#scappare da tutti
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Io comunque pensavo che fossero mezze dicerie ma a quanto pare ai tempi la gente credeva davvero alla licantropia
#aneddoti del dopoguerra di un certo zio pino che una notte si ritrovò a scappare da un tizio che tutti pensavano fosse un lupo mannaro#mytext
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vorrei solo poter abbandonare tutto e tutti e scappare via da questi 26 anni
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Lo sapevo, era tutto scritto. Oggi, (quasi) tutti a dare la colpa al superbonus edilizio e ad altre decisioni passate (non sto qui a difendere nulla, sia chiaro) ma nessuno ricorda quanto succedeva nel 2020-2021. Un intero Paese chiuso per Covid. 60milioni di uccellini appena usciti da uova schiuse dentro il grande nido Italia nelle mani di mamma-rondine. Tutti ad aspettare la mamma con il vermetto tra il becco per prenderne un pezzetto ciascuno. Ricordo a tutti voi, che oggi applaudite chi punta il dito contro i governanti di allora, che avete percepito, se lavoratori dipendenti, fino a 20-25mila euro di cassa integrazione stando sul divano (seppur forzatamente). Ricordo a tutti voi, imprenditori, professionisti, artigiani e commercianti, il fiume di denaro dato dallo Stato; bonus, soldi a fondo perduto, soldi a tasso zero garantiti dallo Stato, aiuti per affitti di locali e capannoni, bonus energia e vacanze, dehors gratuiti per attivita' turistiche. In totale, abbiamo contratto debiti per 200miliardi e piu'. Oggi nessuno ricorda niente? Come se nulla fosse successo, tutti a scappare come topi addossando responsabilita' ad altri, al vicino di casa profittatore, al nullafacente o ai politici precedenti. Insomma, il conto non lo vuole pagare nessuno. Eh, lo sapevo..lo sapevo che andava a finire cosi, era tutto scritto. @ilpianistasultetto
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lo, te e il mare magari un giorno, forse, non adesso forse un giorno d'inverno in cui sarà comunque estate dentro forse un giorno in cui ad un tratto smetterà di piovere e noi rideremo sotto lo stesso ombrello io, te e il mare te l'avevo promesso e ci spero ancora come si spera negli amori che accadono troppo tardi o troppo presto e che comunque non smettono di accaderti dentro tutti i giorni, ogni momento io, te e il mare magari un giorno in cui non ci sarà più quasi niente da dire, sai, niente da recriminare un giorno in cui non ci sarà bisogno di gridare per farci sentire un giorno in cui gli abbracci basteranno per dirci tutto quanto un giorno in cui avremo meno paura, non come ora un giorno in cui amarsi diventerà facile come respirare prima o poi, possiamo non smettere di sperare? Perché prima o poi non ci sarà niente più da pensare, nessun errore da cui scappare non ci sarà nessun posto in cui tornare prima o poi saremo solo io te e il mare.
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Tre sere fa, quando ho fatto questa foto, mi sono fermato un attimo a riflettere su come, lentamente, io stia ritrovando la mia vita, quella che avevo 10 anni fa, quella fatta delle mie passioni, dei miei spazi, dei miei tempi.
Nel 2014 non so cosa sia andato storto, ma iniziai a fare puttanate. Ogni volta, per correggere quella appena fatta, ne facevo una più grossa, per poi scappare in Germania, con la sicurezza che avrebbe messo a posto le cose, macché, ho continuato a farne qui, perché mi ero fondamentalmente perso e non riuscivo ad essere più quello di prima.
Ho provato a legarmi a tutti sperando di risolvere le cose, col risultato di fare peggio, le persone entravano nella mia vita, ci facevano quello che volevano e poi se ne andavano, lasciando un disastro. Il 2024 me ne ha portate via altre due, così, dopo anni insieme, senza motivo, dopo essersi prese un pezzo di cuore, sparite, senza una ragione, senza che io abbia torto un capello, nulla, ed è solo l'ultimo di tantissimi casi.
In tutto questo casino è nato il personaggio che ho costruito qui, che è un po' il risultato paradossale di tante cose, non sarebbe mai dovuto esistere, io qua non ce dovevo veni', diceva il saggio, e fortuna che poi mi ha donato due legami straordinari e al tempo stesso è diventato qualcosa di diverso e di allegro, ma il fatto rimane, non doveva esserci. Non rinnego quello che è oggi, ma se potessi premere un tasto e cancellare tutto, ma intendo tutto, forse sacrificherei anche questo, perché, almeno agli inizi, è stata l'ennesima puttanata fatta per non risolvere un problema.
Poi è arrivata Lilly nella mia vita, e qualcosa è cambiato profondamente. Lilly si è presa tutto, da ogni direzione, lasciandomi una porzione di tempo talmente limitata da iniziare a darle un valore immenso. Non procastino più, non cerco scuse o distrazioni, non esiste più "tanto c'è tempo", no, ogni secondo adesso ha un valore, e ho cominciato ad usarlo come 10 anni fa, con ciò che mi rendeva felice, con quei fogli e quella penna. La conseguenza di questo mio impegno costante, ogni sera, dedicato allo studio, oltre a ridarmi quello che ero prima, mi ha fatto permesso di vedere che da tempo ormai il vaso che doveva traboccare non c'era più, ma io mi illudevo che potesse ancora funzionare, e allora sì, ho iniziato a tagliare tutto quello che ho con gli altri, perché non sono più perso, e il mio tempo conta. Le persone che amo sono rimaste e non permetterò mai a nulla e a nessuno di portarmele via, ma il resto del mondo non mi interessa più, non mi sento più solo.
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Sei salvo quando non hai tutti i giorni voglia di scappare da dove sei.
Sei salvo quando staresti bene con quello che hai, ma non rinunci a desiderare qualche cosa di più.
Sei salvo quando, la cosa che desideri, non è una "cosa".
Sei salvo quando possono prenderti in giro quanto vogliono. Anzi, più lo fanno e più ti danno la carica.
Sei salvo quando hai qualcosa da perdere, ma giochi lo stesso, perché ti sai concentrare su quello che ancora puoi vincere.
Sei salvo quando ridi.
Sei salvo quando ti incazzi ancora, se vedi qualcosa di sbagliato.
Sei salvo quando hai ancora motivi per mettere il vestito buono e uscire.
Sei salvo quando se c’è da ballare balli, anche se quando balli fai ridere.
Sei salvo quando dici più spesso “m’importa” che “chi se ne frega”.
Sei salvo quando saluti qualcuno per strada anche senza conoscerlo.
Sei salvo quando canti.
Sei salvo quando hai ancora posti da vedere, e ancora almeno un buco dove tornare.
Sei salvo quando fermi la macchina solo per uscire e guardare il tramonto.
Sei salvo quando lasci ancora che un libro o un film o una canzone ti scombinino le cose.
Sei salvo quando non ti dimentichi mai, che sei un piccolo stupido puntino buttato lì in un libro di miliardi di pagine.
Sei salvo quando non ti dimentichi mai, che anche un puntino può cambiare, se non tutto il libro, almeno una frase.
E, a volte, perfino tutta la storia.
- Enrico Galiano
Arte digitale tolgak21
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Che tu sia maledetto!
Ma come è stato possibile… mi stavi sulle palle da quando sei arrivato, nel condominio. E cercavo in tutti i modi di evitare qualsiasi contatto, con te. Cafone presupponente. Poi a un certo punto ho iniziato a sviluppare il gusto acquisito del tuo profumo, della tua sfacciata e prorompente fisicità. Della tua persona. Sarà stato per il fatto di vedere ogni giorno la tua sagoma, il tuo profilo. Sarà che ero vedova ormai da un anno e che sono comunque una donna di sani appetiti! Non eri male, oggettivamente.
Anzi. E il tuo profumo mi piaceva ogni giorno di più: infine ne ho comperato un flacone per tenermelo nel cassetto e tutt'ora ogni tanto ne lascio un po’ in giro: che scema! Pian piano ho iniziato, da vera civetta curiosa quale sono, a cercare di scoprire il più possibile su di te. Ho messo in moto le mie due amiche fidatissime nel palazzo e la portinaia che per me stravede: il Kgb, il Mossad, la Cia e l'MI-6 insieme non hanno i loro mezzi. Né la loro totale mancanza di scrupoli, nell'aprire e richiudere la tua corrispondenza col vapore e scavare nel tuo passato.
Ho saputo quindi che in modo molto riservato, senza farne mai parola con nessuno, fai spesso volontariato, che aiuti i bisognosi in mille maniere. A quasi cinquant'anni sei ancora scapolo - mai stato sposato - e un motociclista all'osso. Poi ti sei rivelato molto colto, un piacevolissimo conversatore e infine ho anche scoperto che suoni la batteria in un gruppo jazz. E che sei stato lasciato dalla tua ultima donna circa tre anni fa.
Inevitabilmente, da buon informatico, capendo di essere oggetto di una segreta campagna investigativa, dopo pochi giorni hai mangiato la foglia. Hai capito che interessavi a me e una sera… t'ho trovato sotto casa ai bidoni della differenziata, in attesa. Ad aspettare che uscissi in ciabatte e maglionaccio a buttare l'immondizia! Devo dire che questo contropiede t'è riuscito benissimo: ero rossa, balbettavo, mi sentivo orribile. E per la prima volta mi sono accorta che ti volevo proprio.
Da impazzire! M'hai abbracciata e io t'ho chiesto se per caso fossi pazzo: se solo uno dei miei figli fosse uscito a cercarmi o si fosse affacciato qualcuno che conosco alla finestra, sarebbe potuto succedere un bel casino! --- “Condominio breaking news: vedova piacente, evidentemente arrapata e immorale, circuisce il bellissimo pezzo di manzo scapolo della mansarda al sesto piano!” --- Hai riso, da bastardo quale sei, con quelle fossette adorabili sulle guance: ti sarei saltata addosso lì e t'avrei preso in bocca l'uccello seduta stante. Davanti a chiunque fosse passato. In ginocchio e adorandoti.
Sono potuta scappare e molto malvolentieri, confesso, solo dopo averti promesso che ci saremmo rivisti da soli e come prima volta soltanto in un luogo ben lontano e appartato. Quando tre giorni dopo di tardo pomeriggio è successo, ero proprio cotta a puntino. Devo dire che ero irresistibile: bona da morire, direbbero quelle troie delle mie amiche. Una divorziata bella e gustosa: una torta preparata solo per la tua bocca. I miei capezzoli, irrigiditi e preventivamente cosparsi di olio alle mandorle, erano le ciliegie per il tuo esclusivo piacere.
Mi sono subito resa conto che non avevo più alcuna difesa non appena salita sulla tua macchina: ero diventata una bambola di pezza nelle tue mani. M'hai presa in tutti i modi in cui si può prendere una donna matura. M'hai fatto fare tutto. Una femmina che sia stata sposata non ha più inibizioni: capisce già dal ritorno a casa dopo il viaggio di nozze che è meglio avere più rimorsi che rimpianti e non esita a fare qualsiasi cosa, con l'uomo che le piace al momento. Soprattutto con l'amante, se c'è passione corrisposta e crescente.
Ora dipendo totalmente da te, tremo se solo mi guardi. Ti voglio di continuo. Cerco di fingere la solita sicurezza e una rassegnata serenità. Ma se sei attorno a me, se t'incontro in ascensore o per le scale, dentro ho un vero tumulto. Amami, prendimi, riempimi, farciscimi come un bignè. Fammi tua quando e come più ti piace. Mandami mille messaggi osceni: è la cosa che più gradisco.
Trattami come la segreta puttana che sono diventata, per te. Arrivo nel tuo appartamento di nascosto e nelle ore più tranquille. Di primo pomeriggio o la notte all'una. Perdo sonno ma acquisto godimento, con te in bocca o conficcato nel culo. E mi piace da morire, questa sensazione di peccato. Mi sento in colpa, anche se non capisco bene perché. Ho rimorso sincero per tutte le volte in cui mi sono permessa di giudicare, di sparlare a proposito di amiche e colleghe che tradivano il marito. Perché non avevo mai veramente perso la testa, prima di te.
Prima di capire che non ci puoi fare proprio niente. Però tu non far caso ai miei momenti di mortificazione. Inculami con forza. Perché - dicono - i culi vanno rotti, sennò non c'è gusto. Per entrambi. Fatti succhiare, ingoiare e scopami senza pietà. Eccomi, adesso: distesa ormai senza più pudore sul divano di casa tua. Aperta come cercassi clienti in un bordello ma bella e pronta solo per te. Leccami il culo e la passera. A lungo. Fammi godere come una scrofa in calore e poi possiedimi. Sborrami dentro, da vero maschio padrone. Godi. Muoviti, che poi devo prendertelo in bocca. Fino a che dovrai staccare la mia testa dal tuo inguine a forza. Ti devo far morire di sesso. Maledetto!
RDA
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La patente è arrivata in un momento in cui io consideravo morta e sepolta la possibilità di prendere una macchina, di guidare: sebbene avessi sognato più volte di guidare (ovviamente male, perché per me sono sempre esistiti solo freno e acceleratore e nello specifico solo acceleratore e forza frenante del motore, maldetta frizione!) non mi interessava più, anzi mi dicevo che sarebbe stato bello riuscire a spostarsi coi mezzi pubblici, treni autobus, camminare a piedi. Vivevo in un paese campano che rimarrà forse il mio unico rimpianto del sud italia perché era ben strutturato: a piedi raggiungevo e facevo tutto, avevo il centro storico, il centro commerciale, farmacie a volontà, dottoressa vicino casa, un sacco di supermercati, un partito comunista, manifestazioni in piazza: tutto raggiungibile a piedi. Rimpianto perché in quanto sud non puoi campare e la gente è molesta per natura e dunque sono dovuta scappare anche da lì. Della patente, insomma, a me non me ne fregava niente, non ci pensavo affatto. Mentalmente ero ancora abbastanza inguaiata, andava meglio ma non andava bene: ero tesa come una corda di violino, il mio corpo era un fascio di nervi e questo si ripercuoteva sulla guida: l'istruttrice fece una grandissima fatica, sudava appresso a me che ero grondante di sudore terrorizzato. Iniziare a guidare è stato un trauma: ero terrorizzata dal fatto che quell'abitacolo, quell'aggeggio enorme non solo era "comandato" da me, ma mi toglieva letteralmente il terreno sotto i piedi (a questo proposito aggiungo che io ho avuto problemi anche col tapis roulant perché appunto c'era questa passerella che si muoveva in maniera "autonoma" ed io avevo paura di non riuscire a controllarla. Cosa c'entra con la guida di un auto? Beh, è la stessa identica cosa dato che ho paura di perdere il controllo). Poi io ho bisogno di capire quello che sto facendo, devo farmi uno schema in testa, non riesco a buttarmi e capire dopo, io devo sapere prima. Beh, io non riuscivo a capire cosa stavo facendo e dunque non riuscivo a rilassarmi. Comunque, alla fine sono riuscita a prendere questa benedetta patente. L'ho presa per grazia divina perché appunto l'esame fu terribile ed infatti io non ero nemmeno felice di quella patente perché non era "meritata", cioè io non riuscivo ancora a guidare, ero insicurissima ed immaginavo violentemente ancora un incidente ad ogni minimo incrocio (non riuscivo nemmeno a stare dritta nella mia carreggiata). Infatti presa la patente non ho più guidato.
La macchina invece è arrivata in un momento in cui non doveva arrivare e cioè circa un mese fa: senza lavoro, a soldi prestati (come d'altronde anche la patente), lontana da tutti, in un posto che nemmeno conosco perché chi cazzo c'è mai stata in provincia di bergamo. Sapevo che mi sarei dovuta prendere una macchina prima o poi, perché qua è tutto scomodo come in sicilia, ma avevo progettato di acquistarla in un altro momento. Reiniziare a guidare è stato semplice e soprattutto divertente: è cambiata la testa, le medicine sono servite a qualcosa. Ho fatto qualche guida assieme ad una istruttrice della zona e mi sono divertita un sacco, la sua guida è stata preziosa e lei una persona veramente gentile (oltre che strana, come tutte le persone della zona: io a tutta questa educazione non ci sono abituata e soprattutto non sono abituata a chi dice "Un quarto alle 9") ed esaltata, ovviamente pure lei di discendenza siciliana ma ormai lo so che la sicilia me la ritroverò ovunque: d'altronde i pomodori che ho comprato venivano proprio dalla città dove sono nata. Io adesso comunque guido: la macchina mi odia perché la faccio singhiozzare sempre e perché non cambio adeguatamente le marce, per non parlare di tutte le volte che la faccio spegnere o che resto appesa in una salita perché non so bilanciare bene frizione e acceleratore; la frizione mi deride perché sa che ho un odio e una repulsione spontanei nei suoi confronti; la gente quando mi guida dietro si mette a ridere quando proprio non mi bestemmia ma qua nessuno mi ha mai suonato, al massimo mi sorpassano. A volte penso che guidare è una gran bella cosa, che spero di avere i soldi prima o poi per farmi un bel pieno, pagarmi i pedaggi e andare che ne so a milano o robe simili. Penso che dovrei approfittarne del fatto di potermi spostare tranquillamente, per poter andare in posti dove ho sempre voluto andare, mi dico: wow, ma qua ho tutto così vicino! Persino voi tumbleri siete così vicini, se ci penso! A tutta questa libertà di movimento è difficile abituarsi, per una che ha sempre vissuto entro i confini di un'isola e della miseria. Certo, se arrivasse un lavoro sarebbe pure cosa gradita (mi correggo: se arrivasse un'entrata mensile, che poi si debba passare per il lavoro è solo una triste parentesi disumanizzante) ma poi penso che male che vada ho un tetto sotto il quale poter dormire: la mia auto.
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A lock of the hair of Lucrezia Borgia in the Ambrosian Library in Milan, Italy
«Pinacoteca Ambrosiana, Milano.
In una piccola teca è conservato un tesoro.
Un garbuglio di sottili fili gialli che formano un intreccio ad anello verso l’estremità. Niente di che all'apparenza, forse solo una reliquia; e invece se vai a fondo scopri che dietro c'è un mondo. Una storia d'amore bellissima quanto proibita, tra un dotto umanista e una ragazza tormentata. Per viverla bisogna spostarci un po' più ad est, e tornare indietro nel tempo, tanti e tanti anni fa.
Ferrara 1502. Quel giorno, alla corte ducale, erano attesi giovani poeti e letterati.
Per il ragazzo era un'occasione d'oro. Poteva finalmente mettersi in mostra e farsi notare dalla duchessa. Se tutto fosse andato come sperava, avrebbe avuto anche l'occasione di entrare nella sua cerchia ristretta di letterati. Lei amava gli artisti, e ovviamente far parte del suo "circolo" era garanzia di fama e ricchezza. Così giunse il suo momento. Il ragazzo entrò in sala e la vide. Conosceva la duchessa solo per sentito dire, e che fosse molto bella lo sapeva già, gliel'avevano ripetuto un milione di volte. Quello che lo sbalordì e lo lasciò senza parole fu che fosse così bella. Il poeta ci mise un po' di tempo a presentarsi, letteralmente folgorato dal bagliore della giovane duchessa. I suoi capelli biondi splendevano, illuminati dai raggi del sole che filtravano dalle grandi vetrate del palazzo. Già quei capelli, come si può dimenticarli? Non ci riuscì, e continuò a pensare a lei anche le ore successive all'incontro. Anche i giorni dopo. Anche le settimane dopo.
La duchessa era il suo pensiero fisso. Si invaghì così tanto da giungere a cambiare la struttura della sua prima opera che stava per uscire in quel periodo. La modificò sulla base di quel suo nuovo invaghimento. Un uomo che apriva il suo cuore verso l'amore più sincero e appassionato. E quando l'opera, chiamata "Gli Asolani", uscì, il poeta ne regalò subito una copia alla duchessa, che rimase positivamente colpita. Cominciarono a frequentarsi sempre più spesso, i due innamorati clandestini, e intrapresero una relazione platonica ma appassionata.
Poi però arrivò la peste e il poeta fu costretto a scappare dalla città. Lei rimase. Non poteva la duchessa abbandonare il suo popolo decimato. E tanto platonicamente quanto si erano frequentati di persona, così iniziarono un rapporto epistolare a distanza fatto di bellissime lettere d'amore. Lui però aveva ancora quel pensiero fisso: i capelli di lei, e glielo scrisse. Alla fine lei non mancò di compiere un gesto fortemente simbolico: si tagliò una ciocca dei suoi amati capelli e la inviò insieme a una lettera. Quando lui la ricevette, la tenne stretta a se, e la volle conservare per sempre all'interno di uno scrigno, che ormai era il più prezioso di tutti i tesori che possedeva. Quello che conteneva le lettere d'amore della duchessa.
I due non si rividero mai più ma continuarono a scriversi ancora per sedici anni. Poi lei morì giovanissima e lui divenne Cardinale. Uomo di chiesa e personaggio di spicco dell'Umanesimo italiano, famoso ancora oggi con il nome di Pietro Bembo.
Come quella ciocca di capelli sia giunta a Milano, non lo sa nessuno. Ma forse un motivo c'è.
Se la guardi all’interno della piccola teca, noti che è ancora perfettamente conservata, liscia e fresca come se fosse stata appena recisa.
Ecco, pare che in alcune notti, se osservi bene attraverso le finestre della Pinacoteca Ambrosiana, scorgi un bagliore. Una luce intensa che proviene dalla stanza dove è conservata la bionda treccia. Dicono che sia proprio la duchessa, che arriva e legge le lettere del suo amato Pietro Bembo, non prima di aver pettinato la propria ciocca di capelli.
Poi se ne va, svanisce in un educato silenzio, ma felice perché si è sentita amata. Lei, la discussa e tormentata duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia»
Roberto Colombo
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Io non ho paura di quelle che il mondo chiama “belle donne”. Io ho paura delle altre. Ho paura di quelle che escono di casa con un filo di trucco. Di quelle che capisci subito se hanno passato una nottata in bianco dalle occhiaie che si portano dietro. Di quelle che si legano i capelli con una matita. Di quelle che si guardano allo specchio e sorridono perché non hanno nemmeno un capello al posto giusto. Ho paura di loro. Di quelle che si fermano sui dettagli, su particolari tuoi che nemmeno tu stesso pensavi di avere. Di quelle che sanno stare accanto agli altri, ma non sanno come stare accanto a se stesse. Di quelle che sono sempre di corsa, ma si fermano ad ascoltare. Uno sconosciuto, un amico, un bambino…
Ho paura di loro. Di quelle che ad un “Sei bellissima”, arrossiscono, s'imbarazzano.. Ho paura di loro. Di quelle che sorridono alla vita, tutti i giorni, nonostante abbiamo migliaia di motivi per non farlo. Di quelle che ti ascoltano davvero. Di quelle che amano essere belle, solo ogni tanto. Solo per qualcuno. Di quelle che sanno piangere. Ho paura di loro. Di quelle che per passare un'ora con te, passerebbero anche otto ore in treno.
(…) Ho paura di loro. Di quelle per cui vale la pena restare. Una volta. Restare. E ho paura di loro, soprattutto, quando, senza dire una parola ti scelgono, restano e tu sei troppo distratto per accorgertene, troppo concentrato a fuggire da non sai cosa. Ho paura di loro perché di belle donne il mondo è pieno. Una donna del genere, invece, se te la lasci scappare non saprai mai in quale parte del mondo la ritroverai. Se mai la ritroverai.
Abdou Mbacke Diouf
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"Come surfista, sono costantemente sull'oceano e ho sentito gli oceani riscaldarsi", dice Catarina Lorenzo, 17 anni, surfista professionista di Salvador, nello stato di Bahia in Brasile."
https://www.theguardian.com/environment/live/2024/nov/19/cop29-climate-summit-live-updates-world-leaders-in-baku-azerbaijan?CMP=share_btn_url&page=with%3Ablock-673c55e78f0866cddf1b7a15#block-673c55e78f0866cddf1b7a15
Gli Oceani sono vasti, si estendono per oltre il 70% della superficie del pianeta, con profondità che variano da 2 mila a 10 mila metri e più (fossa delle Marianne). Misurarne la temperatura con precisione è una sfida erculea che fa sembrare la costruzione di un orologio svizzero un gioco da ragazzi. Gli scienziati ci provano con le boe termiche di recente realizzazione (ARGO), con i satelliti, con i termometri inseriti nelle prese di raffreddamento delle grandi navi militari e oceanografiche, provano da decenni a ricostruire le temperature attraverso il prelievo di campioni di vita vegetale e sedimenti, eppure i valori sono spesso in contrasto tra di loro, e non perché si usano metriche diverse, ma per la vastità della distesa marina e le infinite influenze naturali sulla sua temperatura.
Poi ecco arrivare lei, una ragazzina di 17 anni, Catarina Lorenzo, surfista professionista di Salvador, nello stato di Bahia in Brasile ed ha risolto tutti i problemi della scienza. Si, dovete sapere che lei e la sua muta hanno particolari proprietà sensitive, quindi ha avvertito l'urgenza di avvisare la scienza che la sua pelle sente che gli Oceani si stanno scaldando! E non è uno scherzo, perché è stata invitata alla COP29 di Baku! Ovviamente il The Guardian non si è fatto scappare la ghiotta occasione per farne motivo di propaganda, ma né la testata britannica, né la delegazione brasiliana, ne stanno facendo una bella figura!
Fernando Arnò.
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Il potere d'acquisto di salari, stipendi e rendite in Italia è diminuito nell'ultimo ventennio. E abbiamo dei gegni che il neopauperismo non gli basta mai: mentre accolgono poveracci da mantenere con poco, che diventa tanto per le quantità, vorrebbero colpire ancor di più "gli extraprofitti" e "i patrimoni". Per farli scappare ancor di più e far spazio a disgraziati neoschiavi?
La sinistra, prima responsabile del governo di questo ventennio sfigato, cerca il fallo di confusione dando la colpa al “neoliberismo”, qualcosa che loro sentono nella stanza ma che in questa fossa socialpopolare non c’è stato mai (usano il termine come accusa interna ai loro Renzi, social democratici che non sapendo l'inglese si sono illusi d'esser liberali).
Sull'altro versante, la destra non ha le palle per applicare ricette di buon senso e progressive tipo Javier Milei.
Per cui lo stato continua a gonfiarsi pur essendo immobile, la produttività stagna per via dell'immobilismo paralizzante e rapace pubblico, il valore dei soldi rispetto ai beni cala: economia del primo anno.
La verità è che son tutti "sociali" e nessuno osa, ma che dico tagliare, potare appena lo Stato. L'Italia è una repubblica democratica fondata sulla burocrazia.
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Nino Benvenuti: «Senza ricordi non c’è futuro»
Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970, Giovanni (Nino) Benvenuti è stato uno dei migliori pugili italiani di tutti i tempi e il suo nome troneggia tra i grandi del pugilato internazionale. È entrato nell’immaginario collettivo in una notte di aprile nel 1967 quando 18 milioni di italiani seguirono la diretta del suo incontro con Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Di quel match che gli portò il titolo di campione mondiale dei pesi medi, ma anche dell’infanzia a Isola, dei primi passi nella boxe, del significato dell’essere pugili, del rapporto con gli avversari sul ring e di tanto altro Nino Benvenuti – insignito nel 2018 dalla Can comunale del premio Isola d’Istria –, parla in un’intervista esclusiva di Massimo Cutò pubblicata di recente sulla Voce di New York, che riproponiamo.
[...]
Chi è un pugile?
“Uno che cerca sé stesso sul ring. Uno che vuole superare i propri limiti come faceva Maiorca in fondo al mare o Messner in cima alla montagna. La sfida è quella: fai a pugni con un altro da te e guardi in fondo alla tua anima”.
Lei cosa ci ha visto?
“La mia terra d’origine, una verità che molti continuano a negare. La storia di un bambino nato nel 1938 a Isola d’Istria e costretto all’esilio con la famiglia. Addio alla casa, la vigna, l’adolescenza: tutto spazzato via con violenza, fra la rabbia muta e la disperazione di un popolo. Gente deportata, gettata viva nelle foibe, fucilata, lasciata marcire nei campi di concentramento jugoslavi”.
Una memoria sempre viva?
“Ho cercato di non smarrirla, per quanto doloroso fosse. Riaffiora in certe sere. Ti ritrovi solo e sale una paura irrazionale”.
Riesce a spiegare questo sentimento?
“Il passato non passa, resta lì nella testa e nel cuore. A volte mi sembra che stiano arrivando: Nino scappa, sono quelli dell’Ozna, la polizia politica di Tito viene a prenderti. Un incubo che mi tengo stretto perché senza ricordi non c’è futuro”.
Che cosa accadde in quei giorni?
“Isola d’Istria odora di acqua salata. È il sole sulla pelle. La nostra era una famiglia benestante, avevamo terra e barche, il vino e il pesce. Vivevamo in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni, io, i tre fratelli e mia sorella. Siamo stati costretti a scappare da quel paradiso”.
Come andò?
“Mio fratello Eliano fu rapito e imprigionato dai poliziotti titini, colpevole di essere italiano. È tornato sette mesi dopo, un’ombra smagrita, restò in silenzio per giorni. Mia madre si ammalò per l’angoscia. È morta nel ‘56 di crepacuore: aveva 46 anni. Attorno si respirava il terrore delle persecuzioni. Un giorno vidi dalla finestra della cameretta un uomo in divisa sparare alla nostra cagnetta, così, per puro divertimento”.
Finché fuggiste?
“Riparammo a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni. Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati”.
[...]
Quant’è difficile invecchiare?
“Dentro mi sento trent’anni, non ho paura della morte. Sono allenato. Sul ring risolvevo i problemi con il mio sinistro, la vita è stata più complicata però ho poco da rimproverarmi. E ho ancora un desiderio”.
Quale?
“Vorrei che un giorno, quando sarà, le mie ceneri fossero sparse da soscojo. È lo scoglio di Isola d’Istria dove ho imparato a nuotare da bambino”.
Intervista di Massimo Cutò a Nino Benvenuti per La Voce di New York, 23 luglio 2022
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abito in un paesino in provincia di Napoli,
esattamente a metà strada tra Napoli e Caserta
poco meno di trentottomila abitanti.
sarebbe un'assurdità dire che tutti conoscono tutti,
ma la maggior parte conosce la maggior parte.
ho sempre voluto scappare da qui, non l'ho mai sentito mio questo piccolo angolo di mondo;
sempre stata estranea a questa realtà,
un po' come se in viaggio verso il mio posto qualcuno mi avesse persa per strada senza accorgersene e mi sono ritrovata per sbaglio a crescere qui.
negli anni ho cominciato a definire casa mia la mia piccola isoletta felice,
forse perché ho avuto l'immensa fortuna di essere capitata in un contesto in cui ho potuto crescere con i miei affetti più cari anch'essi catapultati entro i confini di quest'isoletta.
mi basta fare toc toc ad una porta per ritrovarmici dietro mio fratello,
cercarla con lo sguardo e trovare mamma,
allungare la mano fuori dal letto per essere bagnata dal nasino di luna,
svegliarmi la mattina con papà che si affaccia in camera prima di andare a lavoro;
mai dovuto fare un passo per aiutare nonna a cucinare per tutti o sentire la sua voce che ogni due per tre urla il nome del cagnolone che c'è in giardino credendo sia scappato, cagnolone che ormai in cinque anni ha imparato a conoscerla e si nasconde dietro ogni albero per spaventarla;
non ho mai dovuto varcare nessun confine per sedermi accanto a nonno mentre scrive, con quella grafia che avrei sempre voluto fosse un po' anche mia; per dirgli che l'uomo che vorrei al mio fianco dovrebbe essere esattamente come lui;
salgo solamente una semplice rampa di scala ed ecco che sono sul letto di mia cugina a parlare per ore.
sono sempre stati tutti qui,
salvi, tra queste mura, dalla guerra che c'è al di fuori.
se chiedete alla me bambina però, vi risponderà che la guerra è sia dentro che fuori queste mura,
si perché il padre non è sempre stato quello che si affacciava alla porta di camera sua e la madre non sempre quella che riusciva a trovare solo con lo sguardo;
vorrei ora dire a quella bambina che con gli anni siamo riuscite a perdonarli, che la madre e il padre sono adesso mamma e papà, che erano troppo piccoli forse all'epoca per saper crescere due figli, che sono cresciuti anche loro insieme a noi e non possiamo fargliene una colpa.
ora siamo tutti grandi,
lei e il fratellino, entrambi forse con qualche piccolo trauma irrosilto, ma che stanno cercando di costruirsi una vita serena;
e mamma e papà, forse non l'emblema di un matrimonio felice, ma capaci di essere ora genitori.
non vorrei spoilerarti troppo, bambina, ma continuerai a fantasticare ogni giorno di una vita completamente diversa da quella che hai,
per un periodo di tempo penetrerai così tanto in quei racconti che perderai la connessione con la realtà e farai credere ad altre persone di vivere vite che non hai mai vissuto.
incontrerai il primo amore, quello fatto di emozioni forti, quello che ti brucia dentro;
e quello stesso amore continuerai a cercarlo in altre mille volti e in altri mille cuori una volta perso,
la tua sarà una ricerca sfrenata, quasi interminabile,
qualcuno ci si avvicinerà, altri nemmeno lontanamente,
e poi finalmente un giorno ti arrenderai
ti arrenderai il giorno in cui incrocerai i suoi occhi per la prima volta e nascerà dentro di te la consapevolezza di non poter mai rivivere un qualcosa di così forte,
lo capirai, lo accetterai e te ne farai una ragione,
d'altronde certe cose sono fatte per essere vissute una volta soltanto, altrimenti diventerebbero ordinaria quotidianità.
continuerai a sognare quel mare quasi tutte le notti
e sarai grata per questo, perché i contorni di quel ricordo sembreranno non sbiadire mai.
viaggerai, bambina, non tanto quanto vorresti, ma qualche città diversa dalla tua la vedrai
e sentirai in quel luoghi sensazione di casa,
sensazione che giù in quel paesino non sei mai riuscita a sentire.
riuscirai addirittura ad andare via da lì, salvo poi rirornare,
come risvegliarsi di colpo da un sogno e accorgersi di essere sempre lì, nello stesso letto, il tuo.
avrai però, almeno l'illusione di aver vissuto per un periodo quella vita che avevi sempre voluto, circondata da persone che avevi sempre aspettato,
con una di esse ci passerai addirittura una notte su un tetto durante un turno in ospedale.
cambierai poi di nuovo vita, scenderai da quel tetto e ritornerai nella tua isoletta, circondata dalla guerra.
ti sembrerà di aver ritrovato la tua strada, ma ad un certo punto questa strada si interromperà nuovamente
e non saprai se costruirci sopra un ponte per raggiungere l'altro lato dell'interruzione
o tornare indietro e imboccare un altro vicoletto.
scapperai dalle persone, da chiunque, anche da chi sembra farti provare qualcosa di nuovo.
non so ancora dirti se ci sarà quella persona che ti prenderà per mano e ti fermerà,
spero di riscriverti tra qualche anno per dirti che ce l'abbiamo fatta, la nostra strada l'abbiamo trovata, la stiamo percorrendo con accanto qualcuno di speciale e siamo dirette verso la vita che hai sempre sognato.
chissà bambina.
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Chissà se ce la faccio a scrivere di 4 anni di ricordi, ma questo è un posto di ricordi belli, e tu sei uno di quelli, di quelli più belli. Li ho raccolti in due giorni di viaggio, perché la capa mia non è più quella di una volta, ho bisogno di tempo, e non servirà raccontarli tutti.
Ti ricordi il primo giorno? C'era un tipo che somigliava a Branduardi, vestito come un anziano in chiesa la Domenica, che per forza voleva farmi vedere come cambiavi colore, senza sapere come fare. Del resto, nessuno, persino lui che era del mestiere, aveva visto prima qualcosa di simile, il che ti rendeva ai miei occhi ancora più unica delle mie intenzioni.
Da quel giorno il mondo si è diviso in due, tra chi ti ammirava e chi ti snobbava, però penso lo sai già, il primo gruppo mi divertiva tanto e un po' ci marciavo su, ti ricordi quando uscivo dall'Autogrill di turno e vedevo sempre qualcuno ronzarti intorno, e non tornavo subito all'auto, lo lasciavo fare, guardando la scena da lontano. Per non parlare di quello svizzero che, dalle parti di Reggio Emilia, andò fuori di testa, sembrava un ragazzino di 5 anni a Disneyland, o quel tizio con quella Civic viola al casello di Venezia-non-so-dove, che mi parlava col clacson e col pollice su.
Ne abbiamo fatti di scherzoni alla Mami, la prima volta che andai a prenderla a Francoforte, allo scalo di marcia sparasti due fucilate ed esclamò "MAROOOO CHI C'A TUZZAT?" e noi a ridere, e ogni volta che provava a scendere, per via del rialzo, sbottava "ma quant t'a cagne 'sta machin, che ce vo' 'a man 'e Crist a scenner?".
Di persone che mi hanno fermato per farti i complimenti ce ne sono state, ma il top resterà quel parcheggiatore al Corso Umberto che, al ritiro, si divertì a farsi una accelerata e poi esclamò "UAAA DOTTO', 'STA MACHIN VOL!", e che gli volevi dire? Aveva ragione, una sensazione che provato ogni santa volta, ma io ho avuto tanto di più: mi hai portato da chiunque volessi bene, non è mai esistito un "è troppo lontano, lasciamo perdere", sei forse ciò che su questo pianeta ha avuto la possibilità di conoscere il vero me, senza filtri, mi hai visto piangere e ridere più di chiunque altro. Mi serviva la tua energia e la tua rabbia per scappare via da qui, eravamo entrambi in un posto dove non volevamo stare, per questo sei nata per correre, e hai lasciato che fossi io a lasciartelo fare.
Sei entrata in un momento della mia vita dove avevo bisogno di non sentirmi più trasparente, in una società che non mi ha mai accettato, al più tollerato, e credo che tu abbia capito in pieno quel nostro modo terrone di protestare, ovvero facendo bordello, perché più le cose vanno male, e più abbiamo bisogno di far rumore. Il vicino di casa non l'ha mai capita questa cosa, pensava che tu avessi qualcosa che non andava, cosa tragicomica, visto che quelli pieni di problemi sono loro, con la loro ipocrita precisione, il loro falso benessere.
Agli occhi di tanti sei solo un'auto, ma quello che sei stato per me non sono mai riuscito a farlo capire, e non penso di riuscirci manco questa volta, quindi queste parole sono solo per te, per ringraziarti di tutto quello che sei stata, per aver reso questi 4 anni più leggeri, e per dirti che non ti dimenticherò mai.
Grazie, Amica Mia ❤️.
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Ci sono dei giorni in cui vorresti solo scappare da tutto e tutti,
ci sono dei giorni in cui senti solo il bisogno di riniziare tutto da capo,
ci sono giorni in cui senti quel peso nello stomaco sempre più pesante fino ad avere la sensazione di schiacciarti,
ci sono dei giorni in cui sembra tutto più grigio del solito
come questo cielo.
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