#qui comincia l'avventura
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falsenote · 1 year ago
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Qui comincia l'avventura (1975)
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piovascosimo · 1 year ago
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monica vitti & claudia cardinale in qui comincia l'avventura (1975) part i
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jastrups · 2 years ago
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anketsu · 20 days ago
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Nuovo post su Anketsu.com !!!
Hola a tutti qui è Anketsu che vi scrive e come ogni Mercoledì online trovate il nuovo articolo del sito.
Si comincia l'avventura su Pokemon TCG Pocket.
<<Qualcuno di voi ci sta giocando?>>
Oggi vi porto la lista di un deck Marowak-EX 🦴🦴
[P.S. Marowak è uno dei miei Pokémon preferiti di sempre]
Link alla profile
https://anketsu.com/2024/11/06/pokemon-tcg-pocket-marowak-ex-sandslash-deck-profile/
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title777 · 8 months ago
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Monica Vitti
watched:
La cintura di castità 1967
La ragazza con la pistola 1968
to watch:
L'avventura 1960
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L'eclisse 1962
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Il deserto rosso 1964
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Modesty Blaise 1966
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Le fate 1966
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Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo! 1967
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Ti ho sposato per allegria 1967
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Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) 1970
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Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa 1970
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La pacifista - Smetti di piovere 1970
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La supertestimone 1971
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Noi donne siamo fatte così 1971
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Gli ordini sono ordini 1972
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Teresa la ladra 1973
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A mezzanotte va la ronda del piacere 1975
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Qui comincia l'avventura 1975
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L'anatra all'arancia 1975
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L'altra metà del cielo 1977
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Amori miei 1978
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Letti selvaggi 1979
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An Almost Perfect Affair 1979
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Qui comincia l'avventura !(1975)
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elena-ferrante · 2 years ago
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top monica vitti movies? x
anon................ excellent question
obviously everything she did with antonioni but specifically il deserto rosso (do not recommend watching if you are currently feeling existentially fragile)
la ragazza con la pistola (proof that she could pull off any hair colour)
la femme écarlate (she speaks french and looks very good doing it)
qui comincia l'avventura (something very lgbt happens between monica and claudia cardinale)
i would love to say more but unfortunately not all her films are available with english subs :(
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storycritica · 5 months ago
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Il primo incanto del teatro
Il primo incanto del teatro: possiamo ricostruire e raccontare la “prima volta” in cui il teatro (la musica, l’arte ecc)  ci ha colpito, turbato, sconvolto? In quale modo quell’episodio si è trasformato in esperienza? Cosa lo ha reso traccia indelebile nella nostra memoria? ***
Rosa Locci
Sono andata a teatro per la prima volta 2 anni fa, più precisamente ho assistito allo spettacolo “Gloria” al Teatro Lirico di Cagliari. È stato grazie ad un progetto con il regista Antonio Albanese che ci è stato possibile assistere alla rappresentazione e conoscere gli attori, la scenografa, i costumisti e i vari addetti al trucco e parrucco. Lo spettacolo è stato molto interessante e ho particolarmente apprezzato la voce della donna che interpretava la protagonista e la bravura dei bambini nelle varie scene. *** Fiorella Frau
Presto salirò su un palcoscenico per la prima volta nella mia vita adulta, e realizzo che quasi mai sono stata a teatro come spettatrice. Sento il peso di quel pezzo mancante, devo rimediare. Il mio territorio offre poche possibilità, così sposto la mia ricerca su Cagliari e trovo una compagnia che propone uno spettacolo particolare. Si chiama "Museo di noi" ed è una storia fatta di racconti che si intrecciano, di sconosciuti che loro malgrado si ritrovano chiusi nella stessa stanza. Non so bene come si evolverà, sono curiosa. Faccio il mio ingresso al teatro Sant'Eulalia e rimango folgorata: è piccolo, ma trasuda magia da ogni angolo. È un luogo intimo, raccolto. Immagino la visuale dall'alto del palco, il dietro le quinte, l'emozione del chi è di scena. Oggi però sono dall'altra parte, e allora prendo posto in platea assaporando le sorprese che mi attendono. Intorno a me gli altri spettatori riempiono la sala della mia stessa trepidazione, e capisco che l'avventura del teatro comincia da lì, dalla condivisione tra sconosciuti chiusi nella stessa stanza. L'imitazione parallela tra arte ed esistenza diventa subito evidente. Le luci si abbassano. Ci siamo. Fisso il palco, attenta. La scenografia è composta solo da scatoloni. Un muro di scatole impilate una sull'altra, in un disordine evocativo che richiama la fine di qualcosa, o un nuovo inizio. Scatole vuote traboccanti di possibilità. Le riempio con le mie aspettative di spettatrice ingenua, ancora inconsapevole; mi avvicino in punta di piedi a un mondo di cui desidero far parte da sempre, ma che per tante ragioni non è mai stato davvero alla mia portata.  Mi aspetto tanto, forse troppo. Mi aspetto meraviglia, scoperta, cognizione. Mi aspetto al varco: come reagirò davanti a tutto questo? In che modo sarò diversa quando uscirò da qui? L'unica certezza è che non sarò la stessa.  Lo intuivo allora e lo so oggi: che si tratti di grandi produzioni o dell'esito scenico di un laboratorio durato pochi mesi, il teatro è trasformazione. Non solo per chi calca la scena, ma anche per chi guarda, in una metamorfosi per osmosi che travolge umore e coscienza. Comincia lo spettacolo. Sono passati sei anni, non riesco a focalizzare molti dettagli, ma l'entrata di un'attrice in particolare mi è rimasta bene impressa in mente: è arrivata alle nostre spalle, attraversando la quarta parete senza mai davvero romperla. Non ha interagito direttamente col pubblico, eppure era vicina a noi, fuori dal palco ma senza dubbio dentro al personaggio. Era una donna che interpretava una bambina di nove anni. Piangeva, urlava, chiamava qualcuno, o forse semplicemente parlava, non è chiaro nei miei ricordi. Ma l'emozione persiste. Quel senso di stupore nell'essere all'improvviso, solo per un attimo, parte di una narrazione ancora sconosciuta; la fusione tra realtà quotidiana e realtà scenica, la perdita del confine, l'impatto.  Poi l'espressione di così tanti stati d'animo sul palco, che nonostante i diversi livelli tecnici sono andati tutti a segno. Partecipo con ogni fibra di corpo e mente. È stato per me il momento in cui il teatro si è trasformato in esperienza, diventando molto più che uno spettacolo: un frammento di vita vissuta, non soltanto osservata. Un capitolo della mia storia. ***
Federica Orrù
Parole di adulta che tentano di riportare il mio sguardo di bambina. Mi sembra un po’ di tradirlo. Era lo spettacolo Naschimenta, nato dalla collaborazione tra Maria Lai e la cooperativa teatrale Fueddu e Gestu, lo scrittore Paolo Pillonca e la poetessa Anna Cristina Serra. Non andavo ancora alle scuole elementari. Era inverno e faceva molto freddo. Nel piccolo paese di Setzu, in Marmilla, le strade, le piazze, le viuzze, che poco prima mi sembravano come immobili o cristallizzate, vennero popolate da visioni, gesti, azioni. Sono solo sprazzi quelli che mi rimangono. L’azione si svolgeva organizzata in stazioni, come nel teatro medievale. Ricordo l’impatto netto, bruciante delle immagini che mi riempivano lo sguardo. Ricordo passaggi luministici: il fuoco,i braceri e i piatti di rame che rilucevano; e ancora le sagome candide dei magi che si stagliavano contro un’oscurità abissale, i pupi di stoffa e grano. A mano presa con mia madre, mi sentivo tremare e il cuore batteva fortissimo, lo sentivo persino nelle orecchie. Stavo sperimentando un senso di appartenenza a quelle visioni, sentivo di stare accedendo a qualcosa di vero e pregno di un significato che non risiedeva nelle parole, un linguaggio astratto e poetico che non ero ancora capace di comprendere davvero. Era qualcosa non di reale, ma vero. In ciò che vedevo mi sembrava risiedesse un mistero: un distillato di vita talmente denso da riuscire ad essere intimo e inarrivabile ad un tempo. Ripensandoci è come se da quel momento avessi vissuto affamata, in attesa di poter sperimentare di nuovo un così profondo, spaventoso e inebriante accesso alla vita.
***
Ecaterina Lapadat  Il mio primo incontro con il teatro è avvenuto nel lontano 2015, quando la mia scuola ha deciso di portarci a vedere una rivisitazione della storia di Pinocchio.  La capacità degli attori di far proprio un personaggio mi ha colpita a tal punto di decidere di iniziare a mia volta a recitare.  Poter sfuggire dalla realtà e diventare un’altra persona era come poter far parte di un mondo parallelo, un mondo che solo in pochi possono esplorare. Il lavoro dietro le quinte era come un viaggio per poter giungere a destinazione e gli applausi alla fine erano il segno che finalmente questo mondo parallelo potevamo farlo scoprire e vedere con i propri occhi anche agli altri. ***
Anna Amira Aresu
Nel mio ultimo anno di liceo, la mia professoressa di Francese, un’amante appassionata di teatro, riprese dal nostro libro di testo uno dei più grandi commediografi (e oserei dire attori) che la storia francese ci ha regalato: Molière. In tutta sincerità, questo “autore” lo avevamo studiato un anno prima, e neanche con troppo entusiasmo. Quello che non sapevamo, però, è che la professoressa meditava da tempo di portare il teatro, addirittura in francese, nel paese in cui si trovava il nostro disastrato liceo. Studiammo di nuovo vita e opere dell’autore, questa volta con un po’ più di entusiasmo. Pochi mesi dopo ci informarono di un’uscita didattica: arrivava una compagnia del Théâtre Français di Roma nel paese sperduto del nostro liceo. In tutta onestà, non eravamo molto entusiasti, anche perché le ultime uscite scolastiche per la visione di un pezzo teatrale non furono di gradimento a nessuno, in quanto durava più il viaggio che la visione effettiva della pièce teatrale, che spesso e volentieri trovavamo o eccessivamente infantili o incomprensibili. La nostra professoressa infine ci convince. Ci ritroviamo in un anfiteatro all’aperto decisamente sovrappopolato: non c’eravamo solo noi del linguistico, che bene o male avremmo potuto capire, ma anche bambini e ragazzi appartenenti ad altre scuole. Diciamo che la nostra bella professoressa ha convinto molte scuole e persone a partecipare a questo evento. Senza essere avvisati, ci troviamo già a spettacolo iniziato. Nonostante il mio livello, che ammetto non sia eccellente, ma per lo meno accettabile, di francese, facevo fatica a sentire e a capire tutto ciò che veniva detto. In quel momento pensai all’inutilità di vedere uno spettacolo di cui non si capiscano le parole. Più lo spettacolo avanzava, più mi accorgevo che le parole venivano rimpiazzate da gesti ed espressioni che credo, ad oggi, superino la dimensione linguistica. Lo affermo con certezza, perché bambini e ragazzi che il francese non lo conoscevano, ridevano e seguivano con estremo interesse la storia di questi attori sottosopra che saltavano per le sedie e tra il pubblico. Iniziai ad osservare l’entusiasmo e curiosità dei bambini, lo spirito dubbioso e di attesa dei ragazzi, il disagio e preoccupazione dei professori. La trama ruotava intorno a un gruppo di attori che si trovano a Versailles per esibirsi davanti al Re Sole, ma improvvisamente scoprono che il copione è andato perso. Decidono allora di improvvisare l'intera rappresentazione, creando situazioni comiche e paradossali, coinvolgendo anche il pubblico nelle loro peripezie. Le gags fisiche e le espressioni esagerate riuscivano a trasmettere il significato delle scene, nonostante la barriera linguistica. Se ci avessero chiesto una riga di dialogo, avrebbero trovato facce (e menti) vuote. Ma se ci avessero chiesto avvenimenti, espressioni ed emozioni, avremmo potuto fare concorrenza al commediografo. A fine spettacolo, il pubblico è divertito e la compagnia teatrale compiaciuta. Gli applausi sono lunghi, anche perché tutti noi temevamo ciò che seguiva: lo spazio per le domande, quel momento in cui ci si guarda e si spera che a fare la domanda non sia tu. E invece ero proprio io a dover fare la domanda, sia perché nessun altro lo avrebbe fatto, sia perché forse ero una delle candidate migliori ad articolare una domanda in francese. E quando il microfono mi arriva in mano dico: “Scusatemi, ma come fate a trasmettere una trama a un pubblico che non vi ha capito? Come fate a parlare a chi non parla la vostra stessa lingua?” Sono sicura che la risposta fosse quello che cercavo con quella domanda, eppure io ora non me lo ricordo più. E quella fu la prima volta che capii un po’ di teatro.
*** Donatella Sarais
Ho sempre avuto un occhio di riguardo per gli spettacoli che richiedevano un maggiore sforzo, insomma, quelli dove è difficile tracciare un confine tra spettatore e partecipante.  Immagino che se parlassi di educazione alle emozioni, allo stare al mondo o banalmente all’apprendimento del camminare, la prima cosa che potremmo pensare è “ah sì, parliamo di famiglia”, invece no, io parlo di Teatro.  Esattamente il 27 Ottobre 2023 ho deciso di buttarmi in un’esperienza che mai avrei pensato mi avrebbe formata così tanto. Non si tratta della mia prima partecipazione a teatro e neanche della mia prima volta come spettatrice, o meglio, non come spettatrice semplice: questa volta andavo in qualità di appassionata e studentessa di storia e pratiche del teatro.  Mi sono presentata al punto di ritrovo con la presunzione di essere totalmente cosciente di quello che poteva succedere “il teatro per me può tutto e io posso accogliere tutto”.  Aspettavo da me stessa una consapevolezza tale da credermi capace di gestire il mio sguardo e renderlo meno bambino, più istruito rispetto a quello che osservavo, più “professionale”. Spoiler: nulla andò come sperato.  Una performance di quattro ore di camminata in cui ero pervasa da mille emozioni irrefrenabili e che con impeto cercavano di abitare il mio corpo e tutto il mio animo.  Il mio stato d’animo oscillava tra meraviglia e stanchezza, tra paura e sgomento.  Cercavo di fissare e mettere a fuoco un punto preciso su una città che non stava a passo con i miei piedi e che mi scivolava da sotto il naso. Era la mia città, ma non la riconoscevo. Era la mia città, ma non mi sentivo a casa. Era la mia Cagliari, ma non riuscivo a chiamarla per nome. Ho calpestato le strade di tutti i giorni, paesaggi di infanzia e salutato casa, eppure quella non ne aveva la forma, io non la stavo abitando. Il mio essere e il mio corpo non hanno mai percepito la fine, ma non avevo memoria nemmeno di un inizio.  Anche a distanza di una settimana non mi percepivo a contatto con il spazi che avrei dovuto sentire familiari, quotidiani… ho continuato a guardarmi intorno nella disperata ricerca di un punctum che mi concedesse la grazia di essere quanto meno trafitta o ferita da un’emozione che mi avrebbe (ri)posizionata - a mio avviso - viva e vegeta in quegli ambienti o angoli in cui avrei dovuto trovare briciole di me stessa o della mia storia.  Fatico a credere che siano passati mesi all’epilogo di quell’esperienza, esattamente come fatico ancora oggi a parlarne.  Quello che al tempo fa non potevo capire e che uno stravolgimento così profondo ha bisogno di essere raccolto, non poteva avere luogo in uno spazio così ampio. Come potevo trovare me stessa nei vicoli e nei vecchi quartieri se non ero a conoscenza degli strumenti emotivi che gli artisti mi stavano dando tra le mani. Come potevo pensare di occupare spazi liberi, esterni, quando non mi ero riappropriata del mio corpo, del mio spazio.  Davanti a tanto timore, il mio corpo si è protetto: per la prima volta ha trovato pace nel silenzio, un silenzio assordante e umanizzante che cercavo di rompere parlando con chi avevo attorno. Per tutto il viaggio performativo il mio animo ha cercato di avere un dialogo con il mio corpo: “sei casa, perché sei con te stessa”.  La stanchezza corporea che stavo vivendo era solo una stanchezza emotiva, dato il sovraccarico di stimoli visivi ed uditivi totalmente liberi di vagare attorno a me.  La città che cammina per me è un percorso immersivo-sensoriale, sia collettivo che individuale. Io ho condiviso il mio smarrimento interiore e il lutto dai miei ricordi in quegli spazi che pensavo miei.  Il mio incanto è questo: la scoperta che il teatro è ciò che ruota intorno alla rappresentazione scenica e al suo godimento (sia positivo che negativo) da parte del pubblico, non soltanto il luogo dove ciò avviene. 
***
Sara Dessì 
Il primo incanto col mondo del teatro nella mia vita è stato, a 15 anni, uno spettacolo sulla grave situazione di salute delle persone di un paese del Sud Sardegna che si chiama Perdasdefogu e della zona coinvolta ovvero Quirra. Ciò che mi ha colpito è stato l'impatto emotivo dato dal coinvolgimento diretto del pubblico; di fatti lo spettacolo si era svolto nella sala prove del Teatro Massimo di Cagliari e permetteva al pubblico di stare sul palco ed essere esso stesso parte integrante della messa in scena. Lo spettacolo racconta della spropositata e preoccupante diffusione di tumori fra la popolazione, che vede colpiti anche numerosissimi giovani. Ciò è dovuto all'occupazione militare che con le sue esercitazioni sconvolge un popolo ed il suo territorio, le scorie danneggiano le cellule dei loro corpi, il cibo e si respira un'aria malsana generale. Ricordo ancora la sensazione dei suoni che ti sbattevano forti e dritti sulle orecchie e la terra smossa dai piedi degli attori che si riversava sui visi del pubblico. La rappresentazione era fortemente sentita dagli attori che emozionandosi riuscirono a trasmettere tale emozione anche al pubblico. E tutti nel pubblico ne uscimmo devastati ed a piangere. Dopo la rappresentazione è stato bello anche il post, abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con gli attori ed avvicinarci ancor più emotivamente a loro. Ricordo il mio sentirmi scossa, con la pelle d'oca, il teatro mi aveva trasmesso dei brividi fortissimi, mi sentivo parte della storia, vicina ai personaggi e al loro triste destino.
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cerentari · 1 year ago
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Genialate: Qui comincia l'avventura ...
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ancilla-hawkins · 1 year ago
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Qui comincia l'avventura del signor (Jack) Bonaventura
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bluerthxnabutterfly · 3 months ago
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Les innocents aux mains sales
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L'important c'est d'aimer
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Le vieux fusil
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A mezzanotte va la ronda del piacere
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Libera, amore mio!
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Qui comincia l'avventura
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1975
Un Flic
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Le Gitan
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Zorro
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Mr. Klein
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Sérieux comme le plaisir
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La course à l'échalote
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Catherine et Cie
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7 morts sur ordonnance
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Permission to Kill
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Ondine
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The Story of Adele H
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falsenote · 1 year ago
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the term lesbian classic gets thrown around a lot when it should be reserved for this
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piovascosimo · 29 days ago
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found this online at a great price, and i didn't think twice and bought it thinking it would be the size of a normal movie poster, but it's so big!
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peter-ash · 4 years ago
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sandnerd · 4 years ago
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SAO Alicization: War of Underworld - Ep 9 - La spada e i pugni
IN ITALIA L’ANIME E’ DISPONIBILE GRATUITAMENTE SULLA PIATTAFORMA VVVVID! SUPPORTIAMOLA! ----> https://www.vvvvid.it/show/892/sword-art-online-alicization-war-of-underworld/1005/541313/la-spada-e-i-pugni
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Continuiamo l'avventura sulle ali di Amayori davanti a quell'assassino di Miller che si lecca le labbra dalla scorsa puntata alla vista di Alice, altro che burro cacao. Più lui è deviato più a me vengono i brividi a vederlo. Comunque, il pazzoide con la bava alla bocca ordina alle truppe (quelle rimaste, che comunque sono ancora tante) di avanzare e di portargli la sacerdotessa di luce senza farle male però, che sta facendo tutto questo per lei, se gliel'ammazzano non ci rimane troppo bene. Alice e lo zio intanto atterrano su un pizzo, e da lontano scorgono che l'esercito oscuro sta arrivando da loro, proprio come avevano previsto. Ora non resta che dividerli e sconfiggerli, divide et impera, diceva quello, anche se i cavalieri oscuri saranno una bella gatta da pelare, e Bercoulli dice che non ha neanche visto tra le fila Shaster, perchè lui sarebbe stato un tipo con cui poter parlare. E sappiamo finalmente il nome del cavaliere che se l'era presa con Vecta per avergli ammazzato Lipia e ci ha rimesso le penne pure lui, pace all'anima loro. 
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Atterra accanto a loro Renly, tenero lui, e conferma che sono pronti per l'imboscata. Bercoulli gli dice di andare a prepararsi e si rammarica che dato che ormai rituali per fare cavalieri non se ne fanno più perchè sai com'è, il rituale di congelamento della memoria è un tantino cattivo, e quindi non ci saranno più cavalieri come Renly e gli altri. Ma senti caro, i cavalieri possono continuare a esser fatti anche senza incasinargli la memoria, gli risponde Alice, anzi aggiungo io, è pure meglio lasciargliela, così si ricordano dei loro cari e combattono per dei motivi seri. Ma si avvicinano le truppe, in particolare i pugilisti, che come ci spiega Bercoulli hanno fatto di Rocky Balboa il loro idolo e sono così fanatici che rendono la propria pelle inscalfibile dalle spade solo con la forza della mente. Appare dietro Alice e Bercoulli la cavaliera di cui ci mancava il passato, che si offre volontaria per tenere a bada tutta la truppa. E va bene, cara, direi che è arrivato il tuo turno di presentarti quindi è assolutamente corretto lasciarti da sola contro centinaia di nemici. La cavaliera, che si chiama Scheta, già mi piace, perchè ti guarda con un'espressione di totale indifferenza che potrai essere il più forte sulla terra, con lei ne dubiti. E naturalmente la prima guerriera che si avventa contro di lei si ritrova il braccio tagliato, e ringrazia che non ti abbia tagliato tutto il resto. Ci tuffiamo nel passato di Scheta, salutiamo anche qui la Somma defunta, ai tempi in cui le ha fornito la spada, spiegandole che in lei c'è una sorta di istinto omicida nato da parametri anomali, che è divenuto una maledizione e la spinge a tagliare, indistintamente. 
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Quale spada migliore dunque, di quella proveniente da un fiore del Dark territory, che ha assorbito abbastanza energia oscura da divenire un'arma di livello assoluto, per un'aspirante affettatrice come la nostra Scheta. Forse con il tempo, aggiunge la Somma, tagliando a destra e a manca, scoprirà cosa si cela dietro questo istinto e scioglierà questa maledizione. Torniamo al presente, e Scheta prende un bel respiro e si lancia verso i pugilisti e ne fa praticamente sashimi, stupendo Alice e Bercoulli, che ammettono in più di 100 anni di non aver mai capito questa cavaliera e che non sentono provenire da lei alcuna emozione. Mi piace sempre di più questa. 
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Ci spostiamo da Renly e i suoi soldati, che sono in attesa di fare la loro imboscata al nemico, ma che non sanno che in realtà questo si è già mosso, e si sta divertendo ad uccidere i soldati delle truppe di supporto e della retroguardia, dove si trovano Ronye e Tiese. Ma seriamente avete pensato che fosse una buona idea venire nel Dark territory voi due che siete delle novizie insieme al nonnetto?? Ma veramente io boh. Il nemico in questione è quella testa di legno di Vassago, si era stufato di aspettare e l'imperatore, più che altro per togliersi dalle scatole questa rottura, gli ha dato il permesso di andare ad ammazzare in giro, così la piantava di dire che si annoiava. E lo vedi che non lo sai fare il cattivo, devi stare con le gambe accavallate ed il ghigno, fermo immobile, anche 12 episodi consecutivi se necessario, guarda Miller che bravo, si è messo così appena ha fatto dive nell'Underworld e manco le cannonate lo smuovono. Nel frattempo Scheta sta continuando a fare il sushi, ma si fa avanti il capo dei pugilisti e comincia il solito duello tra loro due soltanto, mentre i sottoposti stanno a guardare rispettosamente, non è che approfittano del fatto che la cavaliera è impegnata e oltrepassano l'ostacolo, no, loro stanno lì, fanno anche da coro mentre il capo si fa crescere altri 14 addominali, perchè la guerra è importante, ma fare il tifo lo è di più. I due si scontrano, e questa volta il capo è riuscito a frantumare l'armatura di Scheta, che dimostra di avere anche un bel corpicino sotto quella ferraglia, mentre a lei l'esplosione ha provocato giusto un colpetto di tosse. La adoro. 
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Si rimettono in posizione entrambi, e tutti e due pensano che si stanno divertendo, in particolare il capo pensa che potrebbe morirci in questo scontro ma che morire per mano di questa cavaliera così stupefacente non sarebbe male. Dice anche che lei è la prima che lo fa ardere di passione. Niente, io già li vedo insieme. Ma sul più bello uno dei pugilisti interrompe lo scontro e dice che il resto dell'esercito è arrivato. Scheta dunque, che suppongo dovesse trattenere i pugilisti fermi fino all'arrivo degli altri nemici, saluta tutti, chiama il proprio drago e se ne va. Ma il capo che è rimasto con la voglia le chiede almeno il nome e il numero di telefono, lei che tipo già era volata via gli dice il proprio nome, e lui riesce a sentirla tranquillamente, come sappiamo negli anime hanno l'ultra udito. Vassago intanto è in agguato e tenta di uccidere Ronye che era andata a farsi una passeggiata, ma lei lo scopre e lancia l'allarme, facendo arrivare tutti i soldati riuniti lì. Anche i cavalieri si organizzano, Renly farà indietreggiare l'esercito, Bercoulli si occuperà dei nemici che stanno arrivando da nord ed Alice raggiungerà la retroguardia, dove si trova Vassago. Ma mentre quest'ultimo sta per uccidere Ronye una luce spunta sopra di loro, una figura abbagliante che con un gesto fa crollare il terreno sotto Vassago e i suoi soldati, e crea aurore boreali nel cielo tutto intorno. Ed eccola finalmente! Aveva fatto dive all'inizio della stagione ma ci eravamo rassegnati che forse si era persa dentro il Lightcube e l'avremmo vista tipo nell'ultimo episodio ma eccola qui in tutto il suo splendore, Asuna, che ha fatto un'entrata in grandissimo stile e che ha preso l'account niente popò di meno della Dea Stacia, una robbetta proprio eh, Asuna?
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 Comunque finalmente è arrivata anche lei, e mentre Vassago cade nel precipizio riconosce la Saetta dei Kinghts of Blood, come era detta Asuna nella prima stagione, e questo ci informa che anche lui, ai tempi, finì dentro Sword Art Online ed arrivò a conoscerla. Vai a sapere che questi sono sempre stati appena fuori dall'inquadratura, visto che Miller ha già incontrato Sinon in GGO e Vassago mi ha riconosciuto Asuna e la ricorda dai tempi della prima stagione. Comunque complimenti, davvero bella la scena di Asuna, non vedo l'ora di vedere il suo ruolo nella battaglia, e soprattutto voglio ancora vedere Scheta, non ha fatto il rilascio della sua spada nè sappiamo nulla del suo passato da non cavaliere, spero che ne parleranno! Alla prossima, reggetevi che Asuna non si spaventa di usare le maniere forti! -sand-
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P.S. Anche la opening è leggermente cambiata, nella scena di combattimento contro Miller non c'è più Bercoulli ma Alice ed Asuna insieme!
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levysoft · 5 years ago
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Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine.
Questo lo diceva Virginia Woolf, non a caso una divoratrice di libri e instancabile scrittrice.
Piccoli e grandi lettori
Ognuno di noi ha con i libri un rapporto molto personale che, solitamente, comincia da bambini. I nostri genitori compravano un libro enorme pieno di favole. Protagonista l'eroe o l'eroina che iniziava il suo viaggio per risolvere il grande dilemma esistenziale che lo o la tormentava. L'incontro con l'antagonista, la dipartita del suo avversario e, alla fine, la ricompensa, la felicità eterna. Con le coperte tirate fino a coprirci il naso, gli occhi spalancati, ascoltavamo, parola per parola, l'avventura che ci raccontavano, e non ne avevamo mai abbastanza. Ascoltare le favole ci faceva credere che era possibile superare ogni sorta di peripezia nella vita.
Il nostro primo approccio con la lettura era un vagare continuo con la mente, ed ogni sorta di scenario ci aspettava in quelle pagine magiche.
Il secondo approccio con i libri, invece, comincia con la scuola, e tutto cambia. Aprire i libri significa dover studiare pagine e pagine di fatti, nomi e date, a cui, la maggior parte delle volte, non siamo nemmeno interessati. Ci insegnano che bisogna leggere per parlare bene e scrivere meglio. Già, bisogna. La lettura diventa un dovere.
Quelle pagine magiche non sono più il nostro momento perfetto per partire all'avventura con personaggi fantastici, ma un'imposizione, e molti ragazzi e ragazze decidono che non andranno mai più d'accordo coi libri. Non fatelo, non sapete cosa vi perdete!
Fai un break, leggi un libro!
Mai sottovalutare l'importanza di un libro, specialmente adesso, nel mondo digitale, nel mondo della tecnologia che ci porta a credere di sapere tutto, di conoscere qualsiasi cosa perchè nel palmo della mano abbiamo uno smartphone pronto a rispondere ad ogni bisogno. Resistiamo agli inutili bisogni e seguiamo il nostro naturale istinto ad essere curiosi. Un libro è il miglior compagno di viaggio in questa vita vissuta tutta ad un fiato, in questo corri corri verso non si sa davvero cosa.
Dove stiamo correndo tutti quanti? Fermiamoci un secondo, un bel respiro e prendiamo un libro. Accovacciamoci come facevamo da bambini, con gli occhi che non riuscivano a fermarsi per lo stupore e, come suggeriva Virginia Woolf, riscopriamo il paradiso.
Fateci caso, non appena finiamo un libro sentiamo un senso di smarrimento, come se ci fossimo sospesi. Ci viene voglia di scrivere all'autore o all'autrice e dire: "Ma davvero finisce così, dimmi di più!". Terminata una storia, vogliamo innamorarci di un altro libro e vivere altre vicende, conoscere dei nuovi protagonisti, i loro segreti, le loro passioni.
A volte leggiamo solo un capitolo, altre volte ci appassioniamo così tanto che non vorremmo più staccarci da quel flusso di inchiostro e di idee. A chi non è mai capitato di star sveglio tutta la notte a leggere e ritrovarsi il mattino dopo con gli occhi gonfi e la testa altrove?
C'è chi invece non riesce proprio a farseli piacere i libri. Forse non ha ancora incontrato la sua storia, o forse non conosce ancora quel libro perfetto pronto a raccontargli la storia che vuole sentire. Magari il titolo della sua personale conversione alla lettura è proprio qui, in questa top 5 dei libri usciti recentemente negli ultimi mesi.
[...]
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