#quanto sono belle le campagne dal treno
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Preludio di una pasquetta speciale.
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Storia di Musica #97 - Rino Gaetano, Mio Fratello È Figlio Unico, 1976
Una delle personalità più originali, estrose e beffarde della musica italiana ha avuto il successo che meritava solo dopo molti anni la sua tragica scomparsa (in un tragico incidente stradale, nel 1981). Crotonese, ma cresciuto a Roma, Rino Gaetano è stato uno degli artisti cardine nel cambiare registri e idee alla canzone italiana degli anni ‘70. Dopo aver abbandonato il posto sicuro in banca, attenuto con il diploma da ragioniere, si avvicina alla musica frequentando il mitico Folkstudio di Roma, verso la fine degli anni’60. Pur essendo timidissimo, si esprimeva già con il segno del suo stile irriverente e scanzonato, che va detto era ben distante dalla seriosità dei cantautori del periodo. Cimentandosi anche in teatro, nel 1972 pubblica in primo singolo, con lo pseudonimo di Kammurabi’s (dal nome di uno dei protagonista dei libri di Salgari), I Love You Marianna, 45 giri che passa inosservato. Viene però notato dal fondatore dell’etichetta It, Vincenzo Micocci, che nel 1974, dopo che Gaetano si è cimentato come autore ma aveva ancora molti dubbi di cantare egli stesso le sue canzoni, pubblica Ingresso Libero. L’album parte in sordina, ma il secondo singolo Tu, forse non essenzialmente tu/I tuoi occhi sono pieni di sale ebbe la fortuna di essere tra i preferiti della coppia Arbore\Boncompagni, che la passarono ripetutamente ad Alto Gradimento. Scrisse nello stesso anno tre canzoni per Nicola di Bari, e una versione in spagnolo, Por Ejemplo, diviene disco d’oro in Spagna. Nel 1975 il primo, grande successo: Ma Il Cielo È Sempre Più Blu è un brano ottimista, schietto e allegro che domina le classifiche di quell’anno, e c’è grande attesa per il secondo disco di Rino. Che però con una scelta forte e precisa, abbandona i soli toni scanzonati e regala un disco che, a distanza di decenni, è ancora attualissimo, e fotogra bene la realtà di quegli anni. Mio Fratello È Figlio Unico esce nel 1976 ed è un disco intimista, anche forte in certi passaggi e che regala una dimensione diversa al cantautore crotonese. La title track è, e non temo smentite, una delle più belle canzoni non solo del suo repertorio, ma della canzone italiana degli anni ‘70: un brano sull'alienazione, sul perbenismo, sui costumi ipocriti (tematiche che si ripeteranno in tutto il suo catalogo) per farci pensare che tutti abbiamo un fratello figlio unico, e che sfidò addirittura la censura in quel clamoroso “e ti amo,Mario”. Sfiorivano Le Viole, anche lei conosciutissima, è invece una ballata romantica molto delicata a ritmo di samba. L’idea di inserire personaggi storici praticamente a caso (il Marchese LaFayette, Bismarck e altri) dà l’originalità al pezzo. Glu Glu è un brano delicatissimo su un suicidio, anche questo raccontato nell’indefferenza delle persone: mascherato dall’allegria della musica, dalla ripetizione dell’onomatopea e della rima con igloo, che rende il tutto grottesco, buffo, si ricordano le stragi sui treni (”non ho più preso il treno da quattro anni almeno”), e la presa del potere dei colonnelli in Grecia e sul ruolo ingerente della Gran Bretagna (”Un marinaio del Pireo sulla faccia aveva un neo\La moglie inglese Mary gli schiacciava i punti neri”). L’atmosfera si rilassa con Berta Filava, che è sì allegra e spensierata, ma nasconde una storia niente male: Berta ha un figlio, ma non so da chi (se Mario o Gino, come dice il testo) e la liberazione sessuale femminile appare finta e conclusa se Berta e filava la lana\Filava l'amianto\Del vestito del santo\Che andava sul rogo\E mentre bruciava\Urlava e piangeva\E la gente diceva anvedi che santo\Vestito d'amianto. Poi le ultime tre canzoni, centrali nei loro significati: Rosita, enigmatica figura di donna (fidanzata? amante? allegorica) che parla di alienazioni, paure, solitudine e scelte difficili; Al compleanno Della Zia Rosina è ambientata in una piccola stazione di un qualche paesino sul mare, nel sud. La vita che passa davanti a ogni nuovo treno che si ferma, mentre c’è che si aspetta l’occasione disilluso e impaurito, bevendo, perchè questo treno, metafora dell’occasione di riscatto e di fortuna, non arriva, e c’è tutto il tempo di immaginare con ironia il proprio funerale. Il disco finisce con la filastrocca, che sa di feste e di campagne, di La zappa, il tridente, il rastrello…, che a fine brano ripropone in stile tarantella il ritornello di Rosita, per un caloroso e sincero richiamo alla purezza e alla sincerità della vita contadina. Il disco è il trampolino di lancio per un artista che nei pochi anni a seguire pubblicherà dischi bellissimi come Aida, con l’omonima canzone famosissima, Nuntereggae più, divenuta iconica e la partecipazione, dissacrante manco il caso di ricordarlo, al Festival di Sanremo con Gianna (siamo nel 1978, e si presenta sul palco in frac e cilindro sgangherati). La riscoperta, avvenuta dalla fine degli anni’90, ha riportato ad un uso quasi proverbiale delle sue canzoni, spesso usate anche per fini che non so quanto gli sarebbero piaciuti (pubblicità, campagne elettorali, film). Rimane un artista dal talento grandissimo, che in molti punti ha anticipato temi e visioni, e che se ne è andato troppo presto.
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