#qualcuno mi stava spiando da fuori
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mybittersweet · 3 months ago
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ilgiardinosegretodimae · 4 years ago
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Il Drago del Sole
Approdo del Re, Fortezza Rossa, Sala Del trono anno 283. ----------------------------------------- Tutti sanno cos'è successo in quel periodo con il sacco di Approdo del Re comandato da Tywin Lannister. In quel massacro morirono per mano di Jaime lannister il Re folle, mentre per mando di ser Gregor Clegane la Principessa Elia e suo figlio Aegon mentre per mano di Ser Armory Lorch La principessa Rhaenys. Ma se invece Jaime per la prima volta fa qualcosa di buono?
Approdo Del Re, Fortezza Rossa, anno 283 CA. La prima cosa che misi a fuoco furono le urla che si sentivano in lontananza. Sia fuori dalla Fortezza che al suo interno. Sarei potuto rimanere nella sala del trono, davanti al cadavere del Re Folle, in attesa non sapevo bene di cosa, ma mi scrollai il torpore di dosso. Questo non è  il momento.  Il mio dovere, se si poteva ancora chiamare così visto il cadavere che avevo ai miei piedi, era di proteggere la famiglia reale ed ero certo che la principessa Elia e i suoi due figli erano rimasti li. Dovevo trovarli e tenerli al sicuro, anche a costo della vita. Cominciai a muovermi a passo sostenuto e quando riuscii ad aprire le immense porte della sala le urla che prima erano lontane divennero cosi forti che per un momento rimasi assordato. Non avevo mai visto così tanto sangue. Le urla erano la cosa peggiore. Provenivano da tutte le parti. Strilla di bambini, gorgoglii di uomini che affogavano nel loro sangue, pianti di donne che chiedevano pietà che non sarebbe mai venuta dal loro carnefice. Mi diressi con il cuore in gola verso le stanze della famiglia reale, cominciai a vedere uomini che non erano cadaveri ma la situazione non migliorava visto come erano ridotti, mi vergognai per mio padre. Avevo riconosciuto lo stemma del leone dorato sul campo rosso della mia famiglia. La maggior parte di loro mi ignoravano; toppo impegnati a stuprare delle ragazze indifese o a picchiarle a morte se non si sottomettevano, altri mi facevano un cenno, sapevano che ero il figlio prediletto del Vecchio Leone, ma era solo una piccola parte per fortuna. La preoccupazione cominciò a galoppare insieme al mio cuore e ai miei piedi: avevo notato l’assenza preoccupante di ser Gregor Clegane e di Armory Lorch. Quando fui vicino alle stanze personali della principessa Elia era ormai troppo tardi: “Oh Dei Clegane che cosa hai fatto?” Ero sconvolto. Lo trovai in cima alla principessa che ormai era inerme, mi avventai addosso a lui cercando di spostarlo ma era inutile. il suo soprannome non è dato a caso d’altronde. Mi buttò per terra come se non fossi niente e mi scontrai contro il muro, quando cercai di tirarmi su sentii sotto le mie mani qualcosa di viscido e molliccio che mi fece perdere la presa che avevo avuto per poter caricare di nuovo la Montagna, ma quando mi chinai per terra per vedere cos’era. Pensai di non aver mai urlato cosi tanto in vita mia, non mi vergogno ad ammettere che rischiai di vomitare quando cercai di spostarmi da quello che rimaneva del piccolo Aegon. Quando cercai di nuovo di spostare Clegane dalla principessa e quasi ricevendo lo stesso risultato decisi di usare le maniere forti: estrassi la spada e con il pomolo dell’elsa lo colpii brutalmente dietro il collo, vicino alla testa, e come mi aspettai svenne sul colpo. Ovviamente in cima alla principessa. La mia solita fortuna del cazzo oserei dire. Quando riuscii a toglierlo di dosso finalmente credetti di essere arrivato in tempo, almeno per lei, non volevo pesare al piccolo Ageon.  Non posso permettermelo ora. La mia priorità adesso è la principessa e sua figlia, devo proteggerle e… Ora si che potevo davvero piangere, quella bestia ormai si stava scopando il cadavere della bellissima moglie di Rhaegar. Le sfiorai il viso ormai freddo e vidi che il suo sguardo morto, di un nero opaco, era diretto verso il neonato. Era una vista raccapricciante.  La pelle un tempo bronzea, baciata dal sole, ora era di un olivastro malaticcio e gonfia, l’aveva soffocata a morte. Passai una mano tra I suoi folti capelli ricci inchiostrati, come un cielo senza stelle, erano strappati in più punti e… bagnati. Mi ero reso conto solo ora, guardando Clegane, che stava sbavando. Chiusi un attimo gli occhi per poi riaprirli.  Vidi il resto che quella bestia aveva fatto alla dolce principessa: il ricco vestito con i colori rappresentativi della sua casa era strappato in più punti e sporco di sangue, il seno era livido, vi erano rimaste le impronte di quelle gigantesche mani e non solo li.  I suoi fianchi morbidi. Ricoperti di tagli e sangue
misto cervella.  Le cosce. Potevo intravedere dei morsi, sotto il sangue rappreso, che le era uscito dalla sua vagina durante quell’orrendo abuso. Nemmeno le sue sottili caviglie si erano salvate, spezzate entrambe. Forse per evitare che potesse scappare, si come se avesse potuto fare qualcosa dopo aver visto il proprio figlio lanciato contro un muro. Le braccia erano posizionate in un angolatura strana, innaturale. La nausea mi colse preparato, dopo la vista raccapricciante del neonato, quando intravidi un osso del suo avambraccio uscire.   Mi permisi di far scendere una sola lacrima che andò a macchiare il suo viso, le chiusi gli occhi e pregai, per la prima volta da quando era morta mia madre, mi permisi di una preghiera verso i sette dei, in particolare mi rivolsi al Padre per poter portare giustizia alla madre e al suo bambino. Mentre stavo finendo la preghiera sentii la voce velenosa di Lorch: “Esci fuori principessina, presto ti ricongiungerai con la tua famiglia!” In quel momento focalizzai che avevo ancora una possibilità. La principessa Rhaenys è ancora viva! Mi alzai e mi diressi velocemente alla porta, ma prima di uscire guardai un ultima volta il macabro spettacolo che Clegane aveva fatto e in quel momento feci un voto alla moglie di Rhaegar: “Lo giuro sugli antichi e nuovi dei Principessa, che proteggerò e custodirò con la mia vita vostra figlia, la principessa Rhaenys” Dopo che finì di pronunciare la frase mi diressi dove ancora sentivo l’altro sgherro di mio padre. Lo vidi con la coda dell’occhio mentre entrava dentro la stanza del principe Rhaegar, mi avvicinai lentamente e quando raggiunsi la porta sentì uno strillo insieme ad una maledizione di Lorch entrai di soppiatto nella stanza con la spada in mano e riuscii a colpirlo in tempo prima che affondasse la lama dentro il piccolo corpo della bambina che stava piangendo in modo convulso. Non aspettai nemmeno che cadesse per terra, corsi da lei mentre si stava ancora ritraendo dal corpo esanime del suo assalitore, non si accorse di me finché non mi inginocchiai accanto e la sfiorai con una delle dita che non era sporco delle cervella di suo fratello minore. Era rannicchiata come un gomitolo vicino al letto del principe Rhaegar, tremava e singhiozzava violentemente, troppo per il suo corpo così esile. I suoi capelli d’ebano erano un po’ impolverati e scendevano come una tenda davanti al suo viso caramellato, così simile a quello della sua defunta madre, che lo teneva nascosto insieme alle sue ginocchia, escoriate e nodose. Quando mi vide i suo occhi d’ametista si allargarono ancora di più del solito, per un attimo, credetti che avrebbe pianto ancora più forte e sarebbe scappata, ma invece fece qualcosa che non  mi sarei mai aspettato: mi si gettò addosso e mi abbracciò con una disperazione e paura che quasi mi tolse il fiato. Dopo il momento di spaesamento ricambiai con forza il suo abbraccio: “Va tutto bene principessa, ora è tutto finito, siete al sicuro” ____________________________________________________ Da quando l’avevo trovata non mi si era staccata dal fianco, all’inizio dovetti faticare a convincerla a lasciarmi andare dall’abbraccio; quando ci riuscii, mi si attaccò al pantalone come una cozza allo scoglio. Ovviamente una cozza molto carina. Era così piccola, tanto che mentre camminavamo riuscii a tenerla nascosta sotto il mio mantello. Ovviamente non potevo portarla fuori dalla fortezza con i suoi vestiti da principessa, quindi quando raggiungemmo le cucine, fortunatamente deserte, mi spogliai tenendomi solo la maglia di cotta e il pantalone in pelle con gli stivali, posai li anche la mia spada. Dovetti lottare una seconda volta per convincerla a nascondersi dentro una dispensa mente io andavo a cercare dei vestiti più umili da poterle dare. Ovviamente non erano gli unici abiti che dovevo cercare, la mia corazza era fin troppo distintiva insieme anche ai miei capelli.
Devo assolutamente trovare una soluzione e anche in fretta se voglio portarla via sana e salva! Fortunatamente i miei vestiti furono rapidi da trovare, mi tolsi quello che mi rimaneva, tranne la mia biancheria intima, per poi mettermi un paio di pantaloni neri consumati sulle ginocchia, una maglia bianco sporco che anche questa aveva visto giorni migliori insieme a un gilè in pelle che mi fasciava il mio busto magro, meno male che c’era visto che la maglia era enorme, infine mi annodai un fazzoletto intorno alla gola che era rosso sangue.  Quelli per Rhaenys erano tutto un altro paio di maniche: stavo spiando all’interno dell’ennesima stanza, per controllare se c’era qualcuno, quando mi sentii tirare il pantalone. Ci mancò poco che non colpissi con un calcio la stessa bambina a cui avevo detto di rimanere nascosta dento una dispensa nelle cucine! “Siete impazzita? Ho quasi rischiato di colpirvi principessa! Vi prego non fatelo più, e poi non vi avevo detto che non dovevate allontanarvi da lì?” Quando finì il mio sfogo vidi che la piccola aveva abbassato la testa abbattuta. Dannazione, non so trattare con i bambini! Ed ora cosa faccio? Maledizione pensa Jaime. Solo in quel momento mi resi conto che la ragazzina aveva tra le mani un tessuto di qualche tipo. Forse me lo voleva solo far vedere. Sospirai, chinandomi con due dita le feci tirare su la testa per poterla guardare nei suoi occhi violacei, simili, se non identici a quelli di suo padre Rhaegar. “Che cosa avete trovato vostra grazia, Posso vedere?” A quanto pare si era dimenticata dell’oggetto che mi voleva far vedere, la sorpresa le illuminò il piccolo viso e nella foga del momento quasi lo presi in faccia: “Hey, hey piano vostra grazia, non c’è bisogno di cavarmi gli occhi con le vostre piccole dita affilate” Grondavo di sarcasmo, e la bambina nel suo lampo di felicità non ci fece nemmeno caso. Con una smorfia le afferrai il pezzo di stoffa e quando lo aprii capì immediatamente perché fosse cosi felice. Era il famoso vestito che le stavo cercando. Per gli dei dove cazzo lo ha trovato il marmocchio?! L’ho cercato fino ad ora! “Molto brava, ma ora non abbiamo tempo dovete cambiarvi il vestito così possiamo andarcene, forza” Mi tirai su la presi per il polso e, guardandomi freneticamente in giro la tirai di nuovo verso le cucine. Peccato che, quando entrammo non eravamo da soli. C’erano tre soldati, ed erano tutti di mio padre. Cazzo! Mi nascosi subito dietro dei barili, trascinandomela dietro. Quasi me la lanciavo addosso. Le tappai efficacemente la bocca, per evitare rumori sospetti, quando fui sicuro che non avrebbe fiatato le tolsi lentamente la mano dalla bocca e la girai tra le mie gambe. Ma quando lo feci mi ritrovai subito con i suoi capelli in bocca: “Oh no, assolutamente no! Questo non è il momento delle lacrime, e nemmeno degli abbracci” Odio quando le femmine in mancanza d’altro si metto a piangere, o ad abbracciare come se stessimo per morire, non lo sopporto! “Ora ascoltatemi, ascoltami!- Le diedi un piccolo strattone per farla riprendere mentre le stavo bisbigliando con foga- Ora io andrò di là e affronterò i soldati, nel frattempo voi rimanete qui e vi cambierete così dopo che li avrò sistemati potremo uscire da questo buco di città.” Già mentre le stavo spiegando che sarei andato ad affrontare le guardie cercò di nuovo di abbracciarmi   “E mi raccomando niente, e dico niente lacrime, mi sono spiegato? Ora silenzio.” Ovviamente la bambina cercò di convincermi con i suoi lacrimosi occhi lilla, che ad essere sincero sembravano ancora più vistosi e inquietantemente grandi, stava continuando a fare degli strani gesti a cui non diedi molto peso. Dio come sono ridotto? Dovrebbe almeno smettere di smoccolare che schifo; se non fossi certo che è la stessa figlia del principe d’argento metterei fine io stesso alla sua miserabile vita. Ma ho fatto un voto a sua madre: proteggere con la mia vita questa femmina piagnucolosa. La spintonai di lato con molta poca grazia e mi avvicinai di soppiatto verso le tre guardie, posai la mia mano destra
sul mio fianco per prendere la spada e… e non riuscii ha sentirla. Ma che cazzo! Mi buttai sotto il tavolone principale e guardai alla mia vita dove ci doveva essere la mia spada e quando non vidi nulla, nemmeno il mio fodero, rimasi a fissare il vuoto per qualche secondo. Maledizione ecco cosa stava cercando di dirmi la ragazzina! Dove l’avrò lasciata per i sette inferi?! Solo per poi venire bruscamente interrotto da delle voci: “Hey ragazzi guardate un po’ che ho trovato” Erano le guardie Lannister, per un attimo pensai che avevano trovato la principessa ma poi mi resi conto che se fosse successo mi sarebbero dovuti passare davanti, quindi l’unica cosa che potevano aver trovato era: “Ma questa è l’armatura di una guardia reale! La riconosco per il mantello bianco, porca puttana ragazzi, guardate qua” Non osavo affacciarmi per vedere la triste verità, avevano sia la mia armatura che la mia spada.
Devo andare a fanculo, come minimo deve esistere un girone dell’inferno per quei poveri coglioni come me che lasciano in giro le proprie armi! Se non facesse troppo rumore, avrei voluto sbattere la testa da qualche parte. Mi presi la testa tra le mani: Pensa Jaime devi trovare una soluzione, forza, sei o no il Leone Dorato di Castel Granito? Nella mia disperazione quasi non mi accorsi che qualcosa mi era scivolato nella mia direzione, un coltello. Lo presi e alzai lo sguardo, era Rhaenys che da dietro le botti dove le avevo detto di non muoversi mi sorrideva incoraggiante con il viso ancora sporco di lacrime e con il vestito che aveva trovato, anche se messo malissimo. Quella piccola sfacciata mi sta dando il pollice in su come incoraggiamento. Le feci un ghigno e poi presi un respiro profondo, prima di partire alla carica però mi venne in mente una cosa: Che cazzo io sono Jaime Lannister il figlio di Tywin Lannister lord di Castel Granito e blah blah blah, io sono un loro diretto superiore! Con un piano in mente mi affacciai per vedere cosa stavano facendo e li vidi ancora intorno alla mia armatura e spada. Bene era il mio momento, mi tirai su e con tutta la strafottenza ed arroganza che potevo possedere mi avvicinai rapidamente: “Hey cosa state pensando di fare con la mia armatura? Non avete altro da fare?” I tre soldati subito estrassero le loro spade e si girarono verso di me, quello più vicino mi puntò la lama sotto il mento e mi fermai, anche se continuavo a fissarlo negli occhi con un sorrisetto mi sporsi infilzandomi leggermente con la spada che avevo rivolto alla gola una goccia di sangue: “Non vi conviene ferire l’erede di Castel Granito” “E noi come facciamo a sapere che sei davvero tu e non un qualche contadino che cerca di farsi passare per ser Jaime?” “Guardami bene in faccia, tu cosa ne pensi?” I soldati si guardarono per un momento distogliendo l’attenzione da me abbastanza da riuscire ad afferrare la mia spada, fortunatamente lì vicino dentro al suo fodero, tra le mani del soldato che mi stava puntando l’arma alla gola. Fu una cosa rapida disarmarli, erano rimasti allibiti e poi sbiancarono quando capirono che lui era davvero chi diceva di essere: “Ci dispiace Ser non vi avevamo riconosciuto vestito in questo modo, vero ragazzi?” “si si assolutamente Ser Jaime” “Vi prego scusateci Ser” I tre soldati stavano implorando pietà. Sono così rumorosi, non posso permettere che vengano a sapere che Rhaenys è ancora viva, quindi… La sua smorfia si allargò in un sorriso sinistro: “Vedete io vi perdonerei anche ma… non ne ho voglia” Con efficiente rapidità uccisi i primi due, un colpo netto alla gola i primo e una pugnalata al secondo. Il terzo da bravo coniglio che era stava scappando ma fortunatamente la mia piccola principessa mi aveva dato l’arma giusta, per cui afferrai il coltello per la lama e la lanciai a tutta forza contro il vigliacco che scappava. “In più avete anche insudiciato la mia armatura e per questo non faccio sconti a nessuno” Sistemati i tre omuncoli, mi ripresi il fodero della mia spada e me la allacciai ben stretta intorno alla vita. Mai più una dimenticanza del genere coglione, sei tu l’adulto che deve risolvere i problemi, non la bambina. Rinfoderai con soddisfazione la spada e mi diressi verso i barili dove si nascondeva il suo piccolo Drago del Sole. “Mi piace quando mi ascoltate principessa” Era dove l’avevo lasciata, con l’aggiunta che si era tappata le orecchie e si era rannicchiata nascondendo il viso tra le sue gambe. Ovviamente non si ascoltava, usai la tecnica di prima: mi inginocchiai e con due dita le sfiorai la guancia. Alzò subito la testa e mi abbracciò con un sorriso. Le diedi anche io una stretta e poi la tirai su con me, vidi subito però che il vestito che si era messa era troppo grande per lei e anche se cercai di darle una aggiustata sembrava lo stesso come se ci navigasse dentro. Non mi interessava, l’importante è che non assomigli ad una principessa ed io a un  cavaliere, cosa che per me era andata più che bene. Mi avvicinai dove c’era la mia
vecchia armatura e rimasi a fissarla. Non sapevo cosa fare.  Quegli idioti non l’avevano riconosciuta ma sicuramente Padre lo avrebbe fatto. Ero l’unico della guardia reale ad averla dorata e per di più l’unica che era rimasta ad Approdo del Re. Quando troveranno il suo cadavere capiranno cosa è successo, o che comunque non ho fatto il mio lavoro. E con la mia scomparsa sarei diventato un  traditore.
Dannazione cosa faccio? Non voglio perdere Cersei, il mio amore, l’altra metà di me. Potrei rimanere, sicuramente padre troverà un modo per salvarmi la vita. In quel momento sentì dei piccoli strattoni ai pantaloni, stavo cominciando ad abituarmici. Abbassai lo sguardo e vidi la bambina che mi sorrideva mentre cercava di arrampicarsi su per le mie gambe, con scarso risultato oserei dire, per attirare la mia attenzione. Ora che lo notavo, dopo quello strillo che ha emesso quando Lorch aveva cercato di ucciderla non avevo più sentito la sua voce. D’altro canto ho fatto un giuramento sul cadavere della principessa Elia, cazzo se non me ne vado nessuno si prenderà cura della piccola Rhaenys, cosa le potrebbe succedere? No. Per una volta non posso pensare a me. Non sono solo, la bambina dipende da me, è una mia responsabilità. Non posso infrangere un altro giuramento. D’altro canto se la portassi dalla regina Rhaella la posso dare a lei e poi ritornare da Cersei, a casa mia. In tutto il mio rimuginare la principessa non aveva smesso di provare ad arrampicarsi e a questo punto rischiai persino che mi facesse perdere i pantaloni. Con quel imput la bloccai le la tirai su sistemandola accanto all’armatura, mi strinsi meglio le mie braghe e andai alla ricerca di due mantelli, che fortunatamente non impiegai troppo a trovare. Quando tornai trovai Rhaenys con il mio elmo in testa e i guanti addosso mentre cercava di inserirsi da sola la corazza. Era veramente ridicola e se non rischiassimo costantemente di essere scoperti proverei a farle un  disegno per poterla ricattare in futuro. Ma purtroppo non ero bravo a disegnare e non avevamo tempo. “Siete una bambina fortunata principessa, ma cercherò di non dimenticarmi questa scena, almeno avrò qualcosa con cui prendervi in giro in futuro” Risi mentre la bambina si spaventava e cercava di uscire dalla corazza dove, a quanto pare, si era incastrata. Appoggiai i mantelli vicino e sollevai la piastra dorata con una mano mentre con l’altra la presi per la collottola del vestito e la tirai fuori con l’elmo e i guanti ancora ben saldi. Cercò di nascondersi dentro il casco a forma di leone ma quando la posai glielo sfilai rapidamente, i suoi gonfi riccioli neri caddero a cascata sulle sue piccole spalle. Sembra un leoncino nero. Ovviamente non persi tempo le arruffai i capelli in cambio ricevetti una piccola e tranquilla risata: “Ah ha! Allora ce l’avete la voce” Tra una risata e l’altra le misi il mantello, anche questo come il vestito le era enorme. Dopo che lo indossai anche io la presi in braccio le feci cenno di fare silenzio e ci incamminammo verso l’uscita dei servitori. Mi guardai un ultima volta indietro: dell’armatura alla fine presi solo i guanti e l’elmo, li misi dentro un sacco che mi legai dietro la schiena mettendolo sotto il mantello. Chi sono io per toglierle quello che le piace? Non avrà molti sfizi purtroppo o non riusciremo a passare inosservati. Ti amo Cersei, non dimenticarlo, cerca di capirmi ti prego. Ritornerò presto. ____________________________________________________ Approdo del Re, fuori dalla Fortezza Rossa. Se dentro sembrava un cimitero, fuori sembrava di essere dentro uno dei sette inferi. Strinsi il corpo di Rhaenys e le feci nascondere il viso dentro il mantello per non farle vedere la distruzione e la morte che c’era intorno. Tenendola co un braccio solo, con l’altro impugnavo saldamente la spada e mi diressi verso l’uscita della Fortezza. Ci nascondemmo la maggior parte delle volte e quando arrivammo al cancello feci una corsetta per poi ritrovarci in mezzo alle urla, fuoco, sangue e morte. Se credevo che solo la fortezza fosse piena di morti innocenti, beh mi sbagliavo di grosso. Cercando di non attirare l’attenzione di nessuno rinfoderai la spada e tirai su i cappucci di entrambi i mantelli. Mi allontanai appena in tempo per vedere un gruppo di soldati capitanati da mio padre entrare con calma dentro la Fortezza Rossa, nascosto nell’ombra rimasi a guardarlo un ultima volta: lì svettava orgoglioso il Vecchio Leone, nella sua armatura dorata con
il mantello rosso sopra il suo cavallo bianco, sembrava una versione grottesca dei cavalieri delle canzoni che alle volte sentivo mia sorella leggere, anche se lei non lo sapeva. Sulla sua candida cavalcatura, sporcata dagli schizzi di sangue dei suoi nemici, risultava ancora più alto di quello che già era. Nascosto sotto l’elmo sapevo esserci un volto arcigno, il suo sguardo verde spietato nei confronti dei suoi nemici ma anche alleati, per la sua stessa famiglia.  Non ci ha mai dato un sorriso; ne a me o a Cersei, men che meno al mio caro fratellino, Tyrion. Spero tu possa stare bene anche senza di me, fratello mio. Zio Kevan una volta ci disse che con la morte di nostra madre sparì anche quella poca felicità che custodiva dentro di se. Per un attimo però i nostri sguardi si incrociarono, credetti che mi avesse riconosciuto ma invece tirò dritto per la sua strada, orgoglioso di quello che aveva fatto. Anche la principessa si girò per guardare tutti quei soldati entrare dento quella che reputava casa sua e la sentii stringere a pugno la maglia. Quando me ne accorsi era ormai tardi, era scoppiata in un pianto inconsolabile e dopo quel famoso urlo, parlò per la prima volta. “Madre… m-madre, vo-voglio mia m-madre per f-avore… e- e il m-mio f-ratellino, d-dove so-ono?” Non sapevo come dirglielo. Come faccio a dire a una bambina che ha perso tutto? La sua casa, sua madre e suo fratello, tutto quello che conosce? Non lo so. “Sono morti principessa; mi dispiace, non sono riuscito a salvarli” “E e padre? L-lui dove si t-rova?” “è in guerra, non so se è vivo però” “Q-quindi sono s-s-ola” Il silenzio dopo quell’ultima frase era angosciante, non sapevo come consolarla, non avevo idea di come ci si sente  ad essere completamente soli, non mi era mai capitato.  Ho sempre avuto Cersei con me, non ho mai dovuto conoscere quel sentimento dilaniante. Ci allontanammo dal posto, era troppo pericoloso rimanere nei paraggi e con mio padre ora nella fortezza non ci sarebbe voluto molto prima che si venisse a sapere della morte del re e della famiglia reale. Quando arrivammo all’uscita di Approdo del Re ormai era giorno. I fuochi che si erano accesi durante la notte si erano spenti ed ora regnava una pace quasi spettrale. Ci dirigemmo verso le stalle nella speranza che ci fosse almeno un cavallo per poter rendere la nostra fuga più sicura, e per fortuna qualcuno lassù ci deve aver sentito. Posai la principessa per terra, ma non vi fu lo slancio che mi aspettavo, niente abbracci o pianti. Nulla:   “Ora ascoltatemi bene ok? Vado a rubare un cavallo voi aspettatemi qua fuori d’accordo?” Non ricevetti nessuna risposta, la cosa ora cominciava a spaventarmi e anche a seccarmi. Così non va, ora che cazzo le prende per gli dei?! Oh… capisco. Tirai un sospiro e mi inginocchiai difronte a lei, le tirai su il mento e la guardai negli occhi. Erano vuoti, non vi era più vita. “Ora ascoltami bene ragazzina, tua madre è morta insieme a tuo fratello, forse anche vostro padre, ma la famiglia non è solo quella, forse hai ancora qualcuno che ti aspetta ma tu non te ne rendi conto. La regina Rhaella, tua nonna, insieme a tuo zio sono ancora vivi a Roccia del Drago, e se non sbaglio era anche incinta l’ultima volta che ne avevo sentito qualcosa. Quindi non è vero che siete da sola, avete ancora qualcuno da cui andare, se no ci sono sempre io; non vi basto principessa? Ho perso tutto per mantenervi al sicuro e se pensate che vi possa mollare da qualche parte non avete capito proprio niente, è chiaro? Dove andate voi io sarò sempre dietro a guardarvi le spalle e poi… of” Non riuscii a finire la frase che la bambina mi saltò addosso facendomi cadere per terra. La strinsi forte e le feci il solletico sul fianco che la fece ridere, le diedi ancora una stretta e la spostai per rimettermi in piedi. Mi spolverai i pantaloni e dando un ultima scompigliata ai capelli di Rhaenys mi diressi verso la stalla. Quando uscii da lì con un cavallo la bambina mi corse subito incontro, anche se ad un certo punto si ingambò nel vestito facendola ruzzolare per terra,
scoppiai a ridere e presto si unì anche lei. Si tirò di nuovo su e con una nuova determinazione nel suo viso abbronzato corse con più calma e soprattutto ricordandosi di tirare su il vestito arrivò da me e per dispetto si aggrappò al pantalone. “Forza in sella principessa, il viaggio sarà lungo ed impervio per arrivare da vostra nonna” La sistemai sulla sella e poi salì dopo di lei prendendo le briglie con una mano mentre con l’altra la tenendola ben salda in cima al cavallo. Ci manca solo che mi voli durante la galoppata. Fu così che il nostro viaggio inizia.  _________________________________________ Approdo del Re, Sala del Trono, Fortezza Rossa. “Lui dov’è? Dove si trova mio figlio?” Quella fu la prima cosa che chiese lord Tywin Lannister appena vide il cadavere del re e di un altro uomo di cui non era interessato a sapere il nome.  Non distolse nemmeno gli occhi dai cadaveri mentre una guardia si faceva avanti terrorizzato. Non provava niente se non una cupa soddisfazione nel vedere quel pazzo morto. Era cambiato dall’ultima volta che lo aveva visto, d’altronde erano passati anni.  Del bellissimo uomo che aveva conquistato molti cuori con la sua classica bellezza valiriana non era rimasto più nulla. Andato il suo corpo atletico, quello che ne rimaneva era un mucchio di ossa tenute insieme da un sottile strato di muscoli e pelle, da quello che il Gran Maestro Pycelle gli aveva detto non mangiava più regolarmente per paura del veleno che poteva trovare nel cibo. I suoi capelli lunari erano diventati una massa informe che gli arrivava alla vita insieme alla barba, le sue unghie, se prima erano curate e venivano tagliate regolarmente insieme ai capelli, erano diventati degli artigli, lunghe quasi un piede, avevano persino cominciato ad arricciarsi. Pensare che aveva compiuto da poco quarant’anni.  Un soldato di cui non sapeva il nome si fece notare distogliendo la sua attenzione dal cadavere. “N-non lo sappiamo signore, alcuni lo hanno visto mentre si dirigeva verso le stanze della famiglia reale, ma non abbiamo trovato n-niente mio signore.” “E dei bambini reali? Almeno di quello ne sapete qualcosa?” La sua domanda grondava di sarcasmo, cosa che mise ancora di più a disagio la guardia: “Abbiamo trovato ser Clegane svenuto nelle camere della principessa Elia, lei era morta insieme al bambino, Aegon mio signore, signore.” “E della principessa Rhaenys invece?” Il soldato stava cominciando a sudare, provò a vedere se qualcosa li intorno poteva venire in aiuto ma non trovò nulla. “Ti ho fatto una domanda soldato, la principessa, che fine ha fatto?” “N- nessuno l’ha vista mio signore, sembra sparita” “Sparita? Dove si trova Ser Armory Lorch? Era lui quello incaricato a toglierla di mezzo” “Morto, mio signore” A quella risposta il vecchio leone tirò su la testa e si girò verso il povero malcapitato che dovette fargli rapporto: “Ricapitoliamo: la principessa Elia e suo figlio Aegon sono morti insieme al re, ma non riuscite a trovare mio figlio Jaime e la principessa Rhaenys? È corretto?” Ad ogni frase faceva un passo avanti finché non si ritrovò ad un palmo dal viso del soldato: “S-si mio signore” “Come è…” “Mio signore c’è ser Gregor Cle… ” Un servitore si affacciò dalla porta della sala ma non fece in tempo a finire la frase che venne scaraventato brutalmente contro un muro, da dove non si rialzò, probabilmente morto. Ovviamente il responsabile era La Montagna: “Togliti dai piedi! Mio signore, missione compiuta” “Compiuta? La principessa è ancora viva ed è sparita dal castello, come è possibile che una bambina di quattro anni sia riuscita ad uccidere Lorch e a sparire? Voi dove eravate in tutto ciò Ser Gregor?” “Qualcuno mi ha colpito dopo che ho ucciso la cagna del drago e il suo moccioso mio signore, se non mi sbaglio era vostro figlio, l’ho sentito urlare e ha cercato di proteggerla poi mi ha colpito” In quel momento entrò un altro soldato che stava portando una corazza dorata estremamente famigliare per Tywin insieme ad un vestito. “Li ho trovati nelle cucine mio signore insieme a tre dei nostri
uomini morti”
Prendendo un respiro profondo si allontanò dai suoi uomini e si avvicinò al trono di spade. Non era più imponente come quando lo aveva desiderato per poterlo avere per se e la sua famiglia. Quando era il Primo cavaliere di Aerys lo aveva anelato come l’aria alcune volte, ma poi aveva notato quello che stava facendo al Re, del principio di pazzia e degli sguardi che lanciava alla sua amata cugina Joanna, la sua dolce e bellissima moglie, dalla chioma dorata come l’oro e dai occhi verdi come i boschi che circondano Castel Granito.  Del matrimonio infelice tra il re e la regina consorte; Pycelle gli aveva confermato degli stupri che la sorella- moglie ormai subiva regolarmente dopo che la pazzia era esplosa definitivamente.  Se prima per lui il trono aveva rappresentato il potere di governare i sette regni, ora lo vedeva per quello che era davvero: una orrenda sedia scomoda. Non lo desiderava più, poteva ottenerlo in altri modi e il suo essere stato la mano del re glielo aveva fatto capire, perfettamente.  Ma ora doveva prendere una decisione e in fretta anche, a giorni sarebbero arrivati Robert e i suoi uomini e doveva trovare una soluzione per il casino che suo figlio aveva creato: “Fate sparire l’armatura, quello che sapete su mio erede non deve venirlo a sapere nessuno sono stato chiaro? Voi andate a cercare una bambina che assomigli alla principessa, quando la trovi falle indossare il vestito e uccidila, se puoi cerca di renderla irriconoscibile chiaro?” “Si mio signore!” Il soldato con l’armatura fece un inchino ed usci dalla porta, nel frattempo si rivolse alla Montagna e al ragazzo che gli aveva dato il rapporto: “Sono sicuro che quello che ci siamo detti qua non lo verrà a sapere nessuno sono stato chiaro? Ser Gregor per favore accertatene, poi trova un gruppo di uomini scelti e vai a cercare mio figlio lo rivoglio vivo e integro sono chiaro?” “Con molto piacere mio signore” A quella fase non diede nemmeno il tempo di reagire alla povera guardia che lo uccise brutalmente a mani nude. Il vecchio leone rimase a guardare la sala del trono dopo che Clegane se ne andò, diede un ultima occhiata indifferente al cadavere del re. Si girò e uscì, qualcuno avrebbe ripulito tutto per fare spazio al nuovo futuro re e, si spera a sua figlia come prossima regina.
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110daysofwriting · 7 years ago
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Day 2, 1350 words
L'aria condizionata sparata addosso a Luglio sa di modernità e amarezza. Non è una vera soluzione al problema della calura, ma solo una specie di sollievo temporaneo (e dispendioso) a un qualcosa di incontrollabile. Ma la si accende lo stesso, perché il sudore dà fastidio, e quella sensazione di calore diffusa su tutto il corpo è insopportabile. È come stare dentro a un forno. Ecco come si sentono le pizze.
Una cosa bella di Luglio, però, è che nessuno ha voglia di prendere nulla sul serio: la gente è così impegnata a tentare di godersi ogni momento di estate che non fa caso ai problemi, agli imprevisti, ai disturbi... sempre che non si parli del vicino di ombrellone che tiene la musica alta. Quello se lo merita un vaffanculo, eccome se se lo merita. Esistono gli auricolari.
Però per quanto riguarda il bus in ritardo, le chiavi della macchina dimenticate a casa o l'aver decisamente esagerato a ordinare mozzarella stick al ristorante, finendo per buttare settanta euro in una sola sera, per quello non c'è da preoccuparsi. È come se tutti si trattenessero con forza dall'innervosirsi, come se fosse il mese zen, il mese in cui non fa niente se si ha speso una fortuna al biliardino perché gli altri non avevano spicci appresso, tanto domani è un'altra giornata di sole! Ci si abbronza anche solo andando a comprare il latte, per la miseria, di cosa ci si dovrebbe preoccupare?
C'è una sola, grande, immensa preoccupazione che divide a metà l'estate, e capita proprio a metà Luglio, il secondo sabato del mese, sul lungomare: la caccia ai gechi.
I gechi sono creature curiose ma timide, piccoli rettili muniti di ventose e vispi occhietti neri capaci di scrutare il buio, golosi di moschini e zanzare. Come mai si sia andata creando questa peculiare tradizione nel corso degli anni, e perché mai proprio sul lungomare, non ne ho idea, so solo che è uno spasso. C'è da specificare che nessuno, nessuno, di coloro che partecipa alla caccia lo fa per fare del male alle creaturine in questione, anzi! Alla fine della serata, quando il sole inizia a fare capolino dall'orizzonte sfumato, si seminano gustosi insettini nei pressi degli interstizi dove si suppone i gechi abbiano la loro tana e si evita la zona per dar loro modo di riabituarsi all'ambiente, divenuto drasticamente ostile tutto in una volta. E chi dovesse per qualche malaugurata coincidenza fare del male ad un geco, non solo verrebbe subito squalificato dalla caccia, ma dovrebbe anche rimediare all'errore, portando il piccolo rettile alla Clinica per Gechi, aperta solo ed esclusivamente quella notte. Edificio fatiscente per il resto dell'anno.
Ricordo un Luglio in particolare in cui i partecipanti alla caccia erano piu presi del solito dall'evento: c'era chi si era preparato tutto l'anno delle strategie minuziose e di dubbia praticità, chi aveva ideato una melodia per flauto "cattura gechi" ispirandosi al pifferaio magico, addirittura era sbucato un tizio che, convintissimo, continuava ad affermare che travestito da geco avrebbe attirato l'attenzione delle femmine dei suddetti rettili e che non avrebbe nemmeno avuto bisogno di catturarle, poiché gli sarebbero salite di loro spontanea volontà addosso. Io, dal canto mio, avrei avuto parecchio da dire a riguardo, ma piuttosto avevo optato per la soluzione migliore: farmi i cazzi miei. Forse così camperò cent'anni.
Insomma, il tipo si era effettivamente presentato con un enorme costume da geco, invidia dei cosplayer, fatto proprio bene e pieno di particolari, e per tutta la notte se n'era andato a zonzo per il lungomare camminando di soppiatto e spiando nelle fessure dei muri. Non so quanto poi sia riuscito a conquistare le signore gechesse.
Le case di fronte al lungomare, per quella notte, sono lasciate vuote e prive di oggetti pericolosi e/o preziosi, così da consentire una caccia approfondita in ogni angolo della zona. Anche perché i proprietari di quelle case non si sognerebbero mai di perdere l'occasione di mettersi in mostra, essendo tipi alquanto benestanti, e di spiare i propri vicini.
La caccia dura un totale di nove ore, esclusa l'ora in cui la giuria di esperti in rettili, di cui per qualche strano motivo fa parte anche il sindaco, che dubito si intenda di gechi, si riunisce per decretare i vincitori. Le categorie sono divise in: maggioranza di gechi catturati, strategia di cattura più efficace, strategia più creativa, cattura più eclatante ed il premio bonus per chi riesce a prendere il Re Geco. Il Re Geco, lungi dall'essere una leggenda, è un grande, anziano gecone che abita una delle case più grandi. Ha una specie di cornino sulla sommità del capo e tante piccole macchie scure sparse sul dorso beige e, ogni anno, qualcuno riesce a catturarlo. La mia teoria è che si lasci catturare di proposito perché in qualche modo giova alla sua fama di re, anche se ancora non ho capito come.
Si può decidere di dividersi in squadre o di stare da soli, si possono usare trappole (purché innocue) ma la regola più importante e perentoria è il silenzio. Non si deve emettere un solo fiato che non siano sospiri esasperati dall'assenza di gechi fino a dopo un paio d'ore circa dall'inizio della caccia, nulla, nemmeno se si riesce a catturare un geco. In quel caso, semplicemente, lo si inserisce nel barattolo apposito munito di coperchio bucherellato e si continua.
Se ci si incrocia fra cacciatori, cosa inevitabile visto il numero di partecipanti, la cosa da fare è continuare a cercare ognuno per conto proprio. Non si possono creare alleanze a caccia iniziata, le eventuali coppie o gruppi devono essere preventivamente comunicati alla giuria al momento dell'iscrizione. Ma veniamo a noi.
Quel Luglio lo rammento non solo per il tizio vestito da geco o per quello che a un certo punto ha dato di matto, si è spogliato correndo a perdifiato verso il mare urlando "sono un mollusco mamma, sto arrivando" ed è sparito nel nulla. Il motivo principale per cui mi è rimasto tanto impresso è stato che a caccia inoltrata, quando i concorrenti già erano persi nei loro piani, è successo qualcosa di mai visto prima nella storia della caccia ai gechi: è apparso un altro Re Geco. O un Re Geco di un altro regno che forse aveva tendenze espansionistiche. Fatto sta che i due rettili si sono messi a litigare furiosi su di un muro, il tutto al chiaro di luna, il che ha aumentato la drammaticità della situazione, e che i giudici sono stati costretti ad interrompere la competizione per assistere collettivamente alla vicenda. Dopo circa una mezz'ora di scannamenti vari, il Re Geco ufficiale si è confermato vincitore, rispedendo l'altro geco che, devo ammettere, era persino più massiccio di lui, da dovunque fosse uscito fuori. Per quanto poi, più tardi, in parecchi abbiano setacciato la zona della sua sparizione, nessuno riuscì a trovarlo.
Avendo trascorso una mezz'ora a guardare il wrestling fra gechi, e persosi ormai il ritmo della gara, non era rimasto altro da fare se non aspettare insieme l'alba in spiaggia, annullando quindi l'esito della caccia e dividendo i vari premi fra i partecipanti. Tutti vincitori per una volta.
I premi in palio erano di vario genere, fatta eccezione per delle somme di denaro: c'erano un paio di smartphone, un aspirapolvere (che nel tempo ho rivalutato come premio), un materassino gonfiabile a forma di banana e, fra le altre cose, un condizionatore. Che quella sera spettò a me. Da quel momento ho potuto fare a meno dello scheletro di ventilatore polveroso e più rumoroso di un treno merci che sferraglia all'una di notte svegliandoti di soprassalto che mi aveva accompagnato nelle innumerevoli notti-forno precedenti a quella. Grazie, caccia ai gechi. E grazie match fra gechi. Non mi stava andando poi così bene.
E a pensarci, se devo dire la mia, a me manco piace l'estate. Direi che mi ci voleva almeno un condizionatore per sopravvivere meglio. Magari una parte della mia anima esasperata dalla calura si è incarnata nel Re Geco nemico ed è andato a battersi per guadagnarmi l'elettrodomestico! Ma questa è un'altra potenziale storia.
Buona calura a tutti.
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emilianovsiciliani-blog · 5 years ago
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Amore e cliché
-1- Si dice che gli scrittori lavorino di notte. Probabilmente è un cliché. Eppure stanotte a New York c'è qualcuno che scrive. Sua moglie dorme con la luce accesa nella vana attesa di lui. Anzi, sonnecchia. Perché ogni tanto lo chiama a letto. "Hank! Hank, vieni. È tardi". "Arrivo!" gli risponde lui, ma disattende più volte la sua promessa, fino a che non decide e si allaccia la vestaglia bucata da un sigaretta di una notte qualunque a Manhattan. Manhattan è piena di notti qualunque, almeno tanto di quelle straordinarie, in cui ti trovi col cuore spezzato a camminare per la scivolosa strada di un vicolo o nel letto di una pazza che fuma venti sigarette all’ora. "Hank, lo senti questo rumore? È insopportabile!" dice sua moglie. “Domani lo faccio presente all’amministratore” risponde Hank, spegnendo la piccola abatjour stile francese che aveva lasciato accesa preso dal sonno impellente, e che l’aveva vegliato in maniera più amorevole, o almeno costante, di sua moglie. Questa era la loro seconda notte insieme dopo il litigio. Il secondo che li aveva portati lontani per più di un mese. Le cause c’erano e non c’erano; tristi e vaghe come i motivi che li avevano portati a stare insieme. “Bisogna fare qualcosa ora, ci manca che non dormo proprio oggi” sbottò lei. “Vedrai che smetteranno tra poco” disse Hank riaccendendo la luce e cercando il viso voltato di lei… “Hank?!” si girò. “Ok ok, vado io,” sbuffò lui con le mani alzate e le pantofole ancora da mettere, con quella dolcezza delle vecchie copie; lungo i baffi come la striscia bianca del cappuccino. “Ma solo perché domani hai un aereo”. -2- Dopo un qualche girare capì che doveva venire da lì, dall’interno 53. Un porta mai ridipinta, una chiave più volte violata dai ladri. Le smagliature del tempo, le croste dei traslochi, i piccoli segni che la vita si lascia dietro indisturbata e padrona. Non affatto dava l’idea di essere la casa della giovane ragazza pulita che apri la porta; pronta ad uscire a quell’ora della notte. Ci aveva messo ben 20 minuti ad aprire. Disse ad Hank “andiamo!” e lo trascinò riluttante e in pigiama per le scale e poi fuori. Da dentro la casa si sentivano distintamente i rumori di qualcuno che urlava e rompeva suppellettili e oggetti. Ben presto furono lungo il parco. La ragazza non parlava, aveva due occhi truccati e piccolissimi, sembravano guardare tutti in cagnesco. Soprattutto la vita. Hank le chiese cos’erano quei rumori. Non rispose. Le chiese perché c’avesse messo tanto ad uscire. “Mi preparavo” disse. Poi tutto ad un tratto parlò. “Ti va se mangiamo qualcosa?” -3- Il sandwich faceva veramente schifo. Neanche a cercarlo, in tutto New York ne avrebbero trovato uno peggiore. Ne risero per una buona mezz’ora. Gli occhi di lei da foschi brillavano di piccole teste di spillo infondo al pozzo. Rideva con una risata roca. Di chi fuma mille sigarette al giorno, o chi ha avuto mille fidanzati e tutti li ha cacciati urlando. Fecero un lungo giro nel parco prima di tornare. Alla fine, però, fece una cosa che non voleva fare. “Sai che quei rumori devono finire, vero?” disse Hank. “Hai intenzione di denunciarmi?” chiese. “Io no. Ma mia moglie mi costringerà certamente a farlo”. “Vedo che sei un uomo di polso…” disse lei aprendo la porta con le sue chiavi. “Non intendevo dire quello…” “Si dice sempre quello che si intende, chi lo nega si crea solo un alibi per quando vorrà far credere che non l’ha fatto”. “Ah, e mi raccomando” disse lei sorridendo e chiudendo il portone “creati un buon alibi con tua moglie per domani mattina”. “Buona nottata”. Hank cercò le chiavi nella tasca della giacca ma era solo un accappatoio da camera. Si sedette in pigiama a guardare il cielo, che ben presto si fece chiaro. Almeno sua moglie avrebbe volato bene. E sorprendentemente, si sorprese di questo pensiero. -4- Non che stesse spiando, certo. Stava “osservando attentamente l’oggetto del suo interesse”. E il solo peccato che possiamo fargliene, è che questo oggetto non era né la moglie, né Dio, nel il ben più prosaico golf alla televisione. Se anche fosse stato il seno giocondo di qualche ragazza con il reggiseno morbido forse lei glielo avrebbe perdonato. Ma non era quello, e per questo lui aveva aspettato che partisse fra mille battibecchi per la “notte al fresco”, per piantarsi sulle scale e osservare l’interno 53. Entravano uomini distinti. Con portafogli gonfi e grandi cappotti lunghi e scuri. La notte successiva i rumori ricominciarono. Ma aprì sempre lei tutta pronta e lo accompagno lungo il corto parco fino a dove vanno a fare il nido gli innamorati. Piccole coppie di atomi irrazionali, che per lui erano assimilabili più alle scarpe accoppiate che alla metafisica dell’amore. Dolcemente lei glielo fece capire, tanto che lui acconsentì a fare e costruire il loro amore nel letto suo e di sua moglie. Ma l’indomani a trovarla sparita si domando cosa ci fosse di tanto segreto al 53. E poi tanti pensieri così pesanti e così leggeri che non poteva non associare alla metafisica delle scarpe innamorate, o chiamatela come volete. -5- Un uomo distinto entro nel 53. Un ragazzo alto e un po’ picchiatello che non parlava quasi per niente lo fece accomodare. Lei entrò nella stanza in lingerie, cacciò un gridolino. “Hank!” “Si, Hank” disse il ragazzo. “Voleva sapere dei rumori. Gli ho detto.” “Così tuo fratello Ted ha degli attacchi di rabbia?” chiese Hank. “Vattene!” disse lei mettendosi qualcosa di imprecisato addosso e spalancando la porta. “Io volevo solo…l’ho fatto per il tuo bene” disse Hank che si sentiva cacciato in uno scherzo. “Va-te-ne!” gli disse lei. Lui uscì inesorabile. Sparì dalla sua vita, dalla vita in generale; e, a guardarlo negli occhi, fu anche la vita a sparire da lui. -6- Hank salutò John all’aeroporto, insieme a sua moglie. Gli chiese come stava. “Sto bene papà” disse John. E corse in casa a giochicchiare con i tasti della macchina da scrivere. Il padre falsamente preoccupato del nastro gli disse di fare attenzione. Gli sorrise, quello sorrise indietro. Era tutto di nuovo apposto. Sua moglie gli portò una lettera. Lui l’apri pronto a pagare la luce di quella maledetta abatjour che gli dava tutta quella maledetta sicurezza. Era scritta a mano, e macchiata come da uno che non sa scrivere bene. “Sono Ted” diceva solo. “A tua moglie e tuo figlio interesserebbe sapere di lei…?” “Ovviamente ci si può sempre accordare.” Concludeva senza firmare. E “accordare” gli ricordò, per un attimo, un violoncello che aveva visto ad una serata jazz nel parco. Non riuscivano a farlo suonare. Ora troppo alto, ora troppo basso. E così è la vita, si rattristò. Se un giorno si potesse trovare la serenità cosa ne faremmo? Non sapeva perché, ma cercò il vecchio venditori di sandwich schifosi, ma non lo trovò. Ma la tristezza nasconde, non ruba,
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