Doppio post mortem di Pulse Wave: Revenge e Global Game Jam 2017 a Torino
Questo è un doppio post mortem perché parla sia della GGJ17 di Torino in generale, sia del gioco che ho fatto presentandomi, quest’anno, in duplice veste di organizzatore e jammer.
Ho provato a essere breve.
Ho fallito!
Nuovo luogo, nuovo inizio
Quarta edizione a Torino.
Prima volta in Toolbox Coworking.
Perché dove abbiamo fatto le prime tre edizioni non ci stavamo più.
Siamo cresciuti tanto in questi anni, passando dai poco più di 70 della prima jam a più di 180 persone tra jammer, mentor, organizzatori e ospiti di questa. Avevamo bisogno di un nuovo posto dove stare comodi e abbiamo trovato il posto perfetto.
Toolbox ci ha dato spazi, comodità e una logistica che ha impressionato positivamente tutti quanti.
I jammer venivano a ringraziare per averli portati in un posto dove la collaborazione e lo spirito di gruppo era favorito non solo, banalmente, dalla distribuzione dei luoghi di lavoro ma, anche e soprattutto, dalla presenza e disponibilità di luoghi di relax e svago.
È stata una jam che, vista come organizzatore, sembrava più nordica che italiana, con persone che si davano il cambio, che dormivano più liberamente anche durante il giorno, che lavoravano meglio.
Tornando a jammare
L’unica jam alla quale ho preso parte come partecipante è stata la Global Game Jam del 2014.
Da allora ho solo organizzato, sia Global che MEGA (la jam che, da tre anni, avviene durante gli MTV Digital Days in collaborazione tra T-Union e MTV), che la JamToday (jam verticale sui serious games organizzata in Italia da CPS Piemonte).
Il ricordo della jam del 2014 è fantastico ma anche pesante per quanto riguarda le fatiche dell’affrontare tutte quelle ore di veglia poco preparato e in condizioni fisiche precarie.
Per chi fosse curioso di sapere che mi successe c’è il post mortem di quell’anno a disposizione.
Quest’anno però volevo fortissimamente jammare.
Quindi, memore dell’esperienza fatta di persona e dell’attenta osservazione degli altri partecipanti negli anni, ero arrivato preparato psicologicamente e fisicamente.
E così è stato. Primo a fare il check-in (e grazie tante, li ho organizzati io) e jammer numero 1 pronto all’opera!
Il panico di trovare un gruppo
Il sentimento più forte era quello di inadeguatezza.
Voglio dire: sono passati 3–4 anni e le cose nel mondo dei giochi, soprattutto quelli da jam, sono andate avanti.
Alla Global del 2014 c’erano ancora giochi fatti in Flash, e comunque ci sono stati ancora, per l’anno a seguire, giochi in 2D puro.
Io di 3D non è che non ne capisco, ma non lo pratico dai tempi di, uhm, 3DStudio Max 5!
Quindi, visto che secondo me “siamo tutti game designer” l’unico ruolo in cui mi sarei potuto vendere era il concept artist o 2D artist.
Avrei protuto disegnare e animare personaggi piatti, che sarebbero finiti nel gioco o direttamente così o passati per le mani di 3D artist capaci con i quali avrei collaborato a stretto contatto.
Con un po’ di sforzo avrei puntato a fare qualcosa di bello come il prossimo futuro Wonder Boy: the Dragon’s trap. Magari!
E forse avrei potuto fare delle musiche per il gioco, sia perché un po’ me la cavo, sia perché i muscisti e i sound designer sono merce rara.
Interludio 1: più musicisti per tutti!
Appunto. Quest’anno è successa una cosa veramente fantastica.
Un musicista, non di Torino, Flavio, ci ha chiesto di poter partecipare prestandosi alla comunità di appassionati come help desk del suono.
Si è proposto di venire, piazzarsi ad un tavolo e accettare richieste da tutti per produrre musica e suoni per i gruppi sprovvisti delle figure necessarie.
Fin qui niente di così strano.
Anche l’anno scorso avevamo con noi Lorenzo Salvadori che ha fatto il sound designer di tutti e Aram Jean Shahbazians che ha scritto durante l’ultimo giorno di jam, musiche per cinque giochi che ancora non l’avevano.
La cosa unica che ha fatto Flavio è stato portare con sé il proprio figlio di 9 anni che è rimasto alla jam con noi, andando in giro, provando i giochi, dando consigli e dormendo nel suo piccolo sacco a pelo rendendolo, di fatto, il più giovane jammer che abbiamo mai avuto.
Una passione così forte, nata in questa tenera età, ha il potenziale di dare grandi frutti col tempo.
Allora, ’sto gruppo?
Come spesso accade paure e preoccupazioni si risolvono da sole.
Tornando dall’essermi preso una piadina veloce per pranzo, trovo un paio di ragazzi di AllGoRhythm Studio che stanno in ingresso con una lavagnetta a testa con su scritto “cercasi concept artist”.
Quando ci incrociamo mi chiedono se conosco qualche concept artist da suggerirgli. Io, ingenuamente come mio solito, gli dico che dovrebbero avere vita facile perché, di tutti quelli che hanno fatto il check-in, il numero di artisti del 2D che ho visto era decisamente alto.
Poi Marco, quello alto alto alto, mi fissa e fa: “ma tu sai disegnare!”. E allora Federico mi chiede di partecipare con loro.
E visto che ci si conosceva già, anche se non abbiamo mai fatto nulla insieme, e questo mi dava quella sicurezza in più di un gruppo solido capace di lavorare bene su giochi anche di un certo livello, ho subito accettato.
Certo, un secondo dopo mi hanno detto che eravamo in nove (9!) e io ho sempre paura dei gruppi grandi perché sono di gestione difficile (ma su questo tornerò dopo) un po’ di dubbi li avevo.
Via alle presentazioni
Ore 14. Tutti nel salone e via alle chiacchiere degli ospiti.
Uno dei vantaggi di essere l’organizzatore è che, uh, organizzi, e quindi mi sono lasciato un po’ di spazio chiacchiera per me.
Ah! Se mi piace parlare. Anche se spesso non dico realmente nulla.
Giusto poco tempo prima della jam avevo giocato un paio di giochi che mi avevano fatto pensare a quanto sia complesso valutare un gioco uscito da una jam, o un’idea mentre si partecipa.
Avevo preparato quindi un “breve” intervento per sensibilizzare sia i partecipanti che i giudici alla valutazione delle idee cercando di guardare più in là delle sole 48 ore dell’evento.
Facciamola breve, vi lascio le slide (sono senza video, ma dato il nome del gioco sono piuttosto sicuro che Google aiuta).
Via alla jam
Scoperto il tema, waves, la prima cosa è stata il vuoto, ma tanto avevo da fare.
C’erano da far spostare i jammer nelle sale e riorganizzare il salone per il team forming.
C’erano sedie da spostare, tavoli da montare, persone che chiedevano cose.
Chi aveva il tempo di pensare ad un gioco!
I primi 15 minuti sono andati via in logistica.
Quindi, dopo un po’, sono passato a vedere se il gruppo aveva ancora bisogno di me.
Intendo dire che, giusto per essere certo che la cosa avesse un senso sono andato fino al tavolone (un tavolo tutto per noi e un altro a metà condiviso con un gruppetto da tre) e ho semplicemente chiesto se, nonostante fossero già in otto, la mia presenza fosse voluta e necessaria.
Mi hanno detto sì, e così è iniziato il tutto.
Brainstorming. Pausa. Brainstorming. Pausa…
Dura la vita di chi jamma e organizza.
C’è sempre qualcuno che ha bisogno di te e pure in mezzo al brainstorming, iniziato appropriandoci del salottino relax prima di tutti gli altri, c’è stata gente che veniva a chiedermi cose.
Mi sono dovuto assentare un po’ di volte per qualche minuto, e mi sono perso parte dell’inizio del pensieri al quale sono tornato a contribuire ogni volta che si poteva.
Dopo un assestamento iniziale però le cose hanno cominciato a girare bene. Eravamo lì, su divani e poltrone tenute insieme con le fascette da elettricista, con un computer per comunicare con il nostro musicista, Matteo, che stava in Francia, e sparavamo idee mischiandole ed elaborandole.
C’era tanta roba sul tavolo, alcune cose troppo “scolastiche” (questo commento me lo porterò dietro per sempre tanto è stato acuto, grazie Marco), altre belle ma complesse, da prototipare bene per capire se avrebbero potuto funzionare.
Si girava a limare concetti quando Marco se ne è uscito con un’idea incredibilmente semplice quanto ricca di potenziale.
Aveva i suoi buchi, ma era buona.
Pareva quella giusta, ma volevo pensarci ancora.
Abbiamo fatto ancora un po’ di pensiero e, un po’ per gioco, un po’ perché la cosa aveva senso se fatta in un certo modo, ho illustrato un possibile gioco di calcio con le dovute modifiche per stare nel tema.
Dai! Siamo italiani, col calcio si vince facile. E il gioco non sarebbe manco stato brutto per una jam.
Eravamo lì, insomma, con due idee che potevano funzionare.
E fu allora che dissi: “facciamo così: prendiamoci un paio d’ore al massimo per fare un prototipo dell’idea di Marco. Se vediamo che è divertente e funziona, lavoriamo su questa. Altrimenti facciamo il gioco di calcio”.
La nostra jam era effettivamente partita.
Ad ognuno il suo
Marco era partito a creare un prototipo.
Aveva in testa l’idea di base, era completamente autosufficiente.
Federico, Nicolas ed io ci siamo quindi messi da parte per iniziare a definire ambientazione, stile, storia.
Non dico tutte le “5W” ma una buona parte.
Il gioco sarebbe stato uno sport futuristico, tipo il Roller Ball.
Lo stile, di conseguenza, doveva essere un’immaginario futuro classico, che pescava da stereotipi del genere.
Nicolas per primo ha suggerito qualcosa legato proprio al filone del retro futurismo, e su questo eravamo davvero tutti d’accordo.
Un po’ perché sta tornando di moda, un po’ perché (almeno per quanto riguardava me che avrei dovuto visualizzare il tutto) permetteva un certo livello di astrazione fatto di forme e colori e di palette note alle quali aderire.
Tron era la via, insieme a tutto quello che era l’immaginario neon-reticolato da Blood Dragon a Gridd: Retro Enhanced.
Era divertente, peccato! :P
Neanche un’ora dopo il prototipo c’era.
E pure vuoto aveva il suo perché.
Era chiaro che sarebbe stato divertente se fatto bene quindi, mio malgrado, niente gioco di calcio (che poi venga proposto un gioco di calcio proprio da me che lo odio…).
Era ora di fare sul serio e dare forma e sostanza a questo gioco.
Mio era il ruolo del concept artist e quindi la responsabilità di tutto l’immaginario visivo e delle interfacce, feedback e qualunque cosa colpisse gli occhi del giocatore.
E mio è stato.
Mi sono messo di buzzo buono, facendomi dare da Marco uno screenshot di quanto aveva fatto, per vestirlo per bene, mentre gli altri si dividevano il lavoro per mettere cose al posto dei cubi.
Sono stato quindi distratto per un po’, mentre disegnavo lo stage di gioco principale, praticamente l’unica schermata che il gioco avrebbe dovuto necessariamente avere per essere giocato.
In effetti una delle cose vantaggiose di questa idea è che se anche avessimo fatto solamente la parte dove si giocava senza fronzoli, senza intro, senza nient’altro, il gioco sarebbe stato presentabile lo stesso.
Di lì ad un’ora, circa, avevo fatto la prima bozza di stile, pronta per la discussione con gli altri, dove definivo il mood generale, l’uso del colore e il linguaggio visivo.
Sono letteralmente impazziti tutti, all’unanimità.
E gonfio di soddisfazione ho veramente capito, in quel momento, che ce l’avremmo fatta senza fatica (più o meno).
Nove persone sono tante
Un gruppo di 9 persone può salvarti la jam come rovinare tutto.
Lo dico perché quando si è in tanti hai certamente più opzioni di backup quando ci sono dei parallelismi da fare, quando qualcuno sa cose che gli altri no, quando si potrebbe, volendo, turnare per poter dormire.
Allo stesso tempo, però, tutti dovrebbero avere da fare e, quando questo non succede, il rischio di sovrapposizioni, di lavorare su cose inutili o che verrano scartate diventa alto.
Da questo possono nascere malumori che, se gestiti male, potrebbero portare alla frammentazione del gruppo o al naufragio del progetto.
Fortunatamente a noi questo non è successo.
Intendo la frammentazione, anche se un po’ di lavoro sprecato c’è stato.
Mentre mi occupavo del mood generale si è partiti, ad esempio, a fare delle prove con i personaggi e, senza un design definito, sono stati messi in piedi dei robottini che sono presto diventati un Iron Man e un Master Chief.
Personalmente ero poco d’accordo sull’avere questo genere di personaggi nel gioco da jam (in un eventuale gioco completo gli “ospiti indie” ci stanno sempre), ma ci si poteva fare poco, o mi mettevo a pensare ai personaggi o finivo il resto; inoltre andare a dire un secco “no, non voglio questo nel gioco” non avrebbe giovato all’umore generale.
Abbiamo quindi aspettato di avanzare abbastanza per poter rivalutare il tutto.
La stessa cosa è successa in parte con la programmazione dell’interfaccia di gioco che stava partendo ancora prima di definire i flussi di ingresso in partita.
Queste parti di lavoro sono state poi riviste tutti insieme quando, più avanti nelle giornate, ci siamo messi d’accordo su come procedere e, almeno per l’impressione che ho avuto, tutto è andato per il meglio e siamo stati soddisfatti del risultato anche sacrificando un po’ di quanto fatto.
Alla fine essere in nove è stato d’aiuto per tutta una serie di cose tra test e confezionamento finale, probabilmente il momento che più ha visto una strettissima collaborazione.
Interludio 2: una proposta per la gestione di gruppi numerosi
Ripensando ai gruppi tanto numerosi, ai pro e ai contro, un’idea di possibile gestione mi è venuta qualche giorno dopo la jam.
Penso che un gruppo dovrebbe essere composto da alcune figure chiave, nello specifico ci starebbero bene (come fosse un cocktail):
2 programmatori “pro”;
2 game designer, dei quali è sufficiente che uno sia un po’ esperto;
1 sound designer e/o compositore (che già sono rari, uno basta);
2 grafici, concept artist, 3D, 2D, quello che ne viene (non di più perché altrimenti litigano, come dice TheTMO :D);
programmatori meno “pro” a colmare.
In questo caso, un gruppo di 9, ma anche 10, persone viene fuori facile.
Si affronta la parte di ideazione insieme.
Brainstorming senza confini, tirare fuori le idee e metterle tutte sul tavolo.
Rielaborare, agitare, mescolare e filtrare.
A questo punto è possibile tenere per buone due idee.
Il gruppo ha la possibilità di spartire le risorse doppie su due progetti paralleli e preparare due giochi, usando le risorse singole in comune, e quelle che “avanzano”, prestandosele secondo i carichi di lavoro.
Con l’avanzare dello sviluppo verranno naturali due cose, l’una o l’altra:
il progetto che richiede più risorse riceverà aiuto da quello che ne richiede meno, se questo secondo gioco è a buon punto o addirittura finito;
uno dei progetti muore e/o si unisce all’altro riunendo il gruppo sotto un’unico sforzo.
Penso che sia una possibile soluzione interessante che, alla prossima jam, potrei proporre di applicare ad alcuni gruppi, o al gruppo in cui mi potrei infilare.
E poi, con questo tipo di approccio, forse il gioco di calcio lo avremmo pure fatto!
Jam. Notte. Jam. Ripetere…
Il resto è andato tutto come da copione di una jam perfetta.
Tanto lavoro fatto con passione, sinergia, discussioni sempre costruttive, a volte qualche imposizione ma sempre, spero, non come dittatura ma con motivazioni argomentate con razionalità (ma questo dovranno confermarlo gli altri).
Colpi di genio e collaborazione. Complimenti e strette di mano, pugni d’acciaio e abbraccioni.
E, memore dell’esperienza passata, la notte avevo ben chiaro che c’era da dormire almeno un po’. Ed è per questo che fatta una certa ora mi sono appropriato di uno dei “comodi” divani presenti nei vari ambienti e mi sono messo giù.
Non avevo però considerato che ero, in quanto organizzatore, il detentore della chiave di ingresso uscita al luogo dell’evento.
Ed ecco che ogni mezz’ora circa mi suonava la tasca di qualche numero sconosciuto che mi chiedeva: “può farmi entrare?”, “può farmi uscire?”.
Sì, dandomi del lei!
Ad un certo punto, sfatto come pochi, ho tentato il colpo grosso, per semplificarmi la vita, e invece ho fatto la più grande cavolata del secolo!
Ho dato le chiavi a Roberto, il lead designer di Brain In The Box, quelli di Voodoo, che si era fermato anche lui la notte per aiutare, chiedendogli se per qualche ora poteva occuparsi del cancello, ma… il numero di telefono che ormai la gente aveva segnato ovunque era rimasto il mio, e il mio telefono era sempre nella mia tasca.
Immagino avrete già capito che la cosa si era trasformata in: suona il telefono, rispondo, vogliono entrare/uscire, cerco Roberto che ha le chiavi, lui va ad aprire, io torno a provare a dormire.
Sono stato un vero idiota, sì!
Sopravvissuto alla prima notte, nuova giornata di jam, e alla seconda notte ci siamo fatti furbi e abbiamo dato chiavi e numero ad un altro dei “guardiani notturni”. Sbagliando s’impara.
Il rush finale
Non si può parlare di rush, perché in effetti non siamo arrivati corti con i tempi del gioco.
Come ho anticipato prima per tipologia e meccanica il tutto era relativamente pronto già a metà del sabato.
Il resto del lavoro è stato migliorarlo, aggiungendo pezzi, sistemando meccaniche, calibrando punteggi e feedback, aggiungendo selezione dei personaggi, classifica di fine partite, e tanto altro.
Qualcosa è rimasto comunque fuori.
Volevamo metterci fin da subito alcuni power-up per variare l’esperienza in partita.
Avevamo già la definizione di tre tipologie e mezza e la programmazione di una era stata fatta.
Ma non li abbiamo integrati per la paura di spaccare tutto a poche ore dalla consegna.
Tutto sommato è andata bene così.
Nella durata di 2 minuti che abbiamo imposto alla partita il gioco risultava divertente e non serviva metterci altro.
Abbiamo iniziato a giocarci noi, a fare casino e attirare l’attenzione.
Gli altri passavano a giocarci, i mentor, che poi sarebbero stati i giudici per le menzioni locali (la GGJ non è una competizione, ma per aggiungere un po’ di pepe le sedi sono autonome nel creare menzioni e premi a loro discrezione), già ci davano per vincitori (che non mi è dispiaciuto affatto, anzi, però è una situazione strana, devo dire).
Poi qualche grana (parecchie grane) con gli upload dei giochi sul sito della Global.
Tutto lento, tutto piantato. Il sito che crolla e va in errore. Il canale Slack degli organizzatori diventa caldissimo con segnalazioni, lamentele e consigli sul posticipare gli upload e la rassicurazione che saranno tenuti aperti i form più del necessario per garantire a tutti di farcela.
Qualche giro a rassicurare gli altri e poi, a forza di provarci, ce l’abbiamo fatta.
Il gioco
Giusto! Perché fin qui, del gioco, non ho parlato.
Si tratta di un multiplayer locale asimmetrico dove i giocatori si sfidano per il controllo del centro di un campo composto da anelli concentrici che ruotano in direzioni e velocità diversi.
Scopo del gioco è raggiungere il centro e prenderne il controllo per più tempo possibile. Quando un giocatore è al centro può creare onde d’urto dove vuole per tenere gli altri giocatori lontani.
Sugli anelli sono disposti alcuni monoliti indistruttibili (per ora) che possono essere usati, tenendoseli alle spalle, per non retrocedere troppo quando si è investiti dall’onda d’urto ma non possono essere usati come scudo perché “sono fatti di un materiale trasparente all’energia delle onde” (che lévati!).
Quando un giocatore riesce a prendere il centro a chi lo controllava prima, tutti gli altri giocatori, compreso chi era al centro, tornano al perimetro esterno e si ricomincia.
Finito il tempo di gioco, chi ha più punti vince.
Semplice, forse troppo, ma in gruppo è sempre divertente. E quindi abbiamo deciso che si gioca in 8 su 4 controller, controllando ognuno il proprio personaggio con una leva analogica e usando un tasto dorsale per lanciare le onde d’urto quando ci si trova al centro.
Curiosi? Provatelo!
Lo trovate sul sito della Global Game Jam ma, occhio, che questa versione funziona SOLO se avete 4 controller collegati per poter passare lo schermo di selezione dei giocatori.
Appena possibile sistemeremo un paio di cose e rilasceremo degli aggiornamenti, nel frattempo c’è sempre questo video che spiega come giocare e fa vedere una partita.
Il team
Fantastico!
Tutti quanti appassionati e capaci con una visione dell’obiettivo chiara e personale. Tutti capaci di raggiungere un grande risultato sapendo lavorare insieme anche se era, salvo un paio di coppie, la prima volta.
Eccoli, in rigoroso ordine alfabetico e senza ruoli, perché a parte alcune specializzazioni, tutti si è contribuito a tutto tondo: Matteo Benedetto, Federico Boccardo, Andrea Colombo, Marco Lago, Stefano Mauri, Nicolas Mihoc, Valeriu Moraru, Marco Murgia e Maurizio Nigro.
La foto ufficiale è un grande classico, ma quella che rende veramente giustizia al team e al gioco, rinforzando il concetto fondamentale del “raggiungere il centro” è stata fatta grazie alla camera 360 che Stefano si era incredibilemnte portato dietro (insieme a mille altre cose che gli sono valse il soprannome di “uomo gadget”).
Qui non funziona, ma potete vederla su Facebook. Perfetta!
E la volete sapere una curiosità, che per alcuni potrebbe suonare pazzesca?
A parte me, nessuno degli altri ha visto i mondiali Italia ’90
Il game design
Il concetto chiave del gioco è stato chiaro fin da subito. Marco ha avuto questa idea della corsa verso il centro usando i muri come “freno” quando si indietreggiava e così è stato fino alla fine. Non è cambiato nulla.
Ad un certo punto ho proposto di fare in modo che chi avesse raggiunto il centro avrebbe controllato le onde d’urto fino a quando non gli fosse stato rubato questo ruolo da un altro giocatore, puntando anche e soprattutto a rendere le partite più caotiche e a risolvere lo pseudo-problema di round troppo brevi.
Il resto del game design è stato speso sui power-up, quasi tutti opera di Federico e Nicolas.
Come detto prima non li abbiamo messi per vari motivi, sarebbe però stato divertente avere la possibilità di incasinare la vita agli avversari con la classica inversione dei controlli, o facendo sparire i muri vicino agli altri o potendo emettere una potente onda d’urto anche senza essere al centro.
Il mio contributo a questa parte è stata la proposta di avere il dodge roll, in modo da poter evitare un’onda d’urto con stile, perché Enter The Gungeon mi è entrato nel DNA.
La programmazione
Non ho molto da dire su questo punto, perché proprio non è il mio.
Marco, Stefano, Andrea, Stefano, Valeriu e Federico — e anche gli altri se hanno contribuito e non me ne sono accorto — hanno fatto un lavoro fantastico con una competenza e una sinergia invidiabili.
Ma la cosa che mi ha impressionato di più è la fedeltà del risultato finito alla visione che avevo in testa.
La musica
Ho trovato incredibile il lavoro fatto da Matteo, soprattutto considerando che non era con noi e lavorava solo con i riferimenti che gli mandavamo scrivendo e mandando screenshot.
Inoltre la capacità che ha un buon comparto audio di rendere un gioco “finito”, soprattutto in un contesto da jam, è una cosa che sebbene possa sembrare ovvia io ho compreso a fondo solamente durante questa edizione della GGJ.
Fondamentali anche le voci sintetizzate che informano su quale giocatore è entrato al centro e come sta andando la partita indicando, se sono passati un certo numero di secondi, che il giocatore sta “dominando” mettendo pressione agli altri. Immancabile il count down finale che decreta la fine della partita.
La grafica
I personaggi, anche se semplici e squadrati (ma è uno stile, non una mancanza), sono colorati e simpatici al punto giusto.
Durante il brain storming una delle mie idee fisse era un gioco dove dei supereroi si davano battaglia e ognuno di questi aveva nomi, colori e grafica del costume ispirati ad una delle principali forme d’onda; avremmo avuto quindi SineWave, SquareWave, TriangleWave e SawtoothWave.
Avendo questa idea in testa, quando ho realizzato una veloce bozzetto di come mi immaginavo un possibile concorrente per il nostro strambo sport, ho voluto mantenere la caratterizzazione anche in funzione di un possibile futuro fatto a squadre.
Ecco che, lavorando sul modello già realizzato da Maurizio ho solamente disegnato una testa e indicato come le forme d’onda avrebbero potuto presentarsi sul torso. Alla fine le forme d’onda sono presenti sui bolli ai lati del casco, sul torso, e sulla grafica dell’interfaccia utente, sempre con il colore principale del giocatore associato.
L’ispirazione per il caso è principalmente presa da Vanquish, con la visiera irragionevolemtne più in basso di dove dovrebbe essere.
La pinna in cima e le strisce colorate sono state messe per creare una superficie colorabile che avrebbe aiutato la leggibilità del proprio personaggio.
Avendo otto giocatori contemporaneamente su schermo ho quindi definito i colori prendendoli di peso dai cavalieri di Knight Squad sostituendo però al bianco un grigio leggermente più scuro (per motivi che illustrerò a breve).
La schermata di selezione dei personaggio è stata quindi un risultato naturale dove ogni personaggio ha il suo spazio fisso e, per ora, non è modificabile (il giocatore uno è sempre il robot rosso, il giocatore due quello verde, e così via).
Maurizio e gli altri hanno poi avuto un’idea eccellente che è stato il far ballare i personaggi quando attivati dai giocatori, e ogni robot fa un balletto ispirato alla forma d’onda associata, quindi chi ha l’onda sinusoidale fa un’onda morbida con le braccia, chi ha l’onda quadra fa una classica robot dance, e così via. Genio!
L’ultima cosa degna di nota sui personaggi è che, nonostante la testa grossa e le grandi aree colorate, una volta messi nel gioco non erano leggibili come avremmo voluto. Abbiamo quindi provato a mettere un disco colorato pieno sotto ogni personaggio, ma era pesante, quindi un disco bianco con il bordo colorato, ma distraeva, e allora abbiamo provato con un triangolo semi trasparente con il bordo colorato. Ed era perfetto!
Non solo aiutava la leggibilità e rendeva chiaro chi si era, ma aiutava anche a leggere la direzione in cui si stava andando. Inoltre, complice la pinna sulla testa, alcuni hanno incominciato a chiamare “squaletti” i robottini, facendo partire un effetto simpatia inaspettato.
Il colore aveva fatto il proprio dovere su tutti i fronti. L’ultimo consiglio ci è arrivato, dopo una prova del gioco, da Andrea, game designer di Milestone nostro amico che ha giustamente suggerito di avere il puntatore del giocatore al centro, quello che può lanciare le onde d’urto, dello stesso colore del personaggio. Una cosa alla quale fino a quel momento non avevo proprio pensato e che in effetti a posteriori è stata la soluzione migliore.
In effetti, nella progettazione dell’interfaccia di gioco, un posto per questa informazione l’avevo messo, così come gli indicatori di punteggio in-game. Nella volontà di avere queste informazioni periferiche ma raggiungibili a colpo d’occhio avevo però messo anche questa indicazione un po’ troppo in un angolo.
Una cosa che non siamo proprio riusciti a mettere ma che avrebbe dato ancora più leggibilità al gioco, e avrebbe fatto parecchio scena, era la scia che i giocatori avrebbero dovuto lasciarsi dietro. Luminosa e della stessa forma d’onda della squadra di appartenenza del giocatore. Sarebbe potuto diventare anche un ausilio visivo per chi ha problemi a distinguere i colori.
Il resto dell’interfaccia è stata realizzata cercando un forte contrasto con la natura colorata e iper satura di quello che succede a schermo.
Ho preso la decisione, quindi, di realizzare le informazioni testuali e grafiche utilizzando solamente font e grafiche bianchi.
Il bianco puro di questi elementi li posiziona naturalmente su un livello superiore al resto dell’azione rendendo immediato per chi gioca comprendere che tutto quello che è bianco non è un elemento di gioco attivo ma uno strato informativo.
Con lo stesso stile ho quindi realizzato la classifica finale di fine partita dove, un po’ per fissa personali, un po’ per aumentare il livello di competizione tra un match e l’altro, ho voluto rappresentare un podio per i primi tre punteggi mettendo gli altri 5 giocatori sullo stesso piano sotto l’etichetta di “perdenti”.
Per il logo del gioco, dato il font usato già nel resto dell’intefaccia preso di peso da una vecchia locandina del film Rollerball (sport retro futuristico, appunto, fonte di ispirazione per il “tono narrativo” del gioco), ho creato qualcosa che rendesse chiaro il gioco (le onde in espansione dietro a tutto, e che rendesse omaggio allo stile retro futurista ma con una nostra identità più marcata.
Quindi sì al doppio stile delle scritte, con una più geometrica e principale — Pulse Wave: — ma senza cromature e effetti di luce, puro bianco anche qui, e una più sopra le righe — Revenge — elaborata anche in questo caso partendo da un font script ma trattandola non secondo il canone ma con un approccio simile alle aberrazioni cromatiche da lente che si possono vedere, come effetto in post precessing, agli angoli del gioco.
Chiude il tutto un payoff che ho voluto inserire per chiarire a chiunque che quello che si trovava davanti era un gioco riassumibile in giusto quattro parole: Couch Asymemtric Competitive Multiplayer, scritto con un carattere geometrico semplice e compatto. Che non si dica che noi non si sia stati onesti nel presentarlo.
Per finire, all’apertura del gioco, si voleva qualcosa che fosse un classico dell’era arcade, con una schermata che in accompagnamento con la musica, attirasse l’attenzione. E con una grafica neon satura come la nostra non c’era niente di meglio che una lenta panoramica di camera sullo stage di gioco.
Non abbiamo praticamente dovuto fare nulla, se non creare una scena con l’animazione a volo d’uccello che riprendesse quanto già avevamo, con il logo in sovra impressione e il testo JUST PLAY! come invito secco a giocare.
Il risultato finale
La jam è stato un enorme successo tra la soddisfazione di tutti, i grandi numeri e la contagiosa felicità che si è respirata durante tutto il tempo.
Il gioco è piaciuto a tutti e la nostra soddisfazione nel farlo è stata totale.
Il lavoro di gruppo, la sinergia e la capacità di comprendersi e, sì, anche di sopportarsi sono i valori che ci ha permesso di raggiungere l’obiettivo.
A fine jam, dopo il giro di tutti i giochi, la giuria ci ha anche promossi con il riconoscimento di miglior gioco della Global Game Jam di Torino.
Una enorme gratificazione per tutto il gruppo e a me, oltre ovviamente al piacere di aver vinto, resta ancora di più la soddisfazione di avercela fatta, dopo anni di fermo e i dubbi che avevo a inizio jam.
A chiudere il cerchio i commenti di molti che ci hanno consigliato di continuare il progetto.
Anche noi pensiamo che valga la pena vedere cosa questo piccolo gioco fatto in quarantotto ore potrebbe diventare con un po’ di tempo, calma e idee ripulite.
Tra qualche mese vedremo cosa sarà successo.
Grazie per aver letto fin qui.
Alla prossima jam!
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