#premere ai
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A weekend in Vegas; doll style
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“L’attentato non mi ha sorpreso: avete fatto di Trump l’immagine del male, era facile che qualcuno portasse il suo odio a tentare di sparagli”. (Nigel Farage, UK).
Additare il mostro e trovare poi qualcuno disposto a eliminarlo è un sistema vecchio come il mondo che è andato di moda nei secoli fino a Gandhi, ai Kennedy, più recentemente per il leader slovacco Robert Fico e ora per Trump. È un meccanismo che tutti condannano e fanno finta di detestare, ma che in fondo è comodo per eliminare qualsiasi pericoloso avversario. Immaginatevi che la pallottola contro Trump, sparata da 137 metri di distanza, fosse passata un centimetro più a destra (...).
(L)’ordine di far fuoco non è certo arrivato dalla Casa Bianca (anche se è logico ammettere che un assassinio avrebbe fatto molto comodo), ma è anche ammissibile qualche sospetto sulle consuete “devianze dei Servizi”, soprattutto se fossero vere le testimonianze che l’attentatore (...) sarebbe stato segnalato da alcuni partecipanti al comizio alle forze dell’ordine che però non sarebbero intervenute.
Imperizia, superficialità, dolo?
Resterà un dubbio, come quello che mi sono sempre posto anche a proposito del cosiddetto “assalto” al Campidoglio USA del 6 gennaio 2021. Come mai, pur ben sapendo che da tutta la nazione sarebbero convenuti a Washington quel giorno decine di migliaia di supporter di Trump imbufaliti (...), in quella piazza non era stata schierata che un’esigua presenza di agenti e le porte del palazzo erano aperte senza nessuno che le presidiasse? Anche allora quell’assalto sarebbe servito a demonizzare e criminalizzare Trump (...).
Più in generale il richiamo alla calma, al rispetto, alla pacificazione nazionale sembra scontato e assolutamente condivisibile, ma appare ora anche estremamente ipocrita. Da anni Trump è additato come il genio del male, mai come contro di lui si sono schierati giudici, giornali, tv e media in tutto il mondo. (...) Non vale solo per Trump (...).
via https://www.ilsussidiario.net/news/attentato-a-trump-il-meccanismo-molto-semplice-che-ha-portato-thomas-crooks-a-premere-il-grilletto/2731252/?utm_source=newsshowcase&utm_medium=gnews&utm_campaign=CDAqEAgAKgcICjDMoYALMP2hjAMww-KzAg&utm_content=rundown
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Un nuovo modo di navigare su Tumblr
Se usi Tumblr su un browser web, potresti aver notato che nell'ultimo mese abbiamo testato un nuovo tipo di navigazione sulla tua dashboard. Ora, dopo alcune modifiche approfondite, abbiamo iniziato a distribuire questa nuova navigazione della dashboard a tutti coloro che utilizzano un browser web. Benvenuto/a nel nuovo mondo. È molto simile al vecchio, solo con un layout diverso.
Perché stiamo facendo questo? Vogliamo che risulti il più semplice possibile per tutti capire ed esplorare ciò che sta accadendo su Tumblr, sia per i neofiti che per i viaggiatori esperti.
Etichette sulle icone: quando in passato aggiungevamo qualcosa di nuovo a Tumblr, si trattava anche semplicemente una nuova icona alla nostra navigazione con poche ulteriori spiegazioni. A quanto pare però, a nessuno piace premere un pulsante senza sapere cosa fa. Quindi ora, dove c'è spazio, la navigazione include etichette di testo. Da quando le abbiamo aggiunte, abbiamo notato che molti di voi si avventurano in angoli precedentemente inesplorati di Tumblr. Intrepidi!
Cosa è già stato risolto? Grazie al feedback delle persone durante la fase di test, siamo stati in grado di apportare alcuni miglioramenti fin dall'inizio. Tra questi, abbiamo riportato le sottopagine delle impostazioni (Account, Dashboard, ecc.) a destra della pagina delle impostazioni invece di averle in un elemento espandibile nella navigazione a sinistra; risolto alcuni problemi con le finestre di messaggistica su schermi più piccoli; e razionalizzato la sezione Account per rendere più facile l'accesso ai tuoi blog.
Qual è il prossimo? Stiamo cercando di creare una versione comprimibile di questa navigazione e migliorare l'uso dello spazio sullo schermo per quelli di voi con schermi enormi. Stiamo anche lavorando per migliorare l'accesso al tuo account e ai sideblog.
Per ora è tutto, gente. Per domande e suggerimenti, contatta il supporto (solo in inglese) utilizzando la categoria "Feedback". Seleziona la categoria "Segnala un bug o un arresto anomalo" nel modulo di assistenza per problemi tecnici. E tieni gli occhi aperti per ulteriori aggiornamenti qui su @changes (EN) e sulle impostazioni locali del nostro staff.
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"Studia, studia figlio mio o ti ritroverai come me e tuo padre, due poveri disgraziati sempre a far di conto con le dita sulla punta del naso. Sempre a lavorare 12 ore al giorno senza mai una soddisfazione”
E così è andata. Ricordo solo che nessun genitore ti diceva cosa era meglio studiare. Un po’ perché non lo sapevano neanche loro, povera gente che a malapena sapeva mettere la propria firma, un po’ perché difficilmente si dava ascolto ai genitori. L’adolescenza è un’età ribelle, quella che porta sempre a fare il contrario di ciò che dice la gente adulta ecosì è andata con quasi tutti i miei compagni di scuola , chi figlio di metalmeccanico, chi di piccolo impiegato, artigiano o piccolo commerciante. Chi è diventato medico, chi architetto, chi ingegnere, chi psicologo o sociologo, chi docente o dirigente di qualche ente. Si veniva tutti dalla scuola statale, tutti dal liceo. Poi ognuno di noi ha scelto la strada per lui migliore. Oggi no, questa regola non vale più. Oggi devi scegliere già dalle elementari. Si viene plasmati per il lavoro che serve e non per il lavoro che piace. Negli ultimi anni il liceo ha perso metà dei suoi iscritti. Sembra non servire più a niente la conoscenza del latino o del greco, come non serve la grammatica o la filosofia. Oggi sono gli adulti a decidere cosa va studiato e si decide tenendo conto della manodopera che serve al Paese. Spiace solo che i giovani si siano fatti irretire da questo meccanismo perverso. Non più l’essere umano al centro del mondo ma solo l’essere lavoratore e se non entri nel meccanismo ti fanno sentire un fallito. Niente lavoro, niente riconoscimento sociale. Non ci sarà più il filosofo, il poeta, il pittore, il musicista, lo scemo del villaggio ma sarà tutto un villaggio globale dove ognuno ha i suoi pulsanti da premere, le sue padelle da spadellare, il suo schermo di computer per progettare. Forse diventando troppo grandi si diventa pessimisti ma questo mondo futuro a me proprio non piace. @ilpianistasultetto
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Ho deciso di restare a letto, ignorare la sveglia, sistemare le coperte e scrivere al mio superiore che oggi non andrò a lavorare. Probabilmente non ci andrò per tutta la settimana ma ancora non lo sa. Non è una mattina qualunque. Non voglio pensare alla produttività, non voglio pensare a questo lavoro, ai miei colleghi che dovranno lavorare il doppio (e finalmente), alle call che avevo fissato per formare i futuri colleghi del “norde”. Sto rimandando tutto e non è per procrastinazione. Ho aperto gli occhi e il mio cervello mi ha ordinato di fermarmi. Mi sono guardata allo specchio e mi sono vista stanca, senza forze. Davvero devo andare contro quella ragazza lì? Dove lo trovo il coraggio di dirle che c’è un senso del dovere che ti impone ogni giorno di essere in forma e pronta a servire tutti? Questa mattina non lo trovo. Non è una mattina qualunque. Torno indietro con i pensieri. Quando andavo a scuola e mi svegliavo emotivamente stanca, era mia madre che mi chiedeva di stare a casa con lei. “Stai con me, prenditi un giorno di pausa. Facciamo i muffin ai mirtilli”. E la scuola spariva, lei metteva in pausa ogni mio pensiero. Mi sentivo fortunata ad avere una madre così sensibile e attenta, capace di mettere al primo posto il mio benessere. Solo oggi penso che magari quel giorno voleva pensare al suo di benessere e invece sì è ritrovata a fare muffin con la figlia adolescente, collezionista esperta di piagnistei. Vorrei chiederle scusa, anche se direbbe che una madre deve essere sempre pronta per i figli. Io questo non lo posso capire. Quello che ho capito questa mattina è che va bene premere “stop”. La mia ignara psicoterapeuta sarebbe fiera di me. Tuttavia risparmio 70 euro e lo metto per iscritto qui, per ricordarmelo e perché Dio è buono e perdona pure la tirchieria. Oggi sotto le coperte si sta bene, riesco a sentire il mio battito cardiaco, il mio respiro lento. Vorrei prendere consapevolezza di ciò che posso essere con e senza il dolore. Una donna fragile, capace di stare in piedi ma fragile. Non voglio coprire la malinconia di questo periodo, non voglio fare finta che non esista. I miei occhi sono questi. Voglio abbracciarmi, farmi spazio in questo letto caldo, capire perché sono arrivata fin qui. Non è una mattina qualunque ma va bene così.
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Scrivere a mano comporta una maggiore connettività cerebrale rispetto a digitare i tasti su una tastiera, evidenziando la necessità di esporre gli studenti a un maggior numero di attività che prevedano la scrittura a mano. A rivelarlo uno studio dell'Università norvegese di Scienza e Tecnologia, pubblicato su Frontiers in Psychology.
Scrivere a mano a scuola è sempre più raro
Poichè i dispositivi digitali stanno sostituendo progressivamente carta e penna, prendere appunti a mano sta diventando sempre più raro nelle scuole e nelle università. L'uso della tastiera è consigliato perchè spesso è più veloce della scrittura a mano. Tuttavia, è stato riscontrato che quest'ultima migliora l'accuratezza dell'ortografia e il richiamo della memoria.
Sempre meno bambini usano il corsivo. Ma la scrittura è un'arte che si impara. La scrittura a mano stimola la connettività cerebrale.
Per scoprire se il processo di formazione delle lettere a mano comporta una maggiore connettività cerebrale, i ricercatori norvegesi hanno studiato le reti neurali sottostanti coinvolte in entrambe le modalità di scrittura. "Abbiamo dimostrato che quando si scrive a mano, i modelli di connettività cerebrale sono molto più elaborati rispetto a quando si scrive a macchina su una tastiera", ha dichiarato Audrey van der Meer, ricercatrice sul cervello presso l'Università norvegese di Scienza e Tecnologia e coautrice dello studio.
L'esperimento
"Questa connettività cerebrale diffusa è nota per essere cruciale per la formazione della memoria e per la codifica di nuove informazioni e, quindi, è benefica per l'apprendimento", ha continuato van der Meer. I ricercatori hanno raccolto i dati EEG di 36 studenti universitari ai quali è stato chiesto ripetutamente di scrivere o digitare una parola apparsa su uno schermo. Quando scrivevano, usavano una penna digitale per scrivere in corsivo direttamente su un touchscreen.
Logopedia, i nativi digitali apprendono come i dislessici
Nel premere i tasti hanno usato un solo dito. Gli EEG ad alta densità, che misurano l'attività elettrica del cervello utilizzando 256 piccoli sensori cuciti in una rete e posizionati sulla testa, sono stati registrati per cinque secondi per ogni richiesta. La connettività di diverse regioni cerebrali è aumentata quando i partecipanti scrivevano a mano, ma non quando battevano a macchina.
"I nostri risultati suggeriscono che le informazioni visive e di movimento, ottenute attraverso movimenti della mano controllati con precisione nell'usare una penna, contribuiscono ampiamente ai modelli di connettività cerebrale che promuovono l'apprendimento", ha sottolineato van der Meer.
Il segreto? L 'attenzione nella formazione delle lettere.
Sebbene i partecipanti abbiano usato penne digitali per scrivere a mano, secondo i ricercatori, i risultati dovrebbero essere gli stessi quando si usa una vera penna su carta. "Abbiamo dimostrato che le differenze nell'attività cerebrale sono legate all'attenta formazione delle lettere quando si scrive a mano, facendo un uso maggiore dei sensi", ha spiegato van der Meer. Poichè è il movimento delle dita durante la formazione delle lettere a promuovere la connettività cerebrale, si prevede che la scrittura a mano abbia benefici simili a quelli della scrittura corsiva sull'apprendimento. Al contrario, il semplice movimento di premere ripetutamente un tasto con lo stesso dito è meno stimolante per il cervello."
"Questo spiega anche perchè i bambini che hanno imparato a scrivere e leggere su una tavoletta possono avere varie difficoltà a distinguere tra lettere che sono immagini speculari l'una dell'altra, come la 'b' e la 'd': non hanno letteralmente provato con il loro corpo cosa si prova a produrre quelle lettere", ha spiegato van der Meer.
"I risultati - hanno dichiarato gli autori - dimostrano la necessità di dare agli studenti l'opportunità di usare le penne, piuttosto che farli scrivere a macchina durante le lezioni".
Le linee guida per garantire che gli studenti ricevano almeno un minimo di istruzione sulla scrittura a mano potrebbero essere un passo adeguato.
Per esempio, in molte aree degli Stati Uniti è stata reintrodotta l'educazione alla scrittura corsiva all'inizio dell'anno. Allo stesso tempo, è importante tenersi al passo con i progressi tecnologici in continuo sviluppo. Ciò include la consapevolezza di quale modo di scrivere offra maggiori vantaggi in quali circostanze.
"È dimostrato che gli studenti imparano di più e ricordano meglio quando prendono appunti scritti a mano, mentre l'uso di un computer con tastiera può essere più pratico quando si scrive un testo o un saggio lungo", ha concluso van der Meer.
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#l'effetto della scrittura a mano sul cervello#quando la scrittura transita dal nostro corpo#farsi attraversare dalla Scrittura va a modificare le strutture neuronali rafforzando la connettivita cerebrale#Scrittura#Corpo#Memoria#l'incisività del gesto consapevole
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arrivato il mio nuovo trolley, dovevo montare le rotelle. in un momento di delirio da ribaltamento degli stereotipi di genere mi sono munita di cacciavite e ho iniziato a smontare tutta l’intelaiatura della valigia, credendo di dover procedere in questo senso. [per fortuna avevo smontato solo il supporto della prima rotella quando] ho poi scoperto che sarebbe bastato premere un semplice bottoncino per permettere alla rotella di incastrarsi al supporto. in my flop era ma io mi sento di darmi un solido 9-/10 per aver letto questa impresa come una sfida ai ruoli di genere
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~ Tutta colpa del coso ~
Arrugginita è un eufemismo. Sono anni che non guido in questa città.
Due occhi non sono sufficienti a evitare di fare disastri. Me ne servirebbero due per guidare, uno per il navigatore e due per tenere d'occhio le altre macchine, i motorini e i pedoni che ti tagliano la strada da ogni lato. Muovermi con i mezzi del trasporto pubblico, considerando le ben note performance del servizio, non è nemmeno un'opzione. Mio marito non ha voluto accompagnarmi, troppe ore ad aspettare inutilmente dice. Non mi resta che farmi questa trasfertina by car, in fondo sono appena 60 km, che puó succedere mai? Suvvia.
La musica a palla mi fa compagnia, mentre sono tristemente incolonnata al casello della tangenziale. Sbircio nelle macchine ai miei lati e osservo le persone all'interno. Mi piace osservare gli altri, immaginarne chi sono e i loro pensieri dalle espressioni, dai movimenti, dagli oggetti che riesco a intravedere, da qualche dettaglio nella persona o nell'abbigliamento. Mi chiedo se sono pendolari occasionali come me o questo fa parte del loro delirio quotidiano. Come si fa ad abituarsi, ad inserire nella propria routine, un supplizio simile? Evidentemente in qualche modo si fa.
Mentre penso compiaciuta che le mie scelte di vita, per quanto opinabili, mi hanno almeno risparmiato situazioni del genere, all'improvviso la macchina vibra e si spegne. Riaccendo, faccio un metro, si rispegne. Idem il metro successivo. Spengo l'autoradio. Niente, non va. Le auto dietro iniziano a suonare. Panico. Disabilito l'alimentazione a gas e passo a benzina. Rispengo, riaccendo, va. Stronza di macchina, quando ti rottamo sarà sempre troppo tardi!
Lentamente guadagno il mio turno al casello, prendo le monetine dal portaoggetti già contate prima per non perdere tempo. Cerco di accostarmi il più possibile senza sfasciare niente, il braccio è corto purtroppo, e inserisco le monetine. Ne inserisco € 1,20 ne segna 0,90. Cazzo si è mangiato le monete! Prendo la borsa, poi il portafogli e cerco di afferrare monetine a cavolo il più veloce possibile, perché da dietro già suona un concerto di clacson in do minore. La macchina si spegne. Ma porcapú! Riaccendo, stenta ma grazieadio parte, infilo le monete che avevo in mano, sperando le conti bene stavolta. L'asta si alza, alleluja, e sfreccio manco fossi Verstappen in pole position, lasciando una scia di automobilisti incazzati alle mie spalle.
Non ho il tempo di tirare un sospiro di sollievo che il navigatore mi dice qualcosa che non capisco, svolto a sentimento ritrovandomi fortunatamente nella direzione giusta. Ma non faccio cento metri che arrivo ad un semaforo e mi accorgo di essermi incolonnata male: in quella posizione sono costretta per forza ad proseguire dritto, e io devo svoltare a sinistra! Scatta il verde e faccio diosolosacosa, ringraziando in cuor mio quelli in arrivo da dietro per non avermi ucciso.
Finalmente arrivo alla stazione, dove so che nei pressi c'è un parcheggio a pagamento molto grande, vicino alla mia destinazione. Faccio per entrare, mi accosto alla colonnina, e non vedo il solito fungo da premere per ritirare il ticket. Impossibile una retromarcia. Echecazzo! O sono su scherzi a parte o io e le sbarre oggi abbiamo un problema serio. È prestissimo, non arriva nessuno. Il presidio del custode del parcheggio è vuoto. Cerco in giro forme di vita amiche e, molto più in là, vedo due uomini che parlano, sembrano dipendenti delle ferrovie a giudicare dalle camicie celestine che conosco troppo bene. Mi frigge, ma mi tocca andare a fare la figura dell'impedita.
Mi avvicino disinvolta e sorridente e saluto sonoramente. I tipi si girano e quello che era di spalle toglie gli occhiali da sole, risponde al mio saluto con un cenno del capo, spalancando un sorriso da 1000 watt. Azz! Percezione collaterale di immediata umiditá mentre il resto del mio sistema esegue, in un quarto di secondo, una scansione fotografica del soggetto: altezza media, capelli castano chiaro, tendente al biondo, sistemati all'indietro, sfumatura sul collo a regola d'arte, ciuffo leggermente spettinato sulla fronte, ciglia folte e lunghe da fare invidia alle donne, occhi castani, barba da mezzo centimetro, mascella taglio laser, bocca con arco di cupido pronunciato, spalle larghe, braccia molto definite ben visibili nonostante la camicia arrotolata a tre quarti, di cui una tatuata fino al polso, bracciali vari, mani grandi, un solo anello al pollice, jeans chiaro riempito da due gambe promettenti, converse vissute. Valori biometrici nella norma. Colesterolo borderline. Secondo uomo: non pervenuto, non riuscivo a guardare altrove.
Chiedo se per caso sanno di problemi per l'ingresso al parcheggio, giacché non riesco a fare alzare la sbarra e, l'uomo non pervenuto, mi spiega, con l'intonazione da tombeur de femmes, che c'è da premere un pulsante che ti fa uscire il "coso", da infilare poi nella macchinetta automatica prima dell'uscita. Ah ecco, guarda tu che rivelazione. Gli rispondo che "io lo prenderei volentieri il coso, ma il pulsante non lo trovo!". Loro ridacchiano sotto i baffi e mi rendo conto solo dopo di quello che ho detto. "Vabbè il ticket... Ok provo a ricontrollare allora, grazie gentilissimi!". Perfetto, che graziosa figura di, se torno lì e c'è un pulsante giuro mi faccio ricoverare. Se non c'è, sradico la colonnina ed entro, dopo averla prima suonata in testa al tipo non pervenuto però. Faccio per andare quando quello carino fa "dai ti accompagno, io qua ho finito, devo andare proprio da quella parte", congedandosi dal collega con un cenno della testa. L'altro risponde stesso modo. Credo che la comunicazione tra uomini si sia evoluta verso una sintesi estrema, tuttavia efficace, giacché si comprendono perfettamente anche così. Sono prossimi alla telepatia secondo me. Fosse stata una mia collega, ci sarebbero voluti tre minuti di blablabla solo per dirci qualcosa che significasse "ci vediamo domani allora, stammi bene".
Ci incamminiamo, lui mi precede avendo una falcata più lunga della mia. Non mi dispiace, mi dà modo di apprezzare un OMG di backstage e la scia di un profumo vagamente familiare. Lo seguo a passo sostenuto cercando, allo stesso tempo, di mantenere un'andatura decentemente femminile e fluida, considerate le mie espadrilles da tacco 10 oltre zeppa. Una volta alla colonnina, mi indica una specie di fessura, che non avrei mai detto fosse qualcosa da premere e lo confesso onestamente ad alta voce. Mi fa "Tranquilla, la prima volta restano tutti un po' perplessi". Ok ha evitato con molta attenzione la parola scema, onore al merito, tre punti a favore per il tipo. Lo premo e la colonnina diligentemente sputa il "coso" e la sbarra ai alza. Mi ficco velocemente in macchina prima che si riabbassi e parcheggio poco più in là, alla prima piazzola che trovo.
Dallo specchietto retrovisore mi accorgo che il tipo si sta avvicinando alla macchina, apro la portiera e, senza scendere gli dico "grazie mille, tutto a posto!". Lui ha un attimo di esitazione, poi mi augura buona giornata, mi riabbaglia con quel sorriso da 1000 watt, indossa gli occhiali e se ne va. Io resto lì a fissare il "coso" sul mio cruscotto, ed un deciso sentimento di inadeguatezza mi pervade. Lo ricaccio indietro, non adesso, ho bisogno di concentrazione per quello che sono venuta a fare. Sono esausta e siamo solo alla metà della prima parte della giornata.
Essendomi anticipata enormemente sui tempi, mio solito, resto in macchina nel parcheggio e dormirei volentieri. La nottata di merda alle spalle, passata a studiare qualche pagina in più delle 15 materie richieste nel bando di concorso, si fa sentire. Ma cerco di restare vigile e continuo a leggere il mattone di diritto pubblico e costituzionale che mi sono portata dietro, prestatomi da una mia amica smart, ed alla quale non vedo l'ora di restituirlo perché, visto quanto ci tenesse, mi viene l'ansia a tenerlo un'ora sola in più.
Sono fuori da un bel po' e la necessità di fare pipì si fa sentire. Manca un'ora ancora all'apertura dei cancelli e poi chissà quanto durerà la fila per le operazioni di riconoscimento e assegnazione dei dispositivi. Trattenerla fino a quando sarò dentro è impensabile, rischio di esplodere. Nonostante il pensiero di un bagno pubblico mi ripugna, mi incammino alla ricerca di un bar. Evito i primi che trovo dall'aspetto infimo ed entro in uno più grande, non tanto moderno, dove però ci sono molti giovani studenti ai tavoli che stanno facendo colazione. Chiedo dov'è il bagno e seguo le istruzioni, notando con disappunto che la toilette per le donne e per gli uomini praticamente è la stessa, unico antibagno con due porte, una per sesso.
Mi sento rinata mentre mi lavo le mani ma ti pareva che potesse funzionare l'asciugamani ad aria calda. Giammai! Riprendo alla meglio borsa e libro, cercando di non bagnarlo, ed esco di corsa da quel posto nauseabondo con le mani ancora grondandi prima che entri un uomo. Sbatto in qualcosa di durissimo e sto quasi per cadere all'indietro quando due mani mi afferrano e io afferro una camicia. Deo gratias! Solo cadere nel cesso mi manca stamattina! Sto per scusarmi del tamponamento maldestro quando mi accorgo che chi mi tiene, e a cui mi sto aggrappando, è mister 1000 watt. "È la seconda volta che ti salvo oggi!" mi dice mentre mi guarda divertito, per fortuna non infastidito, e io mi ricompongo alla meglio scusandomi e riscusandomi, veramente imbarazzata, anche per avergli praticamente stampato le mie mani bagnate sulla camicia. Lo lascio alla sua seduta di gabinetto e vado al bancone, mi siedo sullo sgabello, appoggio le mie cose e ordino un caffè "forte per favore". Che giornata.
"Cappuccio e cornetto Pasquá" sento mentre qualcuno si siede allo sgabello accanto al mio. "Adesso puoi cadere dallo sgabello, ci sono io" e mi fa l'occhiolino. Mentre penso cosa rispondergli il barman ci mette già davanti le nostre ordinazioni e gli fa "Danié che fai, ti asciughi addosso come i bambini?". Non posso fare a meno di ridere di gusto, quella faccia da figlio-di e la forma delle mie mani bagnate sulla sua camicia celeste erano davvero una situazione troppo surreale per non buttarla a ridere. Stemperata cosí la tensione, facciamo le presentazioni. "Piacere Daniele". "Piacere Serena". Mi chiede cosa ci facessi da quelle parti e gli dico di essere venuta per un concorso che si tiene in uno dei padiglioni della mostra. Lui è un dipendente delle ferrovie e aveva appena smontato da un turno molto lungo. Parliamo del più e del meno, è simpatico, ironico, si esprime bene, la conversazione è piacevole... insomma trovare su due piedi un difetto a quest'uomo sembra impossibile. Se leggo bene il linguaggio del corpo questo pezzo di Marcantonio, sembra attratto da me. Si protende e si avvicina parlando, sorride sempre, mi guarda negli occhi ma troppo spesso punta le mie labbra e la mia scollatura. Effettivamente oggi ho un po' esagerato con la merce esposta, ma fa un caldo boia.
Troppo lusingata dalle sue attenzioni, non mi rendo conto che il tempo è passa velocemente e quasi mi viene un colpo quando mi accorgo che è passata l'ora X e ormai avranno aperto i cancelli alla mostra. Lo saluto frettolosamente, afferro la borsa, vado alla cassa e pago per entrambi. Mi sembra il minimo offrirgli la colazione, e scappo via sperando di non essere troppo in ritardo. Fortunatamente la fila dei partecipanti è a perdita d'occhio, quando arrivo la gente ancora si riversa dai cancelli, mi accodo ansimante ma felice di non avere fatto tardi. È mattina presto ma già ci si scioglie dal caldo, ed il pensiero che dentro dovrò indossare la mascherina ffp2 per ore imprecisate mi fa girare la testa.
Scorriamo lentamente e, come al solito succede, faccio amicizia con altri speranzosi candidati. Discorriamo delle materie a concorso e mi rendo conto che tutti sono molto preparati su un argomento che io non ho considerato importante. Al check fila tutto liscio, mi assegnano un posto e mi posso finalmente rilassare mentre aspettiamo il via della commissione. Giacché occhio e croce ci vorrà ancora un bel po', decido di dare una lettura veloce a quell'argomento di cui si parlava. Solo in quel momento realizzo di non avere il libro con me. Il testo sacro della mia amica! Devo averlo lasciato sul bancone del bar, ma che testa-di-m! E non posso nemmeno rintracciarlo su Google e chiamare per chiedere il favore di metterlo da parte, caso mai fosse ancora lì, perché i cellulari sono stati spenti e riposti in borsette sigillate per tutta la durata della prova concorsuale.
Che giornata! Cos'altro poteva succedere? Meglio non pensarci, tanto finché non esco di qua nemmeno nulla posso fare. Cerco di rimanere concentrata sul momento, ripassare articoli di codice e argomenti a memoria, ma nella testa passa sempre la pubblicità di quell'uomo. La sua bellezza da scugnizzo cresciuto, il tono di voce con cui mi parlava, il modo lascivo in cui mi guardava, le sue mani grandi e virili. Sì Seré ma adesso basta, cerchiamo di non scadere nel ridicolo, era più bello, più giovane, più tutto. Sono fuori come un balcone a pensare che potesse essere attratto da me. Ma come mi viene in mente, e poi mi avrà definitivamente archiviata per matta per come l'ho piantato al bar.
Sospiro e ascolto la spiegazione del presidente su come si svolge la procedura, le regole e tutte le cause di annullamento della prova. Pronti, si parte, 60 domande in 60 minuti. Ce ne vogliono 5 solo per leggere la prima domanda. Merda.
Consegno all'addetto il tablet, scansioniamo i QR per l'abbinamento, mi sbloccano la custodia e libero il mio cellulare. Arrivederci e grazie. Non direi che è andata male ma su millemila partecipanti fare un punteggio idoneo a scavalcarne la maggioranza è pura utopia. Un aspetto positivo è che abbiamo finito molto prima di quanto immaginassi. L'ansia si dissolve al sole, che mi scioglie i pensieri ghiacciati dall'aria condizionata polare e mi ricordo che ho un libro da recuperare. Al banco del bar il tipo, Pasquá, è ancora di turno ma dice di non aver trovato nessun libro. Chiede anche ai colleghi e alla cassiera ma niente, nessuno l'ha visto. Sconsolata esco di lì e già penso a dove potrei ricomprarlo. Si era tanto raccomandata, che figura di. Poi, siccome sono una donna semplice, vengo rapita da una scritta gigante su una vetrina: saldi 70%. Azz. Sui manichini cosine molto interessanti. Dopo tutti stí patemi una piccola gratificazione ce vó. Entro e mi do alla pazza gioia, il paradiso delle tardone a prezzi stracciati proprio!
Mi guardo allo specchio del camerino mentre provo l'ultimo dei vestitini freschi, leggeri e svolazzanti che avevo scelto. L'hanno fatto per me. Mi sta benissimo. Scollatura in risalto. Doppia spallina sottile. Punto vita regolabile con lancetti incrociati sulla schiena. Gonna irregolare che scopre le gambe a tratti moltissimo a tratti no. Fondo nero con sfumature in vari colori safari che faceva risaltare la mia pelle chiara e che si abbinava una favola con le mie espadrilles corda. Mi vedevo uno schianto... Sono io o lo specchio è photoshoppato? Peccato che non mi ha visto così stamattina. Ma chi? Ma seria? Che pensiero stupido. Il caldo mi sta dando il colpo di grazia. Ed il pensiero di indossare i jeans che avevo prima, nei quali stavo prendendo fuoco, e la maglietta sudaticcia, proprio non mi va. Stacco il cartellino e lo tengo addosso. Fanculo al caldo.
Quando esco è ormai ora di pranzo. Decido di prendere qualcosa da mangiare ma prima voglio liberarmi delle borse ingombranti. Entro nel parcheggio e mentre mi avvicino alla macchina noto un foglio bianco svolazzante sotto il tergicristallo. E che cazzo, una multa?!!! Nooo pure questo! Ma perché mai mi hanno multato? Questo è un parcheggio... Forse l'area era videosorvegliata e mi hanno rintracciato dopo quella manovra criminale che ho fatto stamattina al semaforo? Nel frattempo che elaboro tutte le sciagure possibili sono alla macchina e tiro il foglio. È un semplice ritaglio bianco. Non è il bollettino di una multa. C'è un messaggio scritto a penna "Il tuo libro ce l'ho io. Daniele" ed un numero di cellulare. Tutt a poooost!
Mi si attorcigliano le viscere mentre compongo il numero e non so perché. Squilla fino a staccare. Uff. Riprovo, idem. Ottimo. Mi guardo intorno in cerca di non so cosa. Intanto ficco nel cofano le buste. Riprovo e quando penso ormai che non risponderà nemmeno stavolta sento "Pronto". Bum. Cazzo di voce pure al telefono.
"Ciao Daniele sono Serena" - "Hey ciao... com'è andata?"- "Non ho idea ma credo benino dai... senti guarda oggi le sto combinando di tutti i colori proprio! Mi spiace darti noia come possiamo fare per il libro? Non è mio, altrimenti..." - "Guarda me ne sono accorto dopo un po' del libro, sono venuto anche ai cancelli ma il tipo non mi ha fatto entrare perché non avevo la domanda di partecipazione o una cosa del genere... Ah grazie per la colazione!". Mannaggia che pazienza sta avendo sto tipo con me oggi. "Ma figurati. Mi spiace invece che oggi hai passato un guaio con me..."- "Si è vero... Scherzo!Ascolta non posso raggiungerti in questo momento, però abito proprio di fronte la stazione. Se guardi sulla sinistra vedi un palazzo alto, grigio e bordeaux, sotto c'è un supermercato. Non ti puoi sbagliare... da lì è un attimo. Ti mando il codice del citofono via whatsapp. Ok?"- "Ok.. ehm grazie".
Guardo alla mia sinistra: è il tripudio dei palazzi altissimi qui. Una densità abitativa che, in un solo isolato, fa gli abitanti di tutta la città da cui vengo. Però ne individuo solo uno grigio e bordeaux. Qualche secondo dopo mi arriva un messaggio con un codice, piano, interno... Uff, non può metterlo nell'ascensore o buttarlo giù? No, dal settimo piano non direi sia il caso. Salire a casa sua mi agita però, non lo vedo un tipo pericoloso e non mi sembra nemmeno il caso di fare storie, per oggi gli ho già rotto le scatole abbastanza a sto' cristiano. Che può mai succedere ancora? Prendo il libro e mi dileguo, facile facile. Arrivo a destinazione veramente in pochi minuti, digito il codice e si apre il portone. Azz, moderni.
Settimo piano a piedi nemmeno per sogno, corro il rischio con l'ascensore, tanto c'è il portiere che saluto con un sorrisone e mi risponde con un cenno del capo. Ma che hanno tutti qui che fanno solo cenni? Bah. L'ascensore è rapidissimo, manco il tempo di darsi una sistemata nell'enorme specchio che suona al piano. Sul ballatoio ci sono quattro porte, il suo interno è la seconda a sinistra. Mi viene da ridere quando vedo la scritta sullo zerbino "check yo energy before you come in my shit"... che tipo questo. Chissà se vive solo. Magari è sposato e mi apre la moglie... hai visto mai. Chissenefrega io un libro devo prendere, si tenesse il marito, ho già il mio e mi avanza. Suono e rido tra me e me.
Qualcosa si avvicina alla porta, rumore di zampe, ansimi, graffi. Tra moglie e cane da guardia non ero andata lontana. Sento la sua voce che parla, al cane evidentemente, e poi guaiti sommessi. Mi apre sorridente mentre trattiene a stento per il collare uno stupendo ed enorme esemplare di pastore tedesco. Non so chi dei due è più bello. Il padrone è scalzo e a petto nudo, indossa solo un pantalone di tuta chiaro che, per come lascia evincere altre forme, mi dice che è nudo pure sotto. Il tatuaggio non è limitato al braccio ma si estende sulla spalla e in parte sul petto. Il mio imbarazzo deve aver prevaricato sul finto sorriso, giacché si affretta ad aggiungere "tranquilla... quello pericoloso non è lui". Rispondo troppo velocemente "Si capisce subito". Ridacchia e spalanca di più la porta, facendo segno di entrate. "No, dai tranquillo, non ti preoccupare dammi il libro al volo e ti libero" - "Te lo do volentieri... ma entra un attimo che non riesco più a mantenerlo, se scappa per le scale è finita!" e sono dentro prima di ascoltare qualsivoglia obiezione della mia testa.
Appena lo lascia il cane si avventa su di me. È chiaro che vuole solo giocare, il problema è che alzandosi su me, con la sua mole, mi sbilancia e lo scodinzolare impetuoso della sua coda fa volare la mia gonna. Il tipo ridacchia e interviene solo quando ormai mi cade la borsa perché ho bisogno di entrambe la mani per pararmi dalle leccate. "Ok ok... Leó vieni qua! Buono... su! Scusa ma era divertente vederlo farti tante feste... Non fa mai così con gli sconosciuti, anzi è geloso" - "Ah beh, lo prendo come un complimento... Grazie Leó???" "Sarebbe Leonardo".
"Piacere di piacerti Leonardo! Tieni per le brunette tu? Bravo cucciolo, sei un buongustaio!" guaisce mentre gli faccio i grattini sotto il muso. "Tale cane tale padrone!" risponde "e poi come dargli torto in questo caso... non c'era bisogno che ti mettessi in tiro per l'occasione, ad ogni modo ottima scelta!". Mi dedica un occhiolino e poi fa un'ampia squadratura della mia persona. "Non ti esaltare caro... Non è per te. Non ho saputo resistere al richiamo del negozio di abbigliamento all'angolo e quando ho provato il vestito avevo così caldo che non mi andava proprio di rimettere i jeans!" - "Eh... hai ragione si muore oggi... guarda me: ho ficcato i pantaloni per decenza perché stavi venendo tu, altrimenti nudo restavo...".
Gli occhi che ero riuscita a tenere fino a quel momento fissi nei suoi cadono sulla curva delle spalle, e poi sul petto e sulla pancia, ricoperte di una peluria castana dall'aspetto così soffice che viene voglia di passarci le mani dentro. In un verso e poi nell'altro. Il figlio di ballerina se ne accorge e con un sorriso compiaciuto aggiunge "Spero di non turbarti così". Non nutrirò il suo ego già in sovrappeso con la conferma di avermi squilibrato l'assetto ormonale. Non lo conosco, sono una donna sposata e probabilmente più vecchia di lui. Devo sbrigarmi a uscire di qui. Con la migliore faccia da poker rispondo "No tranquillo, è casa tua, anzi se mi dai il libro ti libero immediatamente. Devo tornare presto. Approposito grazie mille per averlo preso, non è nemmeno mio, che figura sarebbe stato non poterlo restituire a causa della mia sbadataggine!".
"Che fretta c'è. Ti ho salvato tre volte oggi, non merito una piccola ricompensa?" Si avvicina un pochino ed i miei occhi sbarrati suscitano la sua ilarità perché ridacchia di gusto e aggiunge "Mi merito almeno un caffè in compagnia, non ti spaventare bambolina". Non vedo nemmeno il cazzo di libro in giro per poterlo afferrare, girare i tacchi e salutarlo dicendo "bambolina glielo dici a tua sorella!". Deve notare che mi sono irrigidita e aggiunge "5 minuti per il caffè migliore di sempre Seré, e non per il caffè ma perché le mie mani sono magiche" e poi fa la cosa peggiore che potesse fare. Mi mette una mano dietro la schiena, in basso, nella curva prima del sedere, per spingermi a seguirlo verso la cucina. Una mano enorme e calda. Quel contatto in quel punto per me è la criptonite. La password del firewall. Il passpartout.
Lo seguo senza opporre obiezioni, è solo un caffè che può mai succedere? La casa è semplice ed essenziale. Maschile nei colori, ordinata e ben tenuta per essere abitata da un uomo e un cane. Dieci punti per il tipo. Sento che il caldo aumenta e non sono sicura che sia solo per la temperatura esterna. "Accomodati dove vuoi ma eviterei la Leó zone" e mi indica un angolo con scodelle e un cuscino davvero enorme dove prontamente il cane si fionda a rivendicare il suo territorio. "Non oserei mai Leó", dico al cane e appoggio la borsa sul tavolo mentre lo osservo ormeggiate con tazzine e cialde. Vengo attirata dalla porta finestra che da su un balcone e su una veduta mare veramente wow. "Posso affacciarmi fuori?" - "Sei la padrona bambolina".
Fuori il sole del primo pomeriggio è a picco ma al settimo piano c'è un venticello deciso e piacevole che si insinua sotto la gonna leggera e la fa svolazzare. È proprio bello lí ma non sono abituata, la vertigine mi prende subito. "È stupenda la vista qui" gli grido "Anche un'altra vista è stupenda" risponde di rimando. Lo sento avvicinare. "Servizio in terrazza madame" dice porgendomi la tazzina di caffè da dietro e praticamente abbracciandomi per darmela. "Merci monsieur". La prendo e lo assaggio. Il cazzone aveva ragione, fa un caffè degno del re. "Mmmmm buono davvero" - "Vedi devi fidarti di più... faccio bene un sacco di cose, oltre a salvare bamboline in difficoltà".
Stavolta rido io, è talmente sfacciato e sicuro di sé che quasi lo invidio. Me la toglie dalle mani appena ho finito e la appoggia su una sedia. Poi mi mette le mani sui fianchi da dietro. O lo butto giù adesso o lo lascio fare. Magari un altro poco e poi basta. Mi sfiora il collo con le labbra e poi mi bacia la spalla. Gli chiedo "Questo fa parte del pacchetto ringraziamento o cosa?" - "O cosa" risponde lui continuando fino a risalire alla guancia. Saranno le vertigini oppure è lui che mi fa girare la testa? D'istinto volto il viso verso le sue labbra. Solo un altro poco e poi basta mi ridico. Il bacio che ricevo è qualcosa di eccezionale, non mi ricordo più da quanto tempo non mi baciano così. Il caffè sulle sue labbra ha un sapore ancora migliore. Le sue mani salgono la schiena, accarezzano le braccia, il mio seno le riempie alla perfezione mentre stringe. Un brivido. Mi giro del tutto e lo bacio io. Le mani libere di accarezzare quel petto. Solo questo e poi basta. Ma perdo la cognizione del tempo e non so per quanto tempo continuo così, torno un poco in me solo quando sento le sue mani sul mio sedere e poi farsi strada sotto le mutandine. "Aspetta, non é il caso... devo andare, scusa".
Mi trattiene e mi stringe di più a sé mentre continua a farsi strada dove vuole. "Shhhhhhhh. Ferma. Abbiamo un problema qui" dice accarezzando tutta la lunghezza della mia intimità bagnata, un tocco così dosato e sapiente che mi strappa un bastardo di mugolio. "Abbiamo lo stesso problema" mi sussurra e si spinge contro di me facendomi sentire la sua eccitazione. Senza vergogna le mie mani si precipitano ad afferrarlo, toccarlo, testarlo. Eh sì, aveva un problema. Un grosso problema. Questa volta il rantolino di piacere è il suo. Mi solleva come se non avessi peso continuando a baciarmi e mi riporta dentro, appoggiandomi sul tavolo. Mi spoglia o mi spoglio, non lo so. So solo che sono mezza nuda, la sua bocca vorace sul mio seno zittisce ogni voce di buonsenso interiore e quando la sua testa sparisce sotto la mia gonna proclamo la mia resa definitiva. Non peccava di presunzione quando diceva che sapeva fare molte... cose bene. Non c'era bisogno di guidarlo, faceva piano, faceva forte, mordeva al momento giusto proprio come se leggesse i miei pensieri, provasse le mie stesse sensazioni. Si accorge infatti quando sto quasi per venire e si ferma. Mi trascina giù dal tavolo, togliendomi quel poco di stoffa che resta su di me ed io lo aiuto a liberarsi della tuta. Non posso non fermarmi un secondo ad ammirarlo. Questa volta sono io a bloccarlo contro il tavolo, mentre cado in ginocchio per assaggiarlo. E forse non si aspettava di non essere l'unico a saper fare le cose per bene, a giudicare dai forti sospiri di apprezzamento e da come mi mantiene la testa, sembra che abbia paura che smetta. Oh sì che so cosa fare, e lo faccio con trasporto, gusto, piacere mio anche se lo contengo a fatica in bocca: madre natura era in vena di strafare quando l'ha creato. I muscoli delle sue gambe si irrigidiscono sempre di più, è vicino. Mi fermo, lo voglio subito. Come leggendomi nel pensiero mi ribalta sul tavolo, mi bacia ancora, mi stende e mi dice "afferra il bordo del tavolo bambolina... sarà forte e cattivo". Alza le mie gambe sulle sue spalle ed entra in me lento, mentre mantiene il contatto visivo, cosa che mi manda in estasi già di per sé. La mia carne cede e si adatta a lui, è così grosso, mi riempie e lo sento tutto. Quando arriva fino in fondo si tira via, poi rientra in un colpo solo. Stupendo. Di nuovo. E mantiene la promessa. Si scatena dentro me, forte, voglioso, cattivo. Le oscenità che mi dice non fanno che aumentare il mio piacere. Devo mantenermi forte al tavolo davvero mentre fa. Sento il piacere travolgermi prepotente, gli spasmi del mio orgasmo mi scuotono tanto che le mie urla spaventano Leó che, coda tra le gambe, sparisce in un altra stanza. Le sue arrivano un secondo dopo, forti come le mie, più dolorose. Si accascia su di me rimanendomi dentro, ansimiamo sudati e sconvolti. Mi scosta i capelli dal viso e mi chiede come va. "Ci ha sentito tutto il palazzo e abbiamo traumatizzato il cane. Secondo te come va?". Ridiamo insieme. Appena il respiro si calma, cerca di nuovo le mie labbra. Non è ancora finita.
Come al solito prima di andare via sistemo le scartoffie sulla mia scrivania, ben allineate, e ripongo il "coso" che ormai uso come segnalibro nel codice di procedura. Lo rigiro un attimo tra le mani. Sorrido al pensiero di tutto quello che mi ricorda quel piccolo pezzo di carta ogni volta che lo vedo. A lui devo le ore più rocambolesche, indicibili, peccaminose e soddisfacenti della mia vita, trascorse tra le braccia di uno sconosciuto, che non ho più rivisto. E un nuovo lavoro. Ah sì, perché poi quel concorso l'ho vinto.
@conilsolenegliocchi 🐞
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Riapro gli occhi. Resto sola, in attesa sul bordo del letto. Trucco in faccia, vestiti addosso, speranza dentro. Aspetto e so che non arriverà. File di persone davanti alla cassa al supermercato, davanti ai bagni di scuola, alla fermata del bus, è un continuo attendere. Il tempo vola e noi non abbiamo ancora imparato a volare. Arrivo alle 17/17.30, attesa lunga, minuti infiniti. Alle 18 sono li, ancora un po, pugni stretti, capelli sciolti, nervi a mille. Strappo secondi dal orologio e li sostituisco con lunghi minuti. Il tempo passa, passa e alle 21 andiamo, ma andiamo? Ti guardo in volto, il tempo è soggettivo, ti strappo gli occhi e per terra una pozza di sangue. Senti bruciare, poi fuoco vero. Ti odio, ti amo e ti detesto ancora. Sei cupo, io sprizzo raggi di sole accecanti. Tu non vedi, non puoi vedere, calpesto gli occhi tuoi col tacco della scarpa, pugnale in mano e ti strappo il cuore. Pulsa sotto le mie dita fredde e godo mentre sputi sangue sul pavimento. Con l'ascia separo il tuo corpo in cinque perfette parti, mani e gambe poi corpo. Ora in sei, mani e gambe e corpo e testa. Sei pezzi da rimettere insieme, ora ti squarcio in due e faccio uscire organi, budella a destra sulla terra scura, cuore ancora in mano, sinistra fegato e stomaco poi reni, polmoni tra la testa e il nulla e milza accanto la gamba destra. Ti strappo il tuo fedele amico, riproduttore, donatore di vita. A terra ora giace l'amore e l'oggetto da me amato. Ti mangio il cuore, il sangue sui miei seni fin sulle gambe. Tu non ritardi, non mi lasci più in attesa. Mi siedo accanto, un colpo alla testa e cado. Mi hai aspettata, la mia morte arriva tardi. M'arriva. Il corridoio buio accoglie la mia figura come un sacrificio a Lucifero. Mi appoggio al muro alla mia destra. Le gambe tremanti e il respiro corto. Pezzi di vetro. Frammenti infiniti di specchi rotti. Fa freddo. Sento urla dietro alle porte per poi vedere sangue su ogni superficie. Mi aggrappo al muro, a me e ad ogni speranza che mi resta. Un passo, dopo un passo e dopo un passo ancora. E cado pesantemente sul pavimento appiccicoso. I pezzi di vetro mi si conficano nel corpo magro. In mano un frammento di specchio. Mi guardo. Maledetta curiosità. Non vedo. Non ho occhi. Non ho naso. Non ho la bocca. Una superficie netta di un corpo che non è mio. Mi tocco il posto dove una volta erano i miei occhi. Due buchi profondi. Sento sotto le dita pezzi di nervi. Carne che sembra viva. Brucia, ma continuo a premere sperando che in fondo ci siano i miei occhi. E buio dopo buio e dopo buio ancora. Il sangue ricomincia a scorrere e lo sento bagnarmi il viso. Mi cede la testa in avanti. E chiedo a Lucifero aiuto. Riesco ad alzarmi in piedi.
Lucifero.
Non ho occhi ma vedo.
Lucifero.
Non ho naso, ma respiro l'aria acre della mia morte.
Lucifero.
Non ho bocca, ma urlo.
Lucifero.
Non ho vita, ma vivo.
Lucifero.
E tu, tu prendimi, curami ogni ferita. Che solo tu tra tutti vedi il male dove c'è il bene. Quindi guardami. Distruggimi. Prendi il mio corpo e spezzalo in due. Le mie viscere sul freddo pavimento e il mio sangue che sia il bagno caldo per te. Che sei il mostro ed io la bestia. Che a fare patti con te si muore. E io che vivo insieme alla mia morte, muoio. E sono tua, corpo e anima. E ricomponimi dopo la morte. Che io sia per te arma per la gloria e tu che sia per me eterna salvezza.
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Straight out of a magazine from a parallel universe
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Averti tra le mie braccia e darti tutto il mio calore❤ Le tue labbra sono cosi invitanti 🤤 ti bacio, sono morbide e calde, ci si stanca un attimo e poi le labbra tornano a baciarsi ancora più intensamente, le lingue vorticano freneticamente, mi avvinghi le braccia al collo, ti avvolgo le braccia ai fianchi e ti stringo a me. Sento il tuo seno premere sul mio petto e "lui" Non può che alzarsi per te ❤ Lo percepisci e ti strofini con la pancia, i baci sono ancora più pieni di desiderio, i nostri occhi si incrociano per un momento ed è come leggersi nella mente, vogliamo essere connessi, fare l'amore più è più volte. Dedicato a te dolce gattina ❤ (spero ti piaccia) Firmato: L.
Ciao L! Che scena super dolce ✨ quasi quasi arrossisco 👉🏻👈🏻 ahaha
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🌟 Novità
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Abbiamo rinominato l'opzione di menu "Questo particolare post non fa per me" in "Ignora". Questa opzione ti consente di eliminare un post che non ti piace. Puoi vedere questa opzione nel menu dei tre puntini di un post consigliato (basato sui tuoi Mi piace, apprezzato da un blog che segui, basato su un tag che segui, postato sul feed "Per te").
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The Cure: il loro ultimo lavoro è sorprendente
Iniziamo dalla fine: il nuovo disco dei Cure è fenomenale. Onestamente non lo stavo aspettando con particolare trepidazione. Sono sempre molto scettico quando una band ci mette troppo tempo e pubblicare del nuovo materiale. Il rischio è il tentativo di remake di ciò che è stato. Remake troppo spesso privo di contenuti. Sarà stato forse questa perplessità a farmi rimanere ancora più colpito da quello che i nostri hanno prodotto. Non si tratta di una raccolta tipo ‘inostri anni migliori’. Tutt’altro.
È un disco carico, denso, ammaliante. Ovvio che l’esperienza li abbia portati a premere più su certi tasti rispetto ad altri. È sicuramente uno dei dischi più oscuri che i nostri abbiamo mai partorito. Sembra di essere tornati ai tempi di Disintegration, ma con una consapevolezza diversa. Alla luce delle esigenze contemporanee del mercato, i Cure avevano due scelte, dal mio punto di vista.
O tentare la carta commerciale, mossa che non gli è così estranea. Oppure, guardare a ciò che sono stati e sono diventati. Hanno deciso per questo secondo sentiero. Ovvio, non è stata una scelta di buon cuore o dettata da coerenza stilistica. Dietro c’è sempre l’occhio a come va il business. Diversamente non potrebbe essere. Tuttavia i Cure sono riusciti a conciliare i due punti di vista, quello etico e quello economico. Detto questo, non si può aggiungere molto altro.
Musicalmente sono i Cure ancora più Cure. Un po’ come i Metallica del Black Album. Sono stati enfatizzati gli aspetti più peculiari del loro lato oscuro, quello che più colpisce chi non li conosce e più piace a chi li segue. Diciotto anni per un disco che di per sé è senza tempo. Non che non sia cambiato nulla. Anzi. Molto è cambiato. Tranne l’attitudine e la voce di Robert Smith.
Ecco forse l’aspetto più sorprendente. All’età di 65 anni Smith canta ancora come un giovincello. Non solo a livello timbrico, soprattutto come intensità. Certo, va fatta la prova del nove dei concerti. Su disco tutto è possibile. Ma diciamo che le premesse non sono poi così male. I Cure sono riusciti a trovarsi un posto tra quei rarissimi gruppi che nonostante non si discostino molto dalla propria linea originaria, non stancano mai.
E parla non un fanatico, ma solo uno che li conosce e li segue da moltissimo tempo. Un disco che certo dà lezioni di buona musica a moltissime uscite contemporanee di gruppi storici che non sapendo più cosa dire non fanno altro che ripetere se stessi all’infinito.
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