Tumgik
#piccioncini al mare
la-suonatrice-jones · 6 years
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The one where Ermal è in pericolo (manco tanto) e Marco rischia la sua vita per salvarlo
Here I go again.
Come ben sapete ormai, i MetaNari mi rendono il cuore softer than the softest soft giuro sto bene no in realtà ho la febbre.
E quindi per passare le ore penso a cose, hope u enjoy xxx
Piccola nota: hanno all'incirca 18 anni :3
Alla fine Marco aveva ceduto
Cioè non che Ermal avesse dovuto costringerlo più di tanto
Lo sapeva benissimo come farsi accontenare oltre che con una bella sega
Faceva un po' gli occhi dolci, si offendeva, gli diceva "non ti interessa mai quello che voglio io" con il broncio anche se sapeva benissimo che era tutto il contrario
E alla fine Marco aveva ceduto e l'aveva accompagnato al mare invece che a fare una semplice passeggiata come avrebbe voluto lui
Ma in realtà amava andare al mare con Ermal
Vedere quella felicità nei suoi occhi che solo quando vedeva le onde del mare aveva
E diventava euforico
Marco amava vederlo così
L'unico suo problema con il mare e con l'acqua in generale era che lui non sapeva nuotare
Quando l'aveva detto ad Ermal per la prima volta, era rimasto scioccato
E voleva assolutamente insegnargli a nuotare perchè "Macco non è possibile che tu non sappia nuotare"
Ma Marco aveva paura dell'acqua e anche se alle volte ci aveva provato a farsi insegnare, finivano sempre con lui tremante in lacrime ed Ermal che lo stringeva stretto stretto al petto dicendogli che andava tutto bene e che non doveva avere paura perchè c'era lui
Riusciva solo a stare in acqua se toccava con i piedi, e solo se c'era Ermal si sentiva veramente sicuro
Quindi quando andavano al mare si divertivano o a schizzarsi a riva o Ermal a nuotare mentre Marco beato lo guardava
E Marco non era l'unico a guardarlo perchè quelle spalle e quel fisico si notavano abbastanza facilmente ecco
E ora se ne stavano beati in spiaggia sdraiati, a prendere il sole
Marco è tranquillo sdraiato a pancia in giù quando sente un morso tra la spalla e il collo
"Ai ma che cazzo?"
Sente Ermal ridere e si alza, in modo da stare seduto e gli da uno schiaffo leggero sul braccio
"Sei un coglione" borbotta Marco
"Mmm sì. Vado a fare un bagno, vieni?"
E intanto si posiziona tra le gambe aperte di Marco. Marco.exe lo sappiamo tutti
"Non mi va, vai da solo"
"Dai che ti va. Lo so che ti va"
E intanto si abbassa sul collo di Marco a lasciare piccoli baci, lasciando qua e là anche qualche traccia di saliva
Marco intanto pensa guarda un po' te questo stronzo che lo sa benissimo che i baci sul collo mi rendono debole
E cerca un po' di farlo smettere
"Ermal che cazzo non mi puoi far venire un'erezione in pubblico smettila"
"Solo se vieni a fare il bagno con me"
"Ho detto che non mi va, vai da solo"
Offesissimo perchè la sua tattica non ha funzionato, Ermal sbuffa e si alza, dirigendosi verso l'acqua mentre Marco sorride, felice del suo trionfo
Ermal era uno di quelli che non aspetta 3 ore prima di tuffarsi per abituarsi meglio; lui andava spedito, magari si bagnava prima le braccia e le spalle per non avere un impatto troppo duro, ma non ci metteva mai più di un minuto prima di essere completamente immerso nell'acqua salata
Marco osserva il suo ragazzo entrare spedito in acqua, camminare fino a che non gli arriva alle cosce e poi buttarsi di testa.
Riemerge qualche secondo dopo, con un sorrisone a trentadue denti stampato in faccia e si gira a salutare Marco, cercando di tentarlo ad entrare
Marco scuote la testa rassegnato
Lo guarda godersi l'acqua beato, immergersi per risalire con qualche sasso particolare, fare il morto a galla ascoltando le onde del mare che si scontrano contro le sue orecchie e restare qualche minuto ad assaporare la sua felicità
Marco prende il telefono e gli fa qualche foto. Lo fa spesso
Gli piace catturarlo in momenti in cui è felice e rilassato, senza pensieri nella mente, noncurante di quello che succede intorno a lui
Principalmente succede quando è al mare e quando suona
E Marco si ritrova la galleria del telefono piena di foto fatte al suo ragazzo che neanche se ne accorge, troppo preso da quello che sta facendo
Posa il telefono e vede che Ermal ha iniziato a nuotare più a largo, probabilmente vuole raggiungere lo scoglio lì di fronte per fare i tuffi
"Dì al tuo ragazzo di non allontanarsi troppo, ci sono i mulinelli a largo, è pericoloso"
Marco si gira di scatto a sinistra a guardare la ragazza che gli aveva appena parlato
"I mulinelli? Ma non c'è scritto niente da nessuna parte, neanche avvisano?"
"Purtroppo il bagnino è un cazzone e non fa il suo lavoro, sta solo al telefono. Ma a me l'ha detto il ragazzo che faceva il turno prima, io starei attenta"
Marco panica
Si alza di scatto e va a riva, cercando di richiamare Ermal, che però non lo sente perchè è ormai troppo lontano
Nel panico, decide di fare l'unica cosa che gli viene in mente: raggiungere Ermal e dirgli di tornare indietro
Comincia a correre in acqua, finchè può non cerca di nuotare
Nell'affanno della corsa continua a chiamare Ermal che però si allontana sempre di più
Non tocca più i sassi sott'acqua, neache con la punta del pollice
Non sa cosa fare, può provare a nuotare cercando di ricordarsi quello che Ermal aveva provato ad insegnargli ma la sua mente non sta pensando lucidamente
Le lacrime cominciano a scendergli sulle guance e sente i piedi che non toccano più il fondo
Prova a ricordarsi com'è che fa Ermal, mette un braccio davanti e lo riporta dietro mentre l'altro va avanti
Continua a gridare cercando di richiamare l'attenzione di Ermal ma non riesce a vederlo più
L'acqua salata del mare si mischia a quella delle sue lacrime e si infiltra dappertutto, la sente negli occhi che a fatica ormai tiene aperti per il bruciore, nelle orecchie, nel naso, nella bocca che a stento ormai chiama con voce strozzata il nome di Ermal
Si ritrova completamente sott'acqua
Riesce a tornare su a stento e i polmoni lo ringraziano silenziosamente al contatto con l'aria fresca
È molto lontano dalla riva ormai non può tornare indietro neanche se sapesse come
Prende una boccata d'aria rapidamente, nei pochi secondi in cui riesce a restare a galla
Non riesce a pensare a niente, ha solo bisogno di ossigeno e terra ferma sotto i suoi piedi ed Ermal lontano dal largo dove rischia di farsi male
Gli ultimi pensieri che ricorda sono questi, mentre la vista gli si appanna e vede soltanto nero; il mare lo avvolge completamente tra le sue onde mentre continua ad andare sempre più giù
Fino a quando un paio di braccia lo raccolgono e lo riportano su
Ermal si era accorto di Marco troppo tardi, quando riusciva a vedere solamente la testa che ogni tanto riemergeva e le braccia che sventolavano in aria in cerca di un appiglio, cercando di nuotare
Aveva nuotato più veloce che poteva ma non vedeva più la testa riemergere neanche ogni tanto e una stretta allo stomaco lo aveva costretto a nuotare più velocemente
Si era dovuto immergere per riportare a galla il corpo di Marco ormai inconscio
Aveva cominciato a nuotare a dorso, con il corpo di Marco sopra il suo, in modo da lasciarlo più fuori dall'acqua possibile
Nuotava solamente con le gambe, le braccia non poteva usarle, erano sotto quelle di Marco per reggere il peso del suo corpo
Non riusciva a respirare bene, il peso dell'altro lo spingeva in basso ma non poteva permettersi di fermarsi
Se avesse potuto avrebbe dato voce ai suoi pensieri, che erano troppi nella sua mente, troppo rumorosi, troppo assordanti
Avrebbe voluto chiedere a Marco perchè avesse fatto una cosa del genere, sapeva benissimo di non saper nuotare, perchè perchè era andato a largo da solo
Voleva dire a Marco che sarebbe andato tutto bene che tra poco sarebbero arrivati a riva e non doveva preoccuparsi
Ma voleva anche gridare
Gridare a Marco perchè non doveva mettersi in pericolo, al bagnino perchè non aveva visto niente e Marco sarebbe potuto annegare e lui non aveva mosso un dito, gridare addosso a tutte le persone che erano a riva tranquilli per dirgli che potevano anche dargliela una mano, perchè lui ce la stava facendo soltanto perchè la sua forza di volontà voleva portare Marco a riva più di quanto voleva portare se stesso
Si guarda un attimo indietro per controllare quanto gli manca per arrivare a riva e vede che non manca tanto, dovrebbe riuscire a toccare
E infatti può e si alza in piedi e trascina Marco sul suo asciugamano
"Marco... Marco ti prego riprenditi. Macco..perchè? Perchè l'hai fatto lo sai che non sai nuotare, cosa stavi cercando di fare. Macco per favore apri gli occhi"
Comincia a piangere, le mani che accarezzano il viso bagnato di Marco
Si china su di lui sussurrando il suo nome, le lacrime che scendono sul suo viso e si infrangono su quello dell'altro
In un attimo di lucidità mentale si costringe a non piagnucolare ma a fare qualcosa; comincia a premere con le mani sul suo petto, come a scuola gli avevano fatto vedere per rianimare una persona
Dopo si china su Marco e gli tappa il naso, mentre posa la bocca sulla sua e comincia a soffiare, trasportando il suo ossigeno a lui
La prima volta non succede niente ed Ermal ha paura, paura che Marco non si svegli e che stia facendo tutto sbagliato
Alla terza volta Marco tossisce e sputa acqua, riprendendo coscienza
"Ermal... dov'è Ermal" riesce a balbettare mentre ancora tossisce e l'acqua salata in bocca gli distorce le parole
"Marco!" Ermal si butta su Marco, rannicchiandosi sul suo petto e piangendo "Ho avuto così tanta paura Macco". Marco non dice niente e avvolge Ermal tra le sue braccia, mentre lui piange e continua a dirgli quanto si era spaventato
"Che cazzo sei venuto a fare a largo Marco me lo vuoi spiegare lo sai benissimo che non sai nuotare, cos'hai in testa? Le scimmie urlatrici?"
"Ci sono i mulinelli Erm e tu stavi andando troppo a largo. Non mi sentivi e il bagnino non sapevo dov'era. Mi sono impanicato e ho pensato che l'unica cosa che potessi fare era venirti incontro."
"Ma Marco ma scusami chiedere a qualcun altro?"
"Ero nel panico totale Ermal. Riuscivo solo a pensare di doverti far tornare a riva. Ho agito stupidamente lo so ma non riuscivo a pensare lucidamente. Avevo paura ti potessi fare del male"
"Sei un idiota potevi farti del male sul serio. Non farlo mai più mi hai fatto prendere un colpo. Vedevo solo la tua testa ogni tanto che riemergeva e le tue braccia che si agitavano e poi non sei più rispuntato e ho avuto paura Macco, tantissima paura di perderti"
Ermal continua a singhiozzare sul petto di Marco, stringendoselo a sè più stretto possibile
E Marco se lo stringe addosso a sua volta, lasciandogli baci leggeri sui ricci bagnati e ripetendogli che sta bene, va tutto bene e che l'ha salvato e ora sono tutti e due fuori pericolo
E quando si sono ripresi restano in spiaggia fino a sera a guardare il tramonto, con Ermal che ogni due minuti chiede a Marco se sta bene e se ha bisogno di qualcosa e Marco che esasperato gli risponde di no, che sta bene ed Ermal continua a scusarsi, tanto che per farlo stare zitto Marco non può fare altro che baciarlo (Ermal un pochino lo fa anche apposta, così Marco lo bacia. Marpione)
Beh che dire, ma quanto mi rendono soft questi due? Non posso proprio spiegarlo. Grazie tanto tanto se avete letto <3
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The Scientist - O La Divorziando!Au Che Avevo Promesso Di Scrivere
Milena, direte voi, cosa ne stai facendo della tua vita? Beh, niente. Guardo serie tv. Solo che ora come ora mi sono messa a vedere Atypical e sfortunatamente per voi due puntate mi sono bastate a desiderare di angstare a tutto spiano, per cui eccovi serviti. Due piccole avvertenze: questa è una au, which means che i nostri piccioncini sono sposati ma non sono cantanti. Fabrizio gestisce un negozio di musica, Ermal invece qui è, a ispirazione del titolo, uno scienziato. E’ rilevante ai fini della storia solo per sapere che le tempistiche del loro esseri conosciuti sono diverse dalla realtà, erano molto più giovani qui, e per sapere che no, Fabrizio non ha dei figli. Enjoy. Il prompt era semplicemente la richiesta di una song fic su The Scientist, io ho unito le due idee. Non c’è di che.
Come up to meet you, tell you I'm sorry You don't know how lovely you are I had to find you, tell you I need you Tell you I set you apart Tell me your secrets and ask me your questions Oh, let's go back to the start
Quando Fabrizio apre gli occhi, la prima cosa che vede è bianco
Un soffitto bianco, delle pareti bianche, delle luci bianche. Dovunque sia, è tutto bianco. 
Gli fa male la testa ed è con fatica che gira appena il capo per guardarsi attorno, cercando di mettere a fuoco la stanza dove si trova. Quando ci riesce, la prima cosa di cui si rende conto è l’uomo seduto accanto a lui, il capo reclinato in avanti e gli occhi chiusi. I ricci scuri gli adombrano il viso su cui figura una leggera peluria sintomo di una barba non fatta da qualche giorno. Nonostante ciò, quello è l’unico segno di incuria che presenta, perché il suo viso, sebbene leggermente corrugato, sembra più riposato del solito. Le occhiaie violacee che sfoggiava tipicamente sono meno profonde, meno gonfie, meno scure, come se avesse effettivamente dormito circa quanto una persona normale. La camicia era perfettamente stirata, spiegazzata solo a causa della posizione innaturale in cui si era appisolato.
Ermal non amava farsi la barba. Gli piaceva avere il viso liscio, ma a volte si scocciava e per qualche giorno mandava a quel paese il rasoio. Probabilmente era in uno di quei giorni.
Osserva le sue dita intrecciate, le mani giunte in grembo. 
Usa muoverle spesso quando è nervoso o stanco o stressato o arrabbiato. Si sfoga così, cercando di scaricare sulle proprie dita o nell'oggetto che sta tormentando la tensione che sente. Ora però sono immobili, rilassate.
E non c’è nessuna fede sul suo anulare.
Qualche mese prima c’era. O meglio, un anno prima c’era. Era incredibile che fosse giù passato un anno da quel momento, da quando seduti al tavolo della cucina dopo una disastrosa cena fuori l’aveva visto rigirarsi quello stesso anello tra quelle stesse dita.
Se lo faceva girare attorno all’anulare, portandolo fino alla nocca quasi nell’atto dello sfilarselo, per poi rimetterselo con un sospiro.
Erano usciti per tentare di andare d’accordo, ancora. Fabrizio l’aveva invitato fuori, nella speranza di fare qualcosa di carino per lui. Aveva prenotato un tavolo al loro ristorante preferito, quello in cui avevano avuto il primo appuntamento serio. Quello dove gli aveva fatto la proposta di matrimonio, esattamente nove anni prima. Dopo sei anni di stare insieme, senza lasciarsi mai, aveva pensato che fosse il momento. Dopotutto, all’epoca Ermal aveva trent'anni e lui trentasei. Non era molto diverso dal lui ventiquattrenne, Ermal. Qualche ruga in più, qualche sorriso in meno. Ma era sempre bello come la prima volta. Lui si che era invecchiato. Dopo i trenta, dopotutto, l’età non era più così clemente. Ma aveva detto sì, Ermal, e si erano sposati in un bel giorno di fine primavera, con l’estate alle porte e il mare che profumava di speranza. 
Era stato un bel matrimonio, il loro, non poteva negarlo. 
Quella sera però, nella penombra di una cucina dove non si erano nemmeno dati la pena di accendere la luce, Fabrizio sentiva che qualcosa stava per rompersi definitivamente. L’aria era pesante, greve, quasi quanto lo sguardo che Ermal rivolgeva a quell’anello che portava al dito come simbolo del loro amore, tormentandolo come se potesse trovarvi una risposta o le parole che voleva dire ma che non aveva ancora pronunciato.
Fabrizio, del canto suo, si era messo a sua volta a giocherellare con la fede che teneva appesa al collo, su una catenina che non si era mai tolto da quel giorno.
La serata era davvero stata un fiasco completo. Non erano nemmeno arrivati al ristorante senza litigare e alla fine avevano lasciato i piatti mezzi pieni lì sul tavolo, sotto lo sguardo allibito dei camerieri e degli altri commensali che avevano seguito la loro lite come se fosse una soap opera horror.
In casa, si erano versati del vino. Avevano già bevuto al ristorante, ma Fabrizio sentiva di aver bisogno di bere ancora per qualsiasi cosa stesse arrivando. Anche Ermal, stranamente, si era bagnato più volte le labbra con il vino prima di scolarsi il bicchiere in due lunghi sorsi, posandolo poi sul tavolo.
Un rumore secco aveva tintinnato per un secondo nella stanza, attraversando l’aria tra di loro. Erano a pochi centimetri di distanza, ma sembravano millemila chilometri.
Ting, aveva fatto il bicchiere.
“Dobbiamo divorziare” aveva fatto Ermal
E tutto il suo mondo gli era crollato addosso in un istante.
Si riscuote da quei pensieri quando Ermal si stiracchia appena sulla sedia di quello che ormai sa essere un’ospedale, aprendo lentamente gli occhi, sbattendoli per la luce.
Quando riesce a mettere a fuoco a sua volta, si accorge che Fabrizio lo sta guardando.
I loro sguardi si incrociano, ma dopo un istante la tensione è troppa ed Ermal sospira, pesantemente, come rassegnato, distogliendo gli occhi dal suo viso
“Sei sveglio” commenta, piano 
Fabrizio si schiarisce la voce. Si sente la gola secca, arida.
“Sono sveglio, sì. Che è successo?” chiede poi. Anche la testa gli fa male, i suoi ricordi che sono solo una confusa accozzaglia. Sa di aver fatto qualcosa di stupido, ma non sa bene cosa. Ricorda solo una strada che puzzava di piscio e vomito, e poi il nulla.
“Non te lo ricordi?” commenta Ermal, sarcastico, e al suo cenno di diniego fa uno sbuffo “Non mi stupisce, Fabrizio. Eri ubriaco. E strafatto. Ti hanno trovato di tutto nel sangue. Anche della cocaina. Cocaina, Fabrizio. Mi spieghi che cazzo ti dice il cervello?”
E’ arrabbiato. Certo che è arrabbiato. Deve aver fatto qualcosa di stupido oltre a drogarsi e bere. Ma che cosa?
Ricorda vagamente di aver camminato a lungo, ma non ricorda quale fosse la sua meta. Sospira, passandosi una mano sul viso vecchio e dolorante, guardandolo.
“Mi dispiace” mormora 
“Ti dispiace? Fabrizio, non me ne frega un cazzo se ti dispiace, lascia che te lo dica chiaramente questa volta. Non puoi fare così, ok? guarda come ti sei ridotto! Devi trovare un modo per tirartene fuori, va bene? E se non ci riesci, se proprio vuoi buttare la tua vita così, allora per favore cerca di non mandare di nuovo in pezzi la mia. Li spaventi, Fabrizio. Hai capito quel che ho detto? Gli fai paura. Le chiamate in piena notte, venire sotto casa nostra... la devi smettere. Io non voglio chiamare la polizia, capisci? Ma stai davvero spaventando anche me adesso e-”
Le sue parole diventano un mormorio arrabbiato e indistinto di sottofondo nella testa di Fabrizio, mentre piano piano i suoi ricordi trovano un modo di rimettersi in fila
Si era fatto, sì. Era andato a cercarlo. Perché stava male, sì. Era andato a cercare Ermal perché stava male e doveva dirgli che aveva bisogno di lui perché tutta la sua vita faceva male se lui non c’era. Ma non era solo quello, no. Doveva scusarsi, sì. Scusarsi per averlo spaventato, l’ultima volta, per aver bussato all’una di notte ad una casa che nemmeno conosceva. Ecco, sì. Ma c’era altro. Era urgente, questo lo sapeva. Doveva dirgli che gli mancava, ecco. Che gli dispiaceva di aver distrutto tutto e che dovevano riprovare, sì. Era quello che era andato a fare. E poi aveva colpito qualcosa o qualcosa aveva colpito lui, ma era per quello che doveva andare da Ermal, per scusarsi e farlo tornare con lui. Proprio quel giorno, poi. Certo. Certo che si. Il suo cervello fa clic. Chiaro.
“Oggi è il nostro anniversario” mormora, a mo di spiegazione, interrompendo  il quieto ma severo rimprovero da parte dell’altro, stroncandolo in pieno.
Ecco perché era così importante che andasse da lui. Era il loro anniversario, quello.
E loro dovevano chiarirsi, ecco tutto.
Avrebbe detto ad Ermal tutto, tutto quello che voleva sapere, pure i segreti che non lo erano più per nessuno ormai, pure quelli che aveva da bambino
Gli avrebbe lasciato chiedere quello che voleva e avrebbe risposto a tutto e alla fine Ermal avrebbe capito e sarebbero tornati insieme
Sarebbero tornati all’inizio di tutto e sarebbero ripartiti con quel “Posso offrirti questo drink o vuoi tirare il tuo nuovo mojito pure in faccia a me?” di quasi diciassette anni prima.
Tornare a quando era solo un bancone di un bar a separarli, e non un’intero anno che aveva la stessa espansione di un’universo. Tornare di nuovo insieme e felici, come era stato.
E come doveva essere.
“No Fabrizio” 
La risposta è secca, brusca, dura.
Si guardano e lui non sa che dire.
“Non è il nostro anniversario, perché noi non stiamo più insieme. E tu... tu devi fartene una cazzo di ragione e smetterla di venirmi a cercare, perché io così non ce la faccio più”
Running in circles, coming up tails Heads on a science apart Nobody said it was easy It's such a shame for us to part Nobody said it was easy No one ever said it would be this hard Oh, take me back to the start
Aveva detto le stesse identiche parole l’anno prima.
Fabrizio se le ricorda bene, anche fin troppo.
Se chiude gli occhi gonfi e doloranti come tutto il suo corpo, può benissimo rivedere la faccia di Ermal davanti a sé, che nella penombra della stanza sembrava ancora più pallida e affilata del solito.
Lo guardava subito dopo avergli detto che dovevano divorziare, impassibile con non mai. Illeggibile. 
“Ermal” l’aveva richiamato, il tono incredulo ma allo stesso tempo tranquillo, come quello di chi cerca di far ragionare qualcuno che ha appena affermato di voler andare sulla luna a piedi per il Capodanno. 
Non aveva fatto in tempo ad aggiungere altro, perché suo marito l’aveva fermato con un cenno della mano, impedendogli di parlare.
“No Fabrizio. Niente Ermal. Io... non ce la faccio più. Basta” 
Il suo tono era pesante, stanco, supplicante a tratti, ma anche estremante piatto e incolore. Quello di chi ha davvero raggiunto un limite che, una volta sorpassato e rotto, non può più aggiustare.
Solo che lui, da quel limite, era ancora troppo lontano. 
Certo, le cose non erano state facili tra di loro ultimamente, litigavano, ma lui amava ancora Ermal. Avevano solo bisogno di tempo, ecco tutto.
E poi, chi era lui per avere il diritto di lasciarlo così? In quel modo, con un semplice dobbiamo divorziare, come se fosse un obbligo, e un basta.
Aveva riso Fabrizio, una risata amara e isterica, il suo cervello che rifiutava di assorbire e districare quelle parole, rigettandole.
“Tutto qui?” aveva chiesto e davanti al suo sopracciglio finemente inarcato, aveva aggiunto “Sei anni di fidanzamento e nove di matrimonio e tutto quello che sai dire è basta?” 
Ermal aveva storto il naso, sospirando amaramente e a lungo, come un adulto che sta per cercare di spiegare per l’ennesima volta qualcosa a un bambino testardo.
“Cos’altro ti devo dire, Fabrizio? Vuoi sentirti dire che sono io che sbaglio? Che non volevo arrivare a tanto? Che non vedo altra soluzione? Che ci proverei ancora e ancora e ancora fino a non avere più un briciolo di felicità addosso? Perché le cose stanno già così, sai” aveva detto, il tono duro e amaro. 
Era arrabbiato. E si stava arrabbiando sempre di più, ad ogni parola che diceva, di quella rabbia rancorosa che ti trascini dietro da tempo e che ogni giorno si fa sempre più acida e che corrode tutto ciò che di buono c’è. Una rabbia di quelle che ti porti addosso così a lungo che alla fine ormai non sai più nemmeno come o perché è iniziata: ti sembra di averla avuta sempre addosso e poi, quando alla fine la sfoghi, come stava facendo Ermal in quel momento, quella gonfia il tuo tono sempre di più.
Paradossalmente, Fabrizio aveva sempre trovato bellissima la rabbia su di lui. Il volto gli si arrossava e i suoi occhi si facevano profondi e lucidi ma scuri, forieri di una tempesta che si stava per abbattere su tutto. Era la rabbia passeggera, quella, Quella che arrivava in un istante e sconvolgeva tutto per poi ritrarsi, lasciandolo nervoso e spossato allo stesso tempo. 
Non era propriamente rabbia però quella, no. Era ardore. 
Lo stesso che poi metteva nei propri fianchi quando premeva le sue mani sul cuscino e lo scopava di forza e di fretta, sfogando così la tensione dei loro litigi o quella che qualcun’altro gli aveva causato.
Ma raramente l’aveva visto così.
Quella rabbia su di lui era terribile. Lo rendeva triste e stanco e consunto, come un vecchio pieno di rimpianto. Era una rabbia fredda, gelida, che covava da così tanto tempo ormai da essere diventata quasi odio. Era orrenda e Fabrizio non poteva credere che quello sguardo vuoto e gelido fosse rivolto verso di lui.
Ermal voleva fargli male. Glielo leggeva in viso. Voleva fargli male e fargli sentire quello che provava anche lui e sapeva come o dove colpirlo.
“O vuoi sentirmi dire che mi dispiace? Che la colpa è mia? Perché a me dispiace Fabrizio: mi dispiace che mio marito non riesca a vedere il fatto che questa cosa che ci portiamo dietro è solo una maschera che mi sta diventando insostenibile reggermi addosso. Mi dispiace che sono anni che non riesco a venire a letto con te decentemente e mi dispiace che da sei mesi ormai non mi scopi nemmeno da ubriaco perché bevi una sera si e l’altra pure, ma questo non è sufficiente. E mi dispiace che tu sia ancora arrabbiato per quella cosa e mi dispiace che tu sia stato il primo a infilarti nel letto di qualcun altro e non fraintendermi, non biasimo né me né te e sì, mi dispiace, ma quello che mi dispiace di più è che tu non riesca ad accettare che io odio questo cazzo di matrimonio quanto lo odi tu, anche se non vuoi ammetterlo, e mi dispiace pure che di divorziare non mi spiace manco per il cazzo!”
Aveva preso un respiro breve e tremante dopo quello sfogo, guardandolo fisso.
“Dimmi cosa vuoi sentirti dire Fabrizio, ti prego. Dimmelo, così io posso dirlo a te e possiamo chiudere finalmente questa cazzo di storia”
Si era lasciato andare contro lo schienale della sedia, in attesa di una risposta.
Fabrizio aveva tirato un sospiro incredulo, facendo un verso sorpreso “Smettila. Smettila adesso. Dio Ermal, abbiamo passato insieme quasi sedici anni, non puoi pensare che la prenda bene se mi dici che vuoi divorziare! Ho 45 anni per Dio!”
Ermal di rimando aveva sbuffato una risatina amara, rivolgendo uno sguardo al proprio calice ormai vuoto, scegliendo di prendere la bottiglia di vino e versarsene altro mentre rispondeva “E allora? Qual è la tua preoccupazione, quella di non riuscire a trovare un altro a cui infilarlo nel culo? Non mi sembra tu abbia avuto difficoltà finora”
Aveva bevuto un sorso del liquido rossastro, che nella penombra appariva quasi nero, rovesciandosene però una goccia addosso quando Fabrizio aveva sbattuto le mani sul tavolo, facendolo sussultare.
“È successo una volta Ermal. Una! Ma ti senti quando parli? Mi accusi come se avessi passato la vita a tradirti cazzo!”
“Due volte, per quanto ne so io e-” aveva corretto, venendo poi però interrotto dalla risata amara di Fabrizio.
“Ancora sei incazzato perché quando eri un ragazzino sono andato a letto con Alessandra mentre ero sbronzo? Cazzo Ermal non stavamo nemmeno insieme, eravamo usciti sì e no tre volte!” “Sono comunque due volte, Fabrizio. Che sono quelle che so, per giunta” aveva precisato, bevendo un altro sorso.
“E tu allora?!” Fabrizio aveva sentito la rabbia esplodergli nel petto a quelle accuse “Tu, no, tu sei un santo Ermal vero? Ma per favore. Quante volte sei andato a casa sua questo mese, mh? Due, tre? Cinque? Quel convegno era reale o una scusa, dimmi!”
Ermal l’aveva osservato, gelido come mai era stato con lui.
“Almeno ho le palle di non nascondertelo” aveva sussurrato, strappandogli così un sussulto incredulo.
“E ti credi forse migliore per questo?”
Fabrizio non capiva. 
Con Ermal si era sempre capito. Sempre, fin dall’inizio.
Ermal non era una persona facile, questo era vero. Diversi suoi amici glielo avevano fatto notare. E concordava con loro, certo, ma la verità era che per lui Ermal non era mai stato nemmeno così difficile.
Erano opposti, in certe cose, eppure si capivano. In qualche strano e assurdo modo, avevano fatto clic, e si erano capiti.
Ora, invece, non riusciva a capire più niente. Non riusciva a capire il suo atteggiamento, le sue parole, perfino il suo viso gli sembrava sconosciuto: anche per lui, Ermal era diventato un puzzle impossibile da decifrare e se doveva essere sincero, la cosa lo spaventava.
E sapeva che ognuno aveva la sua parte di ragione in quella discussione, ma quello che più voleva in quel momento era tornare indietro. Tornare all’inizio, dove tutto era più semplice e anche il difficile sembrava non esserlo così tanto.
Tornare a quando si capivano, a quando erano ErmaleFabrizio, non Ermal E Fabrizio, con uno spazio tra di loro che si allargava sempre di più ad ogni parole, i rancori di quegli ultimi anni che venivano tutti fuori.
Erano stati la coppia perfetta, loro due.
Un modello che tutti prendevano d’esempio quando parlavo di vero amore e di destino e di appartenersi. Separati, loro due? Utopia. 
“Se voi due vi lasciaste, sarebbe davvero un peccato perché a quel punto chi cazzo crederebbe più nell’amore” aveva detto una volta Andrea, ridendo quando, ancora da ragazzini, Ermal aveva minacciato di lasciarlo se si fosse di nuovo presentato a casa sua mentre stava finendo la tesi.
“Già, sarebbe davvero vergognoso” aveva riso Claudio “Credi a me, tra una ventina di anni vi ritroveremo insieme a bisticciare sul colore della cameretta del vostro secondo figlio adottivo” aveva riso
Tutti avevano riso
Come era possibile che da quella previsione fossero arrivati a quel futuro vuoto, senza più sogni o bambini e senza ormai alcun motivo valido per stare insieme a parere di Ermal?
Lui che era lo scienziato, il razionale. 
E razionalmente, per loro non vedeva più niente.
Perché quella non era più la minaccia di un ragazzino, ma la realtà di un adulto e la cosa era davvero terrificante.
“No” Ermal l’aveva pronunciato in tono secco e perentorio quel diniego, incrociando le braccia sottili al petto “No, va bene? Mi faccio schifo, Fabrizio, mi faccio schifo da solo e tanto anche, ma almeno non sento il bisogno di fingere con lei”
“Il bisogno di fingere? Fingere cosa? Ma tu credi davvero di essere così bravo a nasconderti da me, Ermal? Da me, che ti conosco da quando ancora non avevi una laurea in mano ed eri solo uno stronzo troppo bello che ha tirato un cocktail in faccia a un poveretto che ti ha preso con la luna storta? Ma se sono quasi quattro anni che riesco benissimo a leggere nei tuoi occhi il disgusto quando mi guardi, Ermal. Ma per favore”
Ed era vero. Ora che l’aveva detto se ne era accorto. Era una verità, quella, che aveva provato a nascondersi da solo ma che ormai era innegabile. E ci avevano provato, sì, ma sotto sotto Ermal, nonostante le sue belle parole, non l’aveva mai perdonato. Non aveva mai smesso di odiarlo e ora che la diga si era rotta, il fiume di quello stesso odio li stava travolgendo, spazzando via la fragile fiducia che avevano provato a ricostruirsi e che troppe volte nel corso di quei mesi era stata spezzata.
“Mi biasimi?”
Ermal glielo chiede lentamente, il tono improvvisamente basso e quasi calmo.
“Mi hai tradito, Fabrizio. Eravamo a tanto così, tanto così, dall’avere tutto quello che avevamo sempre voluto e tu hai mandato tutto a puttane per cosa? Per quella stronza che non rivedrai mai più, Fabrizio, ecco per cosa. Per una scopata. Sembra assurdo, cazzo, te ne rendi conto di quale cazzo di assurdità è questa? Per infilare il cazzo dentro una sconosciuta, ecco perché hai rovinato le nostre cazzo di vite!”
E a quel punto, anche Fabrizio era esploso.
Era esploso perché la verità era che sì, odiava quel matrimonio, ormai, e c’erano giorni che avrebbe voluto non aver mai sposato quell’uomo ormai sconosciuto che gli stava di fronte e che preferiva passare le ore con una donna di cui, lo sapeva, si stava innamorando, ma l’altra faccia della medaglia era che lui amava ancora Ermal. Lo amava e non voleva lasciarlo andare, nonostante tutto.
Anche perché stava mettendo la colpa addosso a lui quando, di colpe, anche lui ne portava, perché era stata solo colpa sua se non era riuscito a perdonargli un singolo errore quando Fabrizio aveva fatto tutto quello che era in suo potere per rimediare
“Avremmo potuto averlo lo stesso, se tu non avessi dato di matto a quel modo!”
Ermal si era alzato di scatto, incredulo.
“Dato di matto!? Ma ti senti quando parli? Davvero credevi che avrei voluto portare a termine l’adozione e crescere un figlio con l’uomo che diceva di amarmi e ha portato un’altra donna nel nostro letto? Nel nostro letto, Fabrizio! Dove noi facevamo l’amore, cazzo!”
I was just guessing at numbers and figures Pulling the puzzles apart Questions of science, science and progress Do not speak as loud as my heart
“Fabrizio. Mi stai ascoltando?” 
La voce di Ermal lo strappa nuovamente da quei ricordi, i suoi occhi che vanno ad incontrare nuovamente quelli altrui.
Si accorge di averli lucidi, ma cerca di imputare la colpa alle luci accecanti che aveva fissato e al mal di testa lancinante che ha
“Sì” risponde in un bisbiglio, deglutendo piano
Ermal sospira, passandosi stancamente un mano sul viso
“Non è vero” mormora, scuotendo appena la testa “Fabrizio senti... per l’ultima volta: per il tuo bene, devi starci lontano. Sta lontano da casa sua, sta lontano da me, sta lontano dalla nostra vita. Lo so che vuoi sistemare le cose, me l’hai detto anche qualche ora fa, prima di collassare e prendere in pieno il gradino del portico ma... non c’è più niente da sistemare. Lo so io come lo sai tu”
Il suo tono è quasi dolce ora, come un adulto che spiega qualcosa a un bambino che fatica ad afferrare un concetto troppo grande o fuori dalla sua portata
“Lo so che non vuoi fare del male a nessuno Fabrizio. Lo so. Ma guarda come sei ridotto. Io... non posso nemmeno provare ad esserti amico così, lo capisci?”
Ermal era sempre stato bravo a spiegare le cose. Era sempre stato cinico nel farlo, non nascondendo all’adulto davanti a lui se pensava che questo fosse ignorante nella materia, ma si faceva capire. 
Con i bambini, invece, era magnifico
Tutta la pazienza che non aveva con gli adulti, l’aveva con loro. Adorava, quando venivano in visita al laboratorio, spiegare loro tutto quello che chiedevano, facendo disegni sghembi alla lavagna e lasciandoli osservare qualsiasi cosa volessero al microscopio 
Sarebbe stato un ottimo padre, lo pensavano tutti.
Fabrizio incluso.
E usava dirglielo, un tempo, quando i suoi dubbi e le sue ansie ritornavano ad assalirlo e allora se lo stringeva contro, nel loro letto, e gli accarezzava la schiena segnata, mormorandogli quanto sarebbe stato perfetto con un bambino, il loro bambino.
La storia dell’adozione era venuta fuori quasi per scherzo, quasi per caso.
Stavano di nuovo parlando, costruendo, immaginando un futuro che potevano quasi toccare con mano: il negozio andava bene, Ermal procedeva spedito nella sua carriera. Si erano trasferiti da poco in un appartamento più grande, più bello. Non gli mancava nulla, il mondo era solo un tappeto di possibilità ai loro piedi. Immaginavano i posti che volevano visitare insieme e quelli già visti in cui volevano ritornare, pensavano a cosa provare di nuovo. Quel ristorante appena aperto in centro, quella gita che volevano fare da anni. Niente sembrava impossibile.
E immaginando e parlando, si erano ritrovati a esprimere il desiderio di allargare la famiglia.
“Un nostro immaginario bambino, se fosse possibile averne uno nostro, avrebbe i miei ricci ma i tuoi colori” aveva detto Ermal, rotolandogli addosso e tirandogli i ciuffi castani con un sorriso.
“No no, sarebbe identico a te” aveva riso Fabrizio, carezzandogli le natiche nude “Tutto ricciolo e pallido, con gli occhioni scuri e le guanciotte” e gli aveva pizzicato il sedere, facendolo sussultare.
“Quelle non sono le guance, coglione” aveva riso Ermal, prima di farsi serio.
“Fabrizio” aveva chiesto poi “Ma se davvero ci pensassimo, ad un bambino nostro?”
E ci avevano pensato, certo.
E dopo mille e altri mille pensieri, si erano accordati sul fatto che sarebbe stata meglio l’adozione. Sarebbero andati anche in capo al mondo, per farla, ma volevano completare la famiglia.
Ne erano convinti, tutti e due.
La loro era una vita felice e quello sarebbe stato il coronamento di tutto
Solo che felice non è sinonimo di non stressante. 
E lo stress, si sa, è cattivo consigliere per tutti.
Fabrizio sa che Ermal ha ragione. In quel letto di ospedale in cui è finito, sa che le sue parole sono veritiere più che mai. 
Non c’è niente da sistemare perché lui aveva rotto tutto, anni addietro, quando aveva ceduto ed era stato debole e aveva sbagliato e da allora non aveva mai davvero potuto fare qualcosa per rimediare
Aveva sbagliato, lo sa. Aveva sbagliato perché era stanco, stanco da morire e stressato come non era mai stato in vita sua.
Ermal era all’apice della sua carriera ed era costantemente rimbalzato tra un convegno e l’altro, tra una città e l’altra e la sua assenza si sentiva e anche parecchio. Il negozio non faceva più così tanti guadagni e c’era la concreta possibilità che dovesse chiuderlo e cercarsi un altro lavoro e se anche con i soldi guadagnati da Ermal ce la facevano abbastanza tranquillamente c’era l’affitto della casa e del locale da pagare e le spese da sostenere e le bollette e far quadrare i conti per comprare anche le cose necessarie per il bambino. Le pratiche da firmare, l’avvocato da sentire, la camera da ridipingere, il commercialista incazzato, l’ordine di dischi che si era perso. L’insonnia che l’aveva colto di nuovo, la casa da pulire, il suo aiutante da licenziare. Doveva arrivare ovunque, essere costantemente presente e non ce la faceva
La verità era semplicemente quella: non ce la stava facendo a reggere tutto ma non riusciva a frenare Ermal.
Non poteva chiedergli di fermarsi o aspettare, non dopo tutto quello che avevano giù fatto
E una sera, non aveva retto. 
Portava la fede al collo, legata ad una catenina, e sotto al maglione non l’aveva vista. 
Quella povera ragazza che gli si era avvicinata al bar non ne aveva colpa. La colpa era sua che era di malumore, che era stanco e stressato ed Ermal era rimasto bloccato fuori città per un incidente e gli aveva detto che avrebbe cercato un posto dove dormire fuori e non andavano a letto da settimane ormai perché quando non erano impegnati erano troppo stanchi e lui aveva bisogno di sfogarsi, di sfogare quella tensione che sentiva sulla spalle e fin nell’anima perché era Ermal, lo scienziato, ma era lui che stava provando a far quadrare tutti i conti.
Era lui che doveva far incastrare tutti i pezzi dei puzzle della quotidianità mentre Ermal stava dietro alla sua stupida scienza e alle sue stupide ricerche 
E allora aveva ceduto
Non lo saprà nessuno, aveva pensato. Sarà solo per una notte, si era detto. Solo una scopata, niente di più. Niente sentimenti, no. Lui amava Ermal e non avrebbe potuto amare nessun altro, ma lei era bella e lui aveva bevuto ed era stanco e se ne sarebbe andata prima che Ermal tornasse e se lo sarebbe tenuto per sé e si sarebbe vergognato, probabilmente, una volta che fosse tornato sobrio, ma così si sarebbe sfogato e non sarebbe impazzito e avrebbe tenuto quel vergognoso segreto per sé e sé solo.
Non voleva pensare a niente per un istante, ecco tutto. Ecco tutto quello che voleva da lei. Non pensare. Per quegli attimi, non pensare a nulla. Essere solo un corpo che si univa a un altro corpo, fine. E aveva capito che stava facendo una stronzata già mentre, mezzo ubriaco, mancava per la terza volta la serratura di casa, ma non poteva tornarsene indietro. Se la sarebbe scopata e basta, l’avrebbe mandata via e chiuso lì.
Ma Ermal non si era fermato per la notte.
Era rientrato, nonostante quel che aveva detto, facendo pure piano per non svegliarlo e l’aveva trovato a letto, nel loro letto, con una donna di cui non ricordava nemmeno il nome. 
E da quel momento, con lui affacciato sulla porta della camera, bloccato dall’orrore e incapace di reagire, le cose si erano rotte e non erano mai riusciti ad aggiustarle.
La riprova era che si trovavano lì, in ospedale, con Ermal che gli posava delle carte che aveva visto fin troppe volte sull’asettico e vuoto comodino.
“Firmale” mormora, quasi implorante “Fatti un favore, Fabrizio. Firmale e basta”
But tell me you love me, come back and haunt me Oh and I rush to the start Running in circles, chasing our tails Coming back as we are
Non erano comparse subito quelle carte
Certo, avevano annullato l’idea dell’adozione, ma Fabrizio aveva chiesto perdono ed Ermal si era arreso nel darglielo, nel dargli una seconda possibilità perché lo amava troppo, diceva.
Gli aveva chiesto scusa mille e mille volte ancora
L’aveva supplicato di tornare, di dirgli che lo amava ancora, perché non poteva vivere senza di lui.
Se ne era pure andato di casa, per qualche settimana, ma poi un giorno, dal nulla, si era ripresentato, sempre giocherellando con quella fede che, nonostante tutto, teneva ancora al dito.
“Ti perdono” aveva detto
“So che lei non significava niente” aveva detto
“Ricominciamo” aveva detto 
E Fabrizio aveva annuito e pianto, grato della cosa, grato di non aver distrutto davvero le loro vite e la cosa più bella che aveva. Grato che potessero ricominciare, che potessero ritornare a pensare, pian piano, al loro futuro
Che potessero tornare ad essere semplicemente loro, perché le settimane senza di lui erano state un tormento infinito, che l’avevano straziato fin nell’anima
Eppure, nonostante ciò, qualche anno dopo erano lì, al tavolo, a discuterne e a rendersi conto che no, quel perdono non c’era mai stato e che il loro matrimonio non aveva fatto altro che colare sempre di più a picco, fino a quel giorno, a quella notte, in cui tutte le carte stavano venendo scoperte e quella parvenza di normalità che gli rimaneva veniva fatta a pezzi parola dopo parola.
Anche Fabrizio si era alzato, spalancando le braccia in un gesto di esasperazione
Non capiva. La rabbia era davvero troppa in quel momento e non capiva e basta come fosse possibile che fossero arrivati a quel punto.
Loro due, che erano sempre stati una cosa sola fin dall’inizio
Loro due, che avevano ricominciato senza mai, apparentemente, farlo davvero
E allora cosa erano stati quegli anni? Solo delle bugie che si erano detti per stare meglio? 
E lo sapeva che le cose non andavano bene, perché Ermal era stato onesto, a differenza sua: una sera, a cena, in una di quelle cene vuote e silenziose dove non aspettavano altro che finire e alzarsi da tavola e non si toccavano praticamente mai se non in rare occasioni, Ermal aveva parlato.
“Ho conosciuto una persona, settimana scorsa”
L’aveva detto così, senza nemmeno alzare gli occhi dal suo piatto di carbonara, rigirandosi i due spaghetti che rimanevano lì con la forchetta
“Mi piacerebbe frequentarla in amicizia, se ti va bene”
“Ora mi devi chiedere anche con chi puoi o non puoi fare amicizia?” aveva sbottato acidamente Fabrizio.
La verità è che sapeva, dal modo in cui Ermal aveva introdotto la cosa, che questa persona, chiunque fosse, lo interessava. E probabilmente, non solo in amicizia. 
“Stavo solo chiedendo, prima che tu ti faccia strane idee” aveva ribattuto lui, acido a sua volta come non mai
“Fa come cazzo ti pare” aveva ribattuto Fabrizio, finendo l’ennesimo bicchiere di vino
“La smetti di bere?” 
“La smetti di farti i cazzi miei? non ho due anni?”
La discussione era degenerata, infine, ed Ermal se ne era uscito di casa. 
Era successo così, ancora e ancora. Discutevano e poi Ermal usciva. 
Le cose poi erano cambiate quando, rientrando, Fabrizio aveva notato che addosso lui aveva un altro profumo. Non si toccavano da tre mesi e da uno nemmeno si baciavano più. 
“Sei stato dalla tua amica?” aveva chiesto, piano
“Silvia. Si chiamava Silvia” aveva risposto lui, dandogli le spalle “Buonanotte Fabrizio”
Era stata l’unica volta che aveva pronunciato il suo nome davanti a lui. In qualche modo, il riconoscimento di un’identità verso quella sconosciuta suonava come un ultimatum 
E infatti, tre mesi dopo eccoli lì, a discutere e discutere e discutere.
“Ti ho chiesto scusa, Ermal, decine e decine di volte! Non sto dicendo di non aver sbagliato, l’ho sempre ammesso e sì, mi sono fatto schifo anche io, ma ti ho chiesto scusa e ho capito che stavo facendo una stronzata perché, lo sai, lei non significava nulla e ho fatto tutto quello che potevo per dimostrarti che ti amo e che volevo ancora una famiglia con te e che mi dispiaceva e se davvero la pensavi così perché hai scelto di perdonarmi? Potevi chiedere il divorzio allora e invece sei tornato a casa! Pensavo che mi amassi anche tu, ma forse allora non era così. Lascia che ti chieda io, allora, perché sei tornato? Perché cazzo mi hai rivoluto con te se mi odiavi già a tal punto!?”
Stavano urlando ora. Non importava che fossero quasi le tre e che i vicini si sarebbero lamentati. Non importava più nulla perché Ermal voleva il divorzio e questo sembrava essere quanto, senza se e senza ma.
“Perché ti amavo, Fabrizio! Ti amavo ancora da impazzire e volevo, non lo so, stupidamente rivolevo solo indietro la mia vita prima di quel maledetto giorno. Pensavo di poterci passare sopra ma non è stato così!”
Fabrizio si era stropicciato la faccia, stancamente, alzando poi lo sguardo verso di lui.
Lo amava ancora, allora. Cosa era cambiato adesso? Che cosa gli era successo?
“Io ti amo ancora però”
Aveva pronunciato quelle parole in un sussurro, in contrasto con le gira di prima.
“Io no”
Ermal non aveva esitato. Nemmeno per un istante. 
Aveva pronunciato quelle due semplici parole e il gelo era calato immediatamente nella stanza.
Non lo amava più.
Fabrizio aveva tirato su con il naso 
Cosa era cambiato?
“Sei... sei innamorato di lei adesso?”
Era la spiegazione più semplice. La più facile, la più veloce. La più logica e razionale, come piaceva ad Ermal.
Questa volta lui aveva esitato, ma poi aveva scosso il capo riccioluto, ornato da qualche capello bianco ormai.
“No. Non la amo. Non ancora, ma so che potrei, Fabrizio. Perché mi piace. Tanto. Troppo. Come te un tempo”
“E di quel che provo io non ti interessa più”
Non era una domanda, solo una constatazione.
“Non è così. Non è così io-“ aveva sospirato Ermal, passandosi una mano sul viso “Non centra cosa provo per lei, è che io non ti amo più, Fabrizio. Ma abbiamo passato insieme quasi sedici anni e no, non riesco a fregarmene di te. Una parte di me ti odia. Tanto. Davvero... tanto. Ma ti voglio ancora bene in parte e questo non posso negarlo. Però no, non ti amo più. Ed è anche per te che voglio il divorzio”
Uno sbuffo amaro era seguito a quelle parole. “Per me?” aveva chiesto, ironico.
“Sì. Per te. Non è... giusto, nei tuoi confronti” “Perché” “Perché lo so che tu mi ami ancora. Ma so anche che non puoi più amarmi come prima. Sopratutto perché /io/ non ti amo più. Non come prima, non ti amo più e basta”
Era sempre stato schietto, Ermal, e questo a Fabrizio era sempre piaciuto, ma mai come quella volta si era ritrovato a desiderare che lo fosse di meno. Perché faceva male, faceva dannatamente male e non c’era niente che potesse addolcire o lenire quelle parole. Dopo sedici anni insieme, Ermal non lo amava più. 
E alla fine, aveva fatto quello che più temeva: aveva rimproverato e crocefisso lui per una scopata, ma era stato infine lui quello che si era innamorato di un’altra
Perché, lo sapeva, dopo che quella sera Ermal aveva lasciato l’anello sul tavolo e se ne era andato senza mai più tornare questa volta, era andato da lei.
E si erano frequentati e messi insieme e si erano innamorati e vivevano insieme, adesso, lo sapeva.
Ermal si era rifatto una vita. All’alba dei suoi quarant’anni, aveva tutto quello che voleva. Una persona che amava, una carriera soddisfacente e, Fabrizio lo sapeva, perfino quello che loro due non avevano mai avuto.
Ne era uscito, lui. Cambiato, distrutto, stanco, a pezzi. Ma ne era uscito.
Fabrizio invece non ce l’aveva fatta. 
Non aveva più una vita, non aveva più Ermal. Aveva dovuto lasciare l’appartamento, chiudere il negozio e ritornare a fare il barista, con i suoi quarantasei anni sulle spalle che pesavano nelle notti in cui doveva rimanere fino alle quattro di mattina. Era invecchiato molto più in quell’anno che in una vita intere. Ermal era più vecchio, si, ma conservava ancora quella fiera e strana bellezza che l’aveva conquistato fin da subito. Sotto alle rughe e dietro a quegli occhi più stanchi, riusciva ancora a vedere quel ventiquatrenne che gli aveva spudoratamente fatto un pompino nel bagno del personale. Lui, invece, non si riconosceva più. Si era trasferito in un appartamento che era un buco, tutto quello che faceva era lavorare e quando non lavorava beveva. E poi ci era ricaduto, anche nella droga. Perché l’acol non bastava a guarire quel dolore, quel vuoto che pesava più di qualsiasi peso perché non gli era rimasto più niente, nemmeno un mezzo sogno. Ermal, invece, aveva tutto. Era stato lui a lasciarlo eppure lui si era rifatto una vita al contrario suo
E ora lo guardava, in attesa di una risposta, in attesa che firmasse quelle carte che li tormentavano da mesi.
Le carte del divorzio.
“Devo fare un favore a me o a te?”
Ermal sospira, di nuovo, guardandolo
“A tutti e due. Per favore Fabrizio. Se davvero mi hai amato come hai detto prima, fai la cosa giusta e lasciami andare”
C’era un che di implorante nel suo tono, un qualcosa che non riusciva a collocare ma che sembrava disperazione mista a qualcosa di più profondo e indefinibile, una stanchezza esistenziale che non gli aveva mai sentito così tanto addosso.
“La ami?” 
La domanda giunge inaspettata, ma nemmeno troppo. “Non la amavi, l’anno scorso. Adesso la ami?” 
Ermal, questa volta, non esita. Attende un secondo ma poi annuisce lentamente.
“Sì. La amo. Tanto, anche. E sono felice con lei, più di quanto potessi sperare di essere dopo di te. Mi dispiace che per te non sia lo stesso, Fabrizio, dico davvero. Mi dispiace che siamo qui in ospedale, adesso, ma non posso fare più di così per te. Più che portare pazienza una volta in più, io non posso fare. Per favore, Fabrizio. Firma queste carte e liberati di questo peso. Anche per te stesso. Credimi, Fabrizio, credimi che mi dispiace vederti così, ma io non posso accettare che tu chiami a casa di Silvia alle quattro del mattino. Spaventi lei e spaventi e spaventi anche-” si interrompe, scuotendo appena il capo “Per favore. Firmale e rimettiti in piedi. Non è troppo tardi per questo, e se proprio vuoi posso aiutarti in qualche modo, ma devi lasciarci in pace”
Fabrizio lo osserva, leccandosi le labbra secche e tagliate.
Sembra tanto diverso, Ermal. E’ uguale a prima, eppure non è l’Ermal che conosce lui.  Non è più l’Ermal di Fabrizio, adesso.
E’ suo, di quella donna che ha visto di sfuggita troppe volte e mai sobrio. Non abbastanza per ricostruire bene il suo volto
Sa che è bella. Sa che ha i capelli biondi e lunghi, gli occhi azzurri ed è alta. Veste colorato. La sua voce è piuttosto bassa, ma piacevole. Questo è tutto quello che sa. Questo, e il suo nome.
“Passamele” mormora, allungando una mano tremante e instabile
Ermal sembra stupito ma le recupera e gliele tende, osservandolo mentre lui guarda la sua firma. Certo, Ermal le ha firmate non appena le ha avute in mano.
“Ti do una penna?” chiede, e non riesce a fare a meno di trovare la speranza nel suo tono, una speranza sporcata da qualcosa che sembra incredulità, ma di quella quasi timorosa ma felice.
“Io... va bene” mormora piano
Pure le mani di Ermal tremano mentre gliene tende una che recupera dalla tasca
“Ecco. Devi firmare qui e qui. E qui” gli indica.
Fabrizio posa la penna a sfera sul foglio, premendovi appena. Fabrizio Mobrici. E’ solo il suo nome. Deve scriverlo, e sarà tutto finito.
Nobody said it was easy Oh, it's such a shame for us to part Nobody said it was easy No one ever said it would be so hard
Non era stato facile. Non era stato per niente facile tracciare quelle lettere
Per tre volte, aveva tracciato la forma del proprio nome, ben sapendo che così si stava finendo di annullare completamente
Tre segni e niente più Ermal
Tre Fabrizio Mobrici, e non era più Fabrizio Mobrici-Meta
Tre firme ed erano entrambi divorziati, non più sposati.
Era stato facilissimo, in un certo qual modo. Erano bastate tre firme per annullare nove anni dopotutto, sedici se si contava anche quando erano insieme senza essere legati dal matrimonio 
Eppure, era stato difficilissimo.
Scrivere il suo nome non era mai stato tanto difficile in vita sua. Quando aveva finito, si sentiva spossato, svuotato, senza più neanche un filo di forza nel corpo dolorante.
Non riusciva nemmeno a piangere, nonostante sentisse gli occhi lucidi pungere
Ermal si era ripreso le carte con cura, reggendole come se fossero un tesoro prezioso
Non sapeva se era a causa del riflesso delle luci, ma a Fabrizio sembrava che pure lui avesse gli occhi lucidi. Solo che lui non sembrava triste, sembrava quasi...commosso.
“Grazie” aveva mormorato riconoscente, mettendole via con cura “Le farò avere all’avvocato il prima possibile”
C’era sollievo nel suo tono.
Fabrizio non lo metteva di certo in dubbio. Era già bello che non ci sarebbe andato appena uscito di lì.
Si era messo il cappotto, guardandolo.
“Ho chiamato Andrea e Claudio. Mi hanno detto che non ti sentono da un po’, ma verranno per riportarti a casa e stare un po’ con te se vuoi. Io devo andare” 
Fabrizio l’aveva guardato, perplesso, quasi ferito. Era tutto lì dunque? Firmate le carte se ne andava e basta, così.
“Andare?” aveva chiesto.
“Si. Mi... devo andare a prendere i bambini a scuola”
I bambini, certo. Fabrizio sapeva che lei aveva dei figli. Due gemelli, da quel che aveva potuto intuire. Non erano suoi, certo che no. Un precedente matrimonio, fallito come il loro. Ma a Ermal non importava. Alla fine aveva avuto l’adozione che voleva, anche se per via indiretta
“Capisco” aveva detto soltanto, evitando di guardarlo
“Bene. Allora... io vado. Grazie per... le firme. Davvero. Spero che questo possa aiutarti, Fabrizio. Dico davvero. Spero che anche tu possa ricominciare, adesso. Addio Fabrizio” aveva sussurrato, facendogli un breve cenno, guardandolo per un ultimo istante, prima di uscire dalla stanza da uomo libero.
Fabrizio l’aveva osservato, godendosi per quella che ormai sapeva essere l’ultima volta i dettagli del suo viso. Le labbra sottili, i ricci indomiti ormai striati di grigio, gli occhi scuri, le lunghe ciglia nere. Il mento, le orecchie, le occhiaie. La fronte, le rughe agli angoli della bocca e degli occhi. Il collo sottile e quel piccolissimo neo sul labbro che era il suo preferito.
“Lo spero anche io” aveva sussurrato alla stanza vuota, chiudendo gli occhi. 
I'm going back to the start
Anche se in cuor suo sapeva che, in fondo, un nuovo inizio per lui non ci sarebbe mai stato.
E’ stato un parto? E’ stato un parto. Spero che ve la siate goduta, perché io non ce la posso più fare. Ho fatto raffreddare anche il te, andate in pace, amen. Anon, se non era quello che volevi mi dispiace. E mi raccomando ragazzi, non è tardi per ricominciare quindi non mi dovete linciare grz
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sciscianonotizie · 4 years
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Maria Elena Boschi e Giulio Berruti, relazione a gonfie vele
La deputata di Italia Viva, Maria Elena Boschi, fasciata in un costume bianco, e l’aitante attore Giulio Berruti, con i muscoli in bella vista, sono più innamorati che mai come mostrano gli scatti pubblicati dal settimanale “Chi”. La coppia si rilassa in barca e naviga in un mare d’amore. Al largo di Stromboli i due piccioncini si baciano appassionatamente sia in barca che in acqua.
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source https://www.ilmonito.it/maria-elena-boschi-e-giulio-berruti-relazione-a-gonfie-vele/
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gianssnow · 6 years
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Un tentativo di difesa di Mauro Icardi
Chi ha la ventura di osservare il dipanarsi delle mie acrobazie verbali, si sarà reso conto dell’improvviso ribaltamento di opinione sulla querelle che senza sosta tiene banco da due settimane abbondanti. Verrò accusato di essere un incoerente, un opportunista, un falso: esistono contumelie più gravi, e io sono un muro di gomma, respingo tutto, talora porgendo anche l’altra guancia. Sono mitridatizzato al veleno che scorre copioso attraverso l’etere. Apro una piccola e non indispensabile digressione: sono fatto così, il pensiero del popolo è come una calamita che mi respinge, polo positivo contro polo positivo. Non ne faccio un discorso di portata politica, absit iniuria verbis: non mi sentirete mai berciare di populismo e demagogia a sproposito, e forse nemmeno a proposito. La mia è un'attrazione naturale verso le cause perse: se avessi fatto l’avvocato probabilmente mi sarei trasferito negli States per lavorare a cottimo in quelle associazioni per la difesa dei condannati a morte. Uno dei motivi per cui mi sono ritrovato tifoso senza volerlo dell’Inter è proprio questo. Non so se sia così per altri.
Per cui, non ho avuto cuore di unirmi alla lapidazione indefessa ed unanime verso l’ex Capitano. I processi intentati dalle masse contro un unico imputato messo alla gogna pubblica mi hanno sempre disgustato, anche perché storicamente l’imputato si è quasi sempre rivelato un innocente. Ho cercato ordunque delle ragioni valide per poter perorare, anche stavolta, la causa del perdente, rinvenendole, alfine. Mi par di capire che il campione della tifoseria nerazzurra, in questa singolar tenzone fra l’interismo e l’icardismo sia il neo-amministratore delegato Giuseppe Marotta. Sguardo onnicomprensivo ed onnisciente, novello Temistocle. stratega provetto, Marotta, da simbolo del bieco oscurantismo bianconero, è trasfigurato in un fascio di luce che ha portato pace e sicurezza là dove prima c’erano miseria e sventura. Poco cale, agli aedi delle prodezze marottiane, che l’Inter prima del suo arrivo fosse pienamente in corsa per la qualificazione agli ottavi di Coppa dei Campioni e in campionato stesse viaggiando a vele spiegate con concrete velleità persino di secondo posto. Tutto ciò è svanito dopo l’avvento del Don: coincidenze, naturalmente. In qualità di exemplum della fermezza marottiana, viene portato spesso l’episodio del recalcitrante Bonucci, reo di insubordinazione verso l’allenatore nel febbraio 2017, e punito tosto con l’ormai mitologico sgabello. Dopodiché, marette dissolte e amici come prima. Fino a quei sulfurei quindici minuti di intervallo di Cardiff, i cui contorni rimarranno sempre sfumati, ma con una quasi-certezza inappellabile, suffragata dall’addio di Bonucci alla Juve giusto il mese successivo: Bonucci che apostrofa a malo modo Dybala, Bonucci allenatore che consiglia la sostituzione di Barzagli, Bonucci che sfiora la rissa fisica con i compagni. Quei quindici minuti hanno mandato a monte l’intera stagione bianconera. Questo è avvenuto, incredibile dictu, alla Juve, roccaforte storica ed inespugnabile della disciplina. L’eccesso di severità, malgrado un ambiente geneticamente predisposto come quello della real casa, ha sortito l’effetto opposto di una nuova insubordinazione, nel momento meno propizio della stagione.
Figuriamoci in un pollaio caotico come quello nerazzurro. All’Inter non avremo nemmeno quel bene, della ricomposizione, anche solo temporanea, delle frizioni fra giocatore e spogliatoio/allenatore. Non c’è dubbio che Icardi sbagli nel suo seguitare a non voler scendere a compromessi, ma si tratta dell’errore di un innamorato tradito e lasciato solo, abbandonato, dimenticato. In fisica c’è il terzo principio di Newton: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Togliere la fascia di capitano a Icardi è stato un gesto inutile, ma soprattutto dannoso: inutile perché se la fascia la indossa Icardi, o Handanovic, o Dalbert, non c’è differenza apparente - qualcuno conosce chi siano i capitani della Lazio, della Fiorentina, della Sampdoria?; dannoso perché è stata sottratta proditoriamente a un calciatore che la riteneva un oggetto prezioso, segno del suo sacrificio. Non un premio, poiché la fascia di capitano non ha un valore matematicamente quantificabile, bensì un simbolo. Icardi ha reagito con un rifiuto pari all’affezione che provava verso la fascia di capitano. Certo, si dirà che il principio di azione e reazione è applicabile tale e quale a quel che ha preceduto il mortale schiaffo: le richieste reiterate e sguaiate di Wanda Nara dalle libertine tribune dei salottini pardeschi meritavano un punto fermo, abbisognavano di un freno inibitorio. Tuttavia, nel mare magnum delle interviste esclusive, dei messaggi criptici, delle missive a mezzo social, del chiacchiericcio indistinto e perpetuo sulla vicenda, sembra che anziché tacitare i queruli ronzii dell’Ape Regina, essi abbiano ricevuto al contrario un’insperata cassa di risonanza.
Il provvedimento è stato un salto mortale senza rete di salvataggio. Non dirò che bisognasse rinnovare il contratto a Icardi, perché ho sempre sostenuto il bisogno di staccarsi dalla mammella dell’ex capitano, molto più matrigna che materna, assolutizzante, ipertrofica, dispotica. Tuttavia, la realpolitik avrebbe imposto di continuare almeno fino a giugno tenendo il piede in due staffe: guardandosi intorno alla ricerca di alternative, ma nel contempo tenendo buoni i due amorevoli piccioncini, tergiversando, prendendo tempo come un Quinto Fabio Massimo, non devastando il nemico come Attila. Quello mi sarei aspettato dallo stratega Marotta, non il decisionismo di pancia che sempre si assicura la salva di applausi nell’immediato, ma quasi mai conduce alla Luce, alla Salvezza, alla Verità. In questo muro contro muro stanno perdendo tutti: l’Inter, privata di un uomo da 122 gol, in una stagione che avrebbe dovuto essere necessariamente di riconferma, ma castrata anche di un asset che sta precipitando nel valore giorno dopo giorno; l’ex capitano, naturalmente, divenuto in men che non si dica il nemico numero uno della tifoseria e l’artefice di ogni male; e lo stesso Marotta, il quale, in caso di fallimento dell’obiettivo quarto posto, inizierebbe come peggio non potrebbe la sua avventura nerazzurra.
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paoloxl · 7 years
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Ok Ok è morto, acciaccato da un motorino dei “vigilantes urbani”, ma se l'è pure andata a cercare. Ma non lo sanno, 'st'ambulanti, che vendere per strada è contro la legge, e contro i commercianti, e contro gli affari puliti, il profitto legale? Ma non lo sanno, 'sti negri, che questo è degrado, come quegli altri criminali di turisti poveri che osano mangiare sulle scale di un monumento e lavarsi le mani ad un nasone, o quei cenciosi di mendicanti che oltrepassano i quartieri loro destinati e si “allargano” al centro, al fianco di qualche vetrina vip o di qualche basilica? E no, non si può andare avanti così. Ci vuole un po' d'ordine, di pulizia ( chiudendo un occhio su qualche corruttela!). Pure a Milano l'hanno capito: le città devono tornare a splendere di vetrine e lussi, spianando o deportando tutte le povertà, le diversità, le difficoltà. In modo da acchiappare due piccioncini con una fava: mangiano i bottegai e godono i turisti ricchi. Certo, resta qualche buca, un po' di traffico e d'inquinamento......ma sapete, le metropoli sono tutte cosi'. E andiamo, non se ne può più! Non riesci a camminare co' tutti sti lenzuoli pieni di borse ai margini delle strade, vendute ad un decimo del loro prezzo vero. Pensate, borse firmate da 400-500 euro vendute, al nero (un po' come gli ambulanti) a 20-30 euro. Uguali! Magari costruite sempre da loro, negri, asiatici, cinesi e cinesini......sapete com'è per via delle manine piccole che assemblano meglio. Uguali ma vendute a prezzo diversissimo, ma soprattutto, fuorilegge! E dai, le regole vanno rispettate! E poi, bisogna pure accontentarsi! Questi già vengono in Italia in tanti, in troppi. Mo' vogliono pure vendere sottobanco, e guadagnare! Vuoi vedere che pretendono di vivere? Certo, qualcuno si perde nel “mare mortum”, affogando, pure donne e bambini. Spiace per i bambini, ma il troppo è troppo, e se qualcuno si perde per strada, o in acqua.......... Adesso pure 'sto Mia, Miam, Niang, come si chiamava? Questi si chiamano tutti uguali! S'è sentito male, i suoi amici dicono che è stato investito..... ..........va be', è morto d'infarto. Certo, tutte le morti dispiacciono, però.......se non fosse stato li........ 'Nzomma, quando te la vai a cercare........ ........trovi la legge, e la morte! ONORE A NIANG, LAVORATORE SENEGALESE MORTO PERCHE VOLEVA, SENZA RIUSCIRCI, SOPRAVVIVERE.
Pino ferroviere
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thebookwormsnest · 6 years
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15 motivi che ti fanno capire che stai leggendo un romanzo di Nicholas Sparks
Conosciamo tutti Nicholas Sparks. Tutti abbiamo letto un suo libro. O abbiamo visto un film tratto da un suo libro.
Insomma, non negatelo. Anche perché i libri di Sparks sono subdoli, potreste aver visto un suo film senza sapere che fosse suo (...).
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Lei almeno uno l’ha letto.
Ma avete mai notato che ci sono sempre degli elementi ridondanti in ogni suo romanzo? Non ho letto tutti i suoi romanzi, voglio dire, sono masochista fino ad un certo punto, ma ecco alcuni clichés sparksiani che troverete nella stragrande maggioranza dei suoi libri.
*Spoiler alert* Tanta Miley Cyrus dei bei tempi andati e tanto Ryan Gosling. Ah, il mio povero cuore.
15 motivi che ti fanno capire che stai leggendo un romanzo di Nicholas Sparks 
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1. Ambientazione: un qualche paesino sul mare in North Carolina. Il North Carolina si è separato dal Sud per un motivo: essere il luogo dove il vero amore nasce, cresce e corre. Tutto può andare bene solo in North Carolina – esci dal confine, e ti andrà male. Ronnie e Will (The Last Song) si separano quando lui va al college e lei torna a casa. Katie scappa dal marito violento e arriva in NC e si innamora di Alex (Safe Haven). Giusto per citarne un paio.
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2. Qualcuno muore. Di cancro. O leucemia. O assassinati. O comunque una morte brutta e dolorosa. E se non muoiono, hanno l’Alzheimer e poi muoiono. Insomma, il consiglio è: non affezionatevi a nessuno perché tanto poi muore.
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3. Religione. Presente sotto le mentite spoglie di preti oops pastori, versetti della Bibbia o simili. Non voglio proseguire oltre, perché corro il rischio di diventare blasfema.
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4. Separazioni. L’amore non è bello se non è ostacolato. Sì, lo so, il proverbio non è questo ma scialla. I due piccioncini verranno separati in un modo o nell’altro. Il 99% è il modo: litigano. Perché? Perché sono dei cretini che si complicano la vita finendo per odiarsi. L’1% è l’altro. Inutile dire che tornano insieme e vivranno per sempre felici e contenti.
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5. Lettere. Messaggi in bottiglia, lettere rispedite al mittente, lettere che viaggiano intorno al mondo. Perché, ehi, niente è più romantico di prendere carta e penna, spremersi le meningi e farsi venire una sindrome del tunnel carpale. Sul serio.
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6. Persone bianche. Ti insegnano fin dalle elementari che gli USA sono un melting pot. Ma nei libri di Nicholas Sparks esiste solo un tipo: bianco eterosessuale e protestante. Non esistono i gay, non esistono gli atei e – Dio non voglia! – non esistono gli afroamericani o gli asiatici. Due normalissime persone bianche che si innamorano. Salvini ne sarebbe estasiato. Un referendum per mandarlo in North Carolina?
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6b. Ovviamente bianchi, eterossesuali, protestanti e BELLISSSSSSSSIMI. Se non sono belli non li vogliono. Quindi Salvini ce lo teniamo. Sigh.
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Su, Avanti, Ryan che arriccia il naso è da sbavo. Ma immaginatevi un, che so, Jesse Williams che arriccia il naso mentre dice frasi zuccherose. E che poi vi rapisce al vostro stesso matrimonio.
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7. Baci sotto la pioggia. Questo è un cliché odioso. Io sono rimasta al cantare sotto la pioggia, per questo non sarò mai una scrittrice di romanzi rosa (ah ah ah). Impara, me stessa, B-A-C-I.
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8. Simpatici vecchietti. Pastori, zii/nonni, vicini di casa. Hanno sempre una perla di saggezza per tutti, sono pronti a darti una mano e hanno delle ricette di biscotti al cioccolato fantastici.
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9. Ex rompiscatole. Non c’è molto da aggiungere, direi. Oltre al fatto che, sì, sono talmente rompiscatole da volerti morto, quando ti va bene.
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10. Scene al tramonto. Perché non c’è niente di più romantico di un tramonto. Chiedetelo a Landon e Jamie. Quelli veri, non quelli del film.
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11. Passati tragici. Insomma, nel North Carolina sono tutti belli e fantastici, quindi si doveva controbilanciare dando ad ognuno un passato tragico. Probabilmente fatto di persone morte. Nicholas Sparks ha una mentalità deviata, secondo me.
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11b. Questi piaceri violenti hanno violenta fine. Oltre ai passati tragici, ci sono anche i finali tragici. Non è un motivo a sé in quanto vi ho già detto che c’è almeno un morto per libro, quindi… sì, insomma… non si può mica avere la botte piena e la moglie ubriaca!
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12. Spiaggia/Oceano/Lago/Fiume o qualsiasi altro posto in cui ci si può tuffare, nuotare, abbracciare, limonare e quant’altro. Se guardate bene, su uno scoglio c’è Sebastian che canta sha la la la bacialaaa.
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12b. O navigabile. La gita in barca è un must.
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12c. Anche le scene in acqua sono un must. La barca che si capovolge o la nuotata in coppia. Ora che ci penso, anche io vivo in un piccolo paesino sul mare, e... RYAN GOSLING, DOVE SEI!?
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13. Famiglie complicate. Dai genitori che proprio odiano la dolce metà alle famiglie monogenitoriali disastrate. Ma, allo stesso tempo, anche forti legami famigliari (nelle famiglie che funzionano).
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14. Lo straniero che venne dal mare. (Cioè, non so se viene dal mare, ma è il titolo di un film quindi… oh, andiamo). C’è sempre la figura dello straniero. A volte è uno dei protagonisti, altre, invece, è il misterioso concittadino che poi si rivela l’eroe silenzioso di turno.
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15. Frasi diabetiche lunghe km e discorsi talmente assurdi che ti chiedi “Come fanno a pensarli lì sul momento, nel bel mezzo di una lite?”.
***BONUS***
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16. (Ma questa è soggettiva) La reazione finale. Quando finisci il libro, ti asciughi la lacrimuccia e sospiri “’Fanculo, Nicholas Sparks”. Già. Oh, Nicholas Sparks. Sappi che ti odio.
BONUS - Clichés dai film
I poster in cui la coppia ha le facce talmente vicine da quasi baciarsi. Ma non lo fanno.
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La mia reazione:
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Silly love songs.
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L’arrivo in città/Panoramica dall’alto come scena iniziale.
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Grazie, Miley, si trovano solo gif tue ❤️
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ljdiabjork · 8 years
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AUS DAY 11
Dopo due giorni di grigiore e pioggerellina, la domenica arrivò il sole; così anche il buon umore tornò e quindi dopo un’abbondante colazione decisi che la soluzione ideale per affrontare al meglio quella che si prospettava una grande giornata era lo Yoga. Così esco dal portoncino di casa, percorro una decina di metri, e mi ritrovo nella saletta della palestra per la lezione. C’è da dire che mi rilassai così tanto che continuavo a sbadigliare di nascosto sperando che l’insegnante non se ne accorgesse, ma con poco successo direi. Dopo quindi aver sfidato la mia elasticità, dopo aver fatto posizioni che non credevo di poter eseguire e dopo aver scoperto che la mia malformazione alle mani non mi consente di poggiare il palmo totalmente sul pavimento, arrivo alla conclusione che questa pratica possa sul serio aiutare a trovare la pace interiore. Tornata a casa quindi con un livello 7 (medo alto) di pace interiore, decisi che la soluzione migliore fosse andare in spiaggia, ma quando arrivai lì scoprii che il mare era agitatissimo ed il trambusto della tempesta lo aveva un po’ sporcato. Proprio nel momento in cui trovai il mio posto all'ombra di un paio di palme, a lato del teatree lake, mi arriva la telefonata dei piccioncini che vogliono mostrarmi il loro posto preferito. Così attraverso una strada tortuosa e sterrata circondata dalla giungla, e dopo un percorso a piedi, ci ritrovai in un posto meraviglioso; era in pratica la collina di “peppa pig” a picco su degli scogli che formavano una mini piscinetta naturale, e a qualche metro più in là l’oceano cattivo. Trovai il mio posto all'ombra un piccolo albero sul prato tagliato ad ok sulla super collinetta e fissai a lungo l'orizzonte. I pensieri si alternavano violenti, come le onde altissime e spaventose che si infrangevano contro la barriera scogliosa ai nostri piedi. Ieri il mare parlava e diceva:“ non si scherza con me…” Day 11 7.58 23/01/17
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