e tal confidenza nella sua Reliquia, che quante volte deve accingersi a qualche viaggio, la prima cosa, a cui rivolge il suo pensiero, è il premunirsi con la detta prodigiosa Reliquia, tenendo per certo, avere in essa uno scudo contra ogni pericolo, ed un forte riparo da tutte le disgrazie. Per mostrar poi la dovuta gratitudine, si è più volte portato apposta a venerarne il Sepolcro, e le Religiose di quel Monastero riconoscono nella persona di questo Principe uno de’ maggiori  Protettori del loro Istituto, ed un singolar promotore della Santità della loro V. Madre. Lo stesso Vito Domenico Petrini, del quale abbiamo poco di anzi fatto menzione, fu nel mese di Gennaio 1729 sorpreso da un gravissimo dolore di petto con febbre ardente, e affannoso respiro accompagnato da sputo sanguigno, e da un totale stordimento di capo. Li Medici giudicarono essere il male pericoloso, e mortale, perciocché da’ segni esterni argomentavano esser pontura; determinarono però di non applicargli per allora, che erano le 21 ore, rimedio alcuno, volendo aspettare la mattina vegnente, acciò che il male si fosse maggiormente manifestato. La Madre vedendo il Figlio estremamente angustiato, e li Medici molto lenti nell’operare, desiderosa di porgergli qualche presentaneo sollievo, prese una Reliquia della Serva di Dio Suor Rosa Maria (ed era appunto una di quelle pezze intrise nel sangue, che usciva dalle ferite del suo cuore) avuta dalla Superiora del Monastero, applicolla con fede viva al cuore dell’affannato Figliuolo, e poi fece scrivere una lettera alle Religiose del Monastero di Fasano, dando loro contezza del pessimo stato del medesimo, acciocché colle sue orazioni gl’impetrassero dalla Ven. Madre la grazia. Prima però di spedire la lettera, fece ritorno alla Stanza dell’Infermo, ed interrogatolo come se la passasse, egli rispose di star bene, di non sentir più dolore, né affanno, né calore febbrile … Un fratello minore del sopradetto Vito Domenico, chiamato Andrea, non uno, ma due portentosi miracoli ricevette, coll’applicargli Vittoria Accossa loro Madre le Reliquie della Serva di Dio …  
Alla fine del brano riportato apprendiamo che la madre di Vito si chiamava Vittoria Accossa. Su questo nome la carta 54r, che sopra abbiamo analizzato, pone un problema con il suo Vittoria Avossa. Errore del copista del nostro manoscritto o di stampa del volume del Gentili?
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pangeanews · 4 years ago
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“La vita più quotidiana e normale vogliamo vederla come un avventuroso miracolo”. Torna Massimo Bontempelli, evviva!
Il Premio Strega, nel 1953, fu una specie di risarcimento, insomma, una pernacchia. Massimo Bontempelli pigliò il premio per L’amante fedele, “raccolta di racconti scritti tra il 1940 e il 1946”, stampati da Mondadori, non il suo libro migliore. Riuscì a sconfiggere, senza ansie, Gadda (che partecipava con Novelle del ducato in fiamme), Mario Tobino (Le libere donne di Magliano), Giorgio Bassani (La passeggiata prima di cena). In lizza c’erano pure Mario Rigoni Stern (Il sergente nella neve), Lalla Romano (Maria), Silvio D’Arzo (Casa d’altri). Altri tempi. La vita di Bontempelli, d’altronde, volgeva al tramonto: morì nel 1960, in estate, era nato a Como, nel 1878, aveva ‘fatto’, letteralmente, la letteratura italiana, fu svergognato da uno sfregio.
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Quando pubblica Gente nel tempo – stampato da Mondadori nel 1937, riproposto ora, era ora, dalla neonata Utopia – tra i suoi libri più grandi, “il più voluto e costruito” (così Alberto Asor Rosa), Bontempelli ha fatto di tutto, è nell’ennesimo dei momenti cruciali della sua vita. Interventista, vent’anni prima si era arruolato come ufficiale d’artiglieria, nel 1918, vicino a Filippo Tommaso Marinetti, era stato tra i fondatori del Partito Politico Futurista, aveva pubblicato La vita intensa (1920) e ideato con Curzio Malaparte, era il 1926, 900, trimestrale internazionale che ha tradotto, per la prima volta in Italia, Joyce e Virginia Woolf, e aveva in redazione Corrado Alvaro. Aveva tradotto, lui, Stendhal, Chateaubriand, il Vangelo di Giovanni. Era stato fascista e Accademico d’Italia, ma poco dopo la pubblicazione di Gente nel tempo – e l’istituzione delle leggi razziali – prese la decisione inderogabile. Nel 1938 rifiutò la cattedra di letteratura italiana a Firenze, sottratta a Momigliano, “nel novembre del 1938, dopo la commemorazione ufficiale di Gabriele D’Annunzio, tenuta a Pescara il 27 di quel mese, il Bontempelli viene espulso dal Partito nazionale fascista e sospeso per poco più di un anno da ogni attività di giornalista e di scrittore”.
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Gente nel tempo, al di là delle etichette – Bontempelli è il fondatore del “realismo magico”, riassunto in questa bella formula: “Piuttosto che di fiaba, abbiamo sete di avventura. La vita più quotidiana e normale, vogliamo vederla come un avventuroso miracolo: rischio continuo, e continuo sforzo di eroismi o di trappolerie per scamparne” –, è un romanzo scritto magnificamente, e scandito dalla morte. Davvero, non si comprende l’eclissi di Bontempelli: nessuno scrittore dovrebbe farne a meno. Bontempelli ha velocità narrativa, ritmo, danza nella sintesi, ferocia visionaria. L’incipit di Gente nel tempo, per dire, è da antologia, una mitragliata di diamanti addosso: “La Gran Vecchia morì di domenica, 26 agosto del 1900, ultimo giorno d’una settimana che era tutta stata di ferocissimo sole. Invano gli uomini implorarono cantando in coro e sonando forte l’organo: il cielo era rimasto immobile, le sorgenti su per la montagna screpolata morivano e i fiori nei giardini stavan secchi come sotto le campane di vetro dei cassettoni. Si spaccavano le pietre dal caldo contro il ventre delle lucertole, gli uomini guardavano imbambolati la donna da lontano. Perché gli usignoli eran caduti morti dalle cime dei lecci, le cicale stridevano anche la notte”. Bontempelli era amico di Giorgio de Chirico, ma a me ricorda le tele e i pensieri di Scipione. La storia è semplice – il disfacimento della famiglia Medici, colta da ricorrenti funerali – ma ci abbagliano sciami di aforismi oscuri: “Non importa morire, importa non sapere quando. L’ignoranza è la giovinezza”; “La vita è dubitare”; “La vita è essere incerti, la vita è non sapere, non sapere né quando né dove uno va”.
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Pubblico nel 1937, Gente nel tempo esce a puntate su “Nuova Antologia” nel 1936, è scritto l’anno prima, nel 1935. Un anno determinante. Nel 1948 Massimo Bontempelli, nella sua nuova vita, a 70 anni viene eletto in Senato per il Fronte Democratico Popolare (la coalizione tra il PCI di Togliatti e il PSI di Nenni). Insomma, è passato dall’altra parte, abbiamo visto perché. Solo che al “compagno Bontempelli di oggi” non è perdonato “il camerata Bontempelli di ieri”. Il 2 febbraio 1950 in Senato parte la “Discussione sulla elezione contestata nella regione della Toscana” di Bontempelli. “Il corpo del reato è l’antologia dal titolo Oggi pubblicata nel 1935”, curata da Bontempelli e censita come “propaganda fascista”. “L’antologia è costituita da cinque parti di ben 675 pagine, delle quali solo 25 sono di esaltazione fascista”, precisa Giuseppe Proli, avvocato, comunista. “Potete pensare che attraverso questo libro, attraverso queste letture che nella quasi totalità riguardano grandi italiani, come Carducci, Ippolito Nievo e altri grandi scrittori e grandi eroi, i giovani potessero diventare fascisti o non piuttosto monarchici, repubblicani o di altra ideologia politica?”, ribadisce. Pure Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente, comunista, fu dalla parte di Bontempelli: “l’antologia, redatta dal Bontempelli era per l’appunto destinata allo studio della lingua italiana. Non era un «testo scolastico di propaganda fascista»”. Non servì. In Senato a prevalere fu la linea di Alberto Canaletti Gaudenti, rappresentante della Democrazia Cristiana (“in nome di un principio morale Massimo Bontempelli non può essere senatore della Repubblica Italiana”); Bontempelli fu usato come capro espiatorio, letterato di genio durante il Ventennio messo al rogo. Votarono in 213, 112 contrari: Bontempelli terminò così, con l’espulsione dal Senato – caso pressoché unico –, la propria attività politica.
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Relegato all’antico ‘Meridiano’ Mondadori delle Opere scelte a cura di Luigi Baldacci e poco altro, fa piacere leggere che “tutti i romanzi” di Bontempelli “sono in corso di pubblicazione nel catalogo di Utopia”. A istinto, mi piace meno la “Lettera a uno sconosciuto” di Gerardo Masuccio, “editor di Utopia”, sull’ala del libro – di ottima fabbricazione. L’editore faccia il suo lavoro con serietà e una certa severità, senza ammiccamenti inutili o orpelli, che ormai si leggono ovunque. Ma queste sono cose mie. “Respirava luce… la sua anima si metteva a lottare contro la violenza dei colori. Qualche ora si sentì infernale, in altre era una bestia battuta”. Mi pare più contemporaneo Bontempelli di troppi autori ‘di oggi’, quasi lo tocco, lo invito a pranzo, ha occhi pieni e scaltri, tra pane e vipera. (d.b.)
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Fine Settimana al Sociale a Valenza
È al secondo appuntamento la nuova programmazione del Cineteatro di Valenza che sceglie la domenica pomeriggio e si rivolge ad un pubblico fatto di ragazze, ragazzi e amanti dell'azione. Domenica 4 febbraio alle ore 16.30 sul grande schermo di Valenza ecco “Una spia e mezzo”. Un ex nerd e vittima di bullismo, Robbie Wheirdicht, divenuto un letale agente della Cia, torna a casa per partecipare a una reunion con i compagni di liceo. Affermando di essere alle prese con un caso top secret, chiede aiuto a un ex compagno, Calvin, un tempo incubo di tutti quanti e ora semplice ragioniere. I due entrano in un mondo di sparatorie e di spionaggio, in un'avventura per salvare il mondo con molti colpi di scena. Biglietti di ingresso 4 euro. La programmazione cinematografica è riconosciuta da F.I.C. Federazione Italiana Cineforum ed è realizzata con il supporto di Alegas. Per contatti: Cineteatro Sociale di Valenza - via Garibaldi 58 -Tel. 0131.942276 / 324.0838829 - www.valenzateatro.it Una favola contemporanea. La rivisitazione del classico racconto di Cenerentola vivrà grazie all'alessandrino Luca Zilovich e alla compagnia Bachalòm Teatro al Teatro Sociale di Valenza sabato 3 febbraio (ore 16.30) con il titolo “Natiki, Yen Shen, Cenerentola e le altre”. Lo spettacolo rientra nel ciclo SabatoPomeriggioTeatro&CinemainFamiglia, rassegna di eventi per i più piccoli, promossa dal direttore artistico del Teatro di Valenza, Roberto Tarasco. Quella di Cenerentola è forse una delle fiabe più amate e conosciute di tutti i tempi, talmente bella da aver attraversato il tempo e i continenti, così si può ben dire che ogni parte del mondo ha la sua Cenerentola. Ma cosa succederebbe se tutte queste cenerentole si incontrassero? E se il principe fosse uno solo? O non ci fosse proprio? Ecco qui presentata una favola per reinventare la favola, una metafora sull’incontro di culture diverse, che usa il linguaggio del teatro e della danza contemporanea per raccontare una storia antichissima con linguaggi nuovi. “Natiki, Yen Shen, Cenerentola e le altre” è firmato nella parte drammaturgica e nella regia da Luca Zilovich, giovane talento del territorio alessandrino. Le coreografie sono di Martina Allia e Chiara Scipione. In scena Luca Zilovich, Giulia Pasculli e Camilla Risso. Produzione di Bachalòm Teatro. Lo spettacolo di sabato 3 febbraio sarà preceduto, alle 15.30, da una merenda, offerta da Coop Novacoop di Valenza. Costi dei biglietti (merenda compresa): 6 euro; dal quarto componente della stessa famiglia l'ingresso costa 3 euro. Per contatti e prenotazioni: Teatro Sociale Valenza, Corso Garibaldi 58, 15048 Valenza (AL), e-mail: [email protected] , tel. 0131 942276 - 324 http://dlvr.it/QDd9HS
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maertyrer · 7 years ago
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Scipione Compagno Martyrdom of St. Ursula
ca. 1642
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maertyrer · 9 years ago
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Scipione Compagno Martyrdom of Saint Catherine
17th century
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