#racconti notturni
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Se qualcuno mi chiedesse quale fosse il mio mese preferito, risponderei immediatamente "Ottobre".
So che sembra assurdo, ma non esiste regalo più grande di essere nata in un mondo nel quale esiste un mese così bello.
È il mese in cui comincia ad arrivare il vero freddo, ma non così freddo da far cadere la neve, quel che basta per vestirsi con delle maniche lunghe senza piumini pesanti che ti fanno sembrare un pinguino.
È quel mese dove c'è il sole che a volte ancora ti scalda il viso, ma dopo un po' piove e ti fa ricordare di quanto sia bello vedere un film sotto le coperte mentre senti il picchiettio dell'acqua oltre i vetri della finestra.
È il mese degli odori delicati, malinconici dell'infanzia, come quello del patricore ma anche dei té o delle prime cioccolate calde. Se ci penso, sa anche un po' di gomma come quella degli stivaletti colorati che i genitori ci facevano mettere per andare a scuola nell'intento di non farci inzuppare i pantaloni comprati da poco più di un mese.
Ottobre è così freddo eppure così caldo, tra i suoi colori e le risate dei ragazzi che escono da scuola.
Va verso la fine dell'anno eppure, per tutti, sa un po' più di inizio.
Sa un po' di pace, di quiete, eppur si muove.
Amo questo mondo che Ottobre.
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Bangkok Bangkok.
Bangkok, una città che ti prende come uno schiaffo all’improvviso, ti affascina come una seduttrice, puoi trovare tutto e di tutto, è immensa , dicono che se Bangkok ti trattiene, ti può inghiottire e nessuno ti troverà mai più. Descritta perfettamente, con colori accesi da Todd Phillis. Raccontando le vicende avventurose di Phil, Stu, Alan e Doug, in una notte da leoni 2. Conta 1.3000.000 di persone che vivono in città , senza includere quelli non censiti. Caotica, densa e soffocante, piena di contraddizioni. Una città che non ti lascerà mai più se commetti “l’errore” di visitarla. In queste poche righe c’è tutta Bangkok, il resto sono fatti e racconti. Terra che protegge orgogliosamente il Thai Nad e la Boxe Thailandese, e gliultimi Dei sulla terra la quale non esiste perché i thai praticano il Muay Thai, parola che in thailandia si pronuncia senza thai e con una fonetica differente. Peli Quando ci sentono pronunciare Muay Thai, nel loro ricco vocabolario è l’equivalente di “peli pubici”. Quando parlano tra di loro, indicano il combattimento semplicemente con Muay, tramite una fonetica che assomiglia vagamente a” mouii” pronunciato seccamente. Lawrence Osborne Bangkok. La decadente e scura bangkok descritta dollo scrittore Lowrence è un'altro aspetto della immensa città di B. vera maledettamente vera leggendo questi testi si può avere una parziale sensazione di cosa vi aspetta visitando la città. Bangkok. "Bangkok, una città che danza sulla sottile linea tra l'eleganza decadente e il caos brulicante. Qui, le vie tortuose si intrecciano come serpenti intorno a templi antichi, mentre i profumi di incenso si mescolano con il sapore acre del street food grigliato. Il fiume Chao Phraya, l'arteria vitale di questa metropoli tumultuosa, scorre lento e maestoso, mentre il neon scintilla come stelle cadenti nel cielo notturno. Nelle strade del quartiere cinese, i mercati notturni si animano con il vibrante frastuono delle trattative commerciali e il richiamo di venditori ambulanti che offrono leccornie sconosciute. Lungo le rive del fiume, l'atmosfera si trasforma, con ristoranti galleggianti illuminati da luci soffuse e la vista di lussuose barche a lungo raggio che attraversano l'acqua scura. Ma è nelle profondità oscure dei suoi vicoli nascosti che Bangkok rivela veramente il suo spirito enigmatico. Qui, la notte si trasforma in un'esperienza sensoriale, con bar clandestini che servono cocktail artigianali e spettacoli di cabaret pieni di glamour decadente. I segreti della città si svelano solo a chi ha il coraggio di esplorare le sue ombre, rivelando il suo fascino oscuro e affascinante." Ispirato a Lawrence Osborne nella sua rappresentazione di Bangkok. Se vuoi condividere i tuoi pensieri o hai domande contattami . Read the full article
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Elena Bono, raccontare la passione di Gesù
La scrittrice che narrò la vita di Gesù con grazia e poesia…. Elena Bono nacque a Sonnino, in provincia di Latina, il 29 ottobre 1921, il padre era uno studioso della letteratura classica e per via del suo lavoro la famiglia si trasferì presto a Recanati, dove la Bono si interessò profondamente a Giacomo Leopardi e disse di questo legame che "La notte è troppo pesante sopra il mio capo" Elena aveva 10 anni quando la famiglia si stabilì a Chiavari, in Liguria, dove il padre era preside del liceo classico e li si esercitò sui classici greci e latini, tradusse Sofocle ed iniziò a scrivere. Il primo “risveglio alla storia”, come lo definì, fu dopo l’8 settembre 1943, quando vide i soldati italiani in rotta e una vecchietta che si scagliò contro due SS che li inseguono. La Bono nell’Appennino entrò in contatto con le formazioni partigiane della zona e riportò informazioni su imminenti rastrellamenti. Una gran parte delle opere di Elena si ispira alla Resistenza, coma la trilogia Uomo e Superuomo che include Come un fiume come un sogno, Una valigia di cuoio nero e Fanuel Nuti. Ma è nelle sue poesie che questi temi assumono valenza esistenziale e universale tra le liriche di Piccola Italia e le Stanze per Rinaldo Simonetti “Cucciolo” in ricordo di un bambino fucilato. Negli anni Cinquanta la Bono fu l’autrice di punta di Garzanti insieme a Pasolini, che voleva trarre un film da un suo libro ma lei gli disse di no, come fece poi anche con Visconti. Per l’editore milanese pubblicò a breve distanza le liriche I galli notturni nel 1952, l’opera teatrale Ippolito nel 1954, i racconti Morte di Adamo nel 1956, con il racconto La moglie del procuratore, su Claudia, la consorte di Ponzio Pilato, e le poesie Alzati Orfeo nel 1958. Da allora la Bono scrisse non solo poesie ma anche romanzi, opere teatrali e, la biografia del capo partigiano Aldo Gastaldi, che conobbe durante la guerra quando era sfollata a Bertigaro sull’Appennino ligure in seguito al bombardamento di Chiavari. Ma il successo durò poco, infatti Elena, non aderì alle avanguardie letterarie di moda, rifiuta tanto l’ermetismo quanto gli sperimentalismi seguenti, scegliendo una poetica legata alla fede religiosa e la lezione stilistica dei classici greci e latini, dei poeti orientali, di Foscolo e Leopardi. Nella sua casa in Liguria accolse volentieri chi desiderava conoscerla e le scolaresche che andavano a trovarla fino alla scomparsa, avvenuta il 26 febbraio 2014 dopo una lunga malattia. Gran parte del lavoro della Bono è riemersa grazie ad un piccolo editore di Recco, Le Mani, che nel 2007 fece uscire l’opera omnia poetica e il suo teatro. Read the full article
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URU di Fabio Carbone
Una creatura misteriosa turba il sonno di Paolo. Si tratta di un essere presente in molte culture contadine, inquietante e dalle unghie ricurve. È un essere reale o la fantasia di Paolo. In URU di Fabio Carbone, l’autore ci svela una serie di misteri Folklore salentino URU di Fabio Carbone edito da Fernandel editore è una storia accattivante sui nostri timori, che intreccia la vita del protagonista alla tradizione popolare. Presente e passato avvolgono l’esistenza di Paolo in un contrasto sempre più evidente tra due mondi, quello della morente società contadina, e quello cinico in cui viviamo. Sullo sfondo di un Salento fatto di campagne abbandonate e invase dai rifiuti, incombe una strana morte, forse un omicidio, sul quale indaga la polizia, ma senza esito. La vita di Paolo è scandita da una presenza misteriosa, una creatura del folklore popolare che turba le sue notti con un angosciante ticchettio delle unghie sul pavimento per annunciare la sua presenza. Poi l’incontro sconcertante. Una notte Paolo si sente soffocare e, nella penombra della camera, gli sembra di vedere un’enorme bestia acquattata sul suo petto che lo scruta. L’incontro dura pochi istanti. La creatura balza via lasciando Paolo in preda all’angoscia e allo sgomento. E’ stata un’allucinazione? E’ una creatura vera come dicono i contadini? Fabio Carbone è nato nel 1986 e vive a Guagnano, in provincia di Lecce. Laureato in giornalismo, è un analista di contenuti radiotelevisivi. Tra il 2016 e il 2020 ha diretto la casa editrice Ofelia, da lui fondata, curando la pubblicazione di testi di narrativa di autori italiani, esordienti e non. Uru è il suo primo romanzo. URU di Fabio Carbone Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con l’autore che in questa bella intervista ci svela l’origine dell’uru, ci racconta qualcosa in più sulla trama del suo romanzo e ci parla di scrittura. La creatura misteriosa del suo romanzo è un personaggio del folklore salentino. Ci può raccontare come è nata l’idea di tormentare con questo spiritello il suo protagonista? I racconti sull'uru, che assume innumerevoli denominazioni diverse da paese a paese, sono molto presenti nella nostra tradizione popolare. Mi ha sempre incuriosito molto sentirne parlare non solo dagli anziani, ma anche da persone più giovani che riferivano dei loro incontri notturni con questa creatura. Mi affascinava, in particolare, la commistione tra realtà e fantasia che caratterizzava questi resoconti che spesso venivano riportati come fatti veri. Da lì è nata l'idea di calare questo elemento fantastico, legato al passato, in un contesto contemporaneo. Questo gioco letterario mi ha portato a ridefinire un po' l'aspetto e la natura dell'uru rispetto alla tradizione salentina, in cui questa creatura si presenta per lo più come un folletto dispettoso. Nel mio romanzo, pur mantenendo molte caratteristiche in comune con l'uru delle credenze popolari, su tutte la capacità di provocare paralisi del sonno e incubi, questa creatura assume dei tratti zoomorfi e ha un profondo legame con le sue “vittime”, rappresentando l'incarnazione delle loro inquietudini, dei loro timori e sensi di colpa. In URU c’è anche spazio per un omicidio. Possiamo considerare il suo romanzo un giallo a tutti gli effetti? Direi di no. Nel romanzo c'è un omicidio con relativa indagine da parte di un commissario, ma questo non è l'elemento centrale della trama, che è invece il percorso psicologico che il protagonista Paolo compie per mezzo dell'uru e che conduce il lettore a riannodare i fili del passato irrisolto del ragazzo. Scrivendo URU, non mi sono posto in un orizzonte di genere e farei fatica a dargli un'etichetta precisa in tal senso. Sicuramente ci sono elementi di fantastico e new weird, di noir più che di giallo e, per alcuni tratti, di grottesco. Spero di aver mescolato bene questi ingredienti. Con la sua storia lei ha deciso di raccontare due mondi in contrapposizione. Incuriosiamo un po’ in nostri lettori? Di che mondi si parla? Sullo sfondo della storia, sotterraneo e simbolico, si svolge un conflitto tra una società contadina, arcaica e morente, e la contemporanea società basata sul terziario avanzato, che ritiene di aver definitivamente superato e cancellato la cultura e le credenze del mondo che l'ha preceduta. La comparsa nella storia dell'uru, che è espressione delle credenze di quel mondo arcaico, rappresenta un cortocircuito che rimette in discussione le presunte certezze della contemporaneità, costringendola a fare i conti con un passato che si pensava archiviato e che si ripresenta invece come profondamente insoluto. Questo conflitto si riflette tanto sulle vicende personali del protagonista, quanto sulle vite degli altri personaggi, ingranaggi di un mondo che sembra essersi inceppato in un sistema economico che favorisce il cinismo e l'isolamento sociale. Lei è un giornalista e URU è il suo primo romanzo. Secondo lei l’abitudine alla scrittura giornalistica atrofizza un po’ l’impeto creativo necessario ai romanzi? Tutt'altro. Attualmente lavoro come analista di contenuti radiotelevisivi, ma all'università ho studiato scritture giornalistiche e ho avuto in passato qualche breve esperienza nella carta stampata. Il rapporto tra giornalismo e letteratura è da sempre molto stretto e proficuo, gli esempi di grandi giornalisti-scrittori (e viceversa) sarebbero innumerevoli. Credo piuttosto che dominare i diversi generi giornalistici, dall'articolo di cronaca al reportage, costituisca una ricchezza di strumenti che consentono a uno scrittore di essere maggiormente versatile e creativo. Certo, per stimolare la fantasia è comunque necessario che la pratica della scrittura sia accompagnata dalla lettura e da altre esperienze estetiche. Tirando le somme, le è piaciuta l’esperienza di scrittore di romanzi? Pensa di riprovarci con un nuovo libro? Per me è un'esperienza nuova e, almeno per il momento, molto piacevole. È la prima volta che mi trovo a condividere con un pubblico così ampio quello che scrivo e, dal confronto che ne sta scaturendo, spero di raccogliere spunti utili a perfezionare la mia scrittura. Finora la risposta dei lettori è stata positiva, non è mancato qualche appunto che mi ha stimolato a riflettere su alcune mie scelte stilistiche. Cerco sempre di accogliere le critiche quando sono ragionate e costruttive. Per il futuro, sicuramente mi piacerebbe proporre qualcosa di nuovo ma non ho fretta, mi prenderò il tempo che sarà necessario. Read the full article
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La nascita di Dracula
L’autore affermò che l’idea per scrivere il suo libro gli venne da un incubo causato da una cena, con lo studioso ungherese Arminius Vambery, a base di gamberi e insalata.
Addormentandosi, lo scrittore sognò un vampiro che sorgeva dalla tomba per recarsi a compiere i suoi misfatti.
Ma l’incubo di Stoker di certo non bastò per costruire la trama di questo capolavoro della narrativa gotica. È noto infatti che l’autore, sotto la guida di Vambery, si documentò scrupolosamente trascorrendo molte ore al British Museum a consultare libri e mappe fino a quando non riuscì a trovare tutto ciò che gli occorreva per scrivere il romanzo. Fece tesoro di quanto apprese sul folklore e sulle tradizioni sui vampiri e su un sanguinario personaggio realmente vissuto nel XV secolo, Vlad Tepes l’Impalatore re di Valacchia, il cui nome deriva da “Dracul”, usato dai suoi contemporanei per designare il padre, Vlad II, della principesca famiglia dei Basarab. Ma sull’origine di questo soprannome di Vlad vi sono due interpretazioni: la prima associa il nome “Dracul” con il diavolo, giacchè “drac” in romeno significa “diavolo” mentre il suffisso “ul” è l’articolo determinativo che viene aggiunto alla fine della parola; la seconda sostiene invece che il nome derivi dalla parola “drago”, l’emblema della famiglia di Vlad.
Perchè la Transilvania?
Stoker scelse la terra dove era vissuto Vlad per ambientare in modo attendibile il suo racconto, la Transilvania, “la terra oltre la foresta”, uno dei luoghi più selvaggi d’Europa. Per descrivere tali luoghi, che non aveva avuto modo di vedere, egli ricorse all’aiuto di Arminius Vambery, insegnante di lingue orientali all’Università di Budapest. Si noti che Arminius è il nome dell’amico del medico Van Helsing, uno dei personaggi del libro.
I vampiri del folklore rumeno
La storia del romanzo di basa su una credenza molto diffusa, quella dell’esistenza dei vampiri, creature terrificanti già menzionate nella letteratura greca ed egizia. Tuttavia per la creazione del conte Dracula, Stoker attinse soprattutto alle credenze del folklore rumeno. Secondo la Chiesa ortodossa orientale, la religione dominante in quel paese, chi muore maledetto o scomunicato diventa un morto vivente, o moroi, finchè non ottiene l’assoluzione da parte del sacerdote. La superstizione locale si associa a creature denominate strigoi, demoniaci uccelli notturni, affamati di carne e sangue umani. La tradizione popolare attribuisce ai vampiri la causa di epidemie e pestilenze.
Secondo le leggende rumene, alcune persone, bambini illegittimi o non battezzati, streghe e il settimo figlio di un settimo figlio, sono destinati a diventare vampiri. Questi ultimi possono assumere le sembianze di animali come il lupo e il pipistrello.
In certi villaggi, chi non mangia aglio è sospettato di essere un vampiro e infatti la miglior difesa contro di essi è quella di strofinare con l’aglio porte e finestre.
Stoker ottenne queste informazioni facendo delle ricerche al British Museum e avvalendosi delle preziose informazioni fornitegli dall’amico Vambery ma sicuramente fu fortemente influenzato dai misteriosi omicidi compiuti, in quel periodo, da “Jack lo Squartatore” e dagli 11 racconti indù sull’argomento “vampiri” tradotti da Richard Burton, altro suo amico, esploratore e letterato.
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Te lo ricordi?
Ma te lo ricordi il sabato sera? Le cene organizzate all’ultimo durante l’aperitivo perchè “dai non mi va di tornare a casa, mangiamo una cosetta al volo” e poi finivi al ristorante e mangiavi antipasto, primo, secondo, dolce e ammazzacaffè. Ma nel trambusto della cena c’era chi già pensava “ma dopo dove andiamo?” “Boh partiamo e poi per strada decidiamo” e ti trovavi a girare ore per le strade di Roma in cerca di locali con un tavolo libero, per poi finire nel solito pub dove il proprietario ormai è un amico e quindi un posto libero lo trova sempre. “Da bere il solito? Sisi, però porta pure qualche stuzzichino!” Così continuava la serata tra risate, bicchieri e un pugno di pistacchi, fino a quando il proprietario ti cacciava con tutto l’amore del mondo “regà 10 minuti e chiudo” e sapevi che entro 3 dovevi aver già pagato e lasciato il locale. E poi arrivava la parte migliore della serata, il ritorno in macchina cantando a squarciagola, in quei pochi attimi, quando l’alcool e la stanchezza della settimana prendevano il sopravvento su di te, ti sentivi leggera, felice e spensierata!
~ S.
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Vorrei scrivere qualcosa
Vorrei davvero scrivere qualcosa, ci sto provando, scrivere qualcosa di significativo che renda più credibile la mia esistenza. Ma non è semplice. Le idee migliori mi vengono nei momenti peggiori. Come l’altro per esempio. Stavo a parlare con una ragazza super carina e mentre la guardavo in quei fantastici occhi azzurri, mi resi conto che sarebbe bello scrivere una storia su un trapianto di occhi che magicamente fanno vedere la vita in un modo diverso da quello che la si vedeva prima. E avevo già in mente un inizio figo, che però mi sono già dimenticato. Nel mio pc esiste una cartella intitolata: “Racconti da finire”, alcuni sono datati 2007. Hanno più di 10 anni. Non li ho mai terminati. E non penso che lo farò perchè non sono più un adolescente. Sono cambiato. Vorrei scrivere qualcosa che arrivi ai ragazzi di oggi, basandomi su quelle che sono state le mie esperienza con le droghe. Per avvisarli che le droghe sono una merda. TI fottono l’anima. Ho perso mio cugino per la fottuta cocaina. Vorrei scrivere qualcosa affinché qualche ragazzo leggendolo si senta compreso e possa perchè no, decidere di cambiare la propria vita, svoltare in un cammino migliore di quello contornato di polveri e acidi che ti fottono il cervello per sempre.
Ora però ho sonno, non è molto vero, ma se continuo a torturarmi con questi dilemmi non dormirò mai e domani alle 8 ho un corso, dunque mi dispiace mondo ma proverò di nuovo domani a scrivere qualcosa.
JTL
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I RACCONTI NOTTURNI: L'ORA BLU DI DOMENICO RATTENNI
I RACCONTI NOTTURNI: L’ORA BLU DI DOMENICO RATTENNI
A metà tra il miglior Bukowski dei racconti e quello della poesia, questo racconto lirico di Domenico Rattenni segna l’esordio della vostra (nostra!) ‘Ora blu’, quel momento indefinibile chiamato così dai fotografi che si trova tra il buio e l’aurora.A voi la sua ‘ora blu’, e mandateci la vostra se ne siete capaci!
(senza titolo) – Racconto di DOMENICO RATTENNI
L´aria pesante dal denso fumo,…
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Le stranezza del sabato sera
Non è bello camminare per strada quando si è solo ragazze...
Le persone idiote ti urlano dietro come se non avessero mai visto una donna.
Però voi avete urlato che la riccia era la più carina... Anche se non siete stati per nulla educati, grazie per avermi notata.
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Auto-critica: censura
Continuo il ciclo dei miei difetti...
Questo è credo uno dei più particolari, mi capita spesso di isolare la mia mente mentre attorno a me delle persone stanno intrattenendo un discorso che reputo inutile....
Il mio cervello riesce ad autocensurare tutte le informazioni provenienti dal mondo esterno che riguardano una determinata conversazione, così da non dover sentire pettegolezzi o discorsi futili, questa cosa è però un arma a doppio taglio, ogni tanto nel mio cancellare le informazioni rischio di eliminare anche cose importanti, magari dette senza nessun collegamento logico col discorso precedente, causandomi ogni tanto dei problemi con chi mi sta vicino...
Giuro che tale filtro non è attivo nei momenti in cui c'è bisogno di ascoltare qualcosa di veramente importante... Se si sta parlando in maniera seria tendo a ricordare perfettamente la conversazione e ad interagire con essa....
Solo che le conversazioni inutili non le sopporto, è più forte di me... Non riesco a concentrarmi sul discorso è finisco solo per ottenere frammenti confusi e sconclusionati, qualcuno potrebbe diagnosticarmi un disturbo dell'attenzione....
Io lo vedo come un semplice meccanismo di difesa....
A.
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Ma portami ovunque
Purché sia con te
Che sia oggi o domani
Che sia sempre o mai più
Anche solo per scherzo
Un po’ per sognare
Per gioco
Fai tu
Portami ovunque
Ovunque sia
Tu
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A. me lo consiglia, io obbedisco, e quando arrivo in fondo gli scrivo. Grazie. E lui risponde No, ora me lo racconti. E io non son capace, gli vorrei dire solo Questa non scrive, ti scopa. Ma mi sforzo, ci provo. É un libro liquido, fatto d’oceano, di liquido amniotico, di acqua clorata. Una narrazione brutale, che a tratti ti afferra e ti butta sotto, ti costringe all’apnea, all’affanno e al terrore di affogarci. Poi ti riagguanta per i capelli e ti sbatte a bordo vasca, ti porta in uno spogliatoio e ti culla, ti inonda di piaceri scivolosi. Ma non ti riesci a fidare più, ti tiene tutto il tempo in apprensione, anche quando é suadente la ascolti ma la tua testa ormai ha preso ad insinuarti dubbi scomodi. Pagine e pagine che parlano di tutto, di famiglia, di scrittura, di incontri. Di persone che ti disintegrano e di persone che ti salvano. E in tutto sembra ci sia soltanto acqua. Acqua che lava via, purifica, accoglie. Acqua che sfianca, allena, insegna, cancella. Acqua come elemento nel quale immergersi ma anche acqua che sgorga da dentro, dal corpo usato male, maltrattato, dal corpo usato come anestetico. La fica canale diretto per le viscere, per raddrizzare il doloroso e l’irrisolto, per ascoltarsi il dentro, per avvicinarsi agli altri solo con la carne. Pratiche estreme, di punizione e di risarcimento. E in questa meravigliosa ricerca totale, che riesce a rimettere insieme il corpo, il pensiero, la parola e facendoli coincidere costruisce (e ricostruisce) un’identità femminile, riesce ad emerge Lidia, realizzata, sana, in pace con tutto il peso, con il suo passato, con la violenza, il terrore, il lutto, i rapporti che l’hanno fatta sentire rotta, sbagliata e oscura. Una ricerca fatta di occhi limpidi, di crudezze e nudità coraggiose. Un viaggio che sembra tutto fatto di azzurro, di trasparenze slavate, di onde, piscine fresche, fiumi freddissimi, oceani neri notturni ma che a me ha lasciato un’immagine rosso sangue, di budella esposte e poi ricucite a modo, in una disperata ricerca di quella verità che potesse smontare la gabbia del passato.
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Poco più di una settimana fa io ed alcuni miei amici eravamo andati a Trastevere per passare una serata tranquilla e serena. Beviamo,fumiamo un po’ e trascorriamo il tempo parlando un po’ di tutto,mentre passeggiamo tra i vicoli Trasteverini,passando prima da Piazza San Calisto fino a Piazza di San Giovanni della Malva. Il tempo scorre e terminamo la serata,tutti ci dirigiamo verso la fermata del notturno di Piazza Trilussa, dato che viviamo nella stessa zona e per raggiungerla possiamo prendere solo 1 notturno. Tra una chiacchera e l’altra si sono fatte le 3:45,fra poco dovrebbe passare l’autobus e la notte si sta facendo sempre più scura e fredda quando a un certo punto,davanti a noi,a bordo di un Suv bianco,passano 4 ragazzi che (ubriachi o fatti o alterati per stessa natura loro) con entusiasmo e goliardia ci lanciano 3 “mini-bombe”; sfiorandoci e,forse la cosa più fastidiosa di questa vicenda, spaventandoci poiché ignari degli “oggetti in questione” lanciati.Ci guardiamo intorno e vediamo che sono solo delle uova,con un po’ di stupore collettivo ci guardiamo e commentiamo insieme l’accaduto.Alcuni di noi si lamentano, maledicendo quei 4 cerebrolesi a bordo del Suv ; altri si mettono a ridere per essere stati testimoni,di un evento così bizzarro. Lo stupore cresce quando ci tocchiamo ed esaminiamo per vedere e capire se siamo stati vittima di quel uovicidio. Nessuno è rimasto “ferito”. 5 minuti dopo ecco che arriva lo “spostapoveri” come lo chiamiamo noi,saliamo e,mentre la mattina incomincia ad avvicinarsi e le strade riempirsi un po’ qua di persone e un po là di macchine,il notturno si avvicina pian piano a Ottaviano,dove ci sta uno dei cornettari notturni del centro più economici (ma non uno dei migliori). Ci sta prendendo comunque a bene. Ora mangeremo,finalmente.
S🥶🥶🥶s
Ora,sia chiaro,quando ci avevano lanciato le uova non pensavamo che fossero delle semplici uova ma altro:delle pietre o degli oggetti contundenti, insomma,qualsiasi cosa potesse fare del male effettivo a una persona. Per questo all’inizio eravamo spaventati. Questo evento mi ha fatto riflettere su una questione,quanto potesse essere coglione l’essere umano e quanto potesse essere imprevedibile la vita. Sì,per delle uova tirate da dei coglioni ubriaconi,sì. Come ti viene in mente ,a 20 anni passati,di tirare uova addosso a dei ragazzini (ma potevamo essere anche adulti o anziani) che aspettano l’autobus in un orario così inoltrato ? Non perché ci hanno ferito fisicamente,non perché (effettivamente) ci abbiano causato un danno morale (perchevi ci voglio vedere a voi sporchi di tuorli di uova e umiliato in una simile maniera) ma perché è un’azione priva di ogni comprensione morale,per il loro “divertimento” potevamo andare in giro pure sporchi e maleodoranti di merda. Scorretto,sotto ogni punto di vista. Penso e rifletto sul fatto che queste persone,prima o poi,possano lanciare altro che delle uova scadenti, magari prendersela con una categoria sociale più vulnerabile e sensibile (pensando mangari a un anziano anche se magari era un orario un po’ insolito per quest’ultimo). Rifletto sul fatto che è successo di notte ma poteva succedere anche di pomeriggio o di mattina. L’imprevidibilità dell’accaduto mi ha lasciato ancora più stupito. Cioè dai cazz0 chi se lo aspettava che proprio a noi,quelle persone che ascoltavano racconti analoghi da amici e conoscenti pensando che cazzata a me non succederà mai lol”, sarebbe capitato un episodio così particolare. E rifletto su un’altra cosa: se quei ragazzi,un giorno tireranno altro o si intratterranno con altro? Se quel comportamento sia soltanto alla base e l’inizio di un qualcosa di più malvagio e cattivo? Se per negligenza del codice stradale,nel ritorno di quella “divertentissima” serata avessero investito qualcuno/a perché ubriachi?Rifletto,penso e ci ripenso.
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Siamo in una camera d'albergo a Parigi e guardo fuori dalla finestra. È un primo pomeriggio d'estate e in strada non passa nessuno. I raggi del sole sferzano tutt'attorno e la strada asfaltata brilla in contrasto tra l'ombra di un albero e l'altro. Sento solo il quieto ronzio del phon acceso con cui ti stai asciugando i capelli e mi rilasso. Penso a tutte le volte che, seduto sull'angolo del letto come ora, vieni ciondolando verso di me a piedi scalzi, con quella smorfia stampata sulle labbra e i capelli ancora umidi. Cerchi di rinchiuderti tra le mie mani e ti lasci cullare finché non senti che quella sensazione di imperfezione o semplice nota che stona la tua giornata se ne va. Adoro stringerti così nel silenzio senza bisogno di parole attorno ai nostri corpi che comunicano.
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succede che ogni volta che ritorni - che mi fai ridere - che ci scambiamo canzoni e messaggi notturni - che mi racconti di te - che mi chiedi di me, poi vai via e ti porti dietro tutte le mie parole e io resto sola e non ho neppure incastri sillabici in cui nascondermi
- ridammi indietro il rumore
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