#nuove forme di turismo
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klimt7 · 1 year ago
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GLAMPING
Il glamping è un'esperienza nella quale le tradizionali attività di campeggio sono accompagnate dalle cosiddette "amenities" e, in alcuni casi, da servizi in stile resort. Esso è diventato particolarmente popolare nel XXI secolo, soprattutto tra i turisti che vogliono godersi l'evasione e l'avventurosità del campeggio, senza per questo rinunciare ai lussi di un hotel.
La parola glamping è una parola nata dalla fusione tra "glamourous"  e "camping".
La parola "glamping" è comparsa per la prima volta nel Regno Unito, nel 2005 per poi essere aggiunta all'Oxford English Dictionary nel 2016.
La parola è nuova, ma il concetto che il "glamping" connota, quello del lussuoso soggiorno in tenda, non lo è. Nel XVI secolo John Stewart, terzo Conte di Atholl, organizzò infatti un lussuoso campeggio nelle Highlands in occasione della visita di Giacomo V di Scozia con la madre. Il conte piantò sontuose tende e le riempì di tutte le provviste necessarie, provenienti dal suo stesso palazzo.
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federicodeleonardis · 3 months ago
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Questioni di architettura
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S.Maria della Consolazione (Bramante)
Mi è successo di incontrare un’architettura. Da molto tempo non mi capitava; ha risvegliato in me ricordi vivissimi, ma soprattutto ha suscitato un pensiero che ritengo utile esternare, perché frutto dei tempi mutati rispetto a quelli della prima esperienza del genere (avevo esattamente 18 anni e mi trovavo sotto la volta in moto del S. Carlino alle Quattro Fontane, a Roma). Si tratta del tempio costruito a Todi dal grande Bramante: la dimensione, la cura dei particolari, l’audacia del progetto, il rigore nell’esecuzione di un’idea precisa, il successo nell’averla realizzata esattamente nelle forme in cui l’aveva concepita erano evidenti: dentro si svolgeva una cerimonia antica e sentita: la gente che assisteva al matrimonio era vestita a festa, gli oratori (erano tre) la officiavano con convinzione. Mi sono illuso di star vivendo altri tempi, quelli in cui città non designava un’entità caotica fortemente disomogenea, ma era frutto di una civiltà cosciente della propria cultura visiva e della propria missione, in cui tutti erano chiamati a contribuire alla sua costruzione. I tempi in cui fra le varie comunità della penisola si svolgeva un po’ dovunque una gara a produrre le opere migliori: in Italia e non solo nella Toscana di Firenze, Pisa e Siena la rivalità è stata per secoli altamente feconda.
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Todi, Piazza del popolo
Ma veniamo a noi. Subito dopo la guerra sono stato testimone della svendita ai geometri, ad opera del regime democristiano, del suo incomparabile patrimonio paesistico, quello che aveva retto addirittura sotto quello totalitario precedente. Vado veloce, non sto qui a discutere le circostanze storiche per cui questo è avvenuto, so solo che i sogni del Movimento Moderno si sono infranti in pochi anni e le “Città nuove” inglesi sono state l’ultima illusione a disposizione dei giovani architetti dell’epoca aspiranti urbanisti. Ma ho avuto anche l’avventura di assistere a un fenomeno ancora più grave innestatosi sul precedente: il turismo di massa. La sana curiosità verso altre culture, con buona pace degli ultimi pionieri attivi in un’arte di matrice soprattutto anglosassone (i vari Fulton, Tremlet e Long), ha mostrato chiaramente i suoi limiti.  L’attrazione verso l’ignoto, di romantica memoria, rinfocolata dai vari Conrad e Verne alla ricerca di Passaggi a Nord Ovest, a mio avviso è stata ridicolizzata dalla foga all’evasione purchessia e ha riempito di masse becere col naso in aria dietro imbonitori culturali tutti i luoghi più famosi. La politica, cieca anche sul piano che più le compete, quello dell’economia, è stata costretta all’ultimo minuto a salvare almeno i centri storici, ma i buoi erano ormai scappati. Il turismo di massa la fa da padrone dovunque e comunque, il degrado conseguente è stato velocissimo, inarrestabile. Le prime città a cadere sotto i colpi della “pazza folla” naturalmente sono state le più famose (in Italia prima che altrove; basta pensare a cosa sono diventate Venezia, Firenze, Roma, Palermo ecc), ma a ruota sono seguite un po’ tutte. Per quanto riguarda il patrimonio culturale e paesistico, l’erosione è cominciata dalle coste per penetrare inesorabilmente all’interno, travolgendo un po’ tutto. Il disastro è sotto gli occhi di chiunque non abbia subìto una trasformazione antropologica, è incontestabile.
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Capela do Monte di Alvaro Siza (foto di JoĂŁo Morgado)
Ma finiamola con queste lamentele da vecchio nostalgico e occupiamoci, se possibile ancora una volta, di architettura partendo dal monumento citato. Ero reduce da un viaggio di lavoro nel nord del Portogallo (a Cerveira, ai confini con la Spagna) e sotto l’impressione positiva di trovarmi in un paese in cui si poteva ancora parlare di quel mestiere perché praticato un po’ dovunque, con correttezza oltre che in qualche punto con autentica passione. Accenno almeno all’impressione positiva che ho avuto da spostamenti in macchina, ma anche a piedi, nel tessuto urbano di alcuni piccoli centri e di una grande città: assenza o per lo meno misura nell’uso dei cartelli pubblicitari, quasi nessun abuso visivo vistoso, pochissimi gli stupri graffitari, cura dei particolari urbani, che so per esempio nei box di attesa degli autobus, nella cantieristica stradale mai caotica o ingombrante, nella distribuzione dei cassonetti della spazzatura, nella mancanza di sporcizia per le strade  (non ho visto cicche di sigarette o quanto meno cartacce in giro, ecc).
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La giostra di Cerveira, tutta di legno e azionata a pedali (Foto M. Teles)
La visita al grande Museo di Porto (il Serralves), con la sezione dedicata all’opera di Alvaro Siza, ha aperto le mie speranze: allora è ancora possibile, allora non tutto è perduto, l’architettura non è morta. Il flusso turistico cantabrico dal ponte che unisce Cerveira con la Spagna invade questo piccolo centro rimasto intatto, con la sua fiera affollatissima in cui puoi trovare ancora una giostra per bambini costruita tutta in legno e mossa dalle robuste gambe d’un volonteroso pedalatore, ma senza sconvolgerlo, senza stuprarlo, come invece è avvenuto da noi dovunque.
 L’amarezza per il confronto sfavorevole col mio paese ha fatto posto a una constatazione evidente: l’esempio di due grandi architetti che vivono e operano un po’ in tutto il territorio nazionale (oltre a quello nominato anche Eduardo Souto de Moura) evidentemente ha dato i suoi frutti, almeno in quella parte in cui ho fatto la mia esperienza recente (circa vent’anni fa ero stato a Lisbona e avevo avuto la medesima impressione). Evidentemente la politica post rivoluzionaria in quel paese è stata lungimirante, perché ha investito positivamente risorse nel bene comune: il territorio. Ho tirato un sospiro di sollievo, ma torniamo a Todi.
Un salto nel passato reso significativo dalla precedente esperienza: la città, al contrario di quelle più famose della stessa regione, è ancora intatta dal turismo di massa, è ancora “paese”, e il tempio del Bramante non è isolato dal contesto territoriale. Ho pensato a Città di Castello, feudo del grande Burri, a Montepulciano, dove un altro esempio purissimo rende evidente che l’utopia del Rinascimento non era un fenomeno isolato. Il Cupolone brunelleschiano, l’audacia del quale supera tutti gli esempi, può essere pure invaso oggi dai giapponesi, ma tutto non è perduto: c’è un’altra Italia che resiste alle ultime invasioni barbariche. Naturalmente la mia esperienza, comunque di lavoro, non è completa, ma facendo tesoro di escursioni avvenute in tempi precedenti in altri luoghi del Centro toscano, umbro, marchigiano e laziale, ha rinfocolato le mie speranze.
La parola resistenza non è astratta e deriva, forse un po’ utopisticamente, anche da un’esperienza altamente positiva fatta a contatto con chi come me crede alla possibilità di salvare qualcosa. Si tratta dell’opera intelligente del figlio d’un famoso artista dell’arte povera che, scegliendo di vivere il territorio scelto dal padre in tempi più felici, continua l’opera del genitore sfruttando la ricchezza agricola e culturale del territorio. Si tratta solo di un esempio, ma non isolato: una certa tendenza al “ritorno” si constata un po’ dovunque, soprattutto nelle zone interne, ma quello di Matteo Boetti è particolarmente significativo  (sposa l’attività di gallerista poeta con quella di agricoltore a tempo pieno). Per inciso, in contraddizione con la sua denuncia dell’abbandono dell’Appennino Centro Meridionale (evidente in opere come Nevica, ne ho le prove, ma soprattutto Terracarne) anche l'opera letteraria di Franco Arminio fa sperare che quel triste fenomeno non sia irreversibile. In conclusione: voglio essere ottimista.
Ma è possibile una conclusione per un argomento così vasto, un tema che per essere affrontato adeguatamente avrebbe bisogno di uno spazio ben più vasto di quanto è consentito in un foglio di rivista on line come questo? Sarò sintetico al massimo, sperando che la malignità, merce corrente fra gli intellettuali, lasci da parte i suoi soliti trucchetti e che una certa benevolenza per l’insufficenza necessaria al foglio dia una mano a comprendere la sintesi.
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Padiglione del Portogallo all'Expo del 1998 (Lisbona, Alvaro Siza)
L’architettura non è solo il prodotto di archistar più o meno valide (che so, Siza piuttosto che Ghery, Souto de Moura piuttosto che Pergolesi), ma lo è anche. Certi mastodontici studi professionali (quello di Piano ne è un esempio) sono composti da gente con le palle, perfettamente cosciente che, per esempio, l’immensa copertura del padiglione portoghese dell’expo ’98 di Lisbona, realizzato dal primo dei nominati in un paese fortemente a rischio terremoto, sono frutto, più che della fantasia del capo (pochi privilegiati si sono conquistati il diritto allo schizzo geniale), del lavoro di una troupe di ingegneri che ha fatto la sua parte per mesi, forse per anni: la parola sinergia non è astratta.
La funzione dell’archistar non è solo quella di produrre edifici o manufatti edili, ma nella società in cui opera di dare l’esempio di rigore costruttivo. Solo così produrrà i suoi frutti capillari, nel senso che facciano da guida per altri.
L’archistar non può niente senza un tessuto politico che accolga favorevolmente il suo pensiero, il pensiero del gruppo che dirige e quello che ho cercato di riassumere nella parola “città”: il tempio bramantesco non è nulla senza il palazzo del popolo, senza una piazza in cui inserirsi, senza il tessuto occupato dai vari Matteo, magari venuti d’oltralpe.
L’architettura è prima di tutto l’arte della disposizione degli spazi occupati dalle varie funzioni: il mestiere più difficile e più importante, perché cura la vita nei suoi aspetti essenziali, mangiare, dormire al coperto; in una parola proteggere la stanzialità. Oggi (lo dico con cognizione di causa e con l’amarezza di aver perduto per sempre una bottega) c’è molto più bisogno di architetti interessati alla vita quotidiana della gente comune che di archistar di grandi strutture.
Ma soprattutto poi l’architettura è cura del particolare. Una progettazione, nel senso più vasto del termine, che coinvolga chi la abita quotidianamente, che so, nella scelta (operata da Paola, Isetta o chi per lei) della pianta grassa sul tavolo da pranzo, nell’accettazione, anzi nella selezione cosciente della ruggine della seggiola da giardino che mi trovo sotto il culo, nel rispetto dell’enorme gelso che minaccia con le sue radici addirittura la casa, nel caos ordinato di un gusto che rispetta l’antico come il tappeto nuovo, magari venuto dall’Afganistan, nel gradino memoria.
Infatti l’architettura è sostanzialmente memoria e mi vengono in mente le parole di un mio maestro di sessant’anni fa (Ludovico Quaroni): la città non può vivere senza.
FDL
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cinquecolonnemagazine · 5 months ago
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Boom di stabilimenti balneari: la calda estate italiana
L'estate 2024 si apre con una novità sorprendente: il numero degli stabilimenti balneari lungo le coste italiane è in costante crescita. Secondo i dati più recenti, al termine del 2023 si sono registrate oltre 7.200 imprese del settore, con un incremento del 26,4% rispetto al 2011. Un trend positivo che conferma l'attrattività del turismo balneare e l'impegno degli imprenditori nel migliorare l'offerta. La Riviera Romagnola conferma la sua leadership Nonostante la crescita diffusa su tutto il territorio nazionale, la Riviera Romagnola si conferma la regina indiscussa degli stabilimenti balneari, con oltre 1.000 realtà che rappresentano quasi il 15% del totale. Ravenna, Rimini e Cervia guidano la classifica per numero di imprese, offrendo ai turisti un'ampia scelta di servizi e attività. Il Sud in forte crescita Ma è al Sud che si registra la crescita più significativa. Calabria, Campania e Sicilia sono le regioni che hanno visto aumentare maggiormente il numero di stabilimenti balneari negli ultimi anni. Un segnale positivo che dimostra come anche le coste meridionali stiano investendo nel turismo e si stiano attrezzando per accogliere sempre più visitatori. Cosa c'è dietro questo boom di stabilimenti balneari? Quali sono i fattori che stanno spingendo questa crescita? Innanzitutto, l'aumento della domanda di turismo balneare, sia da parte degli italiani che degli stranieri. Sempre più persone cercano una vacanza al mare, e gli stabilimenti balneari offrono una serie di servizi e comfort che rendono l'esperienza più piacevole. In secondo luogo, l'innovazione tecnologica e l'attenzione all'ambiente stanno trasformando gli stabilimenti balneari in luoghi sempre più moderni e sostenibili. Molte imprese hanno investito in nuovi impianti, servizi digitali e iniziative eco-friendly, per soddisfare le esigenze di una clientela sempre più esigente. Quali sono le sfide del futuro per gli stabilimenti balneari? Nonostante i numeri positivi, il settore degli stabilimenti balneari deve affrontare anche alcune sfide. La prima è la concorrenza sempre più agguerrita, sia da parte di altre destinazioni turistiche che di nuove forme di turismo, come il glamping o il turismo esperienziale. La seconda sfida è la sostenibilità ambientale. L'impatto sull'ecosistema costiero è un tema sempre più attuale, e le imprese del settore dovranno impegnarsi a ridurre il loro impatto e a promuovere pratiche sostenibili. Foto di Michael Bußmann da Pixabay Read the full article
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lamilanomagazine · 9 months ago
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Vicenza, dal weekend di Pasqua ingressi ridotti nei musei della cittĂ  per i visitatori dei musei di Mantova
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Vicenza, dal weekend di Pasqua ingressi ridotti nei musei della città per i visitatori dei musei di Mantova. Città patrimonio Unesco, ricche di beni museali e monumentali, Vicenza e Mantova stringono un'intesa per la promozione culturale e turistica. Insieme le due città attueranno strategie per la valorizzazione dei territori, per il potenziamento dell'attrattività culturale attraverso modalità di promozione turistica coordinate. A Mantova il sindaco di Vicenza Giacomo Possamai e il sindaco di Mantova Mattia Palazzi hanno firmato l'accordo di collaborazione per la promozione culturale e turistica dei due territori. «Collaborare per la crescita culturale e turistica è un privilegio e un'occasione - ha commentato il sindaco di Vicenza Giacomo Possamai -. Riteniamo che lo scambio di esperienze sia fondamentale perché è attraverso il confronto che possono nascere nuove opportunità. Mantova è una città che in ambito culturale è particolarmente attrattiva. Vicenza, città del Palladio, è apprezzata dai turisti ma può fare di più. Attraverso l'accordo che firmiamo oggi avvieremo una serie di politiche di promozione turistica in sinergia con Mantova a partire dai nostri musei. Già dal weekend di Pasqua i visitatori dei musei di Mantova potranno visitare i musei di Vicenza usufruendo di tariffe ridotte». «Credo fortemente nella sinergia fra città confinanti geograficamente – dice il vicesindaco con delega al Turismo Giovanni Buvoli -, ma anche accomunate da aspetti culturali importanti, come già fatto con Verona sul fronte Veneto e con Cremona, Brescia e Bergamo in Lombardia. Mantova e Vicenza hanno un rilevante patrimonio museale e monumentale di interesse storico, culturale e artistico. La promozione reciproca dei propri territori può fare solo bene alle due città». Una prima iniziativa scaturita dall'accordo, che stabilisce linee guida e ambiti di collaborazione tra Mantova e Vicenza, coinvolge i rispettivi musei. I visitatori che si presenteranno a Vicenza con la "Mantova Sabbioneta card" potranno acquistare la "Vicenza Card" e la "Card 4 musei" a tariffa ridotta e il biglietto ridotto per l'ingresso al Teatro Olimpico e al Museo civico di Palazzo Chiericati. Viceversa, esibendo la "Vicenza Card" e la "Card 4 musei" a Mantova, si otterrà l'ingresso ridotto a Palazzo Te, al museo Maca di Palazzo San Sebastiano, al Tempio Leon Battista Alberti, al Teatro Scientifico Bibiena e a Palazzo della Ragione. I due Comuni continueranno a lavorare per mettere in campo strategie condivise come la promozione reciproca delle risorse culturali e turistiche attraverso i propri canali di comunicazione attivi come siti web, social network, infopoint. Studieranno campagne di comunicazione per la promozione dei rispettivi territori e degli strumenti di visita già attivi come le card per l'ingresso ai musei. Progetteranno itinerari, cammini, percorsi ciclo-turistici che mettano in collegamento Mantova e Vicenza a partire dalle comuni tematiche storiche, culturali ed enogastronomiche, anche in collaborazione con altre città e realtà interessate dalla tratta. L'accordo prevede anche il coinvolgimento delle rispettive reti bibliotecarie per attività di promozione e diffusione reciproche. Tavoli di lavoro, workshop o altre forme di sinergie saranno strumenti per scambi di esperienze e buone prassi. Scambi culturali coinvolgeranno cittadini e associazioni delle due città. Verranno attivate forme di partenariato per la candidatura di progetti per europei promossi da altri enti. Infine, le due città parteciperanno ad eventi e manifestazioni, anche mediante il coinvolgimento di altri soggetti istituzionali e/o operatori pubblici e privati dei territori.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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mypickleoperapeanut · 11 months ago
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"Oltre l'Estate Fiesolana c'è di più"
Il Teatro di Fiesole, Venerdì 9 febbraio 2024 in conferenza stampa alla presenza del Sindaco di Fiesole Anna Ravoni, ha presentato la sua stagione 2024.
Il nuovo Teatro di Fiesole, è un gioiello, una meraviglia architettonica disposta su cinque piani, che si distingue non solo per i suoi 300 eleganti posti, suddivisi tra platea e balconata, ma anche per le sue flessibili sale espositive e sue bellissime terrazze vetrate da cui ammirare l'incantevole vallata circostante.
Completano questa innovativa proposta architettonica le tecniche acustiche di avanguardia, sviluppate per adattarsi alle molteplici sfaccettature performative del mondo dello spettacolo.
Non un semplice contenitore ma un'opera d'arte che dialoga con il paesaggio esterno proprio attraverso le sue trasparenti pareti di vetro, che si aprono sul foyer e si integrano perfettamente con l'ambiente circostante, dando la piacevolissima sensazione di essere sospesi nella bellezza per paesaggio.
Un tempio della polifunzionalitĂ , progettato per esaltare la creativitĂ  e l'espressione artistica in tutte le sue forme.
La struttura, inaugurata nel 2022 con il sostegno di Officine Mario Dorin, Banca Cambiano 1884, Unicoop Firenze, Stefano Ricci e Ludovico Martelli, si propone di creare un continuum culturale a Fiesole, estendendo sia fisicamente che temporalmente le attivitĂ  del Teatro Romano di Fiesole, che ha visto un notevole aumento delle aperture serali negli ultimi anni.
Il Teatro di Fiesole, in questo coinvolgente scenario ha presentato la Primavera Fiesolana e l'Autunno Fiesolano, ampliando il suo repertorio con nuove rassegne indoor di musica, teatro, cinema e contaminazione di generi.
La Primavera Fiesolana, in programma dal 6 al 24 aprile, presenta undici serate coinvolgenti con artisti del calibro di Tullio Solenghi, Massimo Cirri, Peppe Dell’Acqua, Roberto Mercadini, Saverio Tommasi, Remo Anzovino, Roberto Abbiati, Alessandro Quarta, Francesco Maccianti e la Camerata Fiesolana.
Il cartellone abbraccia intrattenimento, teatro d’impegno civile, narrazione, jazz, musica classica, contemporanea e multidisciplinarietà.
Realizzata con il sostegno della Regione Toscana e della Fondazione CR Firenze, la rassegna si apre il 6 aprile con l'affascinante spettacolo "Little Boy" di Roberto Mercadini.
Riccardo Rescio I&f Arte Cultura AttualitĂ 
Teatro di Fiesole Ministero della Cultura Ministero del Turismo ENIT - Agenzia Nazionale del Turismo Feel Florence Toscana Promozione Turistica
Italia&friends Toscana - Firenze 9 febbraio 2024
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personal-reporter · 1 year ago
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I primi umani su Marte entro il 2030?
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La NASA e altre agenzie spaziali stanno lavorando per portare gli esseri umani su Marte entro il 2030. Questo sarebbe un traguardo storico per l'umanità, che segnerebbe la prima volta che gli esseri umani visitano un altro pianeta. I piani per la missione su Marte La NASA ha annunciato i suoi piani per una missione su Marte nel 2020. La missione, chiamata Artemis, prevede il lancio di una serie di missioni che porteranno gli esseri umani sulla Luna entro il 2024. Queste missioni serviranno a testare le tecnologie e le procedure necessarie per una missione su Marte. La NASA prevede di lanciare la prima missione su Marte nel 2029. Questa missione, chiamata Mars Base Camp, sarà una missione di prova che invierà un equipaggio di sei astronauti su Marte per un periodo di 30 giorni. La missione successiva, chiamata Mars Sample Return, sarà lanciata nel 2033. Questa missione invierà un equipaggio di sei astronauti su Marte per raccogliere campioni di roccia e regolite. I campioni verranno poi riportati sulla Terra per essere studiati. La missione finale, chiamata Mars Base Alpha, sarà lanciata nel 2035. Questa missione invierà un equipaggio di 12 astronauti su Marte per stabilire una base permanente. Le sfide della missione su Marte La missione su Marte è una sfida enorme. Gli astronauti dovranno affrontare una serie di difficoltà, tra cui: La distanza: Marte è il pianeta più lontano dalla Terra. Il viaggio di andata e ritorno richiederà circa 26 mesi. L'ambiente: L'ambiente di Marte è ostile agli esseri umani. La gravità è solo un terzo di quella della Terra, l'atmosfera è sottile e la temperatura è mediamente di -63 gradi Celsius. Le possibili conseguenze della missione su Marte La missione su Marte avrebbe un impatto significativo sull'umanità. Sarebbe un passo importante verso l'esplorazione del sistema solare e potrebbe portare alla scoperta di nuove forme di vita. La missione su Marte potrebbe anche avere un impatto significativo sull'economia. La ricerca e lo sviluppo di tecnologie per la missione potrebbero generare nuove industrie e creare posti di lavoro. Le singole nazioni mondiali otterrebbero una serie di benefici dall'invio di una missione su Marte. Questi benefici potrebbero essere sia economici che sociali. Benefici economici Sviluppo di nuove tecnologie: La ricerca e lo sviluppo di tecnologie per una missione su Marte potrebbe portare allo sviluppo di nuove tecnologie che potrebbero essere utilizzate anche in altri settori, come l'industria, la medicina e l'agricoltura. Creazione di posti di lavoro: La ricerca e lo sviluppo di tecnologie per una missione su Marte potrebbe creare posti di lavoro in diversi settori, come l'ingegneria, la scienza e l'industria. Aumento del turismo: Una missione su Marte potrebbe aumentare l'interesse per l'esplorazione spaziale e portare a un aumento del turismo spaziale. Benefici sociali Miglioramento dell'immagine: Una missione su Marte potrebbe migliorare l'immagine di una nazione a livello internazionale. Incoraggiamento all'innovazione: Una missione su Marte potrebbe incoraggiare l'innovazione e la creatività in una nazione. Stimolazione della cooperazione internazionale: Una missione su Marte potrebbe stimolare la cooperazione internazionale tra le nazioni. Ecco alcuni esempi specifici di come le singole nazioni potrebbero beneficiare di una missione su Marte: Gli Stati Uniti potrebbero beneficiare dell'esperienza e delle competenze acquisite nella missione su Marte per rafforzare la propria posizione di leader mondiale nell'esplorazione spaziale. La Cina potrebbe beneficiare dell'immagine positiva che una missione su Marte potrebbe dare al paese a livello internazionale. L'Unione Europea potrebbe beneficiare della collaborazione tra i paesi membri per la realizzazione della missione su Marte. In definitiva, i benefici che le singole nazioni otterrebbero dall'invio di una missione su Marte dipenderebbero da una serie di fattori, tra cui le risorse economiche e tecnologiche disponibili, le priorità nazionali e le relazioni internazionali. Read the full article
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agrpress-blog · 1 year ago
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La Partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, per la Cisl e per la Fisascat, è allo stesso modo un’aspirazione e una strada da perseguire, attraverso la contrattazione, per il riconoscimento di una nuova e maggiore centralità del lavoratore nell’impresa e del lavoro nella società. Lo è ancora di più nel terziario di mercato, settore prevalente dell’economia italiana, che vale il 40% del Pil e occupa oltre il 70% dei lavoratori. Nei comparti polverizzati del commercio, turismo e servizi, costruire nuove forme di partecipazione dei lavoratori alla vita di impresa potrebbe rappresentare uno slancio verso il consolidamento del settore nel suo complesso. E’ quanto emerso dalla Tavola Rotonda “Partecipazione al lavoro nel Terziario di Mercato, sfide e opportunità della contrattazione”, promossa a Roma dalla Fisascat Cisl nazionale nell’ambito delle celebrazioni per i 75 anni della federazione del commercio, turismo e servizi della Cisl, costituita il 12 ottobre 1948, nella stessa giornata che vide la nascita della Costituzione italiana. Focus dell’evento, moderato dalla giornalista Rai Monica Setta, la proposta di legge di iniziativa popolare della Cisl “La Partecipazione al Lavoro”. Il confronto è stata l’occasione per rilanciare la campagna di sottoscrizione confederale avviata nei mesi scorsi e che proseguirà su tutto il territorio nazionale con la Festa della Partecipazione in programma il 13 e 14 ottobre nei luoghi di lavoro e nelle principali piazze italiane. La Tavola Rotonda, introdotta dal Segretario Generale Aggiunto della Fisascat Cisl Vincenzo Dell’Orefice, con la partecipazione di Emmanuele Massagli, Presidente della Fondazione Tarantelli, Lorenzo Malagola, Segretario della XI Commissione Lavoro pubblico e privato Camera dei Deputati, Davide Guarini, Segretario Generale della Fisascat Cisl e Luigi Sbarra, Segretario Generale della Cisl, ha preso le mosse dagli interventi di Zeynepp Bicici, Capo Dipartimento del sindacato tedesco IG BAU e Presidente di Uni Europa Property Services, di Jean-Marc Robin, Segretario del CAE del Gruppo Carrefour France e di Oriol Cremades Chueca, Docente di Diritto del Lavoro e Previdenza Sociale all’Università Rovira i Virgili sulle esperienze di partecipazione nei rispettivi paesi di origine. Per il segretario generale aggiunto della Fisascat Cisl Vincenzo Dell’Orefice «la partecipazione si è spesso concretizzata in accordi, soprattutto di carattere aziendale, sul coinvolgimento organizzativo, consultivo ed economico finanziario dei lavoratori, anche attraverso la bilateralità di settore». «Tuttavia - ha aggiunto - le esperienze di azionariato nei settori del terziario di mercato sono state finora all’insegna della episodicità e della transitorietà. E’ per questa ragione che è necessario un approccio più organico che solo una Legge può dare». E’ il Presidente della Fondazione Tarantelli Emmanuele Massagli ad illustrare le linee di indirizzo della proposta di Legge di iniziativa popolare della Cisl, sottolineandone «la dimensione costruttiva e positiva sul fronte delle relazioni di lavoro». «La partecipazione – ha affermato – non è sinonimo di conflitto, ma di coinvolgimento e potenziamento delle tutele». La Cisl incassa intanto un primo endorsment governativo dal Segretario della XI Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei Deputati Lorenzo Malagola. «La proposta di legge sulla partecipazione ribadisce la vocazione veramente riformista della Cisl» ha dichiarato. «Come Governo - ha affermato - saremo pronti a tramutare in legge il prima possibile questo importante progetto». E’ Davide Guarini a sottolineare che «la partecipazione per i lavoratori e le lavoratrici del terziario di mercato è innanzitutto una sfida, in un settore connotato dall’alta frammentazione». Per il sindacalista «si possono individuare nuove forme di partecipazione da calibrare alle caratteristiche dimensionali del settore». E aggiunge: «Un lavoratore coinvolto è un lavoratore più motivato e soddisfatto.
Ciò può impattare anche sulla produttività e consentire di recuperare il gap ad essa connesso, per giungere a contrattare salari in grado rilanciare il potere d’acquisto». Nelle conclusioni il segretario generale Cisl Luigi Sbarra ha ricordato la Festa della Partecipazione nelle giornate del 13 e 14 ottobre, nei luoghi di lavoro e nelle principali piazze italiane. «Domani e dopodomani – ha dichiarato - saremo impegnati sul territorio nazionale in tante iniziative dove ribadiremo che la partecipazione dei lavoratori alla governance aziendale costruisce identità, dignità, rappresentanza sociale e senso di appartenenza alla comunità». «Il sindacato – ha aggiunto - deve costruire in autonomia dalla politica una proposta con cui incalzare Governo e imprese su un nuovo Patto Sociale per favorire crescita e occupazione, tutelare salari e pensioni, abbassare le tasse, azzerare morti e infortuni sul lavoro, valorizzare le relazioni industriali». «Occorre diffondere una cultura partecipativa che riconosca il valore delle organizzazioni sindacali, della contrattazione collettiva e della bilateralità, in alternativa a chi vuole demonizzare il ruolo delle parti sociale e del sindacato».
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soldan56 · 5 years ago
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A partire dal 16 aprile la Polizia locale riminese controlla le spiagge, i parchi, le piazze e le strade della città con due droni, DICONO per assicurare il rispetto delle norme anti-contagio in vista delle prossime festività. Il 18 aprile con tutta la risonanza mediatica possibile viene “scovato” un cittadino solo e sdraiato in una spiaggia kilometrica deserta e sbattuto sotto la gogna mediatica. Entriamo così nella Fase due della capitale europea del Turismo che ha edonizzato e finanziarizzato la spiaggia ed ora la trasforma in un carcere speciale a cielo aperto dove sperimentare nuove forme di controllo sociale, dopo più di quaranta giorni di lockdown e ordinanze speciali per il nostro territorio. Ancora una volta viene usata la via più semplice, quella del capro espiatorio su cui riversare le nevrosi e paure collettive, così come la rabbia, la stessa che porta le persone ad essere spie, a vedere in una camminata, in una persona che si muove con il proprio cane senza creare problemi di incolumità per gli altri, il nemico. Ancora una volta si usa la via più facile, quella che evita qualsiasi pensiero critico e costruttivo, che tratta i cittadini come non persone e li colpevolizza perché non sono più consumatori. E questo atteggiamento non ha nulla da invidiare al rancore, alla politica dell’odio dei leghisti verso ciò che non si comprende o che ci fa paura, e verso la quale in tanti e tante ci siamo indignati nella nostra città, amministrazione riminese compresa non meno di due mesi fa. L’isolamento forzato in cui ci troviamo ormai da tante, tante settimane ha portato come conseguenza un’esasperazione della solitudine per tanti e con essa pensieri di rimuginazione, frustazione, chiusura. E’ tuttavia fondamentale provare a fare uno sforzo collettivo per evitare che ciò dia forma ad azioni e comportamenti individualistici ed egoisti anche una volta terminate le misure più ferree anti-contagio. Sforziamoci di restare lucidi e ricalibrare le lenti con cui leggiamo quello che accade senza il filtro della paura. Ne va delle nostre città, comprensive dello scambio e delle relazioni, del domani. La nuova gestione dello spazio pubblico e delle spiagge, spremute, sfruttate, privatizzate non si discosta tuttavia di molto da un ventennio di politiche sicuritarie e di investimenti economici nella caccia ai venditori ambulanti, oggi sostituiti dai nuovi capri espiatori della pandemia globale “cacciati” attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie. E restano gli stessi anche gli investimenti per chi mantiene in piedi il settore economico del turismo: ZERO le risorse stanziate in questo ventennio ma anche in questa emergenza per il contrasto delle forme di Lavoro Gravemente Sfruttato nel turismo e per i lavoratori e le lavoratrici stagionali, quasi quarantamila solo nella nostra provincia. Non veniteci a dire: ma allora i 600 euro? I 600 euro sono una miseria (l’equivalente dei canoni di affitto mensili che tantissimi in città sono costretti a pagare anche come conseguenza delle scelte politiche devote all’overtourism e alla svendita di pezzi di città) come è vergognosa la proposta di Bonaccini (fatta peraltro anche da Salvini) di impiegare in agricoltura i percettori del Reddito di Cittadinanza per restituire ciò che hanno ricevuto, ovvero far leva sulla loro ricattabilità ed incrementare il senso di colpa: “essere costretti ad accettare anche condizioni al limite della tollerabilità pur di mantenere un minimo di capacità di sopravvivere”. Per questo facciamo nostre le tante domande dei e delle cittadine che con sdegno si sono chiesti “A cosa serve portare all’estremo il controllo e la sorveglianza? Che vantaggio dà alla comunità se non quello di stressare chi è già stressato, di impaurire chi è già impaurito? Lo scopo è spaventarci per convincerci a non uscire? Non siamo bambini ma cittadini/e”. Chiediamo l’immediata sospensione di tali forme di controllo e piuttosto l’apertura di un cantiere aperto tra istituzioni, cittadini, realtà sociali, sindacali per la ricostruzione della Città che metta al centro le persone e i loro bisogni e non gli interessi di parte. Per pensare insieme e costruire la città, il mondo che verrà. Non vogliamo una città di droni, ma una città per tutt@. Casa Madiba Network
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Festival del digitale popolare
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Torino sarà la “casa” del digitale con il Festival del digitale popolare. Sabato 8 e domenica 9 ottobre – con un’anteprima venerdì 7 – nel capoluogo piemontese si terrà il primo evento italiano dedicato alla cultura e alle policy digitali, organizzato dalla Fondazione Italia Digitale con il patrocinio del Comune di Torino. Festival del digitale popolare, ospiti Il fumettista e autore televisivo Makkox; l’attrice e dirigente sportiva Cristiana Capotondi; l’epidemiologo Gianni Rezza; l’ex calciatore Claudio Marchisio; la capitana della Nazionale di calcio Sara Gama; il filosofo Maurizio Ferraris; l’esperta di comunicazione social ed ex creativa e strategist team TikTok Uffizi Ilde Forgione; il gruppo musicale La Rappresentante di Lista. Questi i primi ospiti annunciati oggi in occasione della conferenza di presentazione della manifestazione che si è tenuta nella Sala Colonne alla presenza dell’assessora alla Transizione Ecologica e Digitale, Progetto Smart city e Innovazione della Città di Torino Chiara Foglietta e del presidente della Fondazione Italia Digitale Francesco Di Costanzo. Ospite “speciale” della presentazione il calciatore e imprenditore Giorgio Chiellini, tra i protagonisti del Festival, che ha inviato un video saluto da Los Angeles, e che proprio nella città di Torino ha vissuto alcuni dei momenti più belli e decisivi della sua carriera. Le parole di Chiara Foglietta “La trasformazione digitale riguarda innanzitutto le persone: è un’alleata preziosa per migliorare la qualità della vita dei cittadini e promuovere più democrazia, uguaglianza, inclusione e crescita sostenibile – commenta l’assessora Chiara Foglietta – Ma la tecnologia deve rappresentare un’opportunità per tutti i cittadini e le cittadine e non essere causa di divario a favore di un’oligarchia tecnologica ed economica. La tecnologia può essere un mezzo per lottare contro le disuguaglianze e favorire l’inclusione sociale e lavorativa, a patto che chiunque possa disporne appieno – evidenzia ancora Foglietta – Anche nella nostra città sono tante, troppe, le persone senza connessione, che non dispongono di competenze digitali sufficienti o non si trovano a loro agio nell’ecosistema digitale. Per questo è importante parlare di digitale popolare: il cammino verso questo obiettivo non può prescindere dal coinvolgimento sempre maggiore di quelle fasce di popolazione finora rimaste ai margini”. “Il digitale è una grande opportunità nella vita quotidiana di tutti noi, con la pandemia c’è stata un’accelerazione e si è acceso un riflettore enorme su questi temi con la crescita della consapevolezza da parte di cittadini, pubbliche amministrazioni, imprese – spiega il presidente di Fondazione Italia Digitale Francesco Di Costanzo – adesso è il momento di rendere strutturale questo cambiamento, di portare il digitale nei luoghi della normalità, di renderlo popolare. Per questo con Fondazione Italia Digitale ci stiamo impegnando quotidianamente su cultura e policy digitali. Il digitale svolge il suo compito al meglio se è semplice, equo, concreto, sicuro, alla portata di tutti. Da qui l’idea di un Festival del digitale popolare, per la prima volta nel nostro Paese e in una città, Torino, da sempre sensibile e attenta all’innovazione”. Ancora ospiti Il parterre degli ospiti si arricchisce anche con la presenza di esperti e personalità del mondo istituzione, tra questi anche Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione. Nel corso del Festival, infatti, uno spazio particolare è dedicato proprio al mondo dei giovani con il diretto coinvolgimento delle scuole e focus importante sull’educazione al digitale. Temi PA, scuola, sport, cultura, musei, libri, viaggio, turismo, mobilità, podcast, satira, nuove forme di fruizione dei contenuti, gaming, diritti, sanità, sostenibilità, mobilità, lavoro, economia, comunicazione e informazione, questi e molti altri i temi che saranno affrontati con il filo conduttore della rivoluzione digitale.  Nel corso della conferenza è stato svelato il logo ufficiale del Festival, che ha come slogan Restart, riavviare il sistema a segnare la ripartenza del Paese dopo più di due anni di pandemia.  Mentre è affidato al fenomeno italiano del fumetto Josephine Yole Signorelli, in arte Fumettibrutti, la realizzazione del Manifesto della manifestazione. Una collaborazione nata grazie a Etna Comics. Talk, workshop, approfondimenti e laboratori animeranno la kermesse che si apre con un’anteprima venerdì 7ottobre a La Nuvola Lavazza per entrare nel vivo sabato 8 negli spazi di CAP 10100 e terminare domenica 9 a La Nuvola Lavazza. Obiettivi Obiettivo della kermesse è portare i tanti temi del digitale vicino alla gente attraverso un Festival inclusivo, aperto alla partecipazione di tutti. Info e programma del Festival in continuo aggiornamento su www.fondazioneitaliadigitale.org e sui canali social della Fondazione. Questa la pagina dedicata alla manifestazione fondazioneitaliadigitale.org/festival-digitale-popolare. Il Festival del digitale popolare è realizzato grazie alle partnership con pagoPA, TikTok, Best Western, INWIT, Affidea, Karma Metrix, TOP-IX, Onda, Nuovi Sogni, Torino Wireless, CSI Piemonte, Etna Comics, Arci Torino e il supporto organizzativo e di comunicazione di To Be Events e Mate Agency. Molti altri partner stanno per aderire alla manifestazione. Sostenitori e partner Partecipano al Festival i soci sostenitori e partner di Fondazione Italia Digitale Amazon Web Services, Bird, Campus Biomedico, Colossus, Flixbus, Google, HT&T Consulting, Meta, Municipia, Next Code Academy, Osservatorio Digitale, Sicurtransport, Synesthesia, Torelli - Hanzo e i fondatori Associazione PA Social, Istituto Piepoli, Open Comunicazione, Lievito Consulting, Mediaddress, L’Eco della Stampa, Associazione PerCorso, datamagazine.it, cittadiniditwitter. Read the full article
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lamilanomagazine · 9 months ago
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Estate Teatrale Veronese 2024: giugno il mese della musica jazz, mentre agosto della danza. Oltre 50 serate di spettacolo con artisti italiani ed internazionali
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Estate Teatrale Veronese 2024: giugno il mese della musica jazz, mentre agosto della danza. Oltre 50 serate di spettacolo con artisti italiani ed internazionali. Un intreccio indissolubile. Teatro, danza e musica tornano al Teatro Romano di Verona per la 76a Estate Teatrale Veronese. Grande protagonista Shakespeare con i suoi testi più celebri: Amleto, Romeo e Giulietta, Sogno di una notte di mezza estate. Dal 21 giugno al 20 settembre il Festival porta a Verona tre mesi di eventi con 15 prime nazionali e 7 coproduzioni. Ben52 serate di spettacolo dal vivo. Novità 2024 sarà il ritorno dei grandi allestimenti shakespeariani e classici, firmati da registi di fama nazionale e internazionale. E ancora le sonorità del mondo, con un tocco al femminile, e la centralità delle nuove generazioni, con il terzo atto del progetto su Romeo e Giulietta. Grande attenzione anche per gli artisti del territorio, nel teatro come nella danza. L'Estate Teatrale Veronese 2024 completerà il fortunato triennio della rinascita, firmato dal direttore artistico Carlo Mangolini. Un ritorno alla normalità post pandemia. Dopo gli anni faticosi della SEMINA (2022) e quelli esaltanti della FIORITURA (2023), la stagione approda finalmente al meritato RACCOLTO. Innesti tra classico e contemporaneo permetteranno di abbandonare le forme sceniche monologanti e gli allestimenti ridotti, a favore di compagnie numerose e di regie di qualità. Nata nel 1948, per la volontà del Comune di Verona di rendere omaggio a William Shakespeare e sottolinearne il legame con la città scaligera, presente in Romeo e Giulietta,La Bisbetica domata e I due gentiluomini di Verona, l'Estate Teatrale Veronese è realizzata dal Comune di Verona – Assessorato alla Cultura in collaborazione con Arteven, con il sostegnodel Ministero della Cultura edella Regione Veneto. Sponsor del Festival AGSM AIM e Banco BPM.   Il programma della stagione 2024 è stato presentato questa mattina dall'assessora alla Cultura Marta Ugolini insieme al Artistico del Festival Carlo Mangolini. Presenti il commissario nazionale per il teatro Gianpaolo Savorelli, la dirigente Cultura, Turismo e Spettacolo del Comune di Verona Barbara Lavanda, la vicedirettrice Arteven Patrizia Boscolo, il responsabile segreteria Affari societari Banco BPM Andrea Marconi. ARTISTI Il programma della settantaseiesima edizione, la quinta firmata dal direttore artistico Carlo Mangolini, vedrà sul palcoscenico del Teatro Romano, per la sezione teatro, alcuni tra i migliori attori italiani del momento come Francesco Montanari, Lodo Guenzi, Francesco Acquaroli, Federica Rosellini, Arianna Scommegna, Sara Putignano e l'eterno Franco Branciaroli, ma anche registi di primo livello quali Filippo Dini, Paul Curran, Serena Sinigaglia, Veronica Cruciani, Davide Sacco e Paolo Valerio. Ad accendere la musica saranno, invece, Vinicio Capossela, Mario Biondi, Elio e le storie tese, Paolo Fresu, Uri Caine, Jan Garbarek, Fatoumata Diawara, Ana Carla Maza e Marisa Monte. Infine, per la danza la compagnia COB Opus Ballet con un nuovo allestimento shakespeariano firmato da Davide Bombana, Chiara Frigo con un inedito progetto di comunità e l'immancabile energia dei Momix.   LOCATION Come un raccolto abbondante, ricco di tanti sapori, il programma del festival andrà ad abitare luoghi suggestivi di una Verona tutta da scoprire, nella sua folgorante bellezza, fatta di spazi ampi ed accoglienti ma anche di un'inedita intimità. Protagonisti alcuni preziosi compagni di viaggio, che hanno scelto di condividere con la direzione artistica altri sguardi e nuove visioni. Un Festival che prova a sorprendere, puntando sulla qualità degli interpreti e sulla forza evocativa degli allestimenti scenici, per consolidare il coinvolgimento degli spettatori, veronesi e non, con l'intento di rilanciare appieno l'incanto dello spettacolo dal vivo attraverso un fertile dialogo tra le arti. Al Teatro Romano, sede storica del Festival, si affiancheranno il Bastione delle Maddalene e l'intero Quartiere di Veronetta, suggestive location che ospiteranno progetti legati al teatro contemporaneo. Dopo il successo dello scorso anno si rinnova la centralità del Bardo sia nella danza che nella sezione internazionale del Verona Shakespeare Fringe, realizzato in collaborazione con il Centro Skenè dell'Università di Verona e il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale. In agosto, al Camploy arriveranno prestigiose realtà provenienti da tutto il mondo.    TEATRO La programmazione dedicata al TEATRO si suddivide in due sezioni: il FESTIVAL SHAKESPEARIANO, nucleo centrale del cartellone, frutto di un impasto di codici che rimettono al centro la scrittura originale, anche in dialogo con la musica e la danza, puntando tutto sul teatro di regia e sulla sezione internazionale del Verona Shakespeare Fringe; e poi il SETTEMBRE CLASSICO, la parte del calendario dedicata al teatro antico, che quest'anno si arricchisce di un altro titolo e rilancia anche il teatro goldoniano. Progetto fondativo e anima primigenia dell'Estate Teatrale Veronese il FESTIVAL SHAKESPEARIANO tornerà ad abitare il Teatro Romano, e per la prima volta il Bastione delle Maddalene, con cinque titoli di cui tre presentati in prima nazionale. Il 4 e 5 luglio grande inaugurazione al Teatro Romano con la prima assoluta della nuova versione di AMLETO adattata e diretta da Davide Sacco, una delle voci emergenti della drammaturgia e della regia italiana, con protagonista Francesco Montanari. Un allestimento hard rock che attualizza il più celebre dramma del Bardo, anche grazie alle musiche originali composte per l'occasione da uno dei frontman più carismatici della musica italiana come Francesco Sarcina. Con loro un nutrito cast di attori d'eccellenza, tra i quali spiccano i nomi di Francesco Acquaroli e Sara Bertelà e la partecipazione straordinaria di Franco Branciaroli. Il programma del Romano proseguirà con un dittico incentrato sulla storia d'amore più famosa di tutti i tempi. Da un lato il 17 luglio andrà in scena una nuova versione di ROMEO E GIULIETTA con i giovani attori diplomati alla Scuola del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, dall'altro il 18 luglio verrà presentato AFTER JULIETdi Sharman Macdonald, ideale prosecuzione del dramma shakespeariano che inizia proprio dove finisce l'altro testo, raccontando con intensità visionaria e lampi di black humor l'amore tra Benvolio, il migliore amico di Romeo, e Rosalina, la cugina di Giulietta.  Dal 10 al 13 luglio abiterà invece il Bastione delle Maddalene il progetto di Casa Shakespeare WELFARE LEAR, firmato da Solimano Pontarolloe Andrea de Manincor, che indaga il tema della vecchiaia e dell'accudimento, con protagonista il volto familiare di Ugo Pagliai. Si tornerà al Teatro Romano con il quinto titolo shakespeariano, la brillante commedia MOLTO RUMORE PER NULLA, in scena in prima nazionale il 25 e 26 luglio, che seguirà le vicende di due coppie di innamorati alle prese con una serie di situazioni assurde e impossibili, prima di poter giungere al tanto agognato lieto fine. Protagonisti Lodo Guenzie Sara Putignano diretti da Veronica Cruciani, produce La Pirandelliana con il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale.   DANZA La sezione danza del 2024 sarà nel segno di Shakespeare, con un cartellone che prova a portare sul corpo storie e personaggi senza tempo. Il FESTIVAL SHAKESPEARIANO in danza avrà il suo fiore all'occhiello nel nuovo progetto coreografico di COB Compagnia Opus Ballet firmato da Davide Bombana. In scena al Teatro Romano l'1 e 2 agosto verrà presentata una versione del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE di sapore beckettiano dove, tra realtà e allucinazione, un gruppo di danzatori saranno chiamati ad impersonare a turno ora un ruolo ora un altro, dando vita ad un gioco imprevedibile e vivace, capace di toccare il cuore dello spettatore. Di tutt'altro sapore il progetto proposto da Chiara Frigo che, ispirandosi alla figura shakespeariana della Dark Lady, darà vita il 27 e 28 luglio al progetto multidisciplinare BLACKBIRD. Si tratta di un'esperienza di arte partecipata che coinvolgerà 9 performer (per lo più under 35) e 99 spettatori. Attraverso uno score coreografico artisti e comunità locali si incontreranno al tramonto con il fine di attivare processi di creazione collettiva. Ultimo titolo evento, in programma al Teatro Romano dal 5 al 17 agosto (escluso l'11 agosto), l'omaggio a Verona dei Momix. La celebra compagnia di danzatori acrobati che tanto ha donato al pubblico della città scaligera, tornerà con un nuovo medley dei loro più iconici pezzi. MUSICA In campo musicale si sviluppa la collaborazione con Eventi Verona per le due stagioni di VERONA JAZZ e RUMORS FESTIVAL, la prima curata da Ivano Massignan, la seconda da Elisabetta Fadini. Quattro gli artisti italiani e sei le presenze internazionali previste al Teatro Romano, tra i grandi maestri del jazz, suadenti vocalità femminili della world music e due cantautori di razza. Per il jazz ci saranno Paolo Fresu con il pianista americano Uri Caine il 21 giugno, il sassofonista norvegese Jan Garbarek con il suo gruppo e featuring il batterista indiano TrilokGurtu il 22 giugno, la violoncellista e cantante cubana Ana Carla Maza il 23 giugno e il 24 giugno l'inconfondibile voce di Mario Biondi. Mentre per Rumors tornano a Verona il 30 giugnoElio e le Storie Tese e il 27 luglio Vinicio Capossela, con un nuovo progetto, e debuttano due autentiche dive della scena internazionale: dalla Costa d'Avorio Fatoumata Diawara il 6 luglio e dal Brasile Marisa Monte il 28 luglio. Tutte le informazioni relative alla biglietteria, così come il programma completo sono disponibili sul sito www.spettacoloverona.it. Curiosità, approfondimenti e date sui canali Facebook, Instagram e Youtube dell'Estate Teatrale Veronese.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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ivisity · 3 years ago
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Il viaggio esperienziale è una tendenza popolare in questo momento. Con così tante nuove forme di tecnologia disponibili, questo tipo di turismo non farà che crescere.
Le guide turistiche non sono sempre precise o aggiornate con le loro informazioni. Potrebbero non conoscere tutti i posti interessanti dove andare o quali sono i migliori ristoranti della città. Di conseguenza, lascia i viaggiatori frustrati perché non possono ottenere ciò che vogliono quando lo vogliono. Questo tipo di turismo deve essere personalizzato ed esperienziale per renderlo più efficiente sia per i turisti che per le comunità locali.
iVisity ha sviluppato un'app che consente ai turisti di esplorare le cittĂ  da soli, senza dover assumere costose guide turistiche o traduttori. Questo tipo di servizio consentirĂ  maggiori opportunitĂ  di viaggio per le persone in tutto il mondo.
Per scoprire di piĂą visita: https://ivisity.com
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forzaitaliatoscana · 4 years ago
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Mozione Stella: Su negozi, turismo, servizi decidano sindaci
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Mozione del capogruppo di Forza Italia al Consiglio regionale della Toscana Marco Stella: "Bloccare la legge Bersani-Monti. Su negozi, turismo e servizi decidano i sindaci" "Bloccare la legge Bersani-Monti, per ripristinare una nuova sovranità dai sindaci in materia di insediamenti e specializzazioni merceologiche". E' quanto chiede una mozione depositata in Consiglio regionale della Toscana dal capogruppo di Forza Italia, Marco Stella. "Le città d'arte, come Firenze, hanno pagato più di altre gli effetti della crisi da emergenza Covid-19, che ha determinato gravi conseguenze economiche per il settore turistico - osserva Stella -. Per questo, è necessario salvare le città d'arte attraverso una Legge Speciale che le tuteli e ne favorisca la ripresa nel più breve tempo possibile". "Per queste ragioni - sottolinea Stella - è necessario individuare norme economiche in favore degli operatori e per gli appartamenti destinatari di affitti brevi, nuove regole per le guide turistiche e regolamenti speciali per limitare le attività commerciali o dei prodotti in libera vendita. Occorre rilanciare la filiera turistica favorendo il turismo degli italiani in Italia nel triennio 2021-2023, e istituire appositi sgravi fiscali, sotto diverse forme, per l'acquisto di pacchetti, locazioni e servizi turistici e rilanciare il settore, dotando i sindaci dei poteri necessari a bloccare gli effetti della Legge Bersani-Monti" Marco Stella, capogruppo Forza Italia al Consiglio regionale toscano Read the full article
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redazionecultura · 4 years ago
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somarolove · 4 years ago
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“THE END”
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E’ passato più di un mese dal rientro a Luang Prabang ma il riadattamento alle energie psichiche della città è durato poco. Non si può rimanere attaccati per sempre all'emozione estatica del rincontro con la Natura. Prima o poi l'aperto torna a farsi chiuso e bisogna fare i conti con la ripetizione. Ciò è vero soprattutto dopo la biciclettata più lunga della mia vita, anche e forse soprattutto perché è avvenuta dentro la sospensione epocale prodotta dalla pandemia. Il ritorno per questo è stato un riadattarsi a un ritmo ibrido di un presente che non sa di ripresa o di proiezione in avanti, ma di ripetizione orizzontale dello stesso, in un’attesa continua che l'Altro modifichi le regole del gioco. Ci troviamo un pò tutti a fare i conti con forme di spossessamento del sé e con un regime di impotenza imposto da una contingenza biologica. Ma ci sono fattori aggiuntivi perchè questo processo di assoggettazione avviene in forma consapevole, quasi accettata, in nome di un'emergenza che obbliga ad incorporare una rinnovata modalità esistenziale.
C’è però un aspetto di Luang Prabang che ha a che fare con la sua turisticizzazione\mercificazione e con la sua memoria contesa che si aggiunge alla sospensione pandemica e che rende peculiare la quotidiana esperienza del tempo, cioè di come passato e presente esistono nel presente. Ogni abitante di una città d'arte deve relazionarsi con l’apparente quanto necessaria immutabilità del suo patrimonio storico ed artistico. Da un punto di vista psichico, è come se ad un'impotenza di contesto determinata dall'epidemia se ne aggiunga una strutturale. Per certi versi un passato da conservare sostituisce o si aggiunge a tutta una serie di rituali formalizzati e, come quei rituali, partecipa di processi sociali che reificano gerarchie e ruoli. Conservare il patrimonio storico artistico di una città implica un insieme di dispositivi che aspirano a fissare, recintare, tutelare, impedire un uso piuttosto che un altro dello spazio. Ciò comporta un'esperienza storicizzante della quotidianità che produce soggettività radicalmente diverse da quelle di una città in cui è prassi comune distruggere il vecchio per ricostruire. Ma stabilisce anche un ordinamento giuridico-morale che ordina le modalità accettabili in cui il passato deve e può manifestarsi nel presente. Questo secondo aspetto è quello che più mi interessa ora perché ha a che fare con la "Legge" e con un ordine e fa del patrimonio storico artistico una modalità del godimento. Come tale, produce fantasie che si vincolano ai meccanismi di produzione del desiderio, o per dirla con Zizek, che "insegnano [al soggetto] a desiderare".
In altre parole questo significa che in una città come Luang Prabang esistono tutta una serie di processi con cui la fantasia si allaccia alla memoria storica dei luoghi, quindi ad una memoria collettivizzata dai dispositivi del potere, per poi vivere quasi di vita propria, facendo immergere le diverse soggettività che la abitano in vere e proprie fantasticherie sul suo passato a volte grandioso, a volte taciuto. “Timeless” è la parola chiave che sintetizza questa atmosfera magica. Racconta un presente senza tempo su cui sono stati prodotti video, immagini e campagne pubblicitarie per il turismo da ormai 20 anni. Hotel, bar e ristoranti ne hanno fatto un paradigma distintivo dell’esperienza turistica che offre la città. Vecchi edifici coloniali, stanze di re e regine o giardini di principi e principesse che affacciano su uno dei più suggestivi fiumi dell'Asia sono oggi disponibili ai curiosi e facoltosi turisti che desiderano immergersi per qualche giorno in una ricostruzione immaginaria della Colonia o dell’epoca monarchica. Il passato si fa così performance quotidiana in cui tre generazioni di laotiani di tutte le etnie hanno imparato ad indossare abiti d’epoca e a servire mantenendo il sorriso e la postura corretta mentre esaudiscono ogni desiderio del visitatore. Molti di questi giovani arrivano da villaggi vicini in cerca di un salario o di maggior fortuna in città. Tutti insieme partecipiamo di una vera e propria costruzione utopica di Luang Prabang in cui la Storia riemerge sia come rimemorazione vivente del passato, sia come grande rimosso, cioè come racconto incompleto che non svela mai pienamente il suo segreto scabroso: quello di essere una città dal passato monarchico che oggi gode della sua bellezza architettonica per essere stata "responsabile” e, per questo salva, dai bombardamenti che hanno riguardato invece il resto del Paese. L'oscenità nascosta della sua bellezza è il motore immobile della città ma cosa significa abitarla cercando di non rimuovere l'orrore primordiale che ha costituito il suo patrimonio storico ed artistico?
Le macchine desideranti
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Foto: restaurazioni a Luang Prabang, serie “una mattina mi son svegliato”
La risposta a questa domanda riprende direttamente alcune questioni lasciate aperte nel post precedente a proposito di società democratiche oltre i loro ordinamenti istituzionali e giuridici formali. In un suo libro recente, Recalcati analizza l'essenza delle comunità democratiche come comunità di desiderio. Rivisita radicalmente, in chiave psicanalitica, i rapporti di forza dei legami sociali e delle relazioni tra soggettività, suggerendo di spingerli dentro un continuo tentativo di superamento delle relazioni di reciprocità e delle dinamiche di colpa-debito. Piuttosto che osservarle materialmente attraverso pratiche come il dono, Recalcati si muove nell’inconscio per trovare un modo di pensare e quindi di vivere l’aperto e stabilire le forme “dell’eguaglianza dei non eguali”. Ritrova quelle dinamiche per superarle nella vitalità del desiderio che non può chiudersi nel suo Oggetto e si fa invece condizione di ricerca creativa continua; una spinta vitale che supera ogni sua rappresentazione consumistica. Contro ogni settarismo, Recalcati sembra qui accogliere alcuni temi cari a Deleuze e Guattari nel loro lavoro su Capitalismo e Schizofrenia. Sottolinea cioè l'importanza di un desiderio che si faccia deviante, spingendo verso un divenire femminile da opporre al divenire panico del desiderio contemporaneo, in cui le capacità empatiche dell'umano sembrano accartocciarsi sul gruppo, dentro percorsi identitari che escludono il non facilmente comprensibile. Come già suggeriva Bifo qualche anno fa, in questo mondo accelerato e caotico, in cui i vecchi ordinamenti istituzionali sembrano incapaci di arginare le deterritorializzazioni imposte dai flussi economici, demografici ed ambientali, a mancare non è il Padre, cioè, la legge o l'ordine, ma la Madre, intesa come eccesso emotivo, sensibilità e percezione dell'altro.
Come trasportare però questa necessità di cambiamento trasformativo dalla psiche e dalla soggettività al sociale e alle formazioni storiche? In che modo interpretare la performance messa in scena dalla foto di sopra? L'aprirsi al divenire femminile riguarda una profonda riconsiderazione delle dimamiche di dominio e delle forme della sua incorporazione. Riguarda le modalità di accoglienza dell’altro e le modalità di superamento delle ferite dell’incontro. Signfica assumere la necessità di ripensare sistemi produttivi e riproduttivi basati sullo sfruttamento di alcuni per il bene degli altri. In questo senso quella Jeep non lascia scampo. La sua simbologia fallica, che alcuni associano facilmente a violenze indicibili, trova nel restauro dell’economia di mercato una nuova vita "vintage" ma ripropone anche il mondo visto in “blocchi” che ha segnato la seconda metà del novecento e la storia recente del Laos in particolare. Il suo percorrere le vie della quotidianità si perde così nel mare delle immagini social che raccontano una città dalla bellezza senza tempo e dal passato idilliaco. Ma afferma anche tra le righe, che tutto è permesso, grazie all’impunità di coloro che arrivarono ed andarono via in silenzio ed ora “ritornano” per vendere un prodotto ma forse anche per riprendersi qualcosa attraverso un ricordo potente. Ecco quindi dispiegarsi il paradosso della creatività del desiderio che sembra fare del capitalismo una forza deluzianamente rivoluzionaria, capace di frantumare ogni barriera e muro divisorio ed affermarsi come l’unico sistema economico disponibile per rendere attuali le comunità di desiderio. In questa apparente riproposizione del “non c’è alternativa”, può allora essere utile riaffermare la natura profondamente anticapitalista del pensiero femminista in cui dovrebbe iscriversi il divenire femminile.
Come dimostrato dalla Federici, tra le altre, le "rivoluzioni industriali" che hanno dato vita al sistema capitalistico sono inestricabilmente relazionate allo sfruttamento della donna in quanto "sorgente" della forza lavoro. Il suo confinamento negli spazi chiusi della riproduzione e la sua esclusione sistematica da qualsiasi lavoro salariato per lunghi periodi storici hanno costituito uno schiavismo di classe che insieme ai processi di privatizzazione delle proprietà, le cosiddette enclosure, e alla tratta di persone, ha formato un asse portante dello sviluppo industriale-capitalistico occidentale. Con gradazioni e modalità diverse, tutto ciò è anche osservabile nei modelli di crescita economica e di gestione delle risorse dei paesi che furono “il secondo mondo”. Alcuni testi di antropologia sociale raccontano la transizione da economie centralizzate e statalizzate ad economie non regolamentate e di mercato nella loro riscoperta di reti familistiche e di strutture di appoggio informali che hanno permesso agli attori economici di gestire il rischio e l’incertezza delle nuove condizioni produttive. In alcuni casi, come quello descritto dalla Humphrey in Siberia, il passaggio “dallo Stato al Mercato” è avvenuto attraverso un vero e proprio revival di “tradizioni”, famiglia e di altre relazioni personali, tanto da ricostituire forme di fiducia e di reciprocità su di uno sfondo propriamente culturale piuttosto che burocratico e istituzionale.
La culturalizzazione delle relazioni economiche come risposta alle dinamiche deterritorializzanti del Capitale è un fenomeno vasto ed ubiquo. Tuttavia la subalternità delle donne è stata così riproposta come chiave di sopravvivenza di produzione e riproduzione. “La Madre” è cioè entrata in un processo di marketizzazione per cui l’aperto che rappresenta è divenuto un’àncora di salvataggio contro le periodiche crisi del Capitale che ravvivano desideri panici e protezionistici. In questa prospettiva, quel ritorno invocato da Bifo a livello dell’inconscio del soggetto ha prodotto nei capitalismi del nuovo millennio un altro confinamento produttivo della donna. Ora oltre al ruolo di generatrice della forza lavoro associa anche quello di protettrice ultima della continuità del Capitale e si oppone direttamente alle cicliche cadute della produzione (qui una bella testimonianza di questo processo nell’Italia pandemica). La religione del Capitalismo intercambia alla bisogna “Padre” o “Madre” in base alle necessità produttive e del marketing politico di quell’aperto apparente che è la liberalizzazione dei mercati. Il divenire femminile deve invece riguardare altro e cioè la capacità di superamento delle ferite che l’aperto e l’accoglienza dell’ignoto genera. Riguarda il superamento delle binarietà e dei legami biologici dentro una transizione in cui il divenire sia agito quanto subito. E deve necessariamente riportare il piacere che manca, come afferma Godani, non dell’imperativo capitalista “Godi!”, ma del “godi” che fa dell’ozio un’azione sovversiva delle microforme di dominio del quotidiano (1 e 2). Ma come materializzare questa trasformazione?
Al riguardo, potrebbe essere interessante raccontare qualcosa sulle comunità di desiderio di Luang Prabang e su come la pandemia sembra ne stia mostrando un lato più oscuro a causa del panico economico che si è diffuso tra certi segmenti popolazionali, creando una corsa all’accaparramento invece che spinte collaborative. Per ragioni che spiegherò meglio, la città ha costruito un’immagine di sè come avanguardia dei modelli di sviluppo sostenibile del sudest asiatico. Vorrei mostrare però che questa costruzione immaginaria è un prodotto di precise scelte di marketing che aspirano a posizionarla come un “marchio” sul mercato regionale turistico. Appare inoltre il frutto di una rinnovata spinta elitaria della città in cui il divenire femminile nasconde proprio quelle dinamiche di protezione del Capitale che ho discusso in precedenza e dietro cui si cela l’immagine della Jeep. Nonostante ciò esistono degli elementi della transizione in atto che mostrano percorsi di ibridazzione liminali che meritano una descrizione più accurata.
La pedagogia di Holliwood
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Prima di tutto elencherò alcuni elementi che costituiscono nell’immaginario locale la specialità di Luang Prabang. 1. Da ormai due decadi, è considerata un luogo LGBTQ+ friendly; 2. Le donne hanno un ruolo economico di primaria importanza nelle dinamiche produttive urbane. 3. Da qualche anno i maggiori hotel cittadini hanno inziato un processo di conversione economica per garantire sostenibilità ambientale: dall’approvigionamento a chilometro zero, a prodotti  biologici, dalla riduzione del consumo di plastica, ai primi timidi tentativi di utilizzo di forme di trasporto elettrificato. 4. In quanto patrimonio mondiale dell'UNESCO, è una delle poche città dell'area che possiede un piano regolatore che ordina, seppur parzialmente, il consumo del territorio e le scelte architettoniche e dei materiali di costruzione. 5. La burocrazia municipale è formata dentro scuole militari, ma per vedere armi bisogna andare fino al poligono di tiro sportivo. 6. E' un centro buddista di discreta rilevanza regionale con alcuni tratti dottrinali unici non rintracciabili in altre aree del Buddismo Theravada. 7. A Luang Prabang e dintorni la World Bank non finanzia strade e dighe ma progetti di conservazione della biodiversità. 8. Facebook è considerato la porta per la libertà di espressione e uno strumento imprescindibile di organizzazione di gruppi ed azioni collettive. L’insieme di questi elementi segnalano una certa potenzialità liminale della città ma potrebbero anche celare l’ipocrisia tardo capitalista e quella sostituzione di “Padre” e “Madre” citata in precedenza.
Per fondare empiricamente l’osservazione di queste dinamiche ho fatto di necessità virtù e, viste le mie difficoltà con il laotiano, in questi mesi ed anni ho sfruttato la conoscenza di altre lingue per immergermi, come molti e con fortune alterne, nel mondo dei migranti che, in un modo o nell’altro, hanno un regolare permesso di soggiorno: "gli expat". Partirò quindi da questo campo di analisi per proporre alcune considerazioni sulle materializzazioni del divenire femminile a Luang Prabang.
Dividendo la società in due macrocategorie che sono quelle dei potenti e quella dei dominati, è probabile che la maggioranza degli expat (nonostante alcuni ricevano salari con molti zeri) rientrino nella seconda categoria. Sebbene vi siano indubbie differenze di classe tra gli "expat", i più "vecchi" sono riusciti ad arricchirsi e a vivere al di sopra delle loro aspettative finanziarie proprio grazie alla decisione di migrare in Laos al momento giusto. Tante storie locali di successo condividono una precisa finestra temporale, il primo decennio del 2000, e raccontono un mix di capacità personali, etica del lavoro, opportunismo e sensibilità rispetto alle dinamiche socio-culturali locali. Su queste biografie “dell’individuo” si allaccia poi la necessità di regolarizzare la posizione migratoria per i fini dell’accumulazione di Capitale.
La migrazione per ragioni economiche ha infatti prodotto un’infrastruttura giuridico-legale che sostiene la presenza degli expat e dei loro investimenti nell’impossibilità di un expat di diventare “proprietario” di edifici e di terreni. La tipologia di visto ottenuta racconta quindi un’altra storia. In molti casi accade che l’arrivo in città sia dovuto ad un’amicizia che diventa amore. In altri la relazione è invece prettamente commerciale. Seguendo queste due traiettorie è possibile allora descrivere l’incontro tra gli expat e gli abitanti di Luang Prabang attraverso due macro categorie: 1. quella di legami di parentela con famiglie più o meno importanti formalizzatisi con matrimoni per amore o di comodo; 2. e quella di legami commerciali con reti locali di potere formalizzatisi con la costituzione di società con prestanomi o con soci locali. Come sempre accade ci sono diverse gradazioni e incroci possibili tra i diversi estremi, ma la sostanza del discorso non cambia. Ogni expat può essere inquadrato dentro questo spettro giuridico-legale attraverso il quale una prima forma di diversità è stata via via assorbita e normalizzata nelle dinamiche economiche della città.
E’ poi possibile identificare i flussi migratori intorno all’asse linguistico più che strettamente geografico o culturale. Ci sono quindi: filippini, coreani, cinesi\mandarino, cinesi\cantonese, tailandesi, vietnamiti, inglesi (americani, australiani, inglesi), francesi, canadesi, italiani eccetera. Ma vi è anche una componente religiosa legata a gruppi e sette che fanno capo a diverse forme del cristianesimo evangelico, dell’ebraismo, dello shivaismo, dell’islam e di altre pratiche buddiste zen. Sovrapponendo le diverse categorizzazioni tra di loro è possibile ritrovare reti di appoggio e\o commericali in cui individui, famiglie e gruppi impresariali locali sono inseriti e in cui l’elemento più propriamente culturale si intreccia con quello economico.
In tempi recenti, con l’aumentare dei mega progetti sul territorio nazionale e con l'accresciuta importanza degli investimenti esteri diretti (soprattutto nell'edilizia e nelle catene hotelere, nelle infrastrutture e nel settore minerario), i flussi migratori hanno iniziato a complicarsi ulteriormente venendo a mancare le reti di appoggio linguistiche sostituite direttamente dalle Company che portano gli operai attraverso il sistema di visti previsti dalle licenze commerciali, nazionali o internazionali. Ad esempio, alcuni campi di lavoro per infrastrutture hanno creato dei veri e propri spillover popolazionali sulle città e i villaggi che sorgevano nelle prossimità delle opere in costruzione. Negli anni sono poi aumentati anche i lavoratori specializzati, oltre al personale esperto di vari organismi internazionali, i quali però se non sviluppano legami emozionali del tipo 1 rimangono solo per pochi anni. Dentro questo insieme di regole e definizioni generali si articolano relazioni ed incontri che rappresentano in maniera evidente un aspetto della transizione iniziata in Laos alla fine del 1900 (qui un altro aspetto della transizione).
L’incontro multiculturale e cosmopolita tra classi medie e medio-basse si è così inserito ed intrecciato alle pratiche e alle narrazioni della ricostruzione e della pacificazione del Paese dopo la guerra americana. Si tratta di un processo spesso silenzioso e molto simbolico di riconciliazione ma anche di rievocazione di antiche divisioni (come mostrato dalla foto della Jeep). Non tutti i nuovi arrivati sono però in grado di percepirlo ed interpretarlo a causa di una naturale ignoranza delle storie locali sul passato conteso. In questa cronica incoscienza si gioca un aspetto cruciale delle modalità in cui passato e presente vivono nel presente. In estrema sintesi, sempre più persone in città non trovano eccessivamente problematica la presenza della Jeep sulle strade.
Pur partendo da traiettorie distinte o da credi politici per certi versi non conciliabili, a Luang Prabang è possibile definire una convergenza ideale intorno a posizioni politiche se non proprio “anticomuniste” per lo meno avvezze all’idea che il comunismo sia uno degli esperimenti politici falliti della contemporaneità. La transizione economica in atto ne sarebbe la prova più evidente. In questo senso il dispiegamento delle forze del Mercato rappresenta la vera energia rivoluzionaria che ravviva la quotidianità, tra consumo simbolico e microvittorie commerciali ed estetiche sul “vicino di casa”. Ad aiutare questo sviluppo creativo autoctono è il fatto che la forma del capitalismo di Luang Prabang non ha le sembianze invasive di un’acciaieria o di una miniera d’oro, ma quella della conservazione del patrimonio per l’industria turistica e ben si presta a costruzioni ideologiche nazionaliste ed identitarie. Non importa quindi da dove arrivano i materiali di costruzione o i fondi necessari per restauri, abbellimenti, ricostruzioni e conservazioni. E non importa se molti dei guadagni prodotti dipendono da rendite da posizione dominante oppure dal bassissimo costo del lavoro. Per ragioni di marketing e di profitto, la città viene tutelata e protetta non solo da certe forme antiestetiche di speculazione edilizia, ma anche da pensieri negativi sulla sua posizione cosmologica nella regione.
In questa prospettiva, le comunità di desiderio di Luang Prabang potrebbero avvicinarsi ad un’interpretazione destrorsa di “Capitalismo e Schizofrenia”, per cui la rivoluzione sembra dispiegarsi pienamente attraverso le forze di un capitalismo buono e giusto, che recinta le isole produttive e dispone sistemi di sicurezza intorno ad esse. Questa vittoria dell’economia di mercato si manifesta attraverso comunità di desiderio che creano esperienze produttive quasi archetipe e modelli di best practice da imitare. In un ipotetico continuum che rappresenta il nuovo capitalismo laotiano, troveremmo allora da un lato un vero e proprio elitismo hipster, sussidiato e biologico, e dall’altro forme di restaurazione del gusto nobiliare ed aristocratico di vecchi gruppi collaborazionisti con nuove ambizioni di potere. In mezzo al cammino si posizionano invece gli osceni tentativi del “Governo” di accaparrare risorse deturpando l’ambiente e censurando la creatività del desiderio. In questo modo il vecchio è tutto condensato su di un “capo espiatorio” che rinforza le spinte rivoluzionarie del capitalismo buono (1 e 2).
I tempi della memoria
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Già nel 2008 Marina Abramovich aveva proposto un’interpretazione delle difficoltose rielaborazioni dei processi storici e sociali che erano in atto a Luang Prabang. Nelle foto e nei testi prodotti dopo circa 4 anni di workshop e percorsi esperienziali sono raccolte diverse testimonianze di una certa rilevanza sull’incontro tra temporalità e memorie. Nel suo caso specifico, la Abramovich aveva mostrato con eccezionale forza simbolica come monaci buddisti ed esercito comunista cercassero spazi di coabitazione, sopportazione e comprensione reciproca. Vista la sua personale biografia, il suo partecipare all’incontro segnalava una via d’uscita estetica ai conflitti latenti della città dentro percorsi di pacificazione che parevano innovare visioni culturaliste più mainstream secondo le quali comunismo e spiritualità non potevano trovare spazi di convivenza.
Nei diversi testi però non si entra mai nel merito di alcune riscotruzioni storiche del periodo bellico laotiano in cui si mostra che il movimento anticoloniale contava nelle sue fila anche molti monaci buddisti che mantenevano posizioni politiche dal nazionalismo fino al marxismo. Molti guerriglieri Pathet Lao provenivano dai monasteri non per via di infiltrazioni comuniste ma per oggettivite condizioni di marginalità e perchè vi erano entrati per essere educati non potendo accedere alle più costose scuole dell’elite coloniale. Questo comunismo come movimento di liberazione anche spirituale è spesso dimenticato nelle rieleborazioni locali. Attualmente sono molti i buddisti praticanti a sgranare gli occhi pensando che dei guerriglieri provenissero dai monasteri. Se alcuni negano in toto che ciò sia veramente accaduto, altri ritengono quella scelta un errore, come se quei novizi non avessero compreso “la via” e si sottoposero a necessità contingenti che nulla hanno a che fare con il Buddismo. Tuttavia, vi sono prove sufficienti che dimostrano che in alcune zone del paese i monasteri divennero obiettivi militari delle forze collaborazioniste. Mentre in altre, come a Luang Prabang, furono storicamente uno strumento di rafforzamento del potere simbolico della monarchia.
Tra i lavori del progetto si possono leggere poi reinterpretazioni del passato coloniale francese che mostrano il lato accogliente della Colonia. Sottolineano le migliorie architettoniche apportate alla città e i diversi restauri proposti alla cittadinanza. Raccontano di quanto povero fosse il Laos e quanto costoso e non economico fosse il mantenimento dell’apparato amministrativo locale. Dirigono quindi l’attenzione verso una dominazione “illuminista” e non opprimente, selvaggia o razzista. Si omettono purtroppo molte altre storie come la prima guerra di Indocina e le tante testimonianze di diserzione che riguardarono i soldati della legione straniera. Cercano quindi di stabilire un ponte verso la trasformazione "positiva” di vecchie e nuove relazioni emozionali quanto commerciali, in funzione di un rinnovato incontro fra nazionalità e soprattutto fra le reti francesi e di rifugiati francofoni di ritorno in Laos e tutti gli altri. In questo lavoro di reinterpretazione della memoria, Luang Prabang emerge quindi nella sua potenzialità utopica di spazio di ricostruzione e convivenza della diversità. Tuttavia l’immagine prodotta sembra non riuscire pienamente a sostenere il peso del rimosso che contestualmente impone. Si apre necessariamente un “Fuori”, oltre le frontiere urbane, altrettanto vasto che partecipa dell’incoscienza della città. Qui sono confinati simbolicamente e silenziosamente i fantasmi del passato; quelli di una guerra civile protratta, troppo superficialmente analizzata dentro i parametri della guerra fredda, lungo le divisioni imposte dal comunismo e dall’anticomunismo.
Negli anni la costruzione del discorso sulla “fortuna e sulla bellezza di Luang Prabang” o sulla sua specialità nel panorama regionale si è inserita sul tagliio tra l’Isola UNESCO, dove risiede il patrimonio storico ed artistico da tutelare e rivalutare attraverso il turismo, ed il suo Fuori, fatto invece di povertà e di marginalità da assistere e prodotto delle inadepienze del “Capo Espiatorio”, il governo comunista. La jeep dei marine rimessa a nuovo aspira a posizionarsi quindi su di un rinnovato spazio di indefinizione tra questi poli. La sua presenza simbolica cerca nuovi significati attraverso i dispositivi dell’alterità messi a disposizione dal capitalismo globale. L’idea che la sostiene è sostanzialmente che anche il rimosso possa trovare una sua funzione commerciale ed essere trasformato da ricordo doloroso a materializzazione proficua e pacificante. Immagina quindi di poter liberare il soggetto dal trauma originario che è l’irragiungibilità dell’Oggetto ripulendo la Jeep del suo ricordo bellico attraverso una compensazione economica che ha le sembianze del mercato. Entrambe le operazioni che produce, quella psichica e quella materiale, avvengono attraverso una conversione monetaria che si interpone e media il passaggio da trauma rimosso a presa di coscienza addolcita (un pò come fanno le società petrolifere che compensano monetariamente per le devastazioni ambientali che producono alcune aree ma non altre). L’unico problema è che questa “liberazione di mercato” impone risorse finanziarie idonee. Chi non può accedere ai meccanismi della compensazione, deve allora trovare un lavoro salariato o capire come arricchirsi per non vivere più in un passato ormai ricordo sbiadito e troppo imperfetto, in cui la vittoria si è tramutata in sconfitta, e dove la città che perse ma si salvò, oggi è la vetrina della laotianità nel mondo.
I raid Pirata
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C’è però un’altra via in cui l’incoscienza del passato trova uno sviluppo dentro un’esperienza materialmente innovativa del tempo e di un divenire femminile  rivoluzionario che non riscopre la “Madre” per prendersi cura del Capitale durante le cicliche crisi economiche, ma sostiene relazioni produttive fondamentalmente egualitarie perchè così si sviluppano nella contingente comprensione e necessità dell’altro. Riguardano relazioni economiche che si fondano sulla condivisione di mansioni, rendite e spese in base alle disponibilità giornaliere, dentro luoghi e spazi disponibili per periodi di “prova” (se non propriamente occupati) che durano di solito un anno o poco più o poco meno. Non fanno ricorso o non hanno accesso ai sussidi della cooperazione allo svilluppo, di imprese metallargiche e di autotrasporti o minerarie e non contano sui salari delle catene di alberghi e ristoranti. Orbitano autonomamente intorno all’Isola UNESCO e solo marginalmente ne sfruttano le potenzialità economiche. Per questa ragione, durante l’attuale chiusura delle frontiere hanno continuato a produrre socialità e sostentamento per un numero probabilmemte maggioritario di persone rispetto a quelle sussidiate dai “programmi di aiuto” ufficiali. Durante la mia permanenza ho osservato molteplici realtà di questo tipo e frequentate diretttamente solo alcune. Riguardano una vasta gamma di attività economiche che aprono e chiudono in forma improvvisa per poi spostarsi e riaprire e richiudere ancora. Si tratta di attività economiche di vario tipo, da negozi per la vendita di frutte e verdure che provengono da mercati non regolamentati, a cucine economiche che aprono sfruttando reti di quartiere che evitano la loro proliferazione “di mercato” in modo da garantire sia prezzi bassi sia piccoli margini di guadagno. Mi riferisco anche ad alcuni negozi che prestano servizi come il tagliio di capelli o le manicure e ad alcuni centri per giocare a videogiochi online.
Un caso che ho seguito per circa 3 anni è quello di una famiglia di fruttivendoli ambulanti che dopo aver lavorato per lungo tempo in una zona della città a ridosso dell’Isola sono stati mandati via in seguito alle opere di riqualificazione dell’area. A trovare spazio nei nuovi negozi con affitti abbastanza costosi è stata invece una cooperativa di produzioni organiche di alcune realtà produttive locali sussidiate dalla cooperazione internazionale e un altro fruttivendolo che era già proprietario dello spazio. Nonostante moglie, marito, figli e famiglia allargata non avessero alcuna intenzione di andare via, sono stati costretti a lasciare la zona per alcuni mesi. La "Madre” tuttavia non ha abbandonato lo spazio ed ogni mattina ha iniziato a vendere non più frutta ma fiori decorativi per i monasteri. Dopo qualche tempo di continua presenza giornaliera in cui insieme a lei sulla strada si alternavano il marito, la cugina e la figlia maggiore, tutti insieme hanno poi rioccupato l’area adiacente che non era stata ammodernata e che rappresentava un fastidioso non-finito estetico nella bellezza della città. A distanza di un anno sono ancora fieramente lì a vendere frutta.
Potrei fare esempi analoghi, sia di occupazioni di terre per uso abitativo e commerciale sia di casi di sfratti forzati ma non necessariamente violenti spesso culminati con ricollocazioni accettabili per le parti in causa. Questa accettazione riguarda proprio un’attitudine a considerare l’occupazione temporanea in modo da sfruttare le potenzialità degli spazi finchè possibile. Se da un lato questo processo facilita la gentrificazione di alcune aree della città, dall’altra costituisce una specifica esperienza urbana che non può essere semplicemente intepretata dentro i parametri della sopravvivenza se non proprio dell’indigenza. Si tratta di vite urbane nomadiche che vivono l’aperto cogliendo opportunità e riducendo, grazie a dinamiche di solideriatà che si mettono in moto in forma quasi sponatena, le difficoltà delle ricollocazioni.
Certamente ci sono anche altre storie non di successo ma altrettanto degne e che riguardano, ad esempio, alcuni nuovi disoccuppati. Alcuni di loro hanno inziato a muovere i primi passi cucinando e preparando i pasti oppure tenendo i figli mentre la moglie lavora. C’è anche chi si dedica alle pulizie di casa. In un caso che conosco da vicino, quello di una sartoria, la nascita di un bambino ha impegnato solidalmente tutti gli impiegati a prendersene cura in modo da dare alla madre la possibilità di continuare a lavorare seppur a ritmi ridotti. Questo le ha permesso di ricevere lo stesso salario e di non avere preoccupazioni. Il posto di lavoro si è così trasformato in un piacevole spazio di convivenza e convivialità in cui il bambino ha imparato fin da subito a vivere tra la gente e ad ascoltare lingue diverse senza dover ricorrere ai costosi asili dell’elite cittadina e senza dover chiedere aiuto ai familiari che vivono in villaggi lontani. Questo tipo di pratiche sono decisamente più comuni e diffuse di quanto non si creda parlando della “povertà laotiana”. Soprattutto mi pare che costruiscano pratiche di socialismo reale in cui esigenze produttive e riproduttive si posizionano fuori dalle dinamiche di mercato dominanti e permettono di vivere oltre le differenze di genere, il piacere del “godi” che libera dalle dominazioni quotidiane. Sono pratiche femministe spontanee che non hanno il bisogno di un’agenzia per la cooperazione che educhi a relazioni paritarie in casa.
Tutte queste storie potrebbero essere inserite in un’appendice ideale di un libro recentemente pubblicato anche in italiano, L’Utopia Pirata di Libertalia. In questo testo, David Graeber desacrive come nel XVIII secolo, nel mezzo di traffici economici segnati dalla violenza e dal “colore dei soldi” siano sorte delle comunità spontaneamente egalitarie, durate forse poche generazioni, ma che misero insieme nuovi arrivati, come alcune navi pirata provenienti dai carabi in cerca di rifugio, e alcune popolazioni malagasce. Non vi sono archivi storici che ne confermino in maniera inconfutabile l’esistenza. Tuttavia l’elemento interessente riguarda il fatto che il racconto su di loro venne tramandato e raccolto dentro un genere letterario all’epoca molto in voga che trattava di pirati e pirateria non come predatori senza pietà ma come avventurieri capaci di vivere oltre i confini imposti dalle società retrograde da cui provenivano. In alcuni casi, dopo essere approdati ed essere stati accolti, pare addirittura che l’incontro con “gli indigeni e le indigene” abbia dato il via ad esperienze di democrazia diretta che non avevano precedenti sia nelle aree di arrivo, sia in quelle da cui erano partiti. L’esperienza di questi villaggi malagasci superò così i confini dell’isola fino a far ritenere che i salotti buoni della corte di Re Luigi XIV ne parlassero interessati. In qualche modo quindi parteciparono alla creazione dell’utopia socialista che avrebbe poi segnato il panorama culturale della rivoluzione francese prima e della comune di Parigi più tardi.
Nel caso di Luang Prabang però i racconti della resistenza non entrano nei report ufficiali di organizzazioni governative e non. Certamente non sono proposti come segno distitivo dell’esperienza di viaggio in città da parte delle agenzie turistiche. Al contrario sono spesso strumentalmente utilizzati per segnalare l’indecenza del “Capo Espiatorio”, il governo comunista, senza però cogliere che queste realtà sono tutte intorno alle isole produttive del nuovo capitalismo laotiano di cui fa parte chi critica il “Capo”. Mentre si guerreggia per il consumo più oculato o per  il SUV più nuovo, ci si dimentica che tra quelle genti più d’una ha ben chiara la cruda ironia di quella jeep. Non credo però siano in molte quelle tra loro che invochino il ritorno del “buon colonialista”.
Concludendo Un Tour Du Laos
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Foto: inniettandosi vaccini cinesi, serie “Prima gli Stranieri”
Sono così arrivato alla fine di questo viaggio di due mesi e mezzo circa a bordo di una bicicletta durante il quale mi sono sentito un eroe romantico che riscopriva il potere curativo della Natura e dei suoi spazi selvaggi. L'incontro con il suo corpo oscuro, maledetto, senza alcuna pietà e compassione è stato solo sporadico. In fin dei conti, ho navigato in un mondo di confine ma urbanizzato, aperto ma già recintato e reso accessibile. Ho così goduto appieno della ricerca del sublime perché ho viaggiato nell'ignoto "in sicurezza". Come scrive Bodei "quando scalo ripide e alte montagne, quando affronto la navigazione o i viaggi di scoperta in mari e territori sconosciuti [...] io misuro la mia capacità di resistere all'avvilimento e alle intimidazioni. Il sublime è quello sforzo titanico di rovesciare i rapporti di depressione [...]". In fin dei conti, il mio personale confronto con la Natura è terminato vittoriosamente. L’ho squarciata da nord a sud e poi circumnavigata attraverso i suoi passi più alti da est ad ovest a bordo di una bicicletta lungo un percorso di oltre 2500km. Recuperate le forze fisiche, i mini post su telegram, i video di Relive e tutto il resto mi sembrano ora tracce di una fuga che ha avuto successo ma che devo ancora imparare a riconoscere. Un lungo viaggio è per definizione una lenta presa di coscienza del proprio sé nel mondo. Che si tratti di una migrazione o di un’esplorazione, credo non faccia molta differenza dal punto di vista della coscienza. Tuttavia ora, nel ritorno alla scrivania, al tempo delle letture e del pensiero, delle pulizie di casa e del giardino e di tutto il resto che offre riparo dall'illimitato, quel sé mostra un altro aspetto, forse più malinconico ma non per questo da rifiutare. Fa tutto parte di quel “godi” di cui scrive Godani. Certo mi trovassi a condividere un magazzino con altre 30 persone che sono riuscite chissà come a passare la frontiera, la malinconia non avrebbe tempo di manifestarsi nella lentezza di queste giornate e probabilmente assumerebbe altre forme. Ma il mio viaggio è stato un ritorno che aspirava a una ripartenza, non era solo un andare. Attraverso il semplice movimento, la biciclettata aveva modellato la malinconia, una pedalata alla volta, dentro la ricerca quotidiana del sublime. Ora mi dedicherò ad altro per darle un’altra forma. Grazie per l’ascolto.
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lamilanomagazine · 10 months ago
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Emilia-Romagna, nuovo bando per l'Housing sociale, patto per la casa, riqualificazione degli alloggi Erp, fondo per l'affitto, oltre 80 milioni di fondi regionali dal 2020 ad oggi
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Emilia-Romagna, nuovo bando per l'Housing sociale, patto per la casa, riqualificazione degli alloggi Erp, fondo per l'affitto, oltre 80 milioni di fondi regionali dal 2020 ad oggi.  Bologna - Diritto alla casa. La Regione rafforza il proprio impegno per dare risposte alle fasce più fragili della popolazione,  sempre più in difficoltà a trovare risposte sul mercato privato e,  più in generale, a una domanda dell' abitare in crescita,  in un territorio fortemente attrattivo per motivi di studio, lavoro, turismo. Un esempio, solo l'ultimo in ordine di tempo, è il bando Social Housing 2023 che si chiuderà il prossimo 29 marzo. Rivolto a cooperative di abitazione e imprese di costruzioni, mette a disposizione 7 milioni di euro per realizzare alloggi da destinare alla locazione, all'assegnazione in godimento permanente o per un periodo minimo di 10 anni. Alloggi a canone calmierato per la cosiddetta fascia grigia, quelle famiglie cioè con un indicatore Isee fino a 35 mila euro, che non possono accedere all'edilizia pubblica. E da realizzarsi attraverso interventi di rigenerazione urbana, senza consumo di suolo, e con caratteristiche innovative per quanto riguarda le forme di gestione, in grado di favorire pratiche di condivisione e socialità. A fare il punto oggi a Bologna l'assessora alla Programmazione territoriale, Edilizia e Politiche abitative, Barbara Lori, in occasione del convegno Strategie per l'abitare, le risposte a vecchie fragilità e nuove complessità, con il quale la Regione ha chiamato a raccolta Comuni, Province, Città Metropolitana di Bologna, Anci e Acer, oltre ai rappresentanti regionali di Ance, Confcooperative Habitat, Legacoop, Sunia, Asppi, Confabitare. "Assistiamo a una domanda abitativa sempre più pressante, particolarmente diversificata e segmentata- ha spiegato Lori-. Le trasformazioni degli assetti familiari, le nuove forme del lavoro, la trasformazione delle città turistiche ed universitarie, richiedono nuove risposte a nuove esigenze e criticità, anche in termini di povertà emergenti. Dentro a questo quadro è fondamentale la collaborazione con gli Enti locali e con gli operatori del settore". Dal Patto per la casa: 4,6 milioni di euro per aumentare l'offerta di alloggi in affitto a canone calmierato, con benefici sia per i proprietari, che per agli inquilini. All'impegno sul fronte dell'Edilizia residenziale pubblica, grazie a 30 milioni di euro di risorse regionali che dal 2020 al 2023 hanno permesso di riqualificare e riassegnare quasi 1.400 alloggi pubblici. Ai 38 milioni di rifinanziamento del Fondo affitti per dare un contributo alle famiglie in difficoltà nel far fronte alle spese del canone di locazione nello stesso periodo. Lori ha sottolineato l'azione della Regione per la casa, ma serve, ha sottolineato : "Un rinnovato impegno del Governo a partire da un organico Piano per la casa, che auspico possa considerare anche le esperienze regionali, di cui questo Paese ha urgentemente bisogno, insieme al ripristino del Fondo per l'affitto e di quello per la morosità incolpevole". Il confronto con Istituzioni e associazioni Temi al centro della tavola rotonda del pomeriggio,  che sarà coordinata da Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma. Un confronto che coinvolgerà, tra gli altri, Emily Clancy (Comune di Bologna); Davide Agresti (Comune di Faenza); Leonardo Fornaciari (Ance Emilia-Romagna); Marco Galante (Confcooperative Habitat Emilia-Romagna); Massimiliano Manuzzi (Legacoop ER); Valentino Minarelli (SUNIA Emilia-Romagna); Francesco Lamandini (ASPPI Emilia-Romagna); Alberto Zanni (Confabitare); Michele Zazzi (Università di Parma). Tra gli interventi della mattina quelli di Lanfranco de Franco (Comune di Reggio Emilia e referente ANCI regionale); Marco Corradi (Acer); Ettore Brianti (Comune di Parma); Tamara Calzolari (Tavolo provinciale politiche abitative Modena); Sara Accorsi (Città metropolitana di Bologna).... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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