#poetessa greca antica
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princessofmistake · 1 year ago
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Vieni.
Inseguimi tra i cunicoli della mia mente tastando al buio gli spigoli acuti delle mie paure. Trovami nell'angolo più nero, osservami. Raccoglimi dolcemente scrollando la polvere dai miei vestiti. Io ti seguirò. Ovunque.
Saffo esorta l’amore a entrare nella sua mente, dove è buio e ci sono spigoli ovunque creati dalle paure che ci affliggono. Lo sprona a trovarla nel suo angolo più nero, nell’ombra più vera, lo prega di raccoglierla dolcemente dalla sua stessa ombra e di scrollare la polvere che si è creata su di lei, simbolo di tutte le ceneri accumulatesi dal dolore passato. Poi però fa qualcosa di propositivo, gli dice che lo seguirà ovunque. Questo non sorprende. In fondo è proprio quello che cerchiamo. Lo sforzo iniziale di qualcuno di penetrane nella nostra ombra, in ciò che di più oscuro abbiamo dentro di noi e di non spaventarsi, ma anzi, di avere quel briciolo di coraggio per scrollare la cenere che si è creata nei secoli psicologici di traumi e sofferenze, a quel punto nasce la fiducia. Prima dell’amore è una questione di fiducia, perché l’amore è lì che aspetta per essere tirato fuori dalla sua gabbia ma la fiducia, quella è tutto un altro paio di maniche. Gli spigoli e i luoghi bui, la cenere, la abbiamo tutti, dobbiamo solo avere la forza quindi di spolverarci a vicenda, la fiducia che ci sarà qualcuno da spolverare e che ci spolveri genuinamente, che non si spaventi e fugga. - roberto bembo
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cresy · 2 years ago
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Saffo: poetessa greca antica
(GRC) «οἶον τὸ γλυχὺμαλον ἐρεύθεται ἄχρῳ ἐπ’ ὔσδῳἄχρον ἐπ’ ἄχροτάτῳ λελάθοντο δὲ μαλοδρόπηες·οὐ μὰν ἐχλελάθοντ’, ἀλλ’ οὐχ ἐδύναντ’ ἐπὶχεσθαι.»(IT) Busto di Saffo conservato nei Musei Capitolini a Roma. «Quale dolce mela che su altoramo rosseggia, alta sul più alto;la dimenticarono i coglitori;no, non fu dimenticata: invanotentarono raggiungerla.» (Traduzione di Salvatore Quasimodo) Il segreto…
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goodbearblind · 3 years ago
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"Vorrei veramente essere morta.
Essa lasciandomi piangendo forte,
mi disse: “Quando ci è dato soffrire,
o Saffo: contro mia voglia
io devo abbandonarti”.
Saffo le risponde: “Allontanati felice,
ma ricorda che fui di te
sempre amorosa.
Ma se tu dimenticherai
(e tu dimenticherai) io voglio
ricordarti i nostri celesti patimenti:
le nostre ghirlande di viole e rose
che a me vicina, sul grembo
intrecciasti col timo,
i vezzi di leggiadre corolle
che mi chiudesti intorno
al delicato collo,
e l’olio da re, forte dei fiori,
che la tua mano lisciava
sulla mia lucida e delicata pelle,
e i molli letti
dove alle tenere fanciulle ioniche
nasceva amore della tua bellezza.
Non un canto di coro,
né sacro, né inno nuziale
si levava senza le nostre voci,
e non il bosco dove a primavera
il suono…”.
(Saffo, Frammento 94, traduzione di Salvatore Quasimodo)
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[Saffo è stata una poetessa greca antica.
Luogo di nascita: Lesbo, Grecia
Luogo di morte: Lesbo, Grecia
Nome completo: Sappho - fonte Wikipedia]
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#saffo #poetry
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tattoocostellativo · 2 years ago
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Anche il buio è dimora degli Dei. La frase “Anche le tenebre sono una casa per gli dei” è una frase antica che risale all'epoca dei Greci e degli antichi Romani. Nel corso della storia, la frase è stata usata dal drammaturgo greco Euripide, che ha scritto: “Anche le tenebre sono una casa per gli dei”. Anche la poetessa e musicista greca Sappho ha usato la frase, scrivendo: “Anche la notte è una casa per gli dei”. La frase è stata citata anche dal poeta latino Ovidio, che ha scritto: “Anche la notte è una casa per gli dei”. In conclusione: “Anche le tenebre sono una casa per gli dei” può essere vista come una metafora per ricordare alle persone che anche nei momenti più bui, possiamo trovare conforto e speranza nel nostro rapporto con gli dei. La frase può anche essere usata come un modo per incoraggiare le persone a mantenere la loro fede e a non perdere mai la speranza. -Simone Morretta . . . 👉🏻Ti senti perso in questo momento o ti è capitato di sentirti perso? 👉🏻Fatichi a comprendere cosa è giusto da cosa è sbagliato? ❤️Se la risposta è sì, questa frase è anche per te, con profondo affetto❤️ . . . Fammi sapere il tuo pensiero nei commenti o se vuoi parlarne contattami in Dm, sono qui anche per te . . . #buio #oscurità #dimora #casa #anche #dei #divinità #dio #credere #conamore #solocosebelle❤️ #frasedelgiorno #spiritualità #frase #motivazionale #familysroots #familysrootstattoo #counseling #counselor #counselingolistico #costellazionifamiliari #costellazionievolutive® #olistico #percorsobenessere #percorsospirituale #percorso #mindfulness #god #milanocity #milanogram (presso Parco Sempione) https://www.instagram.com/p/CnhMDqvMOFJ/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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pangeanews · 6 years ago
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Anite di Tegea: una grande poetessa con le palle, l’Omero donna che non scriveva di cose tenere e delicate, ma di morenti, militari caduti, suicidi e cani da corsa, risorge dall’antichità
Un pregiudizio difficile da estirpare è che le poetesse debbano scrivere solo di cose dolci, tenere e delicate, in toni gentili e vezzosi. Un disgraziato malinteso, si capisce. Ugo Pontiggia è troppo acuto per caderci, però, e lo dimostra nella sua traduzione con commento degli Epigrammi di Anite di Tegea (La Finestra editrice, 79 pp., 16 euro). Anite è una poetessa vissuta in età ellenistica, in Arcadia, e appartenente, come Nosside, altra poetessa, e Leonida di Taranto, “all’area dorica del primo epigramma ellenistico, caratterizzata da una predilezione per le descrizioni ambientali e dal realismo delle situazioni e dei dettagli” (D. Del Corno). Di lei ci restano 21 epigrammi, giunti a noi perché compresi in quel ricchissimo repertorio del genere che è l’Antologia Palatina: essi vertono su diversi argomenti, e sono caratterizzati da una genuina effusione della sensibilità e da una partecipazione simpatetica alle minute vicende che immortalano: ma ciò non significa che l’ispirazione di Anite sia esile, perché questa autrice sa entrare nel cuore delle vicende, anche se piccole e quotidiane (ecco forse a partire da dove, nel tempo, ella poté venire malintesa).
La varietà fra gli epigrammi ellenistici non era solo tematica, cioè non si esplicitava solo nella scelta dei soggetti (erotici, funebri, letterari, ecfrastici, etc.), ma si manifestava anche nella diversità fra vari gruppi poetici, detti “scuole”: e alla scuola dorica si può ricondurre, infatti, l’interesse per il quotidiano e il familiare. Gli Epigrammi di Anite si concentrano, pertanto, sulle piccole cose di ogni giorno: un capro con cui i bambini giocano, dopo averlo adornato di briglie di porpora, un epitaffio per una cavalletta e per una cicala cui Mirò, una bambina, fece una tomba comune, la sepoltura per un cavallo, meneidaios, “valoroso in battaglia”, un augurio di buon riposo a un viandante che può ristorare il corpo stanco sotto verdi fronde nella calura infuocata. Tutte situazioni molto semplici, che Anite sa immortalare con accuratezza e precisione. Tuttavia, la sua lingua non è leziosa, né lo è la traduzione di Pontiggia, ma precisa, esatta, direi quasi affilata nella sua essenzialità: e questo è il maggior pregio del volume, che ha anche una veste grafica di rara eleganza, a partire dalla copertina, una fotografia di Tina Modotti raffigurante una giovane, con un semplice abito di un bianco abbagliante, colta nell’attimo in cui il vento inizia a sollevarle i capelli nerissimi.
Della vita di Anite, noi conosciamo molto poco: una testimonianza antica, in Pausania (Viaggio in Grecia 10, 38, 13), così dice: “Il santuario di Apollo era ridotto a un rudere. Lo aveva fatto costruire in origine un certo Falisio, un privato. Falisio si era ammalato agli occhi ed era quasi cieco; il dio di Epidauro gli mandò la poetessa Anite con una lettera sigillata. Anite aveva fatto un sogno che presto divenne realtà. Trovò fra le sue mani la lettera sigillata e, giunta per mare a Naupatto, chiese a Falisio di togliere il sigillo e di leggerla. Lui, cieco, non credeva di poter vedere le parole, ma, sperando che da Asclepio venisse qualcosa di buono, tolse il sigillo e, guardando la cera, guarì. Diede ad Anite quanto era scritto: duemila stateri d’oro”: un brano, di ispirazione fra il leggendario e il religioso, che, con il consueto uso del mondo antico dell’aneddoto, ci comunica il valore della poetessa e il potere della sua azione.
Come nota il curatore della presente edizione Ugo Pontiggia, mancava a oggi un’analisi del carattere unitario della poesia di Anite: le osservazioni della maggior parte dei critici, anche di Albin Lesky (cfr. Storia della Letteratura Greca – III –L’Ellenismo, trad. it. Di F. Codino, Milano 1996, p. 918), si fermano a sottolinare la freschezza degli epigrammi di questa autrice, il suo aderire minutamente alla realtà quotidiana e così via. Pontiggia però si spinge oltre, e, a integrazione di quanto già osservato in passato, nota come la poesia di Anite sorprenda per la tecnica di ripresa allusiva dei testi antichi, soprattutto di Omero: negli epigrammi qui presentati, infatti, “innovazione e tradizione si fondono in una nuova e riposata lingua”, in cui risalta “la capacità di accostarsi ai soggetti del racconto con delicatezza e compassione” (p. 9): una bimba morente, tre giovani donne che scelgono di suicidarsi, alcune ragazze morte prima delle nozze, un comandante caduto, un cane da corsa, i piccoli animali che allietano i giochi dei bambini, sono i personaggi di Anite, che per ognuno di essi “sa trovare parole antiche e talora nuovissime, ma tutte nel segno di una condivisione nel momento estremo, con una grazia e una raffinata semplicità che colpirà il lettore” (ibid.).
Non vi è più in questa poesia la vertigine del divino, di una parola poetica che apre uno squarcio in un mondo dominato dalla potenza degli dèi, e nemmeno c’è la ricerca fine a se stessa dello splendore della lingua: piuttosto troviamo una poesia che riesce, attraverso le minute esperienze del quotidiano, anche nei suoi particolari intrisi di dolore, a proporci un’attenzione particolare per i deboli e i sofferenti. Certo, colpisce che nella poesia di Anite abbiano un ruolo di primo piano i bambini: nell’Iliade essi occupavano uno spazio marginale, anche se, già in Omero, si possono trovare i primordi di una capacità descrittiva piena di partecipazione simpatetica, con grande attenzione alla bellezza, che troverà ulteriore sviluppo nei testi della poetessa ellenistica: per esempio, Omero sottolinea la bellezza di Astianatte, paragonato a una stella, che piange spaventato, vedendo il gigantesco elmo del padre Ettore ondeggiare davanti a sé con il suo intimidente cimiero, e che con il suo pianto determina una distensione dell’atmosfera creatasi fra i genitori; e più tardi, Simonide, nel celebre Frammento 543 Page, descriverà Danae la quale, rinchiusa col figlioletto Perseo in una cassa abbandonata alla mercé delle onde del mare, chiederà al piccolo di dormire per non temere quel che fa paura nella notte senza luce.
Forse, ipotizza Pontiggia, questa attenzione per i piccoli, gli ultimi, coloro che sono toccati dall’ombra della morte, è il portato di una tradizione antichissima, propria del folklore greco (e non solo greco) che assegnava alle donne un ruolo fondamentale nell’elaborazione del lutto e nei riti funebri, e, specularmente, nei riti che riguardano non solo la morte, ma anche la nascita. Pensiamoci: gli eroi greci piangono, e danno ampiamente sfogo al loro dolore con le lacrime (pensiamo ad Achille per la morte di Patroclo), ma poi sono capaci di allontanare da sé questa afflizione, riconoscendo in questo atto la prerogativa dell’agire maschile: e così Archiloco, in un’elegia per alcuni concittadini periti in mare, afferma, all’ultimo verso: “Ma fin d’ora sopportate, respingendo il femmineo lutto” (Frammento 10 Tarditi).
Non erano certo solo le donne a essere incaricate del compianto funebre nell’antichità: lo facevano anche gli uomini, e anche lamentatori professionali, ma non è un caso che la conclusione dell’Iliade coincida con il momento di massimo pathos provocato dal compianto delle donne troiane per la morte di Ettore, compianto che viene assegnato in prima battuta alla moglie, Andromaca, e alla madre Ecuba, e, infine, a Elena. Questo elemento permane in età storica, e quindi anche nella poesia di Anite, quando ancora all’elemento femminile si assegna un ruolo centrale nel dare inizio alla vita, e nel sancirne la fine, accompagnando con i canti rituali l’estremo rito, il commiato dall’armonia e dalla bellezza del cosmo, che si rivela anche nei suoi dettagli.
Silvia Stucchi
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goodbearblind · 4 years ago
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"Vorrei veramente essere morta. Essa lasciandomi piangendo forte, mi disse: “Quando ci è dato soffrire, o Saffo: contro mia voglia io devo abbandonarti”. Saffo le risponde: “Allontanati felice, ma ricorda che fui di te sempre amorosa. Ma se tu dimenticherai (e tu dimenticherai) io voglio ricordarti i nostri celesti patimenti: le nostre ghirlande di viole e rose che a me vicina, sul grembo intrecciasti col timo, i vezzi di leggiadre corolle che mi chiudesti intorno al delicato collo, e l’olio da re, forte dei fiori, che la tua mano lisciava sulla mia lucida e delicata pelle, e i molli letti dove alle tenere fanciulle ioniche nasceva amore della tua bellezza. Non un canto di coro, né sacro, né inno nuziale si levava senza le nostre voci, e non il bosco dove a primavera il suono…”. (Saffo, Frammento 94, traduzione di Salvatore Quasimodo) . . [Saffo è stata una poetessa greca antica. Luogo di nascita: Lesbo, Grecia Luogo di morte: Lesbo, Grecia Nome completo: Sappho - fonte Wikipedia] . . #saffo #poetry https://www.instagram.com/p/CKqTj1FAUXI/?igshid=4xdgw0tduuje
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