#pensieri sciolti
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Ho la sensazione di essere nata nell'epoca sbagliata, avrei voluto vivere in un'altra.
A voi vi è mai capitato?
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Quella sera ho pensato. Pochi minuti prima di non ricevere quello che speravo, per stare bene insieme. Avere quella connessione mentale che con te ormai non c'era.
Che speravo.
Dicevo ho pensato quanto cazzo volevo mi scopassi con quelle calze. Di fatto. Le ho messe anche il giorno dopo.
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È da un po’ che non scrivo. O meglio dire che non mi perdo a scrivere.
Pensieri e riflessioni sciolte, libere di correre e volare; a differenza mia.
Per struttura fisica non siamo dotati di ali. Forse è per questo che si lascia correre la mente. Pensieri disconnessi, pazzi. Super discutibili, inconcludenti.
𖧷
Stavo pensando alle case delle persone.
Sì, proprio alle case delle persone😂.
Quando un amico ti mostra una foto o entri dentro casa sua e della sua famiglia e inizi a guardarti un po’ attorno com’è giusto che sia…
Poi se sei puntiglioso/a (tipo me) noti una cyclette piazzata dietro al divano in soggiorno (magari con la speranza che nessuno la noti, nonostante sia al centro del passaggio praticamente), il pavimento in netto contrasto coi mobili uno di colore diverso dall’altro.
Sul tavolo una tovaglia con una stampa che non metteresti nemmeno su un tavolo da giardino di una villetta abbandonata, magari dove batte il sole tutto il giorno, sperando così che il sole sbiadisca quell’affare.
Soprammobili giganti, foto con cornici che vanno da quella più minimal alla più intarsiata e colorata.
Poi parli con le persone, entri nel calore famigliare. O semplicemente a contatto con loro.
E con la gentilezza ogni oggetto sembra bello nel posto in cui si trova e nemmeno quella tovaglia stampata la sostituiresti o la toglieresti da dove si trova.
Passi avanti sui gusti particolari della gente, alla fine quello è esteriore.
𖧷
Con questo penso a me stessa. L’esteriore conta poco. Soffermarsi all’esteriore conta poco.
Devo curare più la bellezza e l’ordine dentro la mia anima, nei miei sentimenti e nei miei pensieri.
Pensare a risplendere dentro ed irradiare col sorriso sincero ogni persona accanto a me che mi ama e che per me ci sarà sempre, per sempre.
𖧷
Si accettano molte cose nella vita, perché quando ami passi oltre e copri una moltitudine di difetti, di dossi, di cose che magari anche non piacciono.
Smussi ogni angolo, perché quando ami abbracci, e l’abbraccio è il primo luogo che chiami casa. Una casa deve essere senza spigoli, senza critiche, fatta di parole gentili, comprensione ed ascolto.
Piccole cose, un miliardo di piccole belle cose, di gesti, parole e sguardi quotidiani.
Dettagli che arricchiscono la vita, la bellezza di un quadro completo la costituiscono solo un miliardo di dettagli diversi.
Perciò è stupendo essere tanto diversi, avere un miliardo di sfaccettature in cui ci si perde a conoscersi. Dettagli che completano quel quadro. È naturale che se approfondisci non troverai che differenze. Ma sono differenze che rendono una persona unica, un quadro unico, una bellezza unica. Un incastro perfetto è fatto di legami creati da combinazioni uniche e irripetibili. Non ci sono legami uguali, unici modi e strade per sentirsi connessi ed uniti.
L’amore trasforma il modo di pensare, e quando cambia la nostra mente perché pensa in positivo siamo cambiati anche noi, e con noi cambia anche il nostro destino.
~ 25/09/23
CR diary
#diary#diario#ragazza#pensieri#pensieri sulla vita#pensieri sciolti#riflessioni#vita#tumbrl#amore#post
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31 marzo
23:55
Ho iniziato a fare cose
che prima non mi sarei mai
e dico, mai
permessa di fare.
Ho capito che provando qualcosa,
la paura magicamente si annulla,
o quasi.
Un po’ come quando dici:
«questo cibo non mi piace»
senza averlo mai provato,
anche se poi, in verità
non sai realmente che bontà ti stai perdendo.
Io ho perso qualcosa?
Si, ogni cosa,
ogni volta,
in ogni attimo.
Però ti giuro che sto recuperando.
Sto avendo paura,
una paura giustificata
senza bugie non dette.
E, davvero
mi sto divertendo un sacco.
La paura è un’arma,
solo che bisogna saperla maneggiare bene;
forse sono ancora alle prime armi,
ma tra qualche mese
saprò padroneggiarla a dovere.
Ci credi?
scrittricedannata;
#aforismi#amore a distanza#amore lontano#artista#pensieri#poesie d'amore#scrittrice#so much love#poesie#aesthetic#scrittore#scrittura#amore#ti amo amore#io e te#ho paura#speranza#versi sciolti
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Quanto costa la mancanza di qualcuno?
Fino a qualche mese zero, perché non ti conoscevo ancora. Poi mi sei esploso in qualche modo, con una naturalezza disarmante, senza danni o feriti, senza ustioni tranne qualche piccola spiddisa nel cuore.
Come una passeggiata in montagna, mentre tutto intorno ci sta solo un gran silenzio che lascia senza parole, e che non ha bisogno di essere riempito con le parole.
Mentre adesso il silenzio è quasi assordante, è come se mi sentissi chiusa in una stanza, senza finestre. Sento l'eco dei pensieri rimbombare tra le membrane e la pelle che non riesce a contrastare il freddo.
Ho conosciuto una fragilità che non credevo potasse esistere in un uomo, all'apparenza così forte e sicuro, deciso e impenetrabile. Con gli occhi tanto piccoli che inaspettatamente si spalancano alla luce, le mani segnate dal lavoro ma delicate. Tutti quei capelli scompigliati, fitti come la notte e selvatici, che ho legato e slegato con calma e inaspettato rispetto.
Che strano sentirmi dire che, oltre al barbiere, nessuno mai te li aveva toccati, raccolti, sciolti.
Che strano sentirmi dire che nessuno ti aveva mai coccolato in quel modo. Che strano sentirmi dire che avevi provato emozioni mai provate prima.
Mi dispiace non aver capito quanto stavo diventando importante per te, è che parto sempre dal presupposto che io importante non lo sono davvero per nessuno. E invece.
Ho avuto paura. Ho sentito i pizzichi di un milione e più di fitte infuocate sulla, piccole scosse veloci che non lasciano dolore ma quella sensazione di essere stati toccati, attraversati, colpiti e segnati.
Ho avuto paura delle possibilità, di quello che poteva o potrebbe essere. Ho avuto paura delle parole che potevano essere non solo parole.
E non sono abituata, non le so gestire. Sono troppo grandi, troppo vere, troppo.
Forse sono andata nel panico. Forse non ho abbastanza coraggio per fare quel salto che non è poi così tanto cieco.
Ho paura sia solo uno scherzo del destino, una troppo bella per essere vera, troppo uscita da un libro che non ho mai scritto.
Una storia troppo semplice e tranquilla per capitare a me. Troppo grande, per capitare a me.
E allora? Camminiamo in silenzio anche se distanti? Guardiamo la luna che resiste ancora dopo il sorgere del sole? Ci penseremo durante i momenti i felici?
Mannaggia
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Primo agosto (insomni nocte). Vorrei che i pensieri si succedessero in un libro come gli astri nel cielo, con ordine, con armonia, ma sciolti e staccati, senza toccarsi né confondersi.
Joseph Joubert
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Per me il tramonto, e poi la sera, non sono le ore del “vedere di meno”, bensì quelle del vedere di più. E quelle della riflessione.I pensieri corrono sciolti, si rincorrono e si fanno più chiari. Più malinconici anche, ma è una malinconia dolce amara, che non fa troppo male.
Nel buio ormai mi riconosco più che alla luce.
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È l’ultima lettera d’amore che ti scrivo.
È stato un lungo cammino, da quel primo giorno che sono entrata nello studio della psicologa.
Ero arrabbiata, delusa, incazzata con il Mondo e con me stessa, ho preso un sacco di decisioni di merda e la serenità sembrava così lontana, da diventare impossibile da raggiungere.
Eppure oggi, mi ha dato un foglio, una penna e mi ha detto ��ora, sei pronta a dirle addio”.
Sai, in fondo ho sempre saputo che sarebbe finita così… ed è per questo e per altri mille motivi, che non sono mai riuscita a dirti “ti amo”.
Te lo dico ora, perché ti amavo.
Ti amavo perché eri come uno di quei giorni di fine marzo, che è Estate sotto i raggi del Sole ed è ancora Inverno, quando ti ritrovi all’ombra.
Ti amavo, perché ti guardavo quando eri distratta. Quando lavoravi, guardavi il telefonino, rullavi una sigaretta o ti perdevi nella collezioni dei tuoi mostri e mi rendevo conto, che per averti accanto, qualcosa di buono nella vita, l’aveva fatta.
Ti amavo, perché sentivo il bisogno di coniugare i verbi al futuro ed i sogni al plurale.
Che di notte, mentre dormivi, alzavo le coperte per vedere se respiravi e mi rendevo conto, che da soli si diventa forti, ma in due si diventa un po’ più felici.
Avrei potuto cancellarti, mandarti a quel paese, non risponderti al telefono, voltarti le spalle, dimenticarti, non pensarti, non prendere treni in piena notte, ricordarmi i dettagli, ma non l’ho potuto fare, perché non ci capivo più niente. Ti amavo e basta.
Amavo le tue battaglie perse, l’inchiostro che usavi meglio di me, la voce che era sabbia rotta dalle onde del mare, il modo in cui ti facevano male i sogni, le cazzate che dicevi pur di non dire delle stupide verità.
Allora, ti auguro di circondarti di “persone medicina”
L’ho letto in una stupida poesia, che fa così
“ Nonna diceva che esistono persone che hanno le tisane dentro gli occhi
Camomilla nello sguardo
Che tu le vedi e ti si tranquillizza il respiro, i pensieri.
Diceva che esistono persone che non si spaventano dei tuoi dolori
Che non hanno paura di abbracciarti i traumi
Che sanno dove metterti dentro le parole giuste
Persone che hanno imparato a frequentare così bene il Sole
Che sanno addirittura accompagnarti fino al tuo tramonto “
Lascio a te la rabbia, ascoltare chi voleva solo distruggerci, i punti e le virgole che mancano nelle mie parole, il dolore che ti ha coperto gli occhi e le labbra, rendermi sostituibile, perché io non lascio più sporcare i ricordi e la memoria, a nessuno.
Neanche da me stessa.
E racconterò di noi, alla gente che incontrerò, alla persona che amerò dopo di te, ti ritroverò nei miei progetti per aiutare gli altri, nei film che ti scavano dentro, nei tramonti visti dal finestrino della macchina, nei viaggi dove scoprirò qualcosa di nuovo e negli sguardi dei bambini che non sanno chiedere aiuto.
Tu, porta rancore anche al posto mio.
E ti diranno che è tutto prestabilito, che fa parte di quel rapporto tossico che ti hanno messo in testa, che di buono non ho nulla, che io sono il lupo e tu Cappuccetto Rosso, che sono un fake, che ho rubato, mentito, ma sai, queste parole non sono per riaverti, ma per rendere libera me.
Da tutto questo.
Fatti ancor più carina, un filo di trucco, lascia i capelli sciolti, spruzza il profumo, mettiti quei jeans che ti fanno il culo da paura, sali in macchina, accendi la radio, ma che sia la tua voce la canzone più bella e vatti a prendere tutto il buono di questo Mondo.
Questa è l’ultima lettera d’amore che ti scrivo, se senti un cigolio, è la porta del mio cuore, che si chiude e ti dice addio.
#Ale
Tuttodunfiato
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Abbiamo esaminato il tuo post e stabilito che necessitava di .... Bla bla bla.
Rientro in tumblr dopo diversi giorni e mi ritrovo il 70% dei post "etichettati" .... Abbiamo stabilito che...
Quando diffondo in rete frammenti che mi rappresentano, ho un’intento "comune a molti altri", comunicare al mondo pensieri sciolti, emozioni reali attraverso istantanee o brevi incisi. Fa parte della natura umana trasmettere agli altri, attraverso modalità non sempre condivise da tutti...
Quello che conta però è non tanto arrivare alla comprensione, ma allo stupore, alla scoperta di qualcosa che ci ha reso migliori. Qui sta la differenza…
Questo per dire che mi sono rotto il cazzo di essere " etichettato"...
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Quando me ne vado dalla vita di qualcuno, non lo faccio per vigliaccheria o per mancanza di interesse. Me ne vado quando so che restare non avrebbe senso. Quando non sento più di appartenere ad un certo posto. Quando non sono più a mio agio. Quando mi sento di troppo. E quando non ci son più le basi per proseguire.
Quando, i nodi che vengono al pettine, non possono essere sciolti. Non sono una persona che trova comunque un posto. Non sono una persona che tiene in piedi un teatrino fittizio per poter fare il burattino. Non mi sono mai sentito un burattino, e non voglio cominciare adesso.
Preferisco scegliere.
Preferisco andarmene.
E quando andarsene significa star soli, vuol dire che quel tempo da soli servirà; a riflettere, a comprendere, a farsi domande e a darsi delle vere risposte.
Io non riesco a fingere. O a fare il sorrisino bugiardo che in realtà trattiene e soffoca mille pensieri e parole che non hanno il coraggio di venire fuori.
Aspetto di trovare le parole giuste, non sempre il momento adatto, ma vomito tutto quanto, senza tenermi dentro nulla. Perché preferisco di gran lunga risultare antipatico, stronzo, irascibile piuttosto che finto. E poco importa se non si piace tutti. Non abbiamo tutti lo stesso cervello, e non abbiamo tutti lo stesso cuore. Non credo a chi si accontenta. Perché prima o poi, inevitabilmente, le mancanze di cui ci si accontenta, troveranno il modo di farsi sentire. E certe mancanze hanno il potere di distruggerti. Certe mancanze te le senti addosso, peggio del freddo umido, peggio della pioggia incessante quando sei fuori casa, e hai scordato l’ombrello.
Quando capisco che non è più il caso, me ne vado. Con la consapevolezza che non tutti i rapporti sono eterni. Alcuni sono messi lì, dalla vita stessa, per insegnarti qualcosa, altri ti faranno da inciampo, per valutare la tua forza, ed altri faranno parte di te, sempre.
Non me ne vado mai per vigliaccheria.
Per me il vigliacco è chi resta, anche quando non gli importa di rimanere.
#DARK
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Capitolo Bonus La Corte Di Fiamme e Argento in italiano Azriel
Avviso: Partendo dal presupposto che non ho studiato per diventare traduttrice, quindi ci saranno SICURAMENTE dei possibili errori di traduzione, grammatica, punteggiatura e/o ortografia, questa è la mia versione tradotta in italiano dei capitoli bonus dei libri di Sarah J. Maas.
Detto ciò, buona lettura!
Finalmente la casa sul fiume era sprofondata nel silenzio dopo la movimentata festa per il solstizio d’inverno, le lucifatate attenuate che proiettavano piccole macchie d’oro in contrasto alle tenebre della notte più lunga dell’anno.
Amren, Mor e Varian erano finalmente andati a letto, ma Azriel si trovò a restare al piano di sotto.
Sapeva che avrebbe dovuto dormire un po’. Ne avrebbe avuto bisogno per l’alba, per la battaglia a palle di neve che si sarebbe tenuta alla cabina. Cassian quella sera aveva menzionato almeno sei volte che aveva un piano segreto riguardo la sua vittoria imminente. Az aveva lasciato che il fratello si vantasse. Soprattutto perché Azriel stava pianificando la propria vittoria da ormai un anno.
Cassian non poteva immaginare cosa lo aspettava. Ed Az aveva intenzione di trarre vantaggio dal fatto che Nesta non avrebbe fatto dormire molto Cassian quella notte.
Az ridacchiò tra sé e sé, le ombre attorno a lui in ascolto.
“Dormi”, sembravano sussurrargli all’orecchio. “Dormi.”
“Vorrei poterlo fare” rispose silenziosamente. Ma il sonno lo trovava raramente in quei giorni.
Troppi pensieri affilati come rasoi lo ferivano ogni volta che si soffermava a pensarci troppo. Troppe voglie e bisogni gli lasciavano la pelle surriscaldata e gli facevano tendere le ossa. Quindi dormiva solo quando il suo corpo cedeva, e anche allora era solo per poche ore.
Azriel osservò la stanza vuota, regali e nastri che ricoprivano gli arredi. Cassian e Nesta non erano tornati, il che non aveva sorpreso nessuno. Era contento per suo fratello, ma comunque…
Azriel non riusciva a controllarla. L’invidia nel suo petto. Verso Cassian e Rhys.
Sapeva che ne sarebbe stato sopraffatto se fosse andato nella sua stanza, quindi rimase di sotto, alla luce morente del fuoco.
Ma anche il silenzio era un peso troppo oneroso ed anche se le ombre gli facevano compagnia, come avevano sempre fatto, come avrebbero sempre fatto, si trovò a lasciare la stanza. Entrando nell’atrio.
Passi leggeri si sentirono scendere dalle scale, ed eccola.
Le lucifatate facevano risplendere i capelli sciolti di Elain, facendola sembrare luminosa come il sole all’alba. Lei si fermò, il respiro le rimase in gola.
«Io…» La guardò deglutire. Strinse un pacchettino tra le mani. «Stavo venendo a lasciare questo sulla tua pila di regali. Mi sono scordata di dartelo, prima.»
Bugia. Beh, la seconda parte era una bugia. Non aveva bisogno delle sue ombre per comprendere il suo tono, la leggera contrazione del viso. Aveva atteso che tutti fossero andati a dormire prima di avventurarsi al piano di sotto, dove avrebbe lasciato il suo regalo tra tutti gli altri regali aperti, subdola e inosservata.
Elain si avvicinò ed il suo respiro divenne più veloce quando si fermò ad un piede scarso di distanza. Allungò verso di lui il regalo incartato, le mani tremanti. «Tieni.»
Az cercò di non guardare le proprie dita ricoperte di cicatrici mentre prese il regalo. Non aveva preso un regalo per il suo compagno. Ma ne aveva preso uno per Azriel l’anno precedente, una polvere per il mal di testa che teneva sul comodino alla Casa del Vento. Non da usare, ma solo da guardare. Cosa che faceva ogni notte che dormiva lì. O provava a dormire lì.
Azriel scartò il pacchetto, dando un’occhiata al biglietto che diceva solo “Potresti trovarli utili alla Casa in questi giorni” e poi aprì il coperchio.
Due pezzettini di tessuto a forma di fagiolo erano posati all’interno. Elain mormorò «Gli metti nelle orecchie e bloccano ogni suono. Con Nesta e Cassian che vivono lì con te…»
Lui emise una risatina, incapace di trattenersi. «Non c’è da stupirsi che non abbia voluto che lo aprissi di fronte a tutti.»
La bocca di Elain formò un sorriso. «Nesta non apprezzerebbe la battuta.»
Le offrì un sorriso in risposta. «Non ero sicuro se darti il tuo regalo.»
Lasciò il resto non detto. Perché il suo compagno era lì, che dormiva al piano di sopra. Perché il suo compagno era nel salotto ed Azriel dovette stare tutto il tempo sulla porta perché non riusciva a sopportare di vederlo, di sentire il loro legame di compagni ed aveva bisogno di una via di fuga se fosse stato troppo.
I grandi occhi di Elain vacillarono, ben consapevole di ciò. Proprio come lui sapeva che lei era a conoscenza del motivo per cui Azriel andava raramente alle cene di famiglia, nell’ultimo periodo.
Ma quella sera, nel buio e nel silenzio, senza qualcuno che potesse vedere… Tirò fuori una scatolina in velluto dalle ombre attorno a lui. La aprì per lei.
Elain emise un debole respiro che gli sfiorò la pelle. Le sue ombre si dileguarono al suono. Erano sempre state prone a svanire quando lei era in giro.
La collana d’oro sembrava ordinaria, la catenina insignificante, l’amuleto abbastanza piccolo che avrebbe potuto essere scambiato per un gioiellino mondano. Era una piccola rosa appiattita fatta in vetro colorato, disegnata per far sì che quando la luce la colpiva, la vera profondità dei colori diventasse visibile.
Un qualcosa di una splendida bellezza segreta.
«È bellissima» sussurrò lei, sollevandola dalla scatolina. Le lucifatate dorate splendevano attraverso i piccoli vetri, facendo risplendere il gioiello con sfumature rosse, rosa e bianche. Azriel fece portare via la scatola dalle sue ombre, mentre lei mormorò «Mi aiuti ad indossarla?»
La sua mente divenne silenziosa. Ma prese la collana, aprendo il gancetto mentre lei gli diede le spalle, tirando su i capelli con una mano per scoprire il suo lungo collo morbido.
Lui sapeva che era sbagliato, ma eccolo lì, a metterle la collana al collo. Lasciando che le sue dita cicatrizzate toccassero la pelle immacolata di lei. Lasciandole accarezzare il lato della sua gola, assaporandone la consistenza vellutata. Elain tremò e lui si prese molto tempo per agganciare le due estremità.
Le dita di Azriel rimasero sulla sua nuca, appena sopra la prima vertebra. Lentamente, Elain si appoggiò sempre di più al suo tocco. Finché il suo palmo non fu premuto contro il collo di lei.
Non si era mai arrivati a quel punto. Si erano scambiati delle occhiate, gli occasionali sfioramenti delle dita, ma mai quello. Mai un tocco palese, senza restrizioni.
Sbagliato, era così sbagliato.
Non gli importava.
Aveva bisogno di sapere quale fosse il sapore della pelle del suo collo. Di cosa sapevano quelle labbra perfette. I suoi seni. Il suo sesso. Aveva bisogno che gli venisse sulla lingua…
Il membro di Azriel era dolorante dentro i pantaloni, faceva così male che a malapena riusciva a pensare. Pregò che lei non guardasse in basso. Pregò che non percepisse il cambiamento nel suo odore.
Si era concesso quei pensieri solo nel mezzo della notte. Allora permetteva alla sua mano di impugnare il suo pene e pensare a lei, quando anche le sue ombre erano andate a dormire. Come sarebbe stato il suo volto mentre la penetrava, i suoni che avrebbe emesso.
Elain si morse il labbro inferiore e servì ogni oncia di moderazione di Azriel per non affondare i propri denti lì.
«Dovrei andare» disse Elain, ma non si mosse.
«Sì» disse lui, il pollice che le accarezzava il lato della gola.
L’eccitazione di lei lo raggiunse ed i suoi occhi quasi si girarono all’interno della testa a quel dolce profumo. Avrebbe implorato in ginocchio per avere la possibilità di assaporarla. Ma Azriel si limitò ad accarezzarle il collo.
Elain rabbrividì, avvicinandosi. Era così vicina che con un respiro profondo i suoi seni gli avrebbero sfiorato il petto. Lo guardò, il viso così fiducioso, speranzoso ed aperto che lui sapeva che lei non aveva idea delle indicibili cose che gli avevano insudiciato le mani molto oltre quelle cicatrici.
Cose così terribili che era un sacrilegio che le sue dita toccassero la sua pelle, contaminandola con la sua presenza.
Ma poteva avere quello. Quel momento e magari un assaggio e sarebbe finita lì.
«Sì» mormorò Elain, come se avesse letto la decisione. Solo quell’assaggio nel cuore della notte più lunga dell’anno, dove solo la Madre gli sarebbe stata testimone.
La mano di Azriel scivolò lungo il suo collo, infilandosi tra i suoi voluminosi capelli. Muovendole la testa nel modo in cui voleva. La bocca di Elain si aprì leggermente, gli occhi puntati sui suoi prima di chiuderli.
Offerta e permesso.
Quasi gemette dal sollievo e dal bisogno mentre abbassava la propria testa verso quella di lei.
“Azriel.”
La voce di Rhys tuonò in lui, fermandolo a pochi pollici dalla dolce bocca di Elain.
“Azriel.”
Un inesorabile comando riempiva il suo nome ed Azriel alzò lo sguardo.
Rhysand era in cima alle scale. Guardandoli torvo dall’alto.
“Nel mio ufficio. Ora.”
Rhys sparì ed Azriel rimase di fronte ad Elain, ancora in attesa del suo bacio. Lo stomaco gli si torse mentre ritirava la mano dai suoi capelli, facendo un passo indietro. Costringendosi a dire «È stato uno sbaglio.»
Lei aprì gli occhi, dolore e confusione li annebbiarono prima che mormorasse «Mi dispiace.»
«Non devi… Non scusarti.» Riuscì a dire. «Non farlo affatto. Sono io quello che dovrebbe…» Scosse la testa, incapace di sopportare la desolazione che aveva fatto calare sulla sua espressione. «Buonanotte.»
Azriel trasmutò nelle ombre prima di poter dire qualcosa, apparendo alle porte dello studio di Rhys un attimo dopo. Le sue ombre gli bisbigliarono all’orecchio che Elain era andata al piano di sopra.
Rhys era seduto alla scrivania, la furia di una notte senza luna era dipinta sul suo viso. Gli chiese piano «Sei fuori di testa?»
Azriel indossò la maschera di gelo che aveva perfezionato mentre stava nella cella di suo padre. «Non so di cosa tu stia parlando.»
Il potere di Rhys si espanse nella stanza come una nube oscura. «Sto parlando di te, che stavi per baciare Elain, nel mezzo dell’atrio dove chiunque avrebbe potuto vedervi.» Abbaiò. «Incluso il suo compagno.»
Azriel si irrigidì. Lasciò la sua gelida rabbia salire in superficie, la rabbia che lasciava vedere solo a Rhysand, perché sapeva che il fratello poteva uguagliarla.
«E se il Calderone si fosse sbagliato?»
Rhysand batté le palpebre. «Che mi dici di Mor, Az?»
Azriel ignorò la domanda. «Il Calderone ha scelto tre sorelle. Dimmi come è possibile che i miei due fratelli siano con due di quelle sorelle, ma la terza sia stata data a qualcun altro.» Non aveva mai osato dire quelle parole ad alta voce.
Il viso di Rhys perse colore. «Credi di meritartela come compagna?»
Azriel sbuffò. «Credo che Lucien non sarà mai abbastanza per lei, e comunque lei non ha interesse verso di lui.»
«Quindi cosa farai?» La voce di Rhys era ghiaccio puro. «La sedurrai via da lui?»
Azriel non disse nulla. Non aveva mai pianificato di arrivare a quel punto, sicuramente non oltre le fantasie da cui traeva piacere.
Rhys ringhiò «Lascia che metta in chiaro una cosa. Tu le devi stare lontano.»
«Non puoi ordinarmi questo.»
«Oh, posso e lo farò. Se Lucien scopre che le stai dietro, avrà tutto il diritto di difendere il loro legame come preferisce. Incluso l’invocare il Duello di Sangue.»
«È una tradizione della Corte d’Autunno.» La battaglia fino alla morte era così brutale che veniva messa in atto in rari casi. Nonostante ne fosse estraneo, Azriel aveva voluto invocarlo quando aveva trovato Mor tutti quegli anni prima. Era stato pronto a sfidare sia Beron che Eris al Duello di Sangue, uccidendoli entrambi. Solo il diritto che aveva la mano di Mor di reclamare le loro teste per vendetta lo aveva frenato dal farlo.
«Lucien, come figlio di Beron, ha il diritto di richiederlo.»
«Lo sconfiggerò senza tanto sforzo.» Pura arroganza rivestiva ogni parola, ma era vero.
«Lo so.» Gli occhi di Rhys si mossero. «E se lo facessi, distruggeresti ogni fragile pace ed alleanza che abbiamo, non solo con la Corte d’Autunno, ma anche con la Corte di Primavera e Jurian e Vassa.» Rhys scoprì i denti. «Quindi lascerai stare Elain. Se ti devi scopare qualcuno, va in una casa di piacere e paga per farlo, ma le starai lontano.»
Azriel ringhiò leggermente.
«Ringhia quanto ti pare.» Rhys si appoggiò alla sedia. «Ma se ti vedo di nuovo a sbavarle dietro, te ne farò pentire.»
Rhys minacciava o si imponeva raramente. Colpì Azriel abbastanza forte da farlo rinsavire dalla sua rabbia.
Rhys indicò con il mento la porta. «Esci.»
Azriel richiuse le ali e se ne andò senza ulteriore parola, attraversando la casa e uscendo in giardino, sedendosi alla fredda luce stellare. Facendo combaciare il gelo nelle sue vene con l’aria attorno a sé.
Finché non sentì più nulla. Di nuovo non era più nulla.
Poi volò verso la Casa del Vento, sapendo che se avesse dormito nella tenuta sul fiume, avrebbe fatto qualcosa di cui poi si sarebbe pentito. Aveva fatto così attenzione a tenere Elain il più lontano possibile, era rimasto in piedi per evitarla, e quella notte… quella notte aveva avuto la conferma di aver fatto bene.
Puntò verso il campo d’allenamento, cedendo al bisogno di buttare fuori la tentazione, la rabbia e la frustrazione ed il bisogno impellente.
Lo trovò già occupato. Le sue ombre non lo avevano avvertito.
Era troppo tardi per atterrare senza sembrare che stesse correndo. Azriel atterrò nel quadrato a pochi piedi da dove Gwyn si stava allenando nel freddo della notte, la sua spada che brillava come ghiaccio nella luce lunare.
Si fermò a metà di un fendente, girandosi verso di lui. «Mi dispiace. Sapevo che foste tutti alla casa sul fiume, quindi credevo che a nessuno sarebbe importato se fossi salita quassù e…»
«Non c’è problema. Sono venuto a recuperare una cosa che mi sono scordato.» La bugia era piatta e fredda, come sapeva essere il suo volto. Le sue ombre la guardarono da dietro le ali.
La giovane sacerdotessa sorrise, ed Azriel sapeva che poteva essere diretto alle sue ombre curiose. Ma si infilò una ciocca di capelli castano ramato dietro l’orecchio a punta. «Stavo provando a tagliare il nastro.» Con la spada indicò il nastro bianco, che sembrava brillare d’argento.
«Non hai freddo?» Il respiro formò una nuvoletta davanti a sé.
Gwyn scosse le spalle. «Una volta che ti muovi, non te ne accorgi più.»
Lui annuì, il silenzio cadde. Per un istante, i loro sguardi si incrociarono. Bloccò la terribile memoria che gli passò davanti agli occhi, così in contrasto con la Gwyn che vedeva davanti a sé in quel momento.
Lei abbassò il capo, come se stesse ricordando anche lei. Che era stato lui a trovarla quel giorno a Sangravah. «Buon solstizio» disse lei, tanto un congedo quanto un augurio per le feste.
Sbuffò. «Mi stai cacciando?»
Gli occhi verde acqua di Gwyn ebbero un baluginio d’allarme. «No! Voglio dire, non mi disturba condividere il quadrato. È solo che… so che ti piace stare da solo.» La sua bocca si spostò di lato, schiacciando le lentiggini sul suo naso. «È per questo che sei venuto quassù?»
Circa. «Mi sono scordato una cosa.» le ricordò.
«Alle due di mattina?»
Puro divertimento le brillava negli occhi. Meglio del dolore che aveva notato un momento prima. Quindi le offrì un sorriso sghembo. «Non riesco a dormire senza la mia daga preferita.»
«Un conforto per ogni bambino che cresce.»
Le labbra di Azriel si contrassero. Si trattenne dal dire che dormiva eccome con una daga. Molte daghe. Inclusa una sotto il cuscino.
«Come è andata la festa?» Il suo respiro formò una nuvoletta davanti alla bocca ed una delle ombre scattò per danzarci insieme prima di tornare da lui. Come se avesse sentito una musica silenziosa.
«Bene» disse, realizzando un attimo dopo che non era una risposta socialmente accettabile. «È andata bene.»
Non che fosse molto meglio. Quindi chiese «Tu e le sacerdotesse avete celebrato?»
«Sì, anche se la cerimonia è stata il momento saliente.»
«Capisco.»
Lei inclinò la testa, i capelli luccicarono come metallo fuso. «Tu canti?»
Batté le palpebre. Non succedeva tutti i giorni che qualcuno lo coglieva di sorpresa, ma… «Perché lo chiedi?»
«Ti chiamano cantaombre. È perché canti?»
«Io sono un cantaombre, non è un titolo che si è inventato qualcuno.»
Lei scosse nuovamente le spalle, irriverente. Az socchiuse leggermente gli occhi, studiandola. «Comunque, lo fai?» continuò. «Canti?»
Azriel non riuscì a trattenere una debole risata. «Sì.»
Lei aprì la bocca per chiedere altro, ma lui non se la sentiva di spiegare. O di fare dimostrazioni, dato che di sicuro era quello che gli avrebbe chiesto subito dopo. Quindi Az indicò con il mento la spada nella mano di lei. «Riprova a tagliare il nastro.»
«Cosa… con te che guardi?»
Annuì.
Lei ci pensò e lui si chiese se avrebbe detto di no, ma Gwyn esalò un respiro, si bilanciò con i piedi e tirò un fendente. Un preciso colpo eseguito molto bene, ma non abbastanza da tagliare il nastro.
«Ancora» ordinò lui, sfregandosi le mani per contrastare il freddo, ringraziando per il suo morso frizzante e la distrazione da quella lezione improvvisata.
Gwyn fendette di nuovo, ma il nastro non cedette.
«Giri la lama di una frazione rendendola parallela al terreno.» Spiegò Azriel, sfoderando la sua spada Illyrian da dietro la schiena. «Guarda.» Fece una lenta dimostrazione, ruotando il polso come lei. «Vedi come apri qui?» Corresse la sua posizione. «Tieni il polso così. La spada è un’estensione del tuo braccio.»
Gwyn provò il movimento lentamente, come lui, mentre la osservò correggersi da sola, lottando contro l’impulso di aprire il polso e di ruotare la lama. Lo fece tre volte prima di smettere di cadere in quella brutta abitudine. «Incolpo Cassian per questo. È troppo impegnato a fare gli occhi dolci a Nesta invece di notare certi errori in questi giorni.»
Azriel rise. «Te lo concedo.»
Gwyn fece un ampio sorriso. «Grazie.»
Azriel abbassò il capo accennando un inchino, qualcosa di inquieto si insediò in lui. Anche le sue ombre si erano calmate. Come se fossero contente di rimanere sulle sue spalle a guardare.
Ma… dormire. Aveva bisogno di provare a dormire un po’.
«Buon solstizio» disse Azriel prima di puntare verso l’arcata nella Casa. «Non restare troppo a lungo. Ti congelerai.»
Gwyn annuì i suoi saluti, voltandosi di nuovo verso il nastro. Una guerriera che giudicava il suo avversario, ogni traccia di quell’affascinante irriverenza completamente sparita.
Azriel entrò nel calore della scalinata e mentre scendeva, avrebbe potuto giurare che un bellissimo, debole canto lo seguisse. Avrebbe potuto giurare che le sue ombre cantassero in risposta.
Dormì proprio come si sarebbe aspettato, ma quando Azriel tornò alla casa sul fiume per raccattare i suoi regali prima dell’alba, trovò la collana di Elain posata sulla pila. La mise in tasca. Passò il resto della giornata, anche la dannata battaglia a palle di neve, con l’intenzione di riportarla al negozio nel Palazzo del Filo e dei Gioielli.
Ma quando ritornò dalla cabina nelle montagne, non andò alla piazza del mercato.
Invece, si trovò nella biblioteca sotto la Casa del Vento, in piedi di fronte a Clotho, mentre l’orologio suonava le sette di sera.
Fece scivolare la scatolina sulla scrivania. «Se vede Gwyn, potrebbe darglielo?»
Clotho inclinò la testa incappucciata e la sua penna incantata scrisse su un pezzo di carta. Un regalo per il solstizio da parte sua?
Azriel scosse le spalle. «Non ditele che è da parte mia.»
Perché?
«Ha bisogno di saperlo? Ditele solo che è un regalo da parte di Rhys.»
Sarebbe una bugia.
Evitò l’impulso di incrociare le braccia, non volendo sembrare intimidatorio. Bloccò fuori dalla mente la memoria che gli si presentò, sua madre farsi piccola di fronte a suo padre, il maschio in piedi con le braccia incrociate in un modo che faceva capire il suo disappunto prima ancora che aprisse la sua odiosa bocca.
«Ascolti, io…» Az cercò le parole giuste, la voce che si attenuò.
«Se c’è un’altra sacerdotessa qui che potrebbe apprezzarla, la dia a lei. Ma quando me ne andrò non avrò con me quella collana.»
Aspettò che la penna di Clotho finisse di scrivere. I vostri occhi sono tristi, Cantaombre.
Le offrì un sorriso triste. «Oggi ho perso la battaglia a palle di neve.»
Clotho era abbastanza intelligente da vedere attraverso la sua deflessione. Scrisse La darò a Gwyneth. Le dirò che un amico l’ha lasciata per lei.
Non avrebbe esattamente chiamato Gwyn un’amica, ma… «Va bene. Grazie.»
La penna di Clotho si mosse nuovamente. Si merita qualcosa di bello come questo. Vi ringrazio per la gioia che le porterà.
Qualcosa si accese nel petto di Azriel, ma si limitò ad annuire i suoi ringraziamenti e se andò. Poteva immaginarselo, comunque, mentre saliva le scale verso la vera Casa. Come gli occhi verde acqua di Gwyn si sarebbero illuminati a vedere la collana. Per qualche motivo… Riusciva a vederlo.
Ma Azriel mise da parte il pensiero, cancellando consciamente il sorriso che si era dipinto sul suo viso. Mise l’immagine nel profondo di sé, dove brillava piano.
Un qualcosa di una splendida bellezza segreta.
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Tutta la vita gira intorno alla luce...
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C'è chi viene trattata da principessa perché si traveste come tale, c'è chi invece preferisce essere trattata da fratello, perché almeno stai sullo stesso livello.
Ci sono donne che tra gonna e pantaloni avrebbero scelto gonna. Queste sono le donne che limitano noi altre.
Chi sta sotto e chi sta sopra. Non è giusto.
Vuoi stare comoda ?
Ma come fai a stare comoda in qualcosa che ti viene dato e non è tuo?
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ce n’è di gente cattiva.
ce n’è di gente insensibile.
ce n’è di gente superficiale.
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Esiste una bellezza che non teme l’avanzare del tempo e la stanchezza dei giorni grigi. Sono i ricordi di un'età vissuta con il passo leggero, il sorriso spontaneo, senza motivo, i pensieri sciolti privi di affanno e liberi di spaziare nella limpidezza di un cielo azzurro come non mai. Scorrono nella mente veloci, consolanti e penso che questa vita possa ancora sorprendere, basta non arrendersi e credere che la bellezza è in noi, nei dettagli nascosti di un tempo frenetico che dobbiamo rallentare, sentendo il respiro di quello che non abbiamo mai perso. (F)
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L'autunno che stagione intima... mi riporta a quella raccolta melanconia che... passa negli occhi... che si perdono inseguendo le gocce che fuggono sulle vetrate. Autunno... piacevoli giornate di pensieri sciolti ...di un abbraccio infinito...di silenzi e canti, di fiamme danzanti ... Fleur
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