#nozioni
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come cazzo fai a dire che la legge di dio esiste ed è infallibile e sulla base di questo assunto riconoscere la piena legittimità di interi sistemi giuridici io davvero adesso spacco qualcosa
#cioè non da villain di serie d che vuole accentrare il potere su di sè con della propaganda spiccia ma intendo proprio la comunità#accademica e scientifica!!!#non è nulla di nuovo mica ho scoperto l’acqua calda ma sono costretta a leggere queste cose per procacciarmi cultura e nozioni utili#quindi lamentarmi è catartico
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ma non è vero porca troia basta parlare male della mia bibbia amatissima
#sono particolarmente infelice perché l'ho prestata a una mia compagna per l'estate e ora per un problema non me lo può ridare ancora per un#pezzo e quindi sto male ma ?????? quel libro è una benedizione dal cielo per i principianti come me 🙄 l'unica cosa che richiede è una certa#conoscenza di nozioni di grammatica di base cioè se ti spiega come si fa il complemento di specificazione in [] ma tu non sai cos'è il#complemento di specificazione.... 😑#ne parlano tutti malissimo e non è giusto#mi manca tanto
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I paradossi nacquero nel momento in cui qualcuno si accorse che c'era qualcosa di "anomalo" nel linguaggio a partire dalla nozione di "essere" (to on). Eraclito e Parmenide che avevano "scoperto" (o inventato?) questa nozione, si erano subito accorti che entrava in collisione con altre nozioni, e in particolare con quelle di "movimento" e "pluralità". Come sappiamo Eraclito accettò semplicemente la contraddizione che ne derivava, mentre Parmenide volle sbarazzarsene.
Il discepolo di Parmenide, Zenone escogitò a sostegno della sua tesi i noti "argomenti dialettici" di Achille e la tartaruga, dello stadio, della freccia, i quali servivano sostanzialmente a mostrare che, se si mantiene che l'essere è unico, ed è identico a sé stesso, ogni concessione fatta al movimento e alla pluralità diventa contraddittoria. Per esempio:
"Un segmento di retta si può dividere all'infinito: lo si dimezza, poi si dimezza la metà che si è ottenuta, e così via, senza fine. Dunque il segmento deve essere formato da un numero infinito di parti. Ma quale è la lunghezza di queste parti? Se è zero, allora il segmento non ha lunghezza, dunque non esiste; se la lunghezza è superiore a zero, per quanto piccola sia, il segmento avrà una lunghezza infinita, dunque non sarà un segmento. Di conseguenza: il segmento sarà inesistente, o non sarà un segmento".
La C (contraddizione) per Zenone si eliminava, molto semplicemente, eliminando una premessa (RAA)* cioè suggerendo che il segmento non ha parti, poiché l'essere è unico e indivisibile.
Sembra che Eubulide, l'inventore dei più classici paradossi della nostra tradizione, avesse gli stessi obiettivi: il suo scopo però non era mostrare che solo certi concetti, come il movimento o la pluralità erano difettosi; si trattava invece di far vedere che tutto il linguaggio comune, espressione della doxa, doveva essere ridotto all'assurdo.
Certo, se non si vuole stabilire che nozioni così utili come il movimento e la pluralità o in generale tutto il nostro modo normale di lavorare con il linguaggio debbano essere eliminati, la contraddizione rimane, e richiede interventi di tipo diverso.
* reductio ad absurdum
-F.D'Agostini (Paradossi)
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Probabilmente è valido anche per altri settori però ci sono alcuni campi tipo la modellistica meteorologica, la biologia riproduttiva, l'informatica o le amministrazioni locali in cui dopo un certo numero di ore passate ad acquisire nozioni per risolvere un problema uno smette di interrogarsi sulla causa del problema specifico e inizia a chiedersi come faccia di preciso a funzionare tutto quello che apparentemente sta funzionando.
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L’allarme nel 58esimo Rapporto annuale: «Rischio di frammentazioni nella spirale della costruzione di rigidi confini identitari». Profondi buchi di conoscenza in tutte le fasce d’età. Il 15 per cento della popolazione crede che l’omosessualità sia una patologia con origini genetiche. Quasi un italiano su due si sente minacciato dai migranti. E molti pensano che per essere italiani «occorra esibire determinati tratti somatici»
Quasi il 40 per cento della popolazione italiana si sente minacciata da chi vuole facilitare l’ingresso in Italia dei migranti, mentre un cittadino ogni cinque avverte ostilità nelle persone che professano un’altra religione, hanno un’etnia diversa, un colore della pelle differente.
E ancora: il 30 per cento delle donne o degli uomini italiani considerano come proprio nemico chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale, invece un italiano ogni dieci dimostra inimicizia nei confronti di chi ha un orientamento sessuale diverso.
I dati diffusi dal 58esimo Rapporto annuale sulla situazione sociale da parte del Censis «rivelano il pericolo che il corpo sociale finisca per frammentarsi dentro la spirale attivata dalla costruzione di rigidi confini identitari, in cui le differenze si trasformano in fratture e potrebbero degenerare in un aperto conflitto».
A complicare il quadro è l’indebolimento del ceto medio, «che rende oggi il paese non più immune al rischio delle trappole identitarie».
La «fabbrica degli ignoranti»
È l’allarme lanciato dal più prestigioso istituto di ricerca economica e sociale del paese, fondato nel 1964 da Giuseppe De Rita, Gino Levi Martinoli e Pietro Longo, ma non è l’unico. Anzi. Nella fotografia scattata dal Censis c’è grande spazio per quella che viene definita “La fabbrica degli ignoranti”.
Si tratta della descrizione di una società in cui una buona parte della popolazione che la compone pensa che per essere italiani «occorra poter esibire determinati tratti somatici, dove la cittadinanza è pensata come una identità cristallizzata e immutabile, con inconfondibili radici primigenie, che tra i suoi fattori costitutivi comprenderebbe la diretta discendenza da italiani e anche l’essere di fede cattolica», si legge nel rapporto.
Nello stesso documento, però, viene fuori che è anche quella stessa società che non riconosce più le proprie origini storiche e culturali: «Si palesano profondi buchi di conoscenza in tutte le fasce di età anche in relazione a nozioni che si sarebbe tentati di dare per scontate».
E qui il titolo di studio o la condizione sociale non c’entra. Perlomeno non direttamente. Ma è un fatto che la metà della popolazione ignori che Benito Mussolini sia stato arrestato nel 1943 e che un italiano su quattro pensi che Giuseppe Mazzini sia stato un personaggio politico della prima Repubblica. D’altronde, uno su tre non conosce l’anno dell’Unità d’Italia, mentre il 28,8 per cento tra gli intervistati dal Censis ignora quando sia entrata in vigore la Costituzione.
Fotografia
E poi il quadro impietoso tratteggiato dall’istituto di ricerca si aggrava, man mano che si considerano altre nozioni basilari, dalla letteratura italiana alla grande storia mondiale: la metà della popolazione italiana non conosce l’anno in cui è scoppiata la rivoluzione francese o quando l’uomo è sbarcato sulla Luna. E, per molti di loro, Richard Nixon è stato un grande calciatore inglese e Mao Zedong è conosciuto come l’uomo più anziano al mondo.
Si ignorano poi in percentuali altissime: Dante Alighieri, Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli, Giuseppe Verdi, Giacomo Leopardi, Eugenio Montale (per il 35 per cento è stato un autorevole presidente del Consiglio dei ministri degli anni ’50), il capoluogo della Basilicata, la capitale della Norvegia, le tabelline e la differenza tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Ma in quest’ultimo caso, forse, siamo oltre le conoscenze basilari necessarie, in considerazione del fatto che oltre la maggioranza degli aventi diritto non si reca più alle urne.
E, tuttavia, «sono dati che per molti italiani pongono il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire che lasciano prevedere una condizione di ignoranza diffusa anche nel prossimo futuro, quando le attuali giovani generazioni entreranno nella vita adulta e dovranno occupare posizioni di rilievo e responsabilità», scrive il Censis. Citando ancora, tra le risposte fornite dagli intervistati, pregiudizi antiscientifici e stereotipi culturali di questo tipo: «Attraverso la finanza gli ebrei dominano il mondo»; «L’omosessualità è una patologia con origini genetiche»; «Islam e jihadismo sono la stessa cosa».
D’altronde, ordini di discorso che capita di ascoltare, talvolta, anche in alcuni salotti televisivi e talk show, e perfino, sempre più spesso, in alcune sedi istituzionali.
L’altra indagine con Coldiretti
«Braccia rubate all’agricoltura», avrebbe recitato a tal proposito un vecchio adagio, se non fosse che, proprio da un’altra recente indagine condotta dal Censis insieme a Coldiretti, è emerso che in «un’epoca di crollo della fiducia nel sapere, nelle competenze, nelle capacità professionali e nell’operato degli attori dei vari settori economici, gli agricoltori sono riusciti a costruire un proprio specifico capitale di riconoscimento capovolgendo una pericolosa tendenza socioculturale che voleva imporgli un marchio di passatismo, di antico, di desueto».Dunque, se un tempo l’agricoltura veniva culturalmente tacciata di essere il passato, cioè un mondo destinato a sparire, oggi è sulla frontiera più avanzata dell’innovazione sociale. Peccato soltanto che la maggioranza degli italiani, invece, guardi indietro e, con essa, la gran parte della classe dirigente che detiene oggi il potere, politico ed economico.
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Ciao, scusa il disturbo. Non ti seguo da tanto quindi ho molto rimuginato sull'eventualità di mandare questo messaggino, tuttavia ho deciso di farlo, per ringraziarti, perché il tuo blog mi sta facendo davvero compagnia. Ora che mi trovo in un periodo nero come non mi succedeva da fin troppo, e mi trovo a spendere su questo sito assai più tempo del dovuto, poter leggere i tuoi pensieri, non importa quanto profondi o limati, mi aiuta davvero a sentire meno gravosa la solitudine; e ora che il solo sentire parlare d'università mi fa mancare i sensi, e ci perdo appresso il sonno e le lacrime, leggere della quotidianità di qualcun altro, pur distante, tra relatori, magistrali e dottorati, mi spinge a dire che ce la devo fare anch'io, e fiorisce in me un po' di conforto. Anche se mi sembra estremamente invadente, ti mando un abbraccio virtuale e ti auguro tutto il meglio per il futuro, credo fermamente che la tua tenacia e la tua passione saranno fruttuose :)
mi sento quasi in colpa dopo aver scritto un post così “incazzoso” dei miei (se non perdi la pazienza prima imparerai a conoscermi anche in queste vesti) a ricevere un messaggio così carico di calore umano. Non credo di essere un modello di riferimento da alcun punto di vista – anche perché mi arrangio per sopravvivere e già questo è sufficiente a squalificarmi dal ruolo – ma credo invece che in qualunque momento della vita le fonti di conforto possano avere le provenienze più insospettabili, naturalmente anche quando non sono intenzionali. Per cui ti ringrazio di esserti manifestata. Non ti lascio con una bella perla di ipocrisia alla “tutto si risolve per il meglio”; sono la prima a non crederci più. Però ti posso dire per esperienza personale che se ti piace studiare, indipendentemente da voti, figure competenti cui tocca valutarti e istituzioni, puoi farne uno strumento per mantenerti a galla. Te lo dico da persona che non ha sfiorato la morte ma quasi e in quasi tutte queste terribili circostanze, quando ne ho avuto le forze, mi sono ancorata o all’atto di studiare (anche solo venti minuti al giorno nella peggiore delle ipotesi) o a quanto già appreso e alla seconda pelle di cui averlo fatto mi ha corazzato. Più nozioni (ma, mi sento di dire, soprattutto metodo) riesci a incamerare e più, anche nei momenti nerissimi, ti ci puoi aggrappare. Se è qualcosa che ti piace e che stuzzica le tue attitudini francamente è anche meglio. Grazie per questo bellissimo messaggio che considero a pieno titolo un regalo di Natale e, a mia volta, un appiglio, una forma di compagnia per nulla immateriale da ripetere in mente come una nenia rincuorante di altri tempi, cantata da una voce femminile e materna. Per cui l’abbraccio virtuale è ampiamente ricambiato. E grazie non da meno per gli auspici, che terrò nel cuore.
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Una bella seccatura!
– È una bella seccatura, – esclamò Edoardo, – che ai nostri tempi non si possa piú imparare niente che duri per tutta la vita. I nostri vecchi si tenevano fermi alle nozioni che avevano ricevuto in gioventú; ma noi ora dobbiamo ricominciare da capo a imparare, ogni cinque anni, se non si vuol restare completamente fuori moda.
W. Goethe, [Die Wahlverwandtschaften, 1809], Le affinità elettive, Torino, Einaudi, 2014 (la prima edizione di Einaudi è del 1943) [trad. M. Mila (*)]
(*) La traduzione fu realizzata durante il periodo di reclusione nel carcere di Regina Coeli, dove Massimo Mila fu rinchiuso nel 1935 per 7 anni, su condanna del Tribunale Speciale per attività antifascista.
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Questa tua saggezza mi fa eccitare, sappilo. Il ciclo circadiano me lo sconvolgi ancora di più.
:)) chi l'avrebbe mai detto che le mie nozioni endocrine si sarebbero rivelate essere la mia arma di seduzione
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(Le cose che sto imparando traducendo un racconto se volete anche semplice come il Canto di Natale, e ancora di più traducendo l'Ulisse, che è libro enciclopedico per eccellenza; nozioni storiche, modi di dire e di pensare, ricette sconosciute, ecc. ecc. Ho riscontrato una certa somiglianza anche tra le feste di Natale di Dickens e la festa di compleanno di Bilbo, certe frasi, certi moduli letterari comuni agli scrittori anglosassoni, addirittura affinità stilistiche tra Joyce e Tolkien, come per esempio un comune gusto per le filastrocche, per le canzoni che si traducono in infinite litanie di versi, quel gusto per lo stornello dopo un bicchiere di vino, di birra o di una presa di erbapipa. Gli inglesi si assomigliano tutti, forse è una roba che viene da Shakespeare, o forse son come gli italiani quando cadono nel cliché della moka sul fornello)
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Se pensavate che con i tappi legati alle bottiglie di plastica l’Unione Europea avesse toccato vette inarrivabili, beh, vi sbagliavate. Evidentemente non vi eravate ancora imbattuti nel corso per imparare a diventare drag queen. Proprio così, un vero e proprio campo estivo riservato ai ragazzi tra i 14 e i 17 anni.
Dieci giorni di full immersion durante i quali viene loro insegnato a «esplorare il proprio alter ego», a «imparare nozioni riguardanti la storia queer e l’identità di genere» e soprattutto a «diventare attivisti Lgbt». E non finisce qui, perché quelli del campus hanno pensato proprio a tutto, anche all’aspetto pratico della faccenda. Nella descrizione dell’evento - che si terrà a Girona, in Spagna, dall’1 al 10 settembre - si legge che tra gli obiettivi del corso c’è anche quello di «imparare alcune abilità relative all’arte del drag che possono anche supportare future opportunità di impiego». Una sorta di alternanza scuola-lavoro in salsa gender. Ancora. Il campo estivo è riservato «a 30 giovani, 10 leader di gruppo e 4 facilitatori».
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Il compito di un insegnante
Il compito di un insegnante non dovrebbe essere esclusivamente quello di trasmettere una serie di nozioni. Io penso debba mostrare all'alunno la direzione che dovrà percorrere con le sue gambe. E aiutarlo a capire quali sono le sue particolari capacità personali. Soltanto così può sperare di crescere. A quanto pare, è una cosa che i presunti docenti di Amici non sono capaci di fare. Fanno entrare un allievo, poi a un certo punto gli dicono: non sei più quello che eri all'inizio, non vedo miglioramenti né risultati. Eh, ma se non lo aiutano a capirsi, sarà un po' difficile che questi ragazzi trovino la propria identità artistica. Comodo mollare uno perché si è stati in grado di mostrargli la direzione giusta. La colpa viene sempre data a questi ragazzi, che vanno giustamente in confusione. Perché vedono cacciati quelli che qualcosa sanno anche fare e tenuti quelli che non possiedono alcun talento. Un allievo va aiutato e incoraggiato. Non preso per il culo.
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"Il vero male del mondo" disse Carlo al fantasma di Umberto Eco "è uno e uno soltanto: l'ignoranza!".
"In realtà è la semi-ignoranza" chiosò il professore.
"Che intendi dire?"
"Intendo dire che una sana e completa ignoranza non crea danni.
Ad esempio, quando ero in vita e vivevo nella mia casa di Milano, non ne sapevo nulla di impianti elettrici ed ero completamente privo di nozioni sull'argomento.
Perciò, consapevole della cosa, mi affidavo completamente al mio elettricista.
Questo perché l'ignoranza totale è accompagnata anche dal timoroso rispetto dell'argomento ignorato, e di conseguenza dall'umiltà.
Se invece avessi letto al tempo due o tre manuali e, convinto di aver assimilato il sapere, mi fossi messo in testa di farmi l'impianto elettrico da solo, probabilmente avrei dato fuoco alla mia biblioteca di inestimabile valore."
"Quindi mi stai dicendo che una conoscenza approssimativa è più dannosa rispetto a una totale ignoranza?"
"Esattamente, soprattutto se associata ad un'altra caratteristica molto comune."
"Sarebbe?"
"La coglionaggine."
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C'è la vita che viviamo, e poi ai lati ci sono spazi immensi, nei quali non mettiamo mai piede.
Perché?
Perché ci costringiamo a rinchiuderci nello spazio angusto e breve delle nostre abitudini mentali e della nostra pigrizia intellettiva?
Perché non preferiamo fare un passo da parte, rompere il sentiero battuto, cambiare direzione e prospettiva? Perché non vogliamo mai lasciare il gregge?
Io lo faccio fin da bambino, allenato e spronato dai nonni materni che ho avuto.
Uscire sotto la luna, nel giardino-cortile dei nonni. È così che ho sfidato fantasmi e incubi notturni. Quelli stessi che si affollavano nei miei sogni inquieti. E così ho iniziato a farlo nonostante la paura del buio, per sfidare il mio stesso panico, il disorientamento che ti da l'oscurità, il cuore in gola per i rumori sospetti al di lá della siepe.
E crescendo mi sono ritrovato sul terreno dei margini, dei bordi, con l'intenzione di sfidare i limiti, con pensieri insoliti e ribelli.
Il mio approccio alla poesia ha sempre avuto questa qualità rischiosa. Il rischio di non essere compresi.
Perchè dentro di me, abitava il desiderio di un’esperienza diretta, personale, tattile, quotidiana e travolgente.
Perché mi importava cosa arrivava e di come si sentiva la mia pelle. Di persona.
Era il desiderio di scoprire terre incolte, angoli sparsi, limiti e contorni, come se stessi accarezzando il mondo e, attraverso questo atto, ricrearlo daccapo!
Mi ha sempre attanagliato la curiosità, il bisogno di stare attento e di sperimentare in prima persona, evitando nozioni teoriche e astratte. Mi sono concesso il privilegio di scoprire l'universo come lo guardassi per la prima volta.
Occhi innocenti e mente da esploratore!
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La scuola è ormai ricominciata e tra qualche giorno finisce un'altra estate anche per il calendario.
Davanti a noi un nuovo anno col suo carico di impegni, soddisfazioni e frustrazioni.
Io, dal canto mio, cercherò come sempre di fare in modo che il tempo che passerò con i miei alunni possa risultare significativo e memorabile tanto per loro quanto per me.
E mi auguro che riusciremo anche a divertirci ed emozionarci, ogni tanto, magari pure spesso, ma senza mai perdere di vista l'acquisizione di fatti, nozioni e strumenti per capire e cambiare noi stessi e il mondo di cui siamo parte integrante e osservatori esterni.
Per come stanno andando le cose, c'è molto da fare. E bisogna arrivarci preparati e capaci di lavorare insieme.
______________
L'illustrazione che ho scelto quest'anno è un olio su tavola del 1927 di Felice Casorati.
Si chiama "Gli scolari" ed è conservato nella Galleria Civica d'Arte Moderna di Palermo.
L'ho scelto per la sua aria rarefatta e un po' misteriosa e per la sua sospensione tra antico e contemporaneo, che ci fa interrogare su come sarà questo nuovo anno di formazione scolastica in un mondo che cambia in fretta.
E poi mi piace molto quel ragazzino in primo piano che ci fissa negli occhi, la ragazza con le trecce concentrata in un suo pensiero e l'insegnante che li osserva di sbieco come colta di sorpresa da una foto scattata prima di quanto lei si aspettasse.
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Questa mattina comincerò a usare il Palo Santo. Si d'accordo visto il tenore degli eventi della mia vita, l'uso del Palo Santo potrebbe prendere anche la via di Sodoma. Ho già resistito ai veti dati dalle nozioni scientifiche e naturalistiche della mia vicina, testimone di Geova e accanita ecologista, nonché mia spacciatrice ufficiale di marmellate e confetture, del fatto che incensi & C. producano CO2 in un ambiente chiuso pari a venti sigarette. Le ho detto che morirò da eroe. Del resto non mi aspetto nulla di più. L'altro giorno ho voluto omaggiare la data di compleanno di mio padre portandogli dei fiori sulla tomba. Delle rose in particolare, camminando davanti alla Parrocchiale e ricordandomi che mio padre ha trascorso buona parte della sua vita a Messa, ho pensato fosse cosa gradita entraci e spargere sui petali dell'acqua Santa. Si lo so una mossa da paraculo la mia, una mossa con l'intenzione di rabbonire anche l'Onnipotente.
Non ha funzionato. Anzi. Qualcosa è andato storto e ai piani alti qualcuno s'è pure incazzato di brutto. Così con una telefonata ricevuta dopo in paio d'ore, l'equilibrio della sofferenza e sfigaggine della mia esistenza è stato ristabilito. Più che Yin e Yang mi darei al Gin e Rum, che il Chakra e il Karma si sono persi sulla ruota che gira, a bordo del treno che passa una sola volta. Mentre io ero col naso all'insù ad ammirare nuvole che prendevano forme di parolacce. Sicuro.
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NATALE TRISTE? LEGGETE HANNAH ARENDT E CAMBIERETE IDEA …
di Filippo La Porta
Cosa augurarsi a Natale? E perdipiù se si tratta di un Natale mogio, triste, desolato?
In questi casi occorre rivolgersi alle donne, al pensiero femminile, che anche nella sventura non si arrende mai del tutto alla disperazione, non cede al nichilismo di maniera oggi dominante. In questi giorni ho letto alcune straordinarie pagine di Hannah Arendt dedicate al tema della “natalità” (curiosamente poco valorizzate anche nella lettura di importanti studiose della Arendt: forse portano verso un argomento sdrucciolevole come quello della maternità), che mi sembrano particolarmente adatte all’attuale ricorrenza. “Natalità” è una delle nozioni centrali nel suo pensiero, accanto a “agire di concerto”, “pluralità” e “banalità del male” (attraversa l’intera sua opera ma viene tematizzata soprattutto all’inizio di Vita activa. La condizione umana, del 1958)
Per lei nella tradizione culturale occidentale si è sempre messo l’accento sull’essere umano come un “mortale” (per i greci “mortale” era sinonimo di “umano”) e non come un “natale”, preferendo aggettivarci luttuosamente, «mai nobilitando il nostro inizio». Un pensiero semplice e geniale, che ribalta una intera tradizione. Anche perciò la Arendt è sempre stata guardata con diffidenza dai filosofi “professionali”: va bene che le sue nozioni non sempre sono enunciate in modo rigoroso, ma sempre ci colpiscono per la loro abbagliante verità.
Dunque, l’essere umano è colui che “comincia” – sua prerogativa esclusiva nel regno dei viventi – , che nasce e perciò fa nascere (questa sequenza logica non è totalmente evidente e la Arendt non la argomenta abbastanza), in ciò emancipandosi dalla ripetitività della materia. Questo ci riporta alla concezione della politica di Hannah Arendt. In essa gli uomini si affermano – orizzontalmente – come soggetti liberi, che si uniscono per condividere un mondo comune e soprattutto per creare – non più in balia della necessità – qualcosa di nuovo e di imprevedibile, e che certo sempre comporta dei rischi (tanto che sembra che l’umanità contemporanea si allontani da ogni “mondo comune”, percepito come conflittuale, per isolarsi nel privato e nelle simulazioni del mondo). Si tratta di una accezione non convenzionale della politica, la quale non si occupa di istituzioni né aspira anzitutto a prendere il potere, ma è agire di concerto (sia singolarmente che pluralmente) per un nuovo inizio, per mettere in atto un processo, sapendo beninteso che poi questo processo sfuggirà in parte al mio controllo. Non tanto cambiare il mondo quanto cominciare qualcosa. In ciò la politica, nella terminologia arendtiana la dimensione dell"agire”, diversa a quella del “lavorare” e del “fare” – si svela come mero prolungamento di un’attitudine che tutti abbiamo dalla nascita (ed è legata alla nostra stessa nascita come nuovo inizio, come pure osservava un’altra grande pensatrice del secolo scorso, Maria Zambrano, per la quale la luce aurorale, diversa dalla luce a mezzogiorno che fissa le cose pietrificandole, è appunto sorgiva): attitudine – radicata nel mistero della natalità stessa – a cominciare qualcosa, a emanciparsi dalla ripetitività della natura, a non appiattirsi sull’esistente Si dischiude qui uno spazio di libertà, di libero agire, dato che l’essere umano non è un prodotto né è interamente condizionato dalla materia, dai suoi bisogni di sopravvivenza, ma si definisce attraverso quell’essere insieme ( e nuovo cominciamento) che è scopo della politica.
Sì, la politica fa nascere qualcosa: nella polis si nasce e si inizia, la nascita stessa è la base della cittadinanza.
La natalità diventa per lei la chiave di lettura del nostro esserci, del nostro essere nel mondo – così come per il grande e vacuo retore Heidegger che fu suo maestro era invece l’essere-per-la morte: natalità come possibilità di un nuovo inizio, come amore per il mondo e per i nostri simili (che a lei proviene dalla lettura di sant’Agostino: la caritas è legata al mondo come pluralità), come fedeltà alla realtà delle cose nel loro continuo accadere, e infine come «gratitudine per il fatto stesso di essere nati». Adoro Céline, ma va quantomeno bilanciato con la Arendt. E “Amor mundi” si sarebbe dovuto intitolare il suo libro più celebre, Vita activa: amore per il mondo, amore per la varietà infinita delle sue apparenze, per il «puro valore spettacolare delle sue vedute, dei suoni, degli odori, qualcosa di pressoché dimenticato negli scritti dei pensatori e dei filosofi» (La vita della mente).Già, pensate solo al mainstream della cultura novecentesca, e al suo disprezzo gnostico per il mondo.
Potreste anche non essere d’accordo con la Arendt, e giudicarla una inguaribile ottimista. Ma vi voglio vedere ad augurare a qualcuno: “Buon Mortale”!
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