#o di eraldo in questo caso
Explore tagged Tumblr posts
Text
stavo per bestemmiare per striscia la notizia ma poi mi ha dato l’opportunità di sentire la battuta di pecci sul gesto di ronaldo
1 note
·
View note
Text
Diego Armando Maradona e i suoi gol più belli
Il 25 novembre 2020, la morte di Diego Armando Maradona lascia un vuoto incolmabile nel mondo dello sport e non solo. Diego Armando Maradona è stato il più grande calciatore di tutti i tempi. La sua carriera è stata costellata di gol spettacolari, che hanno fatto innamorare i tifosi di tutto il mondo. Tra questi, ci sono cinque gol che sono considerati veri e propri capolavori? Proviamo a fare una lista (parziale) di alcuni di questi che hanno contribuito a rendere Maradona una leggenda del calcio. Diego Armando Maradona vs Hugo Gatti: "Gliene faccio 4, ricordatelo" “Maradona? Gran talento mi preoccupa però la sua tendenza a ingrassare. Tra qualche anno ci ritroveremo a parlare di un giocatore piccolo e grassottello”. A pronunciare questa frase fu Hugo Gatti, portiere argentino che nella sua carriera vanta oltre 700 presenze nel massimo campionato nazionale albiceleste. Un ventenne Maradona, quindi, ancora sottovalutato (o per meglio dire temuto) in patria si appresta ad affrontare il Boca Juniors nella giornata del 9 novembre 1980. Questo episodio, tra i primi della sua leggendaria carriera, fece capire fin da subito che non era il caso di provocare l'orgoglio e sminuire la classe di Maradona. Lo storico agente Jorge Cyterszpiler confidò che, una volta apprese le parole di Gatti, Maradona gli disse: “Avevo pensato di segnargli due gol. Dopo ciò che ha detto, gliene farò almeno quattro”. Promessa mantenuta. Prima un calcio di rigore, poi un fantascientifico gol su punizione defilata (sfruttando un pessimo posizionamento di Gatti), un pallonetto ed infine un gol all'incrocio su punizione diretta. La partita finì 5 a 3 per l'Argentinos Juniors e Gatti torno a casa con tutt'altro morale. La leggenda di Maradona inizia a farsi strada. https://www.youtube.com/watch?v=AfeaUc_Cw28 La tripletta contro la Lazio 24 febbraio 1985, prima stagione di Maradona con la maglia del Napoli. Gli azzurri ospitano la Lazio in quel dello Stadio San Paolo. L'arrivo del Pibe de Oro all'ombra del Vesuvio fa ancora scalpore ma la squadra alla fine della stagione 1984/1985 non andrà oltre l'ottavo posto finale. Quel pomeriggio, però, passerà alla storia. Le reti avverranno tutte nel secondo tempo e sono un crescendo di spettacolo e bellezza. Si parte con un colpo di testa nel quale Maradona approfitta del maldestro retropassaggio della difesa laziale verso il suo portiere. Il secondo è cineteca e storia: controllo sbagliato della difesa laziale, Orsi (portiere della Lazio) è fuori dai pali e Maradona decide di alzare il pallone verso la rete da distanza siderale e ci riesce perché la palla si insacca poco sotto l'incrocio dei pali. Il terzo gol è un altro capolavoro e lo realizza direttamente da calcio d'angolo. Apoteosi al Maradona e preludio di annate indimenticabili. https://www.youtube.com/watch?v=4SR9mJ-qckU "Tanto faccio gol comunque"... Calcio di punizione a due in area. Per i più giovani questo termine sembra essere uscito da qualche libro fantasy ma in realtà è una punizione prevista dal regolamento calcistico all'art. 12 ma al giorno d'oggi poco usata. Negli anni '80 però era diverso, altro calcio e altre circostanze. Perché abbiamo fatto questa premessa? Semplice, per parlare del gol su calcio di punizione a due in area più belle mai realizzato. 3 Novembre 1985, siamo nella stagione 1985/1986 ed allo Stadio San Paolo arriva la Juventus di Michel Platini forte di 8 vittorie nelle prime 8 giornate. Non è un caso se questa è da sempre la partita più sentita per Napoli ed i napoletani ma quella del novembre 1985 è a dir poco ostica. Siamo al minuto 28 del secondo tempo quando l'arbitro fischia un calcio di punizione a due in area. Cala il silenzio, alla battuta si presentano Eraldo Pecci e Maradona. Sarà l'ex Torino e Fiorentina a toccare il pallone per Diego che decide di calciare in porta nonostante una barriera furbamente troppo avanti. Poco importa visto che "Tanto faccio gol comunque" (questa la frase che Maradona disse al difensore napoletano Bruscolotti) e così fu. La palla si alza ed in maniera incredibile si abbassa entrando in porta con il portiere bianconero Tacconi che batté la faccia sul palo. Un altro capolavoro è servito. https://www.youtube.com/watch?v=KZnjHKuO_7A&pp=ygUobWFyYWRvbmEgdnMganV2ZW50dXMgY2FsY2lvIGRpIHB1bml6aW9uZQ Un pallonetto da centrocampo 20 Ottobre 1985 ed allo Stadio San Paolo arriva il Verona. I gialloblu hanno lo scudetto cucito sul petto dopo l'annata 1984-1985 conclusasi con l'unico scudetto vinto dal Verona. In quella partita, però, non ci sono campioni d'Italia che tengano perché il popolo azzurro ammira un'altra grande prodezza. Chi mai penserebbe di fare un pallonetto sulla fascia a distanza siderale dalla porta avversaria? Semplice, Diego Armando Maradona che al minuto 58 decide di fare prima due palleggi, alzarsi il pallone e creare un arcobaleno di rara bellezza che finisce in porta. Due palleggi, questo il tempo che a Maradona è servito per guadare il posizionamento degli avversari e infilarli con questo leggendario pallonetto. https://www.youtube.com/watch?v=Fm65T-vjdPw La Mano de Dios ed il gol del secolo Saremo poco fantasiosi ma non c'è nulla da fare: la Mano de Dios e il gol del secolo sono così leggendari che è impossibile non parlarne. Il 22 giugno 1986 è una data che ogni vero appassionato di calcio deve ricordare (più o meno come la data della caduta dell'Impero Romano quando andavamo a scuola) perché è il giorno del quarto di finale del mondiale di Messico 1986 tra Argentina e Inghilterra. Parlare dell'importanza socio-culturale di questa partita ci porterebbe via tanto tempo e andiamo (quindi) subito al sodo parlando dei due gol. Come può un gol essere ricordato per anni? Chiedetelo a Shilton, il portiere inglese di quel mondiale, che a distanza di anni ancora non si dà pace per quella Mano de Dios che al minuto 51 di gioco lo "trafisse". Un gol che ha tante interpretazioni che vanno bel oltre accuse o malelingue. È al minuto 55, però, che le proteste lasciarono spazio al calcio ed a un gol che sarebbe offensivo chiamarlo solo "leggendario". Dodici tocchi di sinistro partendo dal centrocampo fino alla porta inglese, 52 metri percorsi con 44 passi in 10 secondi e cinque difensori inglesi e il portiere Shilton saltati. Raccontarlo a parole non dà giustizia alla magnificenza di questo gol e proprio per questo motivo vi lasciamo al video con l'aggiunta del memorabile "relato" di Victor Hugo Morales: https://www.youtube.com/watch?v=DVzns_b7akM&t=15s D10S è immortale Raccontare tutti i gol più belli fatti da Maradona sarebbe compito impossibile da fare ma a 3 anni dalle sua morte abbiamo voluto ricordare il più grande calciatore di tutti i tempi grazie ai suoi gol. Le sue reti sono testimonianza indelebile di un calciatore e di un uomo che nella mente di tutti non morirà mai. Hasta Siempre, Diego. Foto di copetina: DepositPhotos Read the full article
0 notes
Text
Viaggio alle radici del folkhorror italiano in occasione dell’uscita di A Classic Horror Story
L’estate è, tradizionalmente, un periodo fatto di sole, bagni al mare (o escursioni in montagna), giochi all’aria aperta. Ma è anche una stagione particolarmente fertile per tutto ciò che ha a che fare con l’orrore, declinato in mille modi e maniere differenti, accomunati, chiaramente, dalla sensazione di una paura più opprimente della proverbiale canicola estiva.
Ed è proprio in piena estate che, su Netflix, arriva A Classic Horror Story, il “film di paura” di Roberto De Feo e Paolo Strippoli. Se avete visto il full trailer approdato online qualche settimana fa, avrete probabilmente notato che vengono citate in maniera diretta, esplicita, tre figure folkloriche collegate alla nascita della ‘ndrangheta e della malavita più in generale: Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Figure magari conosciute da chi ha una certa dimestichezza con certi luoghi, con certe “fole esoteriche di campagna”, per citare Pupi Avati, ma ignorate dai più. Quegli stessi “più” che, invece, potrebbero conoscere altre storie crepuscolari, notturne che non hanno nulla a che vedere con Osso, Mastrosso e Carcagnosso, e che, proprio come la storia dei fondatori delle società criminali italiane, hanno radici profonde, che scavano in un terreno, quello dello stivale, il cui humus è formato dalla putrescente decomposizione di popolazioni le cui tradizioni, dall’epoca pre-romana in poi, sono più o meno trasversalmente arrivate anche ai giorni nostri.
Nonostante l’Impero romano e la sua caduta. Nonostante il Vaticano. Nonostante il realismo marxista.
Ne abbiamo discusso a lungo insieme a Fabio Camiletti, marchigiano come il sottoscritto, professore associato di letteratura italiana presso l’Università di Warwick in Inghilterra. Camilletti, che ha già all’attivo svariate pubblicazioni sull’argomento, è da poco tornato nelle librerie – virtuali e non – con “Almanacco dell’orrore popolare. Folk Horror e immaginario italiano”, realizzato insieme a Fabrizio Foni. La prima parte di questa articolata chiacchierata è tutta dedicata al concetto stesso di folkhorror e al rapporto che, nello stivale, c’è con esso. Un qualcosa che sembra essere costantemente, ciclicamente rimosso e riscoperto in Italia, dove la relazione con questo vissuto che – volenti o nolenti – fa parte del nostro DNA, ha avuto una storia differente da quella riscontrabile nei paesi di lingua inglese, Inghilterra in primis. La seconda parte sarà invece un vero e proprio viaggio, da Nord a Sud, in quattro storie di folklore horror che potrebbero essere perfette per un film. Così come quella di Osso, Mastrosso e Carcagnosso si è rivelata particolarmente adatta per A Classic Horror Story per ragioni che non staremo qua a spoilerarvi.
Come nasce il tuo interesse verso il folklore italiano a tinte horror? Quali sono le ispirazioni del tuo nuovo Almanacco?
Nel libro si parla esplicitamente del folk horror che, da qualche anno, è un’etichetta ricorrente con una certa frequenza, perlomeno da una decina d’anni da quando Mark Gatiss l’ha usato come termine. Anche se, in realtà, esisteva già e veniva usato negli anni ’80 e negli anni ’70 per indicare una corrente di produzione cinematografica come ad esempio The Wicker Man di Robin Hardy e tutto ciò che aveva a che fare con una produzione di storie esterne al contesto delle città. Da lì è nata la voglia di indagare questo fenomeno in Italia dove comunque esistevano definizioni come quella di gotico pagano impiegata da Pupi Avati o gotico rurale impiegata da Eraldo Bandini. Da qui, insieme all’altro curatore del libro, Fabrizio Foni, abbiamo deciso di optare per una forma, quella dell’Almanacco, che richiamasse anche quella classica degli Almanacchi Bonelli di primi anni novanta, fine anni ottanta, quella forma miscellanea molto libera nell’inserimento dei temi e degli autori. Dall’altro c’era la volontà di giocare con quell’ambiguità che il termine popolare consente in italiano al contrario di quello che avviene in inglese, dove i concetti di “pop” e “folk” sono distinti in maniera netta. In Inghilterra viene naturale accostare la parola “pop” a un contesto urbano – l’etimologia stessa è latina no? “populus” – una cultura calata dall’alto per un pubblico urbano, di cittadini, mentre invece “folk” è un termine d’origine germanica che richiama da subito gli spazi extra-urbani dove l’influenza di Roma – o della Chiesa – non arriva e permangono forme estranee alla città. In Italia è tutto un po’ diverso: basti pensare al rapporto fra città e contado, siamo entrambi marchigiani, pensa al modello della Mezzadria che ha stimolato una osmosi fra il dentro e il fuori. In italiano il rapporto fra il concetto di “pop” e di “folk” è più sfumato e abbiamo deciso di sfruttarlo come una ricchezza. Per quanto riguarda l’interesse personale c’è, chiaramente, quello accademico, però si tratta di un qualcosa che è arrivato dopo, negli anni dell’Università, ma era un territorio, quello del folklore horror, che avevo già iniziato a percorrere perché ho avuto la fortuna di appartenere a quella generazione che ha visto l’ultima fiammata dei fumetti italiani horror splatter, la generazione della Dylan Dog Horror Fest, forse l’ultima generazione che ha conosciuto un certo tipo di libertà creativa di un mondo editoriale che poi è un po’ esploso su sé stesso.
Anche io, nonostante una conoscenza di massima di quelle che potevano essere o non essere le storie del folklore marchigiano, ricordo di aver scoperto molta aneddotica collegata all’orrore popolare italiano grazie gli Almanacchi Bonelli. La prima volta che ho letto del Parco dei Mostri di Bomarzo, la prima volta che ho appreso della sua esistenza è stato proprio tramite un Almanacco di Dylan Dog in anni in cui nessuno lo conosceva e le statue stesse neanche erano posizionate come nel percorso attuale. Adesso se “sbagli il giorno” in cui andare a Bomarzo trovi più fila che a Gardaland. Comunque, rispetto ad esempio al mondo anglosassone – andando in luoghi del Regno Unito puoi quasi toccare con mano l’intima connessione fra la dimensione fantastica del folklore e la geografia stessa dei posti che visiti – quali sono le peculiarità del nostro folk?
Chiaramente in Gran Bretagna c’è stata una vera e propria industria culturale da questo punto di vista. Fin dal dal XIX secolo c’è stata una notevole insistenza su certi temi che sono stati sdoganati anche a livello culturale. C’è stata una riflessione a 360° da parte dei folkloristi, degli scrittori “del mondo della cultura” che ha lasciato tracce molto forti nell’iconografia. Inizialmente, se pensi anche al romanzo gotico non esisteva neanche un’equazione che accostava necessariamente le isole britanniche a quel genere di storie, tanto che, se ci rifletti, Ann Radcliffe e Horace Walpole hanno ambientato le loro opere in Italia o, in generale, nell’Europa del Sud. È stata un’operazione culturale sul lungo termine che ha poi creato questa identità fra certi temi e certi luoghi d’Inghilterra. In Italia è stato tutto un po’ diverso: gli stessi studi di folklore e sul folklore nel corso del XIX secolo, anche sulla base di quelli inglesi, hanno preso una piega molto più storicistica. Non dobbiamo dimenticare il problema dell’unità nazionale e quelle che sono delle componenti ideologiche diverse: autonomismo versus centralismo, il filofrancesismo che tendeva a sopprimere le identità locali in funzione del razionalismo costruito sostanzialmente da zero. Ci sono spesso stati dei problemi di carattere politico e, indirettamente, anche culturale che hanno fatto sì che questi lavori producessero degli influssi più che altro sotterranei e meno visibile rispetto ad altri contesti. L’effetto di ciò – che mi hai confermato anche tu citando Bomarzo – è che si è creata questa narrazione per cui comunque esiste questa che io chiamo “Italia lunare”, seguendo un’intuizione di Ornella Volta enunciata in un articolo del 1971, che è come una specie di mondo “diverso” che soggiace all’Italia ai suoi miti più visibili, quell’Italia che scopriamo sbagliando l’uscita del casello autostradale trovandoci in un angolo impensato, quell’Italia che scopriamo da guide un tempo meno diffuse di oggi e decisamente più eretiche, quell’Italia che scopriamo svoltando un angolo senza saperlo. L’Italia di Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci in cui la morte della Maciara di Florinda Bolkan avviene a pochi metri dall’autostrada attraversata dalle macchine dei vacanzieri, che vanno al Sud da cartolina propagandato dai media dell’Italia del boom economico ignorando che, a pochi metri, esiste un’altra realtà, periferica e lunare, che mette in crisi proprio quel modello.
È una mia impressione o c’era davvero un maggiore distacco quasi razionale da queste tematiche in Italia rispetto alla già citata Inghilterra?
Attenzione però. Non a caso di ho parlato di narrazione, una narrazione diversa. Una narrazione qualitativa, più che quantitativa. Sono sempre molto diffidente verso chi dice che in Italia di queste cose non si parla e non vengono considerate dall’establishment culturale però poi, andando a scavare, troviamo che già gli scapigliati parlavano di certi temi e che esistevano alcune tradizioni ben precise. Ecco, io ritengo che il problema risieda nell’avversativa: è solo un modo diverso di raccontarle, ma in realtà è sempre presente, solo che noi è come se avessimo la necessità ricorrente di dirci che la stiamo riscoprendo. Ed è una cosa che avviene ciclicamente. Pensa ai reportage alla ricerca dell’Italia Misteriosa che – anno dopo anno – continuano a comparire. Pitigrilli, alla fine degli anni cinquanta, pubblicava “Gusto per il mistero”, poi c’è Dino Buzzati che lo fa nel 1965 con I misteri d’Italia, poi nel 1966 tocca alla Guida all’Italia leggendaria misteriosa insolita fantastica, negli anni settanta tocca alle inchieste di Gente, a Leo Talamonti con Gente di Frontiera, negli anni ottanta arriva un ‘inchiesta dell’allora nota come Fininvest, poi gli Almanacchi… Insomma, non è che le cose non ci sono è che, ciclicamente, bisogna dire “sembrerebbe che non ci sono, però in realtà ci sono”. Sai, basta avere un’infarinatura di Freud per capire che anche questo discorso qui nasconde qualcosa: la gioia del riscoprire quello che si sa esserci già. Anche questo è un meccanismo che dà piacere e c’è un ciclico riscoprire che l’Italia non è solo il paese del realismo più o meno neo.
Vero, però sai, parlando del settore dell’intrattenimento, una certa ritrosia si avverte, tanto che quando qualcuno si dedica a storie del genere, in cui sicuramente rientra anche A Classic Horror Story, c’è sempre uno stupore di fondo. Questa ritrosia può essere collegata alla presenza forte dell’elemento cattolico, dello Stato Vaticano e – di converso – alla forte componente di razionalismo marxista, queste due forze opposte che sono finite per avere questo effetto comune?
Sicuramente queste forze hanno avuto un loro peso nel far sì che, ad esempio, un certo tipo d’industria dell’intrattenimento venisse marginalizzata. Ma non dimentichiamo che ci sono stati anni in cui Dylan Dog piazzava 600k copie al mese, o un decennio in cui il cinema italiano era al top per il thriller parapsicologico e l’horror puro. Al netto di tutto ciò, il ruolo della Chiesa cattolica da un lato e del marxismo dall’altro, senza dimenticare il ventennio fascista e il lungo lascito dell’idealismo crociano e gentiliano, sono stati tutti agenti che, in un certo senso, hanno contribuito a una marginalizzazione che, comunque, ha avuto come effetto quello di una corporativizzazione. E ci ritroviamo con un pensatore come Ernesto de Martino che, partendo da premesse strettamente crociane, le mescola con l’interesse per lo spiritismo maturato nella sua giovinezza e in due libri come Il Mondo Magico e Morte e pianto rituale nel mondo antico riesce a fare qualcosa con il folklore e la ricerca parapsicologica che non ha precedenti, neanche in altri contesti compreso quello angloamericano. Per quel che riguarda il comunismo c’è un bellissimo libro di Francesco Dimitri di circa una ventina di anni fa intitolato Il comunismo magico in cui parla sia dei paesi del comunismo reale che in quelli influenzati da esso, dalla sua onda lunga, di come anche il materialismo dialettico e storico sia infestato da fantasmi di vario genere e abbia prodotto i suoi frutti impuri, magari irriconoscibili secondo le categorie del gotico ottocentesco, ma comunque esistenti. Anche autori del “gotico italiano” come Dario Argento, Lucio Fulci, che si dichiarava esplicitamente comunista, Gianfranco Manfredi che militava nella sinistra extra parlamentare, gente che arriva all’horror non “nonostante” la militanza politica, ma attraverso di essa. Il discorso cattolico, specie poi in zone come le Marche che sono appartenute allo Stato Pontificio, ha contribuito a far sì che si sviluppasse una ritrosia per un certo tipo di realtà, quell’incredulità che aumenta quanto più ti avvicini al cuore stesso del potere Vaticano. Però, al tempo stesso, molto del folklore più autenticamente perturbante in Italia non è che lo si trova tanto nelle credenze relative a fantasmi e case infestate e compagnia bella, ma lo troviamo nelle narrazioni dei ritorni dal Purgatorio, che è una cosa su cui la Chiesa stessa non picchia più dopo il Concilio Vaticano II ma per le generazioni dei nostri nonni, e forse anche dei nostri genitori, i resoconti sulle anime del purgatorio facevano parte del pane quotidiano quando si andava al catechismo. O delle apparizioni del diavolo. Quelle sono le nostre storie di fantasmi. In Italia le cose come queste devi cercarle in contesti diversi. Nelle storie del catechismo, nei prontuari dei predicatori, ma anche nell’editoria maggiore senza che queste robe venissero in qualche modo segnalate in copertina con la scritta “romanzo gotico o di fantasmi”, ma in realtà quello erano. Penso a certe opere di Mario Soldati, o anche a un romanzo come Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani che si legge tranquillamente al ginnasio. Sembra una storia sulla guerra e le leggi razziali ma propone una delle descrizioni più efficaci di una seduta fatta con la tavoletta Ouija che ci siano nella letteratura italiana. Una seduta spiritica sta al centro del Fu Mattia Pascal di Pirandello. Nella Coscienza di Zeno. Nel Giornalino di Gianburrasca.
Però appunto, e parlo da amante di questi argomenti da sempre, nelle mie memorie di studente del classico, ricordo bene lo stupore provato nel leggere certe cose nelle opere di autori da cui non me le sarei mai e poi mai aspettate. Non ero mentalmente preparato come quando leggevo le opere di un Conan Doyle, che sapevo essere uno spiritista.
Sì, ed è più efficace, no?
Assolutamente sì.
Perché poi se pensi alle convenzioni del genere, anche alle stesse copertine, all’apparato editoriale che dovrebbe prepararti quando ti avvicini a un opera… E invece quando leggi Il fu Mattia Pascal niente ti prepara a quello. Soprattutto niente ti prepara alla presa di coscienza che, a un certo punto in quella seduta che viene comunque descritta con tutti i toni farseschi e ironici del caso, che quasi si fa beffa dello spiritismo, però a un certo punto qualcosa succede. E quel qualcosa resta senza spiegazione.
La sinossi ufficiale di A Classic Horror Story:
Cinque carpooler viaggiano a bordo di un camper per raggiungere una destinazione comune. Cala la notte e per evitare la carcassa di un animale si schiantano contro un albero. Quando riprendono i sensi si ritrovano in mezzo al nulla. La strada che stavano percorrendo è scomparsa; ora c’è solo un bosco fitto e impenetrabile e una casa di legno in mezzo ad una radura. Scopriranno presto che è la dimora di un culto innominabile. Come sono arrivati lì? Cosa è successo veramente dopo l’incidente? Chi sono le creature mascherate raffigurate sui dipinti nella casa? Potranno fidarsi l’uno dell’altro per cercare di uscire dall’incubo in cui sono rimasti intrappolati?
Girato in Puglia e a Roma e prodotto da Colorado film, A Classic Horror Story è “una classica storia dell’orrore”, come suggerisce il titolo: un omaggio alla tradizione di genere italiana che, partendo da riferimenti classici, arriva a creare qualcosa di completamente nuovo.
A Classic Horror Story è diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli e uscirà su Netflix il 14 luglio.
2 notes
·
View notes
Photo
Folclore veneto | Miti e leggende | Anguane
L'anguana è una creatura legata all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa e tipica della mitologia alpina. Storie sulle anguane si ricordano soprattutto nelle regioni pedemontane e montane ma sono creature fatate anche di altre zone, per esempio del folklore della Laguna di Grado e di Marano. Leggende sulle anguane sono attestate anche in Romagna (probabilmente dovute alle tradizioni transalpine che si sono mantenute in questa zona a causa delle invasioni celtiche) come riportato da studi di Anselmo Calvetti, Eraldo Baldini, Renato Cortesi e altri. Le anguane presentano caratteristiche e nature diverse a seconda delle varie leggende e delle località. Sono conosciute anche come subiane, aganis, ogane, gane, vivane, pagane, zubiane, acquane, longane. L'antico termine anguana lo si può trovare nel De Ierusalem celesti, opera scritta da Frate Jakomin da Verona (Giacomino da Verona) nel XIII secolo. Le anguane sono presenti nella celebre, e antichissima, Saga dei Fanes, racconto mitologico delle Dolomiti, conosciuto soprattutto nella versione scritta da Karl Felix Wolff nel 1932. Generalmente le anguane sono rappresentate come spiriti della natura affini alle ninfe del mondo romano. Vengono descritte frequentemente come giovani donne, spesso molto attraenti e in grado di sedurre gli uomini; altre volte però appaiono invece come esseri per metà ragazze e per metà rettile o pesce, in grado di lanciare forti grida (in Veneto esisteva, fino a poco tempo fa, il detto “Sigàr come n'anguana”, gridare come un'anguana). In altre storie sono delle anziane magre e spettrali, o figure notturne che si dileguano sempre prima che chi le incontra sia in grado di vederne il volto. Vestite, nelle leggende friulane, quasi sempre di bianco, altre tradizioni affermano che amassero, invece, i colori brillanti e accesi, come il rosso e l'arancione (in rari casi appaiono con stracci logori di colore nero). In ogni caso le leggende sulle anguane hanno in comune la presenza, in queste creature, di uno o più tratti non umani: piedi di gallina, di anatra o di capra, gambe squamate, una schiena “scavata” (che nascondono con del muschio o con della corteccia). L'altro elemento comune su cui tutte le leggende concordano è che le anguane vivono presso fonti e ruscelli e sono protettrici delle acque. Talvolta anche dei pescatori (ai quali, se trattate con rispetto, spesso portano fortuna). In molte storie (comuni anche alle krivapete e ad altri esseri soprannaturali) si narra di come abbiano insegnato agli uomini molte attività artigianali tradizionali, quali la filatura della lana o la caseificazione (tali storie si concludono generalmente con gli uomini che rompono il patto o non si dimostrano riconoscenti e la anguana che se ne va, offesa, senza insegnare loro un'arte essenziale - generalmente la produzione del sale, dello zucchero, del vetro o di altre arti nelle quali la popolazione dei luoghi delle varie leggende è carente). Nei comuni cimbri veronesi le anguane (in questo territorio chiamate anche Bele Butèle, Belle Ragazze), erano un tempo addette ai pozzi e lavavano i panni della gente delle contrade, ma si rifiutavano di lavare i capi di colore nero. A Campofontana abitavano in una grotta dietro al Sengio Rosso, sotto la vetta del monte Telegrafo. Talora assumono tratti sinistri. In diverse leggende sono solite terrorizzare o burlare i viaggiatori notturni, spargere discordia, in particolare tra le donne, rivelando segreti e pettegolezzi, inoltre, se insultate, sono inclini alla vendetta, portando sfortuna a vita al malcapitato (molte leggende tuttavia specificano chiaramente che, a differenza di orchi e “strie”, le streghe, le anguane non uccidono mai uomini o animali). Si dice anche che spesso asserviscano coloro che si attardano fuori casa la sera (soprattutto giovani ragazze), costringendoli a riempire vanamente cesti di vimini (incapaci di trattenere l'acqua) per tutta la vita. Altri racconti popolari, invece, raccontano vicende di anguane male intenzionate ingannate dall'astuto protagonista che chiede loro di riempire un cesto di vimini, trattenendole così fino al sorgere del sole (in diversi luoghi del Friuli vigeva l'usanza di lasciare davanti all'ingresso un cesto di vimini, che l'agana avrebbe invano cercato di riempire per tutta la notte, lasciando in pace gli abitanti della casa). Secondo la tradizione popolare, le anguane smisero di mescolarsi con le persone comuni dopo il Concilio di Trento. Il passaggio dalla dedicazione all'anguana alla titolazione al diavolo deriva dalla demonizzazione delle divinità pagane nel medioevo. Numerosi luoghi del Triveneto ricordano le anguane nella toponomastica: grotte, massi, rupi valli. L’Anguan-tal, valle dell'Anguana, è una zona di contrada Pagani di Campofontana, Verona. Buso dell'anguana è il nome dato a diverse caverne del Vicentino.
- Wikipedia
#my moodboards#my aesthetic#folclore veneto#folclorevenetoaesthetic#anguane#tradizioni#miti e leggende#folclore italiano#reblog do not repost#(grazie wikipedia per il riassunto!)#(perché son pigra)#(perché non ho voglia di aprire il mio libro)
15 notes
·
View notes
Photo
#5 #daisynelpaesedihalloween Eccolo qua il mio libro preferito in assoluto per quel che riguarda le tradizioni! 🕯️ In questo testo scritto a due mani da Eraldo Baldini (che amo tantissimo) e Giuseppe Bellosi, troviamo tutto ma proprio tutto ciò che occorre sapere per conoscere Halloween, dai tempi che furono sino a oggi. La parte più interessante è senza dubbio quella finale in cui vengono analizzate tutte le regioni italiane, per me anche la parte più emozionante. Essendo sarda amo particolarmente le storie legate a ciò che accadeva in questa terra, trovo tutto terribilmente affascinante! In questo post volevo concentrarmi sul ruolo di quello che è il simbolo per eccellenza di questa festa: la zucca! 🎃 Il nome di Jack O' Lantern deriva da una leggenda Irlandese che vedeva come protagonista un certo Jack, un ubriacone che nella sera del 31 ottobre scese a patti con il Diavolo, il quale voleva impossessarsi della sua anima. Non ve la racconto per intero ma, un anno dopo l'inizio della storia, alla morte di Jack, il Diavolo decise di non aprirgli le porte dell'inferno, in compenso gli donò un tizzone per potersi illuminare il cammino, ovviamente oscuro. Per far sì che il tizzone sopravivesse più a lungo, Jack lo introdusse dentro una rapa svuotata, creando così una sorta di lanterna. Ecco perché da allora, nella sera del 31 ottobre si scorgono tante fiammelle, tanti Jack sono ancora in cerca della loro strada! 🎃 In origine venivano utilizzate proprio delle rape ma gli irlandesi, dopo lo sbarco in America, non trovando più disponibile questo tubero, furono costretti a sostituirlo con le nostre care zucche! 🎃 La zucca in ogni caso era sempre stata considerata come una sorta di contenitore soprannaturale, un ricettacolo delle anime dei defunti e l'usanza di apporre un lumino acceso al suo interno per far sì che brillasse nelle tenebre a simboleggiare le anime, in Italia era presente già prima del suo avvento iconico in America! Uno tra i tanti esempi è la festa delle lucerne di Somma Vesuviana nell'entroterra napoletano! 🖤✨ Voi avete già qualche Jack O'Lantern in casa? Io ne ho tanti esemplari ma quello con la vera zucca devo ancora prepararlo! 🎃 https://www.instagram.com/p/B3PTq9QnRwu/?igshid=vk2ndfx92c3y
0 notes