#piazza vecchia
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backtolondon · 7 months ago
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Citta Alta, Bergamo.
mi manca un po’ scattare
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cuori-vagabondi · 2 months ago
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Siamo stati al Palazzo della Ragione di Bergamo, il più antico palazzo comunale d’Italia, situato nel cuore della Città Alta, sede di mostre temporanee e del Museo dell’affresco e della pittura murale.
Nel nostro post: la storia e la descrizione del Palazzo, e tutti i nostri consigli per la visita!
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francescosatanassi · 6 months ago
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MITRAGLIATA
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Probabilmente questa foto non la ricorda nessuno, ma ritrae le jeep della celere entrare in piazza Saffi per bloccare il camion della "carovana della solidarietà" organizzato dai lavoratori di Ravenna, giunti a Forlì per sostenere i compagni della fabbrica Mangelli in sciopero. La Mangelli fu il primo sito italiano a produrre cellophane e fibre artificiali e dagli anni ‘30 il principale complesso industriale forlivese. La sua storia è attraversata da scioperi, occupazioni e tumulti anche durante il fascismo, quando ospitava i comitati clandestini di fabbrica e organizzava scioperi contro il regime. Uno di questi, unito alle maestranze delle altre fabbriche di Forlì, in maggioranza donne, si tramutò in corteo che nel marzo del ’44 forzò i cordoni dei militi della caserma in via della Ripa, salvando così 9 giovani dalla fucilazione. Dagli anni ’70 le lotte operaie coinvolsero tutta la città, che scese a fianco dei lavoratori e della loro salute, sempre a contatto con agenti chimici nocivi. Nel ’72 ci fa una grande manifestazione contro il licenziamento di 847 lavoratori. A guidare la protesta erano gli oltre 200 militanti del PCI iscritti alla sezione aziendale “Quattro Martiri.” Già nel giugno del ‘49, 218 operai erano stati licenziati in blocco. Il fatto aveva scatenato la rottura con i sindacati e la decisione di occupare la fabbrica a oltranza. Un gruppo di crumiri aveva consentito però di non fermare la produzione, così gli operai e i cittadini si erano organizzati per bloccare e presidiare gli ingressi. La polizia era intervenuta con grande violenza, caricando i dimostranti e aprendo il fuoco sui lavoratori. Il bracciante Antonio Magrini era stato colpito a un braccio e l’operaia Jolanda Bertaccini era caduta a terra in gravissime condizioni, mitragliata dalla celere. Molti giornali dell’epoca la diedero per morta, ma pare sia sopravvissuta. Alla fine degli scontri, gli arresti furono oltre 120. Nel '77 la chiusura definitiva. Oggi al suo posto c’è un centro commerciale. Resta la vecchia ciminiera in mattoni rossi, una specie di monumento che ricorda un tempo che non c’è più.
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wandering-jana · 10 months ago
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Piazza Vecchia, in Bergamo, Italy.
April 2, 2024
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colonna-durruti · 1 month ago
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🛑12 DICEMBRE 1969:
IL PERCORSO DELLA BOMBA
CHE FECE LA STRAGE
GLI ULTIMI DUECENTO METRI🛑
Si è soliti dire che persista più di un mistero riguardo alla strage del 12 dicembre 1969 in piazza Fontana. Nulla di più falso. Sappiamo moltissimo, quasi tutto, di questa tragica vicenda. Non ci si lasci ingannare dalle sentenze. Nelle attività di indagine sono state acclarate le ragioni che ispirarono la strage in funzione di un salto di qualità nel percorso della “strategia della tensione” e messo a fuoco il complesso dei mandanti, tra vertici militari e ambienti Nato, complici ampi settori delle classi dirigenti e imprenditoriali, tentati da avventure eversive. Sono anche stati individuati gli esecutori materiali, ovvero gli uomini di Ordine nuovo, con il riconoscimento delle responsabilità personali di Franco Freda, Giovanni Ventura e Carlo Digilio.
Sulla base delle carte che si sono accumulate, interrogatori, confessioni, incrocio di indizi, sarebbe addirittura possibile ricostruire il percorso compiuto dalla bomba collocata all’interno della Banca nazionale dell’agricoltura. Ne riassumiamo i passaggi fondamentali, omettendo doverosamente alcuni nomi che pur sono emersi. Sono mancati, infatti, quei riscontri inoppugnabili che altrimenti avrebbero determinato dei rinvii a giudizio. Personaggi comunque ad oggi non tutti più processabili, dato il venir meno delle loro esistenze negli anni precedenti le indagini.
DALLA GERMANIA IN ITALIA
Sulla provenienza dell’esplosivo siamo in possesso di due versioni diverse. La prima è stata fornita dal generale Gianadelio Maletti, ex capo dell’Ufficio D del Sid, che in più occasioni (sia nel 2001 a Milano nel corso del dibattimento di primo grado nell’ultimo processo e sia in una lunga intervista nel 2010) ha sostenuto che fosse «esplosivo di tipo militare» e provenisse da una base Nato della Germania, poi transitato con un tir dal Brennero per essere alla fine consegnato a una «cellula» di neofascisti del Veneto. Questa versione è stata in parte ribadita dall’allora vice presidente del Consiglio Paolo Emilio Taviani che nelle sue memorie scrisse testualmente «un americano […] portò dell’esplosivo dalla Germania in Italia».
La seconda versione la fornì Carlo Digilio, l’armiere di Ordine nuovo, che parlò di un esplosivo prodotto in Jugoslavia, il Vitezit 30. Come noto un foglio di istruzioni per l’utilizzo di questo esplosivo fu rinvenuto nell’abitazione di Giovanni Ventura.
DA MESTRE A MILANO
L’esplosivo che sarà alla fine rinchiuso in una cassetta metallica Juwel (poco meno di tre chili), trasportato da due esponenti di Ordine nuovo nel bagagliaio di una vecchia 1100, venne periziato qualche giorno prima del 12 dicembre in un luogo tranquillo ai bordi di un canale a Mestre dall’esperto in armi della stessa organizzazione, Carlo Digilio. Il timore era che potesse deflagrare lungo il tragitto verso Milano. L’esperto li rassicurò a patto che venisse utilizzata un’altra vettura, con sospensioni adeguate. I due gli fecero presente che già si era pensato a una Mercedes di proprietà di un camerata di Padova. Una figura nota nell’ambiente, protagonista di azioni squadriste, con anche un ruolo pubblico nella federazione del maggior partito cittadino di estrema destra. La notte prima del viaggio, destinazione Milano, la Mercedes, di color verde bottiglia, venne posteggiata sotto la casa di un ancor più noto dirigente ordinovista.
L’esplosivo doveva essere consegnato in un luogo sicuro, un ufficio in corso Vittorio Emanuele II con un’insegna posta all’esterno che all’imbrunire si accendeva di un color rosso. Qui la bomba, meglio le bombe (una era destinata alla Banca Commerciale Italiana di piazza Della Scala), vennero assemblate. I temporizzatori che dovevano innescarle, acquistati da una ditta di Bologna, davano un margine di un’ora. Gli uffici in questione offrivano un riparo sicuro, bisognava percorrere solo qualche centinaio di metri per raggiungere i posti prescelti per gli attentati. Nel caso di un qualche intoppo o contrattempo si poteva tornare velocemente sui propri passi e disinnescare gli ordigni. Un’operazione di questo genere non poteva essere certo affidata all’improvvisazione. Non si poteva neanche lontanamente pensare alla toilette di un bar o l’interno di una vettura posteggiata. Troppo rischioso.
DA CORSO VITTORIO EMANUELE II
ALLA BANCA NAZIONALE DELL’AGRICOLTURA
La bomba per la Banca Nazionale dell’Agricoltura venne portata a mano. Chi la trasportava non era solo. Uno di loro se ne sarebbe in seguito anche vantato in una festicciola tra camerati e con l’armiere del gruppo.
Provenienti da corso Vittorio Emanuele II, attraversata la Galleria del Corso, in piazza Beccaria, al posteggio dei Taxi, uno degli attentatori metterà in opera una delle più grossolane operazioni di depistaggio per incastrare gli anarchici. Rassomigliante a Pietro Valpreda farà di tutto per farsi riconoscere dal taxista Cornelio Rolandi. Si farà portare per 252 metri fino in via Santa Tecla, distante 117 metri a piedi dalla banca, per poi tornare al taxi, percorrendo in totale 234 metri a piedi, per non farne 135, ovvero la distanza da piazza Beccaria all’ingresso della Banca nazionale dell’agricoltura. Si farà infine scaricare in via Albricci, dopo soli 600 metri, a soli 465 metri dalla banca.
Forse sappiamo tutto, anche cosa accadde negli ultimi duecento metri o poco più. Sarebbe possibile anche fare i nomi, ma siamo costretti a far finta di non saperli e a raccontare le mosse e gli atti di costoro come in un film o in un romanzo.
SAVERIO FERRARI
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donaruz · 1 year ago
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2 agosto 1980 ore 9,00
«Forza Carmelo! È ora di alzarsi, bisogna correre in stazione, c’è il treno che ci porterà da papà!»
«Uffa, va bene, mi alzo» Il piccolo Carmelo ancora frastornato per la giornata precedente dove aveva mangiato un buonissimo gelato e corso per le vie di Bologna come un giovane esploratore in una terra sconosciuta. Osservava tutto. Carmelo era alto, non dimostrava la sua giovane età e con quel bellissimo binocolo che gli aveva regalato suo zio e i pantaloncini corti era perfetto come ricognitore dell’ignoto. Aveva gli occhi azzurri, la mamma per scherzare diceva sempre che era figlio di qualche Dio dell’Olimpo greco; nessuno in famiglia aveva gli occhi azzurri. Da grande voleva studiare gli animali e girare il mondo alla scoperta di nuovi territori. Era un esploratore ancora prima di esserlo davvero.
Una semplice ma abbondante colazione e poi un bacio forte a Tobia, il cane. La strada è breve fino ai treni ma quella mattina i parenti devono portare la macchina dal meccanico, una vecchia fiat 127 ormai al termine. La decisione è presto fatta, si va in stazione a piedi, tanto il treno è alle 11, c’è tempo...
Carmelo è contento, ha visto una grande città del nord, piena di gente che corre, non ha capito il motivo ma si diverte a vederli indaffarati, al suo paese sono molto più tranquilli. Poi, finalmente, vede i treni. Che amore che ha per i treni! Ogni domenica il suo papà lo porta alla piccola stazione del paesello a vedere i treni che partono, ora anche lui potrà salire su quelle macchine meravigliose fatte di ferro e legno per ben la seconda volta nella sua vita.
10,20
«Mamma!, mamma mi piacerebbe tanto avere un amico cane, ma tanto tanto!»
«Va bene piccolo, vedremo, quanto torniamo a casa ne parliamo con papà e se lui è d’accordo andiamo al canile»
«Che bello!, che bello!, sono sicuro che il papà sarà d’accor……»
BUUUMMM!?!
«Mamma, mammaa, aiuto! Dove sei? Ho paura! è tutto buio, mamma aiuto è tutto buio..»
Suoni, strani suoni di ferro caldo. Un caldo feroce; gemiti che provengono dal treno di fronte ai binari, gemiti sempre più profondi e poi...urla disperate. Chi cerca la mamma, chi il fratello chi l’amico, la compagna, il figlio. Ma loro non sono più in stazione, sono stati sbalzati a 100 metri di distanza per l’onda d’urto. Come delle foglie strappate ai rami di un albero autunnale.
Poi il fumo si dirada e s’intravede il disastro.
«Mammaa!, dove sei? Dove sei?» Carmelo sembra un minatore appena uscito dalla galleria; la galleria più profonda del suo piccolo paese.
«Vieni piccolino, vieni in braccio, ti aiuto io!» Un ragazzo di 20 anni, una divisa da vigile del fuoco. Il ragazzo è nero come Carmelo, zoppica, ma continua a togliere pezzi di cemento dal piccolo corpo del bimbo. Solleva calcinacci pesanti e taglienti, rossi dal caldo; le sue mani ustionate, ma continua a spostarli. Alcuni giorni dopo venne ricoverato in ospedale per le ustioni. Perse tre dita di una mano.
«Chi sei? Dov’è la mia mamma?» Carmelo è sepolto da una montagna nata dalla violenza.
«Sono un amico della mamma… stai tranquillo»
«Ma cos’è successo?» La sua voce non è più quella di un giovane esploratore, ora è rauca, piena di polvere e distruzione.
«Niente, non è successo niente. Piccolo…non è successo niente»
Fine
In Italia non succede mai niente.
La Rosa dei venti, Il golpe borghese, piazza Fontana, Gioia Tauro, Reggio Emilia, Brescia, l’Italicus, Genova, Il rapido 904, Bologna, Ustica, Firenze, Milano; non sono niente. Non è successo niente. Non è STATO nessuno. In fondo qualche pezzente, qualche moglie di pezzente, qualche figlio di pezzente cosa volete che sia, incidenti di percorso; incidenti per una democrazia migliore, più libera, più ricca. In Italia non è mai STATO nessuno, una cena tra poteri, un brindisi e poi le direttive agli organi di informazione:
“Dovete dire questo, dovete dire quello, dovete dire che non è successo niente; arriva l’estate mandiamoli in vacanza tranquilli, poi, quando tornano, avranno dimenticato tutto”
Ma non avete preso in considerazione una cosa: voi! infami manovratori dietro le quinte, migliaia di occhi hanno visto, sentito, sanguinano ancora. Loro lo sanno chi è STATO. Potete manipolare tutto, cancellare tutto ma dietro il vostro secchio di vernice bianca democratica ci sono pareti rosse di sangue pulito.
Quelle non potrete mai più cancellarle.
-A Carmelo e a tutti i morti e feriti di quella mattina spensierata di un agosto solare-
(Breve parte dal racconto "Piccolo esploratore" contenuto nel libro "Stelle cannibali" ED. Il Foglio 2022)
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ma-pi-ma · 1 year ago
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Immagina che io ti scorga, per caso, dopo questa lunga assenza
ad un angolo di strada
o in un caffè
Immagina come io corra verso di te senza prestare attenzione ai negozianti
o ai passanti che proseguono il loro cammino
Immagina come io chiami e gridi il tuo nome in mezzo alla folla
Immagina come prenda la tua mano e la stringa
perché tu non mi abbandoni una seconda volta
Immagina come io posi il mio sguardo sui tuoi occhi e sui tuoi capelli
come annusi, inumidisca, senta, cerchi il tuo essere,
come ti abbracci a lungo
come io vada gridando in mezzo alla piazza del mercato
davanti a tutti
gli stranieri e i mercanti di tappeti
dicendoti: ti amo
Immagina, che camminiamo ancora insieme, le tue mani intrecciate
alle mie
Immagina come andremo verso un ristornate
sotto i portici della vecchia Medina
Immagina come ti toglierò il cappotto nero, ti libererò della sciarpa rossa
Come asciugherò le gocce di pioggia dai tuoi capelli
che si allargano liberi
Come ammirerò il tuo vestito e la tua eleganza, mia Signora
Apprezzerai le mie cure
Immagina che andremo, come nostra abitudine, a passeggiare nella notte,
senza meta, lungo le vie
finché mi dirai che non ci lasceremo più
e che la tua recente eclissi è stata solo un’assenza temporanea e fortuita
Immagina
che ci siamo persi nel dedalo della città
mentre mi leggevi poesie di Neruda che parlano d’amore
la città ne ripete l’eco, le mura e le grandi porte
Immagina di continuare il nostro cammino fino al termine della notte.
Parleremo delle nostre affascinanti scappatelle commesse in passato
E il nostro ardente desiderio di impegnarci ancora di più in futuro
Immagina di calpestare la terra con i piedi, di aprire le ali
nel cielo verde senza che gli altri se ne accorgano
E quando la notte finisce e le strade deserte si svuotano
Torneremo a casa nostra.
Mohamed Ghozzi
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falcemartello · 1 year ago
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Bergamo alta - Piazza Vecchia
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oltreleparole · 8 months ago
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Sono anni che non dormo in un letto che non è il mio. Strano dire solo mio, una piazza piena e una vuota. Come quando da bambina mi facevano il gioco con i pugni chiusi, gira gira e indovina dov'è la caramella. Indovina dov'è il veleno. Non ho mai indovinato e infatti l'ho mangiato tutto insieme, anni dopo.
Questo letto estraneo non mi fa dormire, non conosco queste pareti, queste fotografie, la finestra è un buco nero. Troppo chiusa, troppo buia. Per fortuna ho portato la mia lucciola blu, la luce d'emergenza come nelle sale d'attesa, come negli ospedali. Aspetto anch'io, ormai non faccio altro, pronto soccorso per i mali mentali che tanto prima o poi arrivano, tornano. Aspetto l'alba, aspetto il sonno, aspetto il riposo. La pace. Che parola bellissima, che parola assurda.
Respira. Respira. Respira.
Le lenzuola scricchiolano, sono state usate poco, pulite come terre rare, appena profumate. Mi dovrei sentire fortunata e invece mi sento una poveraccia, ancora randagia in questa età di mezzo, né vecchia né giovane, né intera né sbriciolata. Pezzi di me che galleggiano su onde appena più alte del dovuto, del controllabile. Una corrente senza senso che porta da nessuna parte, la bellezza persa nella sete.
Intorno la città sì lamenta appena, ma io non sono abituata al traffico e ai rumori del piano di sopra. Casa mia è in mezzo al nulla, lontana abbastanza dal centro per essere dimenticati, vicina abbastanza per potere essere produttivi in tempi decenti. Facciamo del nostro meglio, la speranza è che sia tutto sopportabile. Decente, appunto. Né più né meno.
Respira.
Il tempo è colla di notte. Si appiccica alla mia maglietta vecchia di vent'anni, alla musica che ascolto per distrarmi dalla desolazione totale. Voglio solo un caffè, il tempo giusto per la sveglia, sentirmi adeguata. Pronti via, correre e spegnere la testa, essere utile, sensata, usurata. Essere compressa, eliminare gli spazi vuoti. Illudermi di essere giusta.
Devo smettere di rigirarmi, mi alzo.
Devo smettere di rigirare i pensieri, mi rimetto giù.
Respira. Respira. Respira.
Avrei dovuto portarmi dietro un sonnifero, o almeno una sigaretta che non fumo più da un secolo. La salvezza di darsi un tono, come a vent'anni. Anche il libro è inutile, muto come se fosse scritto in sanscrito, la mente ci affonda dentro come nella melma. Avessi almeno un portiere da chiamare per fare due chiacchiere. "Pronto, vorrei una camomilla, ci aggiunga un calmante". Tutta la calma che mi sono persa per strada, risucchiata giorno dopo giorno dalla fatica immensa di andare avanti. Tutta la calma che non ho mai avuto, mangiata dall'ansia di stare in pari. E invece sono un numero dispari.
Respira. Cazzo, respira.
Ce la faccio. Fra poco ce la faccio.
Buongiorno notte.
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filorunsultra · 11 days ago
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Dodici gennaio
C'è un gruppo di persone del TRC che è diventato una specie di allegra comunità terapeutica. È successo un po' per caso, perché stiamo vivendo situazioni relativamente simili, siamo single o quasi (se si dice ancora), vicini ai trenta, per eccesso o per difetto, in bolletta e con prospettive deprimenti. Passiamo molto tempo assieme e corriamo molti chilometri (comunque meno di un anno fa, quando tutto andava bene, o forse peggio, ma mi sentivo invincibile di fronte alle forze del male dell’ultrarunning). Parliamo abbastanza tra di noi, per lo più di cose di poco conto, abbastanza di questioni personali, e raramente di cose impegnate. Beviamo il giusto, io comunque poco, o meno del solito, che è sempre poco, fatto salvo un paio di occasioni, si fa per dire, non feriali. Sembra una serie TV anni Novanta, e in parte non ci andiamo lontano. Anche i nostri problemi sono quelli di una serie TV, e cioè non sono problemi, o sono comunque poco importanti, in buona parte, anche se sembrano insormontabili quando ti ci trovi dentro. Penso che sia importante non trascendere. Due contingenze non fanno una costante e se ti sono andate storte tre cose in una settimana non è perché capitano tutte a te, è solo che ti sono andate storte tre cose in una settimana. Tutto qua. L'autocommiserazione non ha mai aiutato nessuno. Nemmeno l'autoaiuto ha mai aiutato nessuno, ma almeno quello è divertente, se fatto correndo.
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Delle informazioni a caso non richieste sul giro di ieri, non correvo così a lungo da JFK a novembre. In questo momento 27km mi sembrano tantissimi.
A volte mi capita di voler stare da solo, e quando succede c'è un posto in cui vado; il Biography, naturalmente. Del TRC, ieri non ero l'unico ad averci pensato: avremmo potuto trovarci ai Bindesi e farlo insieme, ma volevo correre da solo e andare a blocco. Era uno di quei rari giorni di grazia fisica, quelli che hai sì e no una o due volte l'anno, quasi sempre in allenamento, mai in gara.
La stradina che da casa mia conduce alla chiesa del paese è piuttosto ripida, l'ho corsa senza affanno, al contrario di come mi capita di solito, da freddo. Era una giornata calda per gennaio, così ho corso con una maglia a maniche lunghe e gli shorts. Sono uscito di casa a mezzogiorno senza acqua e senza cibo, a digiuno dalla sera prima (avevo però bevuto la canonica caraffa da due litri di caffè filtro prima di partire). Senza mangiare né bere ho un'autonomia di circa due ore, ma considerando che il giro finiva con una lunga discesa potevo tirare avanti un altro quarto d'ora. Bastava correre più velocemente.
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Tuscany Crossing, che non c'entra niente
Il primo chilometro è lappato dopo 5 minuti e 58''. C'è un po' di dislivello fino al sentiero ed è raro che lo corra sotto i sei minuti. Se potevo correre bene il primo chilometro potevo correrli bene tutti, così ho accelerato. Alle quattro strade ho scavalcato la grande recinzione che chiude il sentiero in manutenzione e sono sceso a Cognola dal 402. Il primo chilometro di discesa è lappato in 3'52'': è un single track abbastanza ripido e non si riescono a fare grandi velocità, quel tempo mi è sembrato buono. Poi Povo, Villazzano, Grotta, Bindesi, e Loop. Tre salite da 400 metri sono gestibili anche in crisi, così ho accelerato un po'. Sono arrivato all'ultimo tratto di single track prima del Maranza un po' fuso, ma lo ho corso tutto e da lì mi sono tirato in giù da un sentiero che non avevo mai fatto. Dai Bindesi ho preso la vecchia strada che facevo quando abitavo in città e sono arrivato in Piazza Vicenza. Lì è arrivata finalmente la crisi che stavo premeditando dalla sera prima. Sono passato da correre a 4'20'' a 10' /km da un metro all'altro, ma a quel punto mancavano solo 200 metri ai 27 chilometri prestabiliti, e così mi sono fermato a cambiarmi la maglietta e ho cercato un bar. In centro a Trento di domenica non sono aperti neanche i bar in Piazza Duomo. Sono entrato da Pingu e ho ordinato tre palline di gelato, un latte macchiato (cosa mai ordinata prima, non ero nemmeno certo di cosa fosse) e una brioche alla crema (alla crema?). Poi sono andato all'Urban e ho preso un chai latte grande da sei euro da bere sull'autobus verso casa. Una volta arrivato a casa ho mangiato due etti e mezzo di pasta.
Sono felice del lungo di ieri, anche se nel complesso è stata una giornata un po' di merda, ma non per la corsa. Sono riuscito a tenere un'effort vicina a un ritmo gara per due ore e mezza, il giorno dopo il cross e un doppio. Sto cercando di tenere volumi più contenuti dell'anno scorso, ma per la prima volta da mesi sento la voglia di allenarmi tanto e bene. Quindi cerco di farlo ma tirando un po' indietro. Magari a giugno ci arrivo vivo. Day by day. Chi lo sa.
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vecchiorovere · 4 months ago
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Le Regie Poste nel piazzale della vecchia Stazione Centrale di Milano (oggi piazza della Repubblica), 1920 circa.
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fatalquiete · 1 month ago
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Nessuna AI è stata maltrattata per scrivere questo testo. Il racconto di Kalistos e la Follia della Verità
C’è un tempo in cui gli uomini credono di possedere la verità, ma è solo allora che la verità li possiede.
Prologo: L’ascesa di Kalistos
C'era una volta, nell'antica Ellade, un uomo di nome Kalistos, il cui nome significava "il più bello e il migliore". Figlio di Cléon, un umile artigiano di anfore, Kalistos crebbe con l'ossessione di superare le sue origini modeste. Da giovane si allenò duramente nelle palestre di Atene, imparando l'arte della retorica dai sofisti e affinando la sua mente con le opere dei grandi filosofi. Il suo cuore era divorato da un unico desiderio: essere riconosciuto come il più saggio e il più giusto tra gli uomini.
Il giorno in cui il re di Eleusi indisse un concorso di sapienza per scegliere il prossimo consigliere di corte, Kalistos si presentò con l'arroganza di chi già conosce l'esito. Nella piazza gremita, sbaragliò ogni rivale con la forza della sua logica, il suo arguto parlare e la sua capacità di umiliare gli avversari con domande capziose. Alla fine, il re disse:
— "Kalistos, hai dimostrato una mente più affilata di un rasoio di bronzo. D’ora in poi sarai il mio consigliere e siederai al mio fianco come la voce della ragione."
Da quel giorno, Kalistos si convinse di essere l’uomo più saggio della terra.
Capitolo I: La tentazione della Verità
Con il passare degli anni, Kalistos divenne celebre in tutta la Grecia. Ogni città lo chiamava per risolvere dispute e sciogliere enigmi. Con la fama, però, crebbe anche il suo orgoglio. Kalistos non si limitava a giudicare le questioni, ma si ergeva a portatore di verità assoluta.
Un giorno, mentre camminava per le vie di Delfi, decise di visitare il tempio di Apollo. Entrato nel santuario, vide la Pizia, la sacerdotessa dell’oracolo, seduta sul tripode, circondata da vapori sacri. Kalistos si avvicinò e, con tono sprezzante, chiese:
— "Pizia, se tu sei così saggia, dimmi: qual è la verità più alta che un uomo possa conoscere?"
La sacerdotessa rise, una risata antica e profonda. Poi rispose con voce fumosa:
— "La verità più alta è quella che muta, come il fumo che vedi intorno a me. Chi crede di possederla, ne è solo prigioniero."
Kalistos non diede peso alle sue parole. Anzi, rise di lei e uscì dal tempio convinto che quella vecchia pazza non sapeva di cosa parlava.
Capitolo II: Gli incontri sul sentiero
Kalistos si mise in viaggio per tornare a Eleusi. Sulla strada, incontrò tre figure che avrebbero cambiato il suo destino.
1. Il Vecchio Pastore
Kalistos trovò un vecchio pastore seduto su una pietra, intento a intrecciare una corda di giunco. L’uomo, con il volto segnato da rughe profonde, osservava il cielo con occhi socchiusi.
— "Cosa osservi, vecchio?" chiese Kalistos.
— "Guardo il volo degli uccelli", rispose il pastore.
— "Sciocco! Gli uccelli non rivelano nulla. Io ho studiato la logica e la filosofia, non c’è nulla negli uccelli che possa insegnare agli uomini."
Il pastore scosse il capo e disse:
— "Forse non hai mai visto un uccello cercare il nido. Anche lui pensa di conoscere la via, ma spesso sbaglia ramo e si ritrova perso."
Kalistos rise, e con tono altezzoso, replicò:
— "Io non sono un uccello. Io non sbaglio mai strada."
2. La Donna Silente
Più avanti, Kalistos trovò una donna seduta sul ciglio della strada. Aveva uno sguardo immobile e profondo, come se vedesse il mondo senza aver bisogno degli occhi.
— "Donna, perché non parli? Sei forse muta?" disse Kalistos.
Lei lo fissò, senza dire nulla.
— "Credi che il silenzio sia saggezza? Io ti dico che la vera saggezza è nella parola chiara e definita!"
La donna si alzò e si avvicinò lentamente, poi posò una mano sul petto di Kalistos e sussurrò:
— "Le parole sono catene quando credi di avere ragione su tutto."
Il cuore di Kalistos fu scosso per un attimo, ma il pensiero gli scivolò via come acqua su pietra.
3. Il Ragazzo Sognatore
Infine, Kalistos incontrò un giovane intento a scolpire una statua di argilla.
— "Ragazzo, chi stai raffigurando?" chiese.
— "Il mio sogno", rispose il ragazzo, "ma ogni volta che finisco la scultura, la distruggo e la ricomincio."
— "Stolto!" esclamò Kalistos. "Il sogno va reso eterno. Non devi rifarlo, devi portarlo a compimento!"
Il ragazzo lo fissò con uno sguardo carico di stupore e disse:
— "Se il sogno non muta, muore."
Questa volta, Kalistos sentì qualcosa rompersi dentro di lui, ma non capì cosa fosse.
Capitolo III: La Rivelazione della Donna del Vento
Quando Kalistos tornò a Eleusi, il re lo convocò.
— "Kalistos, una donna misteriosa è giunta a corte. Porta con sé un vento che muta ogni cosa. Ho bisogno di te per giudicarla."
Quando Kalistos entrò nella sala del trono, trovò la donna del vento. Era la stessa donna silente che aveva incontrato lungo il cammino. I suoi occhi ora erano fiamme azzurre.
— "Kalistos", disse la donna, "tu hai camminato su questa terra come se la verità ti appartenesse. Ma io ti dico che la verità è vento e non pietra."
Con un soffio, la donna agitò l'aria. Improvvisamente, tutte le colonne della sala iniziarono a oscillare. Kalistos vide le pareti muoversi e sentì il pavimento traballare.
— "Cosa fai, strega? Vuoi distruggere la casa del re?"
— "Non distruggo, Kalistos. Ti mostro ciò che è sempre stato. Nulla è fermo. Nulla è definitivo."
Kalistos sentì il suolo crollare sotto i suoi piedi e, per la prima volta, provò paura. Cadde in ginocchio.
— "Chi sei, o dea?" chiese tremante.
— "Io sono Ananke, la Necessità. Sono colei che spezza le certezze. Non esiste verità che non cambi. Ricorda: chi si crede giusto sarà umiliato. Chi si crede saggio sarà confuso. Torna a essere il Kalistos che voleva imparare, non il Kalistos che crede di sapere tutto."
Il vento cessò. Le pareti si fermarono. Tutto tornò normale, tranne Kalistos.
Epilogo: La Discesa
Kalistos tornò al tempio di Apollo e si inginocchiò davanti alla Pizia.
— "Ora so che non so", disse.
La Pizia rise.
— "Bentornato, uomo. Hai incontrato Ananke. Lei viene solo quando la superbia è così alta da toccare il cielo."
Da quel giorno, Kalistos non fu più giudice, ma maestro di domande. Non disse mai più "so", ma sempre "forse".
E così visse il resto della sua vita, in bilico tra la certezza e il dubbio, come l’uccello che cerca il ramo giusto per il suo nido.
Chi crede di conoscere la verità assoluta è il primo a perdersi nel labirinto delle sue certezze.
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jacopocioni · 2 months ago
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Tutte le location di "Amici Miei Atto I": 2° tempo
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Primo tempo Inizio Secondo Tempo Per i fiorentini DOC il film "Amici Miei" rappresenta un tassellino di cuore, non solo perché è girato a Firenze, ma anche perché vi si ritrova quello spirito, e quella malinconia, che il fiorentinaccio sente propria. Devo mettere subito in evidenza che il lavoro di trovare queste location non è tutto mio, ma per talune mi sono rifatto ad un blog che per quanto riguarda il cinema è davvero portentoso. Si tratta de il davinotti, un sito web che vi consiglio di andare a guardare e sfogliare. Chi è appassionato di cinema non può non leggerlo. In questo articolo sfrutto molto del loro lavoro e unisco a questo immagini e tecnologia. Attraverso Maps si possono raggiungere le varie location e vederle per come si presentano oggi e confrontarle per come erano allora. Ovviamente cliccate sul link in colore rosso. Proseguiamo... Eravamo arrivati all'ufficio del Prof. Fanfani dove il Melandri si lascia mollare tutto il blocco familiare.
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Location 17 e 18: La prima location subito dopo è dove Melandri va a prendere a scuola i figli del Sassaroli e la seconda è un'altra tragica passeggiata con Birillo. Nel primo caso ci troviamo in via del Curtatone e la scuola è Villa Favart (Grazie a Gianni Degl'Innocenti Balsicci). Il treno Birillo invece strattona il Melandri ancora in Piazza Gulielmo Oberdan che ritroviamo come sede delle riprese per la seconda volta nel film. Se il blog il davinotti vuol aggiungere le due location si senta libero di farlo.
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Location 19 e 20: Dopo un pranzo disastroso a casa del Melandri, fatto di sottocoppe di peltro, sformati sformati e bambine sottopeso i cinque amici, su diagnosi del Sassaroli, si dirigono a Santa Maria Novella dove a suon di schiaffoni ritrovano l'allegria. Una scena mitica che ogni buon fiorentino ha sognato di poter emulare almeno una volta nella vita. Nella scena successiva c'è di nuovo la Clinica del Sassaroli a Pescia, che è sempre la villa alla fine del viale Agusto Righi. Villa che adesso ospita splendidi appartamenti. Ovvio che il Sassaroli rimandi in corsia l'operando dato che ha un caso molto più urgente. Il caso urgente? Una zingarata no?!
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Location 21: Partiti per la zingarata dalla Clinica del Sassaroli si ritrovano a Calcata Vecchia in provincia di Viterbo dove con esilarante ferocia abbattono il paesino per colpa dell'Ente Regione che vuol far passare proprio da li la nuova Autostrada delle Ginestre con annesso svincolo per la tangenziale Est. La scena si svolge in piazza Umberto I nel centro del paese. Esilarante il parroco che suonando le campane raccoglie i fedeli per parlare dell'imminente disastro. Lo si potrebbe definire un poco "farfallino", ma con il "politic corect" si è ridotto molto l'uso del linguaggio libero.
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Location 22: Finito di distruggere Calcata Vecchia vuoi non ti venga appetito? I cinque si ritrovano allo "zoo" a vedere le donne come fossero animali, per poi decidere di andare a mangiare "dal Ramaiolo"; come sappiamo il Mascetti, pieno d'orgoglio, digiunerà. Il luogo dove è stata girata questa scena è stato trovato da Zender, l'Archivista del blog il davinotti. Zender si è recato addirittura sul posto per fare delle foto e per confermare la location. Si tratta di Sant'Ellero, nel comune di Pelago. Certo oggi il posto è cambiato, e non poco, ma sotto c'è ancora una fabbrica che Zender, oggi, attribuisce alla cartiera Carlo Brandigi. Chi sa se c'è ancora la "cicognona" con la coda di cavallo.
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Location 23: In una nuova retrospettiva il Mascetti si dimostra geloso della Titti, convinto che abbia un altro uomo. In questa scena la Titti percorre via Monalda, provenendo da piazza degli Strozzi, e dallo sporto subito dopo il civico 4 sbuca il Mascetti che la pedina. La Titti raggiunge la sua meta che è l’albergo Porta Rossa, in Via Porta Rossa 19, subito in fondo a via Monalda. Si accorgerà il Mascetti che non è becco d'un uomo, ma di una donna, ed anche meglio della Titti.
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Location 24 e 25: Il film fa una retrospettiva anche su come il Mascetti ha trovato il suo famoso scantinato. Si torna quindi nella zona dell'Isolotto in viale delle Magnolie all'angolo con viale dei Pini. Nella scena successiva, il Mascetti, schifato da quel groviglio di tette, culi e cosce, si è deciso a lasciare la Titti e a dedicarsi alla famiglia. Nella realtà, la notte stessa, si alza e se ne esce per trovare un telefono e chiamare la Titti. Lo si vede arrivare con la sua scoppiettante Oldsmobile da via Romana per fermarsi in Piazza San Felice al civico 4. Qui c'è (c'era) la famosa farmacia Pitti dove si svolge la scenetta del "tubetto di compresse di cefalo" (di cefalo, non contro la cefalea). Questa antica farmacia è purtroppo andata perduta recentemente come racconto in questo articolo, scritto quando ancora si cecava di salvarla.
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Location 26: La casa dove il Mascetti si reca dopo la telefonata è quella della Titti, dove la ragazza vive con il vecchio genitore, il Colonnello Ambrosio, armato di doppietta. Anche per questa location va ringraziato il blog il davinotti, in particolare Sammo che ha scoperto che in realtà la casa della Titti è a Roma. Si tratta di Via Fulcieri Paulucci de Calboli. Il colonnello lo ritroveremo allo scantinato del Mascetti a comunicare alla povera moglie le malefatte del marito.
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Location 27: La passeggiata "seria" con la Titti. Il Mascetti dopo ciò che è successo, la fucilata, il Colonnello che parla alla moglie e Alice che tenta di asfissiare tutta la famiglia con il gas, decide che deve interrompere la relazione con la minorenne Titti. Si fa prestare un vestito di Lucianino dal Perozzi e con un piglio degno di un funerale va alla scuola della Titti e con lei passeggia spiegandogli perché la relazione deve finire. La scuola della Titti è il Museo archeologico di via della Colonna, a Firenze, e il Mascetti è in attesa al numero 35 sempre di via della Colonna.
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Location 28 e 29: Da qui parte la passeggiata che vede il "parlante" Mascetti e la muta e biascicante Titti in più scorci fiorentini. Read the full article
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andrewphts-blog · 1 year ago
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Model: Michele
Location: Piazza Vecchia, Bergamo
21 Novembre 2023
I Was Much Younger Yesterday..
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alessandrom76 · 1 year ago
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il barattolo di biscotti
nel regno, già proprio in quel regno di cui vi ho già raccontato, c'era un pasticciere bravissimo; era panciuto e paffuto, e nonostante le sue torte fossero bellissime e i suoi pasticcini sopraffini, quello in cui riusciva meglio era sfornare dei biscotti deliziosi: tondi, semplici, eppure buonissimi. erano così buoni che se avevi avuto una brutta giornata, ti bastava morderne uno e subito tornava il buonumore.
un giorno però il pasticcere decise di partire, fu irremovibile nella sua decisione. allora salutò tutti e fece due regali alla regina: per prima cosa le donò un barattolo bellissimo, stracolmo di biscotti e poi le diede le chiavi della sua vecchia bottega; quindi, sorridente e carico di valigie partì.
la regina subito ordinò di portare il barattolo a palazzo e di chiuderlo con un lucchetto che solo lei poteva aprire e poi... poi passarono un po' di giorni e accadde una cosa strana.
ogni volta che la regina si sentiva triste, o aveva semplicemente voglia di un biscotto, si avvicinava al barattolo... ma si tratteneva, e mordendosi le labbra si costringeva a rinunciare a quel piccolo piacere, a quella piccola dolcezza che oramai forse più che piacere era per lei vera e propria medicina.
così passarono i giorni e lei divenne sempre più triste, ma sempre più decisa a conservare il suo dolce tesoro.
e venne la sera della festa in paese e, come da tradizione, la regina uscì per salutare il suo popolo e, come ogni anno, si sedette sul trono approntato al centro della piazza e piano piano salutò tutti quelli che venivano a renderle omaggio.
fu ad un certo punto che arrivò una bambina... poco più di un soldo di cacio, con un grande sorriso di denti da latte e le ginocchia sbucciate per le cadute durante le corse e i giochi con gli amici.
« perchè sei triste? » le chiese la piccola. « oh... ma io non sono triste » rispose la regina. « non è vero, io lo so, lo capisco. perchè anche io quando mi faccio male cerco di trattenere le lacrime, ma poi, se proprio non ce la faccio, mangio uno dei biscotti magici che mi ha regalato il pasticciere prima di partire... come questo. » la bambina prese dalla tasca un biscotto, mezzo sbriciolato « mordilo, ti farà stare bene, è l'ultimo che ho, ma spero sia abbastanza. »
la regina strabuzzo' gli occhi, e scoppiò in lacrime. finalmente capì. finalmente comprese cosa fare dei regali del pasticciere.
ordinò subito alle guardie di portare il barattolo di biscotti in piazza e di romperlo in mille pezzi. i biscotti fuoriuscirono e si riversarono golosamente sul tavolo e formarono una piccola montagnola di dolcezza, e tutti ne mangiarono.
e per una sera tutti furono felici.
per una sera.
...
e adesso lo so, mi chiederete: « ... e poi?... dopo quel giorno? »
beh non tutte le storie hanno una fine, e nemmeno questa ce l'ha. perchè le storie spesso non finiscono, ma continuano. comunque, se proprio lo volete sapere, il pasticciere non tornò mai più nel regno, e i biscotti magici scomparvero per sempre.
ma se passate di lì, ogni giorno, poco prima dell'ora della merenda, sentirete un dolce profumo arrivare da una vecchia bottega, allora, guardando attraverso una finestrella, vedrete una regina impastare e infornare piccoli biscotti, semplici e tondi. se siano buoni non lo saprei dire, e men che meno so se rendano felici a mangiarli...
... ma quello che so, quello che ho visto, è che la regina, con le mani impiastricciate e tutta sporca di farina, sorrideva.
@alessandrom76
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montag28 · 8 months ago
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Ieri sera eri tutta effluvi di luce, nuvole di gelsomino, lampioni di tiglio, tepore di strade vuote, canti di tramonto, chiarore di uccellini. Eri bella e ho pensato che non importava, se ti fotografo sempre col telefono e pure male, come un turista annoiato, spicciativo e svogliato. Io, che pigro sarò anche pigro, guai; ma annoiarmi, io, ma quando mai. Ieri sera, dicevo, comunque sia. Tu brillavi nel tuo tepore, eri bella, come un verbo ben coniugato; anzi, ecco, come una sinestesia.
In piazza Nikolajewka ho visto il cartello che ne indicava il nome. Che bel nome, ho pensato, mi fa sognare di essere altrove, in qualche Est molto lontano. Ma non volevo essere altrove, ero contento di essere lì. In via Zatteri ho immaginato di naufragare nel chiarore, il naufragar m’è dolce in questo mare verde di quercia, eccetera. Ero contento, di trovarmi lì. In via Polveriera Vecchia, una signora alla fermata del bus mi ha chiesto come si chiamasse quella via, io le ho risposto, «Prego?», dunque lei ha scandito meglio la domanda. «Via Polveriera, signora», le detto io a quel punto; poi, con voce appena più bassa: «Vecchia», ho aggiunto. Mi sono sentito come uno del luogo, un abituale, un cittadino, uno che ha proprio l'aria di essere uno di lì; ero contento, di sentirmi uno di lì. Poco più avanti, ai due lati opposti di una strada, separati da un attraversamento pedonale col semaforo, si guardano una piccola gelateria e il palazzo giallo di casa mia. Nella gelateria ci lavora una ragazza con gli occhiali e i capelli neri sempre raccolti, il collo sottile, l'aspetto semplice, sorride, ha l’aria seria, è bella. Arrivato davanti la gelateria, ieri sera, ho fermato il mio passo: era appena scattato il rosso del semaforo. Bene, ho più tempo per osservarla, ho pensato: e l'ho guardata, però senza mai fissarla. Ero contento, che il semaforo fosse rosso. Ero contento, di passare di lì.
Ieri sera, dicevo, eri tutta un’essenza ed io, in un paio di momenti, mi sono sentito contento. Non felice, non allegro, non euforico, non sognante. Contento. Non fa mica rumore, la contentezza. È piccola, tranquilla, modesta. Bisogna farci caso, alla contentezza. Sennò si rischia, per esempio, di scambiarla per un buon profumo, di alberi in fiore, di fiori in cespugli, di arbusti in amore; di aria gravida di cose, portata a passeggio dal vento, per strade e giardini e piazze orientali, a profusione. Ieri sera, io, non ho fatto confusione. Ieri sera, io, alla contentezza ci ho fatto caso. Era giugno, ieri sera. Ed io, ovunque fossi, ero contento di trovarmi lì.
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