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PRIMA PAGINA Il Fatto Quotidiano di Oggi mercoledì, 04 settembre 2024
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: Raffaello Sorbi (italiano, 1844-1931) ~ Fidia scolpisce la statua di Athena (1869), Olio su tela.
La produzione del Sorbi è molto caratterizzata da continui richiami al gusto settecentesco, medievale o addirittura pompeiano, come nel caso di questo dipinto dove ogni elemento è descritto con dovizia di particolari. L'opera fu commissionata allo scultore Giovanni Dupré, rimasto colpito dai marmi del Partenone conservati al British Museum. Nel dipinto l'artista è raffigurato in studio mentre confronta la sua creazione con una modella in posa, mentre sullo sfondo appare una lastra del fregio del Partenone.
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Capture timeless elegance with our best-selling ties of the month – Carina & Rosso Pompeiano. These artisanal treasures feature subtle vintage tones, making them effortlessly versatile and a must-have for any wardrobe.
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Kiki! 😭I recently came across claims on one of my social media accounts that Matt and Chris have long-distance relationships with these influencers, Martina Pompeiano and Yasmin Barbieri. The only “proof” these individuals possess is that they followed one another on Instagram, and they both reside in separate countries? My brain hurts from these claims; why do people care or assume such ridiculous things? I need a vacation from social media. 😭
Anyway, Kiki, how are you doing? I hope you're having a fantastic day! 😭🤍✨
You definitely need a break from social media 😭😭😭
I’m doing great! 🤍🥰 Thank you for asking anon!!
#nickssidewitch#nickssidewitch asks#sturniolo triplets#nickssidewitch tarot#matt sturniolo#chris sturniolo
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BLUE GLASS AMPHORISKOS WITH AMORINS picking grapes from the Villa of the Columns in Mosaic Pompeii. National Archaeological Museum, Naples
AMPHORISKOS DE VIDRIO AZUL CON AMORINOS recogiendo uvas de la Villa de las Columnas en Mosaico, Pompeya. Museo archeologico nazionale, Napoli
AMPHORISKOS IN VETRO BLU CON AMORINI che raccolgono l'uva dalla Villa delle Colonne a Mosaico a Pompei. Museo archeologico nazionale, Napoli
(English / Español / Italiano)
The Amphoriskos in Pompeian blue glass is a very rare example of ancient cameo glass. It is a type of luxurious vase inspired by the intricate Hellenistic relief-cut gems that were extremely popular during the Augustan and Julio-Claudian periods, from 27 BC to 68 AD. Based on extensive research by David Whitehouse of the Corning Museum of Glass, only 15 vases and about 200 fragments of cameo glass remain in museums and private collections today. Roman cameo objects usually had two or more layers of different colours; the top layer is partially cut away to create a bas-relief decoration on a background of contrasting colour. Most Roman examples are made with two layers, usually white on blue. However, there are fragments of vases with more than two layers and sometimes up to five, testifying to the very high technical development in the glass art of the time.
National Archaeological Museum, Naples
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El Amphoriskos de vidrio azul pompeyano es un ejemplo muy raro de vidrio camafeo antiguo. Se trata de un tipo de vaso lujoso inspirado en las intrincadas gemas helenísticas talladas en relieve que gozaron de gran popularidad durante los periodos augusteo y julioclaudiano, del 27 a.C. al 68 d.C. Según las exhaustivas investigaciones realizadas por David Whitehouse, del Museo del Vidrio de Corning, en la actualidad sólo quedan 15 jarrones y unos 200 fragmentos de vidrio camafeo en museos y colecciones privadas. Los camafeos romanos solían tener dos o más capas de diferentes colores; la capa superior se cortaba parcialmente para crear una decoración en bajorrelieve sobre un fondo de color contrastado. La mayoría de los ejemplos romanos están hechos con dos capas, normalmente blanco sobre azul. Sin embargo, hay fragmentos de vasos con más de dos capas y a veces hasta cinco, lo que atestigua el altísimo desarrollo técnico en el arte del vidrio de la época.
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L'Amphoriskos in vetro blu pompeiano è un esempio molto raro di antico vetro cameo. Si tratta di un tipo di vaso lussuoso ispirato alle intricate gemme ellenistiche tagliate a rilievo, estremamente popolari durante il periodo augusteo e giulio-claudio, dal 27 a.C. al 68 d.C. Sulla base di una lunga ricerca di David Whitehouse del Corning Museum of Glass, oggi nei musei e nelle collezioni private sono rimasti solo 15 vasi e circa 200 frammenti di vetro cameo. Gli oggetti cameo romani di solito avevano due o più strati di colori diversi; lo strato superiore è parzialmente tagliato via per creare una decorazione in bassorilievo su uno sfondo di colore contrastante. La maggior parte degli esempi romani è realizzata con due strati, solitamente bianco su blu. Tuttavia, esistono frammenti di vasi con più di due strati e talvolta fino a cinque che testimoniano l’altissima evoluzione tecnica nell’arte vetraria del tempo.
Posted in ARTENAUTA by Pietro Romano
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Bis, bis
Rosso, rosso pompeiano, arancio aragosta, viola, viola addobbo funebre, blu tenebra.
Sul blu tenebra gli Italiani sviluppano fenomeni di autocombustione spontanea, giustificando l'inutilità di aggiungere ulteriori tonalità cromatiche alla tavolozza.
Alessandro Rasulo
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Newly found wall paintings at Pompeii, showing perhaps the earliest pizza!
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Rosso pompeiano. Ciao!
Ferragosto 2023. Come al solito sei sotto l'ombrellone a leggere anzi a correggere un antico papiro in sanscrito, quando senti potente, anzi prepotente il richiamo del mare. Ti alzi, ti spogli (indossavi una vestaglia rosso pompeiano) e ti tuffi. Solo qualche bracciata e poi la tua attenzione è attratta da un foglio di carta galleggiante. Lo prendi e, seppure l'inchiostro sia in parte scolorato (o scolorito?) riesci a leggere qualche parola: Tim..... gig... imitat.
Capisci subito che sei di fronte a un importante ritrovamento artistico: è un antichissimo testo di Timoteo di Samotracia andato perso nel 3000 avanti Cristo o giù di lì.
Ecco, ti dico subito: lascia perdere, è altro, non è il caso di allertare i beni culturali. E anche un consiglio: mettiti sempre il cappello quando sei sotto il sole.
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Selvatica - 7. Non basta più
Corinna percorse gli ultimi metri che la separavano dal condominio di Antonio con il cuore in gola. La mattina al lavoro era riuscita a chiedere l'anticipo a Flora e in quel momento stringeva al fianco la borsetta blu che aveva a tracolla, con dentro la busta piena. Le gambe molli per l'agitazione rischiavano di non rispondere più ai comandi del cervello se non si dava una calmata.
Non era la priva volta che lo incontrava, avrebbe saputo gestire la situazione, si disse per tranquillizzarsi. E poi il suo debito stava per essere saldato, aveva con sé i diecimila euro. Rocco le venne incontro con un sorriso spento. La sua stazza da ex pugile bastava per intimorire chiunque, ma quando era così scontroso faceva ancora più paura. Dava l'impressione di poter fracassare il cranio di una persona con una sola mano.
«Vedo che sei venuta. Almeno mi hai risparmiato il fastidio di dover venire a casa tua.»
«Te lo avevo detto che sarei venuta» rispose risoluta. Cercava sempre di non lasciar trasparire la sua agitazione, sapeva che quelle persone si sarebbero approfittate della sua debolezza se gliel'avesse lasciata intravedere. Lo aveva imparato a sue spese, durante gli anni in cui tutto sembrava precipitare verso un burrone troppo profondo dal quale aveva temuto di non poter più risalire.
«Per la cronaca, non ti azzardare più a fare quello che hai fatto ieri» disse Rocco, guardandola di sbieco mentre apriva la porta del palazzo.
«E tu non ti azzardare mai più a minacciarmi.»
Ridacchiò. «Corinna, non tirare troppo la corda con Antonio.»
Salirono le scale in silenzio. Ad ogni passo avvertiva lo stomaco sempre più contratto. Rocco aprì la porta della casa. Dentro non si sentiva il chiacchiericcio che aveva sentito la prima volta che era stata lì. Tutto taceva e l'ansia si fece ancora più forte. Se Antonio era da solo, avrebbe avuto un sacco di tempo per tormentarla. Attraversarono lo stretto corridoio dalle pareti rosso pompeiano e quadri con cornici in oro. Quell'appartamento era solo un'ostentazione della ricchezza e del potere di Antonio, pieno di oggetti di valore ma privo di anima. Non c'era niente che potesse farle pensare al calore di una vera casa.
Rocco bussò alla porta dello studio, poi aprì. Antonio sedeva dietro la sua scrivania di mogano rivestita di pelle nera. Tutta la stanza era scura, con la carta da parati nera con motivi arabeschi grigio scuro e il pavimento in marmo nero lucido.
Corinna esitò sulla soglia prima di entrare. Accanto alla parete alla sua destra c'era il ragazzo che l'aveva tenuta per un braccio il giorno prima. La guardò senza mutare la sua espressione seria.
«Corinna.»
La voce di Antonio era roca e bassa. Chiuse il pc che aveva davanti. Alle sue spalle la porta scattò con un clic e Rocco rimase fuori. Lei rimase immobile in mezzo alla stanza.
«Vieni avanti. Hai qualcosa per me?»
Fece un segno di assenso con la testa e tirò fuori dalla borsa la busta di carta con il denaro. Lo poggiò sulla scrivania, concedendosi di guardare Antonio negli occhi. Erano due buchi scuri che la scrutavano con un misto di curiosità e divertimento. Lui di sicuro sapeva che stava nascondendo la sua paura. Si affrettò a distogliere lo sguardo. Antonio afferrò la busta e la mise da parte senza nemmeno aprirla.
«Ti aspettavo ieri.»
«Avevo da fare.»
«Mm.»
«Adesso ho saldato il mio debito, siamo a posto.»
«E no, Corinna. Questi non bastano, me ne devi altri cinquemila. Gli interessi.»
Lei si sentì gelare il sangue nelle vene. «Non erano questi i patti. Te li ho portati con una settimana di anticipo.»
«Se tu fossi venuta ieri, quando te l'ho gentilmente chiesto...»
«Gentilmente?»
«Come sta tua madre?»
Le si fermò il cuore per un attimo. «Che c'entra mia madre?»
«Volevo solo essere gentile.»
«Che cosa vuoi da me ancora?»
«Lo sai benissimo cosa voglio: te.»
«E tu lo sai benissimo che non mi avrai mai.»
Lui la ignorò e si alzò, girando attorno alla scrivania per mettersi di fronte a lei. «Il fine settimana prossimo devo incontrare uno sceicco e ti voglio con me. Ci saranno anche altre ragazze, ma tu sei perfetta... potrai tenerti tutti i regali che ti farà. Soldi, gioielli, sono molto generosi con le ragazze italiane.» Allungò una mano per toccarle i capelli ma lei la schiaffeggiò, indietreggiando.
«Non mi toccare. Dovresti sapere che non faccio certe cose.»
Lui la guardò furioso per il gesto. Le afferrò un braccio e l'attirò a sé. «Esci» intimò al ragazzo, che obbedì. «Tu mi appartieni, Corinna. Fino a quando lo deciderò io farai quello che ti dico. Non vuoi che succeda qualcosa a tua madre, vero?»
Sentiva il suo fiato caldo sulla guancia, l'odore del suo profumo costoso mischiato al fumo di sigaretta. Trovò l'ultimo briciolo di coraggio, trattenendo l'impulso di correre via lontano. «Io non ti appartengo. Ho saldato il mio debito, se non mi lasci andare sarò costretta a denunciarti alla polizia.»
Lui insinuò il naso tra i suoi riccioli. «Se non vieni con me a Dubai il tuo debito salirà. A te la scelta: o con me o mi dovrai portare altri ventimila euro.»
La lasciò andare. Corinna indietreggiò in fretta verso la porta, afferrò la maniglia e la spalancò, trovandosi davanti il ragazzo col tatuaggio in faccia. Lo guardò appena, prima di incamminarsi per il corridoio. Le pizzicavano gli occhi, aveva un groppo in gola che faceva male. Maledetta stupida, che si era andata a impelagare in quella situazione. Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Voltò il capo e si trovò faccia a faccia con il ragazzo tatuato.
«Che vuoi?»
«Che cazzo è successo là dentro?»
Corinna aggrottò la fronte. «Niente.» Perché quel ragazzo sembrava preoccupato? Fece per andarsene ma lui la trattenne.
«Quanti soldi ti ha chiesto?»
«Si può sapere che diavolo vuoi?»
Si fece più vicino. «Voglio aiutarti», disse a voce bassa. Era serio.
Corinna fece un sorriso amaro. «In cambio di cosa?»
Il ragazzo esitò. Dalla stanza giunse la voce perentoria di Antonio a richiamarlo. Lui non staccò gli occhi da lei, stava forse provando pietà? Scosse la testa, voltò le spalle al ragazzo e uscì.
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Pompei, negli scavi di Civita Giuliana ritrovato il tempietto di Ercole
Pompei (Napoli), negli scavi di Civita Giuliana ritrovato il tempietto di Ercole Nell’area di Civita Giuliana, a nord della città antica di Pompei, già agli inizi del Novecento era stata identificata una grande residenza detta Villa Imperiali. A partire dal 2017 e poi nel 2019 grazie a un protocollo d’intesa siglato con la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, il Parco Archeologico di Pompei ha dato avvio a campagne di scavo che hanno permesso di arrestare il saccheggio sistematico che per anni ha interessato la villa e che hanno restituito nuovi dati e rinvenimenti eccezionali. Le indagini del 2023-'24 si sono concentrate lungo il tratto dell’attuale via di Civita Giuliana investigando per la prima volta un’area interposta tra i due settori già noti, quello residenziale a nord e il quartiere servile a sud, al fine di verificare l’attendibilità delle informazioni recuperate dalle indagini giudiziarie condotte dalla Procura di Torre Annunziata. Fra le importanti scoperte che hanno interessato la villa, di cui l’ultima la stanza dei carpentieri, emerge anche un sacello, un ambiente dedicato al culto religioso, collocato in un punto di cerniera tra il settore di servizio (con stalle e la stanza degli schiavi) a sud e il complesso residenziale a nord della villa. La rimozione della strada, avviata nell’agosto 2023, ha portato in luce- immediatamente al di sotto degli strati preparatori della via moderna, tra i 40 e i 50 cm di profondità dall’attuale quota stradale - pavimentazioni appartenenti al piano superiore del quartiere servile nonché il sacello con volta ad incannucciata dalla planimetria rettangolare, di cui sono noti alcuni esempi annessi alle ville del suburbio pompeiano, seppur non con la stessa monumentalità. Il sacello sembrerebbe corrispondere a quanto rilevato dagli inquirenti nel corso di investigazioni, nelle quali emergono riferimenti ad un “tempietto” intitolato ad Ercole, e ad affreschi raffiguranti le 12 fatiche di Ercole, di cui tuttavia non ci sono tracce al momento. L’ambiente è coperto con un tetto spiovente a falda unica, mentre la fronte esterna, completamente intonacata e dipinta di bianco, presenta un grande portale (2.65 x 2.75 m) ed è sormontata da una sorta di “timpano” a rilievo. Davanti alla enorme porta è presente una rampa con tracce di ruote, indizio del possibile uso nel corso dei rituali di un carro cerimoniale. Internamente l’ambiente è caratterizzato da una decorazione pittorica parietale in IV stile: il ciclo decorativo, prevedeva una sequenza su sfondo rosso di dodici pannelli a drappo giallo, mentre al centro della parete di fondo due pannelli che inquadravano un podio in muratura, verosimilmente di supporto per una statua. Poco distante corre lungo le pareti una banchina continua, in muratura rivestita di intonaco dipinto, di cui è evidente l’usura determinata dall’uso nel tempo, da parte dei partecipanti ai rituali. “Tutta l’area del Parco archeologico di Pompei è uno scrigno di tesori che ogni giorno rivela al mondo intero nuove storie e nuove identità - ha affermato il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, al termine del sopralluogo svolto ieri alla Villa suburbana di Civita Giuliana - Il governo ha finanziato con l’ultima Legge di Bilancio nuovi scavi e, come confermato anche dal Direttore Gabriel Zuchtriegel, nel Parco di Pompei non c’erano così tanti scavi e tante attività per il rinvenimento di nuovi reperti dagli anni Cinquanta. È qualcosa di meraviglioso che può costituire anche una grande occasione di sviluppo socio-economico per tutto questo territorio. Perciò è necessario continuare a puntare sulla cultura e sul valore delle esperienze che questo territorio può dare. In questa direzione c’è anche la vicenda dello Spolettificio di Torre Annunziata che è un’importante immobile ceduto al MiC dal Ministero della Difesa dove noi cercheremo di fare una grande area museale”. “Lo scavo del sacello, da un lato è sconcertante, perché ci fa vedere la spregiudicatezza con cui gli scavatori clandestini hanno operato, spogliando quasi tutte le pareti e l’interno della stanza – ha dichiarato il Direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel - Vedere questo luogo di culto, annesso al quartiere produttivo della villa, ridotto in queste condizioni, fa male, anche perché ci sono pochissimi confronti per questo genere di ambienti. Paradossalmente, però, al tempo stesso, è incoraggiante: lo Stato c’è, insieme alla Procura della Repubblica e ai Carabinieri, il Ministero della Cultura sta recuperando un complesso di grandissima importanza. I rinvenimenti confermano quanto appurato dalla polizia giudiziaria e dalla Procura. Si tratta di uno scavo di tutela attiva e direi anche di giustizia, dopo anni di saccheggiamento. I prossimi passi saranno: continuazione degli scavi, proseguo degli espropri, abbattimento di edifici espropriati per il recupero del patrimonio archeologico e progettazione di una fruizione pubblica della villa: sarà un gioiello della Grande Pompei, che ci aiuterà a valorizzare meglio tutto il territorio della città antica. Ringrazio il Ministro Sangiuliano per il sostegno e per i fondi nella Legge di Bilancio per nuovi scavi a Pompei e in altri parchi nazionali, che ci permettono di continuare le indagini a Civita Giuliana. Oltre al Procuratore Fragliasso, vorrei anche ringraziare l'amministrazione comunale nella persona del sindaco Lo Sapio, perché gli scavi sotto la strada moderna, che hanno portato alla scoperta del sacello e della stanza del carpentiere, sono possibili solo grazie a una fattiva e quotidiana collaborazione tra enti che a Pompei sta portando a grandi risultati”. Le attività di indagine in corso a Civita Giuliana costituiscono il modello di uno scavo che è esempio di legalità e tutela e che diventa occasione di conoscenza e sviluppo della ricerca. L’obiettivo è continuare il programma degli espropri e l’abbattimento degli edifici già acquisiti e al contempo ampliare gli scavi al fine di chiarire gli ancora numerosi aspetti di Civita Giuliana sia a livello scientifico, sia in termini giuridici, e progettare. Fondamentale per il prosieguo delle attività sul territorio sarà la progettazione un sistema ampio di accessibilità e fruizione che metta in connessione questo sito nella rete della Grande Pompei. Su quest’ultimo punto è in corso una collaborazione con la Federico II e con il ReParch, Master Universitario di II livello in Restauro e Progetto per l’Archeologia. Gli ambienti indagati finora sono quelli dell’ampio quartiere produttivo e servile: - fra cui una stalla con i resti di equidi bardati, in cui è stato possibile realizzare il primo calco intero di cavallo; - un carro cerimoniale a quattro ruote, in legno e con elementi in ferro, con raffinate decorazioni in bronzo e argento, interpretato come pilentum, cioè un veicolo usato nel mondo romano dalle élites per cerimonie e in particolare per accompagnare la sposa nella nuova casa, esemplare unico nel suo genere al momento in Italia; - la cosiddetta stanza degli schiavi, un ambiente servile che, grazie allo stato di conservazione eccezionale e alla possibilità di realizzare calchi in gesso di letti e altri oggetti in materiali deperibili che hanno lasciato la loro impronta nella cinerite, offre uno spaccato rarissimo della realtà quotidiana degli schiavi che vivevano e lavoravano nella villa; - una seconda stanza degli schiavi, di cui è stato possibile eseguire il calco di buona parte degli arredi che restituisce, come in una foto in bianco e nero, una precisa immagine della sala. Ci consente, ad esempio, di ipotizzare una gerarchia all’interno della servitù: mentre uno dei due letti trovati è della stessa fattura, estremamente semplice e senza materasso, di quelli della prima stanza citata sopra, l’altro è di un tipo più confortevole e costoso, noto in bibliografia come “letto a spalliera”. Nell’ambiente ci sono inoltre due piccoli armadi, conservati parzialmente come calchi, una serie di anfore e vasi di ceramica e diversi attrezzi, tra cui una zappa di ferro. - reperti mobili di vario genere e tipologia, fra cui stoviglie e coppe in ceramica comune e da fuoco, anfore, elementi decorativi del carro, bardature equine. - un’ulteriore stanza con gli attrezzi di un carpentiere. L’ambiente contiene un letto, ma anche attrezzi di lavoro e quello che sembra un telaio, forse di un altro letto, smontato: si riconoscono, inoltre, ceste, una lunga corda, pezzi di legno e una sega con lama, che sembra non tanto diversa dalle seghe tradizionali usate fino a poco tempo fa. Individuato persino un pezzo della corda, sempre come impronta nel sottosuolo, che la teneva sotto tensione Mentre dall’altro lato della strada è stato indagato il settore residenziale con affaccio panoramico sul golfo dove sono emersi: - ambienti eleganti, articolati intorno a un peristilio delimitato su due lati da un portico e caratterizzato sul terzo lato da un criptoportico; - i due scheletri di fuggiaschi, nei pressi del criptoportico, di cui è stato possibile eseguire il calco. Tutte queste nuove acquisizioni, analizzate e documentate grazie alle più avanzate tecnologie e metodologie di scavo archeologico, permettono di arricchire la conoscenza su aspetti della vita quotidiana poco documentati dalle fonti scritte e iconografiche, contribuendo a ricostruire un quadro sempre più completo sull’articolazione e sul funzionamento di uno dei numerosi complessi abitativi sparsi sul territorio pompeiano. L’eccezionalità e l’importanza storica di questo scavo dal punto di vista sia della tutela sia delle scoperte che, sempre più numerose emergono dagli scavi, ha inoltre reso necessaria un’esposizione organica presso l’Antiquarium di Boscoreale dei principali reperti emersi, tra cui i calchi delle vittime dell’eruzione e il carro cerimoniale, al fine di rendere tale contesto fruibile e conoscibile da parte del vasto pubblico.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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I'm wearing ROSSO POMPEIANO one of our favorite tie.
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Renata Mohlo
Elegante da morire
Baldini+Castoldi, Milano 2024, 192 pagine, brossura, ISBN 9791254941447
euro 18,00
email if you want to buy [email protected]
Milano, sbadata e rampante. Giorni nostri. Un cadavere giace nella toilette di un noto ristorante. L’acqua del rubinetto corre, il rotolo di carta igienica pure, e lo stiletto di una décolleté griffata affonda nel corpo esanime dell’illustre defunta. Lei, Madame Jesais Tout, ma all’anagrafe Gaetana Pizzuto; lei, direttrice onnipotente di una patinata rivista di moda, che decide ascese e cadute con un cenno del capo; lei, che «un tempo era buona, ma poi ha dimenticato tutto»; ebbene, lei ora viene avvolta in un tappeto afghano e chiusa nel freezer, per occultarne l’omicidio prima che la gente mormori. E quando Ignazio Scognamiglio, ispettore sgualcito e incline alla disfatta, sarà assoldato sottotraccia alla ricerca di colpevoli e moventi (a profusione), in passerella sfileranno rivalità antiche e figli rinnegati, portinaie chiromanti e parvenu dell’haute couture, fenomenologie del merletto e vendette servite gelide. Intessendo un noir che è anche satira tagliente, l’autrice realizza un affresco ironico e corale, quello della moda tutta brillio ma con i suoi chiaroscuri – lì dove «è tutto falso, la fantasia è altrove» – qui restituita con spensierata, ma a tratti tenera, efferatezza. Come si dice, «Adoro!»
Al piano di sotto
Quando un luogo banale diventa lo scenario di qualcosa di straordinario.
Tutto era dorato, ma era sorprendentemente argenteo quel che si vedeva dello stiletto in acciaio. Brillava superbo, illuminato dal raggio di luce che, penetrando da una feritoia in alto a sinistra, colpiva con precisione il tacco di una décolleté griffata. Una fibbia a forma di rondine, con la sua coda affusolata e biforcuta, giaceva un po’ più in là sul pavimento, mentre la punta della scarpa veniva inghiottita dal buio. Unico elemento vivido in quell’immensa scatola di marmo con venature ambrate, il rosso di un sottile rivolo di sangue che formava una chiazza frastagliata.
Gli specchi riflettevano ogni cosa all’infinito, in un gioco di rifrazioni che rasentava per perfezione quello delle piramidi, e il rumore dell’acqua, che sgorgava da un rubinetto d’oro dimenticato aperto, come una dolce reminiscenza orientale, si confondeva con i suoni sincopati di un pezzo di Dizzy Gillespie.
I soffitti alti e altrettanto specchiati moltiplicavano la scena: a terra giaceva un corpo elegante anche nella morte. Il tubino nero di YSL continuava imperterrito a fasciare un corpo inerme, minuto e in una posa scomposta. Come una farfalla trafitta da uno spillo, Madame Jesais Tout, la potente direttrice di «Cloud», aveva smesso di respirare. Era successo proprio mentre era in bagno, nel momento più intimo e riservato. Sembrava si volesse aggrappare alla carta igienica, che continuava a srotolarsi nella sua rosata ingenuità, producendo un ritmico cigolio. La porta era chiusa e chi avesse bussato sarebbe passato alla successiva pensando semplicemente che qualcuno si fosse asserragliato lì dentro per starsene un attimo in pace, per farsi di coca o per consumare una fugace avventura con uno degli aitanti camerieri. Le gambe piegate all’indietro, le braccia aperte a croce e i capelli di un rosso pompeiano lunghi di extension sparpagliati in ciocche disordinate, defunte già da tempo, enfatizzavano la perentorietà di tutta quella lussuosa pietra tombale, investita della responsabilità di conferire sacralità al luogo dove si fa pipì.
La scena poteva sembrare un’installazione dello Studio Azzurro. Un po’ macabra, certo, ma, si sa, il gusto dell’orrido aveva conquistato tutti e anche l’animo più sensibile aveva imparato a farci i conti. Si era ormai smesso di immaginare il bello per rallegrarsi, per elevarsi. Erano tempi duri. Tra gli stucchi dei salotti che contavano echeggiavano ancora le risate al ricordo della reazione di un giovane stilista, che, all’inaugurazione di una mostra, fu insultato da Klevis Klapman, fratello di Albin ed esponente della Young British Art. Il poveretto, di fronte a un manichino dall’aspetto efebico con un fallo piantato sulla fronte, aveva osato sorridere e sussurrare qualcosa tipo «Ma non ci credo!», scambiando un’occhiata d’intesa con un ragazzotto chinato ad armeggiare con una presa di corrente. Peccato che il ragazzotto fosse l’autore di quel capolavoro. Sollevando lo sguardo, gli avrebbe urlato «Sei davvero privo di fantasia!» di fronte al Gotha dell’arte e della moda che, all’unisono, si mise a fissare il poveruomo come se fosse un pipistrello morto caduto nella minestra. La sua carriera ovviamente finì lì, nessuno lo invitò più e così tornò a fare le pizze al paesello. Essere insultati pubblicamente da un artista d’avanguardia avrebbe rovinato chiunque.
Stupirsi o giudicare non era quindi chic. Il cinismo era quanto di più elegante ci fosse. Questa è la ragione per la quale quel delitto fu scoperto solo molte ore dopo dalla donna delle pulizie del più noto ristorante non solo della città, ma del mondo, perché apparteneva a uno degli stilisti più in voga.
03/05/24
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Gli interni delle domus di Pompei in mostra a Roma
Pompei è stata raccontata e rappresentata chissà quante volte ma continua sempre ad affascinare con continue scoperte e nuovi punti di vista. Nelle sale di Castel Sant’Angelo a Roma è in corso la mostra “Interno Pompeiano”, dedicata al progetto fotografico di Luigi Spina. Questa straordinaria esposizione rappresenta il culmine del libro pubblicato da 5 Continents Editions, contenente oltre 300…
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On Time: Nello Petrucci per Chico Forti
Lo street artist pompeiano negli ultimi anni ha seguito molto da vicino la drammatica vicenda umana dell’italiano Chico Forti detenuto negli Usa La sala d’aspetto di un aeroporto vuota, con il display che mostra finalmente un volo per Roma on-time, e cioè “in partenza”, dopo una serie interminabile di voli cancellati. Verso l’uscita, l’ombra di un uomo che corre a prendere l’aereo e per il quale…
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SATIRA VI DEL II LIBRO DI QUINTO ORAZIO FLACCO
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SATIRA VI DEL II LIBRO DI QUINTO ORAZIO FLACCO
Poeta lucano del tempo e della cerchia di Augusto, nonché elemento di punta del Circolo di Mecenate
“Questo era nei miei desideri:…..”. E qui mi fermavo, per domandare agli studenti del terzo classico, cosa intendesse Orazio, quando scriveva QUESTO. Arrivavano svariate risposte: la saggezza, la tranquillità, la serenità, la filosofia….. Facevo sommessamente notare l’esistenza dei due punti dopo desideri, e quindi stava per dircelo lui, bastava proseguire nella lettura. Ed infatti: “Un appezzamento di terra mica COSI’ grande, con un giardino, e vicino casa una sorgente di acqua perenne, ed un pochino di selva.”. A questo punto domandavo ancora: “Avete capito?”. Resi guardinghi dalla domanda precedente: “Sì,….. ci pare di sì!”. Ed io: “Cosa intende con quel COSI’?”. “Già, dicevano loro, cosa vorrà dire?”. Ed io: “Un appezzamento anche più piccolo, non COSI’ grande, mi andava benone!”.
Ma torniamo al Poeta: “Gli dèi hanno fatto di più e meglio, e sta bene così. Null’altro chiedo, o Mercurio figlio di Maia, se non che tu mi renda stabili tali doni.”. Era una buona classe, e voi, ragazzi, vi ricordo tutti con grande affetto e simpatia. Molti di loro oggi sono laureati, e sono fiducioso che si faranno strada, anche in questo tempore iniquo patriae….. E doni erano veramente quelli per Orazio, venuti da Mecenate e, forse, da Augusto, i potenti della terra, con i quali intratteneva rapporti di reciproca stima, e con Mecenate, di amicizia. Letta sui volti dei ragazzi la soddisfazione per avere appreso qualcosa di più, si andava avanti.
“Se la proprietà non l’ho ingrandita con sistemi da vergognarsi e non la dissiperò con colpevole spreco, se non mi sottometto ad alcuna delle seguenti fisime: “Magari potessi acquistare quella striscia confinante di terra, che ora rende irregolare ed imbruttisce il mio campo (ipocrita scusa di tipo estetico, tipica degli insaziabili della roba. NdR).”. O anche: “Volesse il cielo farmi trovare un cofanetto d’argento, come è capitato a quello, che poté così diventare padrone del campo che arava da salariato, grazie alla protezione di Ercole!”, se sono soddisfatto per quello che ho, allora questa è la preghiera che ti rivolgo, o Mercurio: a me che sono il padrone rendi grasso il bestiame e tutto il resto, con l’eccezione del cervello (che deve restare leggero ed agile. NdR), e, come sempre fai, assistimi come il mio più grande tutore.”.
Ad Orazio era stata regalata la proprietà in Sabina da Mecenate, suo amico e protettore. Mecenate era il consigliere numero uno di Ottaviano Augusto, ed aveva il compito di suscitare il consenso intorno alla figura del principe (il vocabolo “princeps” vuol dire “il primo”, ed Augusto aveva inventato e diffuso il bizantinismo “primus inter pares”, il primo tra i pari grado). E Mecenate si era dato da fare, mettendo insieme quello che è noto come “Circolo di Mecenate”: non era un Ente ufficiale, ma una struttura propagandistica per così dire spontanea, in cui entravano in modo automatico i maggiori intellettuali del tempo, che frequentavano la casa di Mecenate ed il Palatium di Augusto. Quindi più che di circolo dovremmo parlare di “Cerchia di Mecenate”. Tanto per non restare nel vago, propongo tre nomi: Orazio, Virgilio, e lo storico Tito Livio, e chiedo scusa se è poco! Ovviamente da tale frequentazione delle case dei potenti derivavano benefici materiali, ma non era questo che garantiva l’adesione. I tre citati ed altri erano convinti sostenitori dell’ideologia del principato augusteo (ma Tito Livio ci stava un pò stretto, tanto che lo stesso Augusto lo aveva soprannominato ‘Il pompeiano’ per la sua nostalgia della Roma repubblicana).
Mecenate era etrusco di origine, probabilmente da famiglia aretina. A Roma apparteneva alla seconda classe sociale, quella equestre, ma in Etruria sarebbe stato un lucumone, un re etrusco. (Maecenas, atavis edite regibus, o Mecenate, discendente di antichissimi re, dice Orazio nella primissima ode, quella dedicataria). Ma gli etruschi ormai come entità sociale e politica non esistevano più, e s’erano fusi con i romani, romanizzandosi. E Mecenate da subito s’era aggregato ad Ottaviano, nelle convulsioni finali della Repubblica romana. Verso i componenti della cerchia aveva mano leggera, e mediava tra loro ed il principe, di carattere ombroso. Avrebbe voluto, Augusto, che Orazio componesse il nuovo poema epico nazionale romano: si studiava ancora quello di Ennio, gli “Annales”, che risaliva ormai a più di un secolo prima, e che secolo quanto a storia! Serviva qualcosa di più attuale ed aggiornato. Ma Orazio non sentiva nel suo animo la corda epica, e rifiutò con garbo e fermezza la proposta del principe, che ripiegò su Virgilio, e meno male! Anche questi non possedeva la corda epica, ma di carattere più timido, non ebbe il coraggio di rifiutare, e quindi compose l’Eneide! Poema epico nazionale romano, certo, ma romanzo in versi sulla faticosa esistenza di noi esseri umani, fragili sì, ma portatori di un imperativo categorico e divino: se cadi – e cadrai! – rialzati e riprendi la strada, fino all’ultimo respiro (“Fatti non foste a viver come bruti” dirà il più grande di tutti e di tutti i tempi e luoghi, che non a caso sceglierà Virgilio come guida nei marosi del vizio e nella luce della redenzione).
Mecenate s’era costruito una villa sul colle Esquilino, nei pressi della stazione Termini (ci sono resti imponenti). Però, siccome su quell’area sorgeva il cimitero della gente comune (i patrizi dedicavano a se stessi e familiari e servi le tombe monumentali lungo le vie consolari alle porte di Roma, per orgoglio gentilizio e per monito a chi arrivava nell’Urbe), Mecenate lo fece sbancare, ricoprendo le misere tombe con uno strato di terra. Ma il ricordo della primitiva destinazione era ancora vivo, come vedremo nel prosieguo della satira. Per oggi spero che basti.
Un’ultima notazione; prima dell’Esquilino la zona del cimitero era la palude di quello che sarà il foro. Dopo l’operazione di Mecenate il cimitero della gente comune sorgerà su una collinetta al di là del Tevere, il colle Vaticano. Lì verrà sepolto San Pietro, la cui tomba è nei sotterranei della basilica, giusto in corrispondenza dell’altare maggiore.
Orazio , satira sesta del II libro (seconda parte): A cena con il poeta in campagna
Immagino che il Poeta queste cose (vedi il post di domenica scorsa) le dica, quando, giunto finalmente in campagna, respira a pieni polmoni, e negli occhi ha la festa di un panorama sereno e tranquillo, naturale e silenzioso, che gli allieta lo spirito. Dice infatti:
“Appena mi ritiro dalla città, tra questi monti e la mia rocca, cosa mi andrà di disegnare con la poesia bonaria delle satire? Non mi rovina la malattia dell’ambizione, e nemmeno lo scirocco nero come il piombo o l’autunno pesante, quando a mietere è Libitina, divinità dell’aspra morte. O padre del mattino, Giano, se preferisci questo nome, a cui gli esseri umani attribuiscono l’inizio del loro affaccendarsi – secondo il volere degli dèi – sii tu l’esordio del carme, Quando sono a Roma mi trascini a far da garante: “Sbrigati! Forza! Non vorrai mica che un altro risponda al tuo posto!”. Ma anche quando a radere la terra è la tramontana, o la neve e la bruma trascinano il giorno in un giro più basso sull’orizzonte, devo andare, è inevitabile. E dopo aver giurato senza equivoci, qualcosa che potrebbe ritorcermisi contro, mi devo districare tra la folla, e trattare con sgarbo quelli che vanno lenti. “Ma che vai cercando, pazzo, e che hai di importante da fare?”, mi apostrofa con accenti sdegnosi qualcuno adirato.”.
“Satura tota nostra”, dirà un secolo dopo Quintiliano, quando sentenzia che i romani molto hanno ripreso dai greci in letteratura, ma la satira è del tutto romana de Roma. Ci sono due generi di satira: quella bonaria, luogo del riflettere ad alta voce sui casi della vita e su tutti gli argomenti, che non rientrino nei generi poetici canonici; e quella aggressiva, che si ispira all’onomastì comodèin in cui si chiamano con nome e cognome i personaggi da trattare come oggi fa Crozza, che era peculiare della commedia attica antica, con Aristofane in testa. La satira oraziana appartiene al primo tipo, anzi il poeta chiamava sermones le proprie satire.
“Tu travolgeresti tutto quello che ti ostacola, se in mente hai il pensiero per Mecenate!”. Sarò sincero, questa frase mi fa proprio piacere! Quando arrivo, però, al lugubre Esquilino (vedi il post di domenica scorsa a proposito di “lugubre”), mille problemi altrui mi ballano intorno alla testa ed ai fianchi: “Roscio di prega di assisterlo al Puteale, domani, prima delle sette”, e “Gli scrivani ti supplicano di non dimenticarti oggi di quella faccenda importante ed insolita, Quinto, e vedi di non mancare!”; e poi “Fà in modo che Mecenate firmi queste carte!”, e tu a dire: “Ci provo!”, e quello: “Se vuoi, puoi!”. E lo dice con tono perentorio.”.
Appena terminati gli studi, Orazio si era rimediato un posto da scriba quaestorius, come dire segretario del questore, e la questura era il primo gradino della carriera politica, ma quella più importante: quindi gli consentiva il contatto con i più potenti della terra. Allora il collegio professionale che lo aveva annoverato gli si raccomandava.
“Se ne sono andati sette anni, e siamo vicini all’ottavo, da quando Mecenate ha preso a tenermi nel novero dei suoi frequentatori, ma solo per questo, per avere uno da prendere con sé in viaggio, ed al quale affidare robetta del seguente genere: “Che ora sarà?”, e “Il Trace Gallina è all’altezza di Siro?” (insomma chi ti pare più forte, Messi o Ronaldo? I due erano gladiatori); oppure: “Fa fresco la mattina, e gli incauti rischiano di restare fregati!”, ed altre, che sono adatte ad un orecchio con fessure (quindi che non trattengono), e però sono sempre più soggetto di giorno in giorno, anzi di ora in ora, al malocchio. Abbiamo assistito insieme ai giochi in Campo Marzio? “Figlio della fortuna!” dicono tutti; una raggelante diceria si diffonde dai rostri (tribuna per gli oratori in foro. Ndr) per i crocicchi? Chiunque mi incontri, mi interpella: “dì un po’, caro – è impossibile che non lo sappia tu, che stai a contatto con gli dèi – che si dice a proposito dei daci?”. “Nulla, per la verità!”. “Ti piace sfottere, vero?”. “Ma che gli dèi tutti mi scuotano, se so qualcosa!”. “Che si dice, le terre promesse ai soldati Augusto le darà in Sicilia o in Italia?”. Mostrano grande meraviglia, se giuro di non saperne nulla, come verso l’unico mortale capace di un silenzio assoluto.”.
“In mezzo a cose simili se ne va la vita, ed intanto recrimino: “O campagna, quand’è che ti rivedrò? E quando avrò la possibilità di abbandonarmi alla gioiosa dimenticanza di una vita travagliata, ora con gli scritti antichi, ora con il sonno e le ore in abbandono? Quando mi verranno serviti la fava, parente di Pitagora, con verdure cotte con grasso lardo? O notti e cene divine, in cui io con i miei davanti al focolare domestico mi sazio, e propongo da mangiare ai figli piccoli e liberi di parola degli schiavi bocconi prelibati, e poi come a ciascuno piace, a tavola bere il vino che si vuole, commensale sciolto da stupide norme, e prendere coppe abbondanti o anche accontentarsi solo di umettare le labbra?”.
Le stupide norme a cui allude sono quelle del banchetto solenne: tra i commensali si indicava il “rex convivii”, il re del banchetto, che aveva anche il compito di regolare bevute e brindisi e qualità dei vini. Pitagora parente della fava? Il grande e geniale filosofo e scienziato di Samo aveva stabilito che le anime dei defunti hanno il destino della metempsicosi, cioè di trasmigrare da un corpo all’altro, anche nei vegetali, a partire dalle fave, che quindi non era lecito mangiare: potevano ospitare anche l’anima di nonno! Come mai? Suppongo che si fosse reso conto della pericolosa allergia del favismo, e la contrastava con una norma filosofica-religiosa. Ma Orazio &C se ne infischiano, come facciamo noi. Chi le vende, oggi, deve affiggere un avviso all’ingresso del negozio di vendita, perché, chi soffre di allergia emolitica, rischia di brutto.
“Ed ecco che sorge il SERMO, la conversazione, ma mica sulle ville o le domus altrui, né sul modo di ballare di Lepore, se piace o no; ma discutiamo soprattutto di ciò che ci riguarda ed è sbagliato ignorare, cioè se noi esseri umani si sia beati grazie alla ricchezza o alla virtù, e cosa ci porta all’amicizia, se il vantaggio o non piuttosto ciò che è onesto, e quale sia la natura del bene e la sua sommità.”.
Notti estive, e cene frugali, in cui ognuno mangia e beve a suo piacimento, senza dover seguire rituali privi di senso, ed i figli piccolini degli schiavi: bambini che circolano nella sala, e che l’ingenuità dovuta all’età rende liberi (procaces) di dire ciò che vogliono, privi come sono di malizia, ed il padrone, che non ha messo su famiglia e quindi non ha avuto figli, si diverte ad offrire loro bocconi prelibati, che fanno la gioia delle creature. E poi discorsi filosofici alla buona, ma fondamentali, sui temi più impegnativi dell’esistenza.
Purtroppo, poverini!, non avevano la TV, né il Grande Fratello, l’isola dei famosi (o degli affamati), X factor, le sit commedy con le risate finte, né i penosi talk shaw, né danzando sotto o con le stelle, eccetera eccetera. Allora si dovevano arrangiare con discorsini come: “Si è amici per tornaconto o per corrispondenza di amorosi sensi?”. Oppure: “Cosa rende felici, la ricchezza o la virtù?”.
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