#non una grande serata
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Attualmente piangendo per la sposa cadavere
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Tema: l’esperienza sessuale che vorrei rivivere
Svolgimento:
Qualche hanno fa conobbi, su un sito di incontri, Giorgio, uno psicoterapeuta
Lo incontrai reticente, ma dopo 2 ore passate con lui ero già convinta su come dovesse andare la serata
A parte l'oggettiva bellezza, di sicuro il suo lavoro, lo aiutava a rendersi interessante e affabile
Se aggiungiamo poi che il suo campo è la sessualità e le parafilie, bè... Con me, aveva pane per i suoi denti
La faccio breve: scopammo in macchina, nel parcheggio di piazza della Repubblica, a Porta Palazzo
Nei giorni successivi scoprii che era sposato e con una "lolita" come amante
Chiacchierando mi confidò di avere un amico dai tempi dell'università, anche lui psichiatra e complice di giochi spregiudicati e deontologicamente inappropriati
Ma vabbè!
Mattia, l'altro Doc, si accupava di disturbi alimentari
Considerando le mie inclinazioni sessuali e il mio passato da grande obesa (e annessa bulimia) devo aver pensato che fossero la coppia giusta per me
Mi convinsero ad incontrarli insieme e così feci, una sera di fine Agosto
La sera fu una figata, perché seduti ad un tavolino in pieno Quadrilatero, giocammo a rimbalzarci provocazioni
Mi facevano aprire le gambe, scostare le mutandine per fargliela vedere
Bevevano il loro drink facendomi sentire al centro di tutto
Erano eleganti, entrambi belli e affascinati ed io rapita dal loro modo di fare
Una coppia ben collaudata ed entrambi consci delle proprie potenzialità
Sapevo che c'era una camera d'albergo che ci attendeva e il cerchio si sarebbe chiuso con un triangolo perfetto
Prima però mi costrinsero a corteggiare la cameriera, giovane e carina, per portarcela in camera con noi
Le congiunzioni stavano andando esattamente come volevamo e, carichi come molle, pregustavamo la nottata che ci attendeva.
Poi, a Giorgio, è arrivata una telefonata
La sua amante, impazzita di gelosia per non so quale motivo, aveva pubblicato, per ripicca su fb, qualcosa che lo metteva in relazione con lei e, la moglie, era venuta improvvisamente a conoscenza di cose che probabilmente avrebbe preferito non sapere!
Sotto gli occhi di tutti, tra l'altro.
Insomma un puttanaio.
Io mi sono ritrovata con un uomo fuori controllo che urlava al telefono per le vie di Torino e un altro eccitato come un riccio, pronto a buttarlo ovunque.
Li ho caricati in macchina e abbandonati in Piazza Castello, con la promessa di risentirci
Ma indovinate com'è andata?
Niente, nella mia vita è entrato l'uomo del deserto e piano piano mi sono dedicata a lui.. Poi vabbè, il covid, l'Afghanistan, l'Oreste come un'ombra nella mia vita, hanno mandato tutto nel dimenticatoio
Giorgio mi ha riscritto un paio di volte, ma vederlo così turbato e incapace di gestire quella situazione, mi fece ricredere su di lui
Non basta una laurea in psichiatria per saper restare centrati e non mandare in merda la propria vita!
Se poi ti scopi delle schegge impazzite di 18 anni...
Cmq.. Per rispondere
Io vorrei viverla/riviverlo (MMF) una situazione a tre, come quella
Mi manca, tra le esperienze fatte..
—___--
l'ho scritto di getto nel bagno dell'ufficio, non ho corretto, non ho riletto
Perdonate errori e strafalcioni 😉
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Potevo avere 5 anni. A quel tempo eravamo soliti trascorrere le feste natalizie da alcuni zii, la cui casa in campagna diventava allora accogliente rifugio per parenti e amici. Portavo sempre con me un pupazzo a farmi compagnia, dato che i miei cugini, ormai adolescenti, avrebbero certo mal sopportato l'idea di giocare assieme. Ricordo ancora chiaramente quel pomeriggio: la sera saremmo stati dai miei zii come di consueto ed io mi sarei malannoiato fra i bigi discorsi degli adulti, urgeva perciò la Selezione.
L'ambita Selezione avveniva per eliminazione diretta in scontri 1 vs 1. Ogni pupazzo s'affrontava in una moderna rivisitazione delle giostre medievali, allo scopo di conquistarsi il mio cuore. Come sempre accade, anche quel torneo era palesemente truccato, sicché alla fine trionfavano sempre gli stessi. Fra i grandi campioni, la più avvezza alla vittoria era senza dubbio la Pantera Rosa, un vecchio pupazzo che mi portavo sempre dietro, ovunque andassi. Dopo averla portata in trionfo quel pomeriggio, le promisi che ci saremmo divertiti, sarebbe stata una grande serata. Non sapevo, ahimè, che per noi sarebbe stata purtroppo l'ultima. Il mio giocarci difatti, a quell'età, trovava massimo sfogo nel lanciar in aria il malcapitato pupazzo, raccoglierlo per poi reiterare il gesto ad libitum. Uno di quegli sciagurati lanci però mandò la pantera talmente in orbita da farla finire dietro un'enorme e inamovibile credenza. A nulla valse piangere e disperarsi, la povera pantera restò lì (con sadico compiacimento di tutti gli astanti). Ricordo ancora il malinconico struggimento di quei giorni densi di colpa e mortificazione, le penose richieste e la perenne risposta ("Quando faremo pulizia"), i piani perversi studiati in dormiveglia per infiltrarmi in casa loro e riprendermi la pantera e il languido desiderio che mi s'accendeva a ogni fiera di paese, quando scorgevo fra i premi del tiro a segno un pupazzo simile a quello tanto amato e perduto.
Sono passati trent'anni, dico d'aver dimenticato, ma una parte della mia infanzia è rimasta sepolta lì, dietro quella credenza, dove ho smesso definitivamente di credere agli adulti e ho imparato cosa vuol dire perdere qualcuno o qualcosa senza potergli dire addio. O almeno credevo, perché l'altro giorno chiama mia zia per dirci che finalmente, dopo trent'anni, hanno fatto pulizie e spostato la credenza, trovandovi "un giochino di quando Giuseppe era bambino, non so se se ne ricorda ancora..." Ah, zia ingenuotta! Non pensavo che questo giorno sarebbe mai arrivato, così sulle prime ho pensato, "chissà se mi riconoscerà dopo tutto questo tempo..." "del resto anche casa nostra è cambiata, spero non si senta a disagio". Siamo andati a prenderla la sera stessa, era tutta sporca, molto più piccola di quanto ricordassi, orba d'un occhio (non oso immaginare cosa deve aver subito in questi trent'anni di prigionia) e con un aspetto decisamente vintage, ma ora è di nuovo a casa. Mia madre era convinta che dopo anni d'oscurità e polvere, si sarebbe sbriciolata dopo pochi minuti al sole, invece sembra reggere ancora. Dopo averla lavata a fondo, oggi l'ho potuta finalmente riabbracciare come quell'ultima volta trent'anni fa e ho un po' pianto. È stato come riabbracciare quella parte di me che credevo perduta per sempre.
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Sei l'amico che avrei meritato.
Sai qual è una cosa divertente?
Che se io dovessi chiedere all'intertumblr di definirmi in ask cosa sia un amico (o un'amica) difficilmente avrei due risposte che si somigliano.
Questo perché - come in qualsiasi rapporto emotivo - con la persona che ci è amica giochiamo al ping-pong del fraintendimento conoscitivo, durante quel lunghissimo periodo (una serata o una vita intera) in cui pian piano scopriamo nell'altro una risonanza o una dissonanza da noi.
Ma, esattamente, cosa chiediamo a quella persona?
Di solito gli si chiede di divertirsi insieme a noi.
Poi ci si aspetta di essere consolati quando non ci si diverte.
Infine si contraccambia.
Ecco, il primo è il secondo punto sono le costanti di ogni rapporto umano perché umano è il mettersi al centro di ogni interazione con l'altro
però
è la reciprocità la base di un rapporto duraturo perché anche se è vero che in ogni coppia c'è sempre qualcuno che ha più bisogno dell'altro, questa asimmetria, se non compresa e non ragionata, non può che portare a una frattura... può darsi da parte della persona che esige sempre di più e che al diniego dell'altra si sente tradita, può darsi della persona più disponbile che a un certo punto si rende conto di essere solo utile a senso unico.
Reciprocità e non univocità.
Condivisione e non esclusività.
Consenso e non scompenso.
Non solo io ma noi... e se hai bisogno anche solo tu. Poi magari io ma subito dopo ancora noi.
E il Grande Burattinaio sempre ci risparmi la pantomima del 'tradimento dell'amico'.
La maggior parte delle volte si è tradito noi per primi attribuendo all'altro qualcosa che volevamo noi e che lui non poteva essere o dare.
E soprattutto, signore e signori della giuria, SENSO DELLA MISURA nel richiedere amicizie convenienti perché chi colleziona amici 'utili', pretendendo che questi saltino fuori a risolvere problemi specifici in base alle competenze, potrebbe un giorno scoprire di essere stato contraccambiato e che una volta appurata la sua limitata utilità, essere deriso e abbandonato nella propria inutile solitudine.
Un ultima cosa: essere mio amico significa che se ci ubriachiamo lance saranno scosse, scudi saranno frantumati e prima che il giorno diventi rosso, ognuno di noi avrà un numero di ferite congruo al coraggio del proprio cuore.
Vero, @salfadog?
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Sandra e Luisa (1 di 2) "Il passaggio"
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Ciao, scema: tutto bene? Senti senti senti... che caspita m'è successo! Allora: tornando con la mia macchina dall'appuntamento con 'lui', l'ultimo della settimana, in aperta campagna domenica sera, ero rimasta in panne. Non sapevo cosa fare: niente campo per telefonare; era quasi l'una di notte, dopo quella che avrebbe dovuto essere una serata decisiva per ricostruire un rapporto oramai logoro, ma finita invece nel peggiore dei modi. Con una rottura definitiva e una mia grande, insoddisfatta voglia di pace. Ma soprattutto con dentro un fortissimo desiderio di sesso, di rivalsa dei sensi nei confronti della vita e l'esigenza di farmi completamente sfasciare da un uomo. Uno vero.
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Si, perché sono mesi che con una scusa o l'altra l'imbecille non mi chiamava più e rimaneva a casa con moglie, figli e tv. Allora basta, ok? O la va o la spacca. Purtroppo… la spacca! Finito tutto. Nessuna scopata, nessun uccello succhiato. Niente sborrate sulla mia faccia. Lacrime e rabbia. E la macchina in panne. Per fortuna, s'è fermato questo bel camionista che m'ha dato un passaggio alla prima stazione di servizio. Nel breve viaggio, dopo uno scambio di battute iniziale l'ho scoperto essere una bravissima persona. Colto e sarcastico al punto giusto, oltre a essere attraente, nella sua semplicità e schiettezza di maschio tipico di mezza et��. L'ho stuzzicato, perché mi sentivo a mio agio e un po' puttana, finalmente libera.
A un certo punto, dalla leva del cambio la sua mano s'è fatta ardita e s'è spostata sulla mia coscia e allora… che vuoi fare? Sono ormai una donna senza legami affettivi e ho deciso. Col cuore che batteva forte ma le mutandine già bagnate, ho avuto voglia di andare fino in fondo. Tra l'altro… dai: mi andava proprio tantissimo di farmi fottere, dopo mesi! Ho alzato un po' la gonna e gli ho sorriso. Lui ha preso una stradina sterrata secondaria e deserta. Abbiamo iniziato baciandocì: liberi, all'aria aperta. Sotto le stelle e appoggiati al cofano. Poi lui mi ha fatta salire sul cassone. E al riparo da possibili ma impossibili sguardi indiscreti, a quell'ora, m'ha presa. Pensavo di trovarmi sotto di lui per una sveltina. Invece s'è dimostrato un amante tenero ed esperto: mi ha fatta sua in modo molto lento, metodico e dolcissimo.
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M'è piaciuto da morire e alla fine gliel'ho preso in bocca, per ringraziarlo. Che ti devo dire? Ormai ci amiamo ogni giovedì pomeriggio: lui con la scusa di una improbabile, tardiva ritrovata passione per il calcetto e io per la mai cessata serie di “rientri obbligati in ditta” per il completamento di un fantomatico orario lavorativo. Penso di amarlo! Oltretutto ha una particolarità: quando viene lo fa in modo incredibilmente generoso e mi inonda letteralmente l'utero. O le viscere, se si trova nel mio culo! E… mi piace da morire! Sai, chi l'avrebbe mai detto. Una storia finisce e quindi disperazione e rassegnazione totale, ma solo mezz'ora dopo ne inizia un'altra ancora più affascinante e coinvolgente! Ci vediamo presto per un aggiornamento reciproco, ok? Voglio sapere con chi stai scopando, adesso… :) Baci. Tua S.
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RDA
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«Una notte di capodanno.
Io canto al Lido di Genova: guardando dal mare verso la collina vedo una casa illuminata: mi dicono che è la casa di De André... Finisco la serata e verso l'alba salgo i gradini per arrivare alla macchina quando calpesto una moneta da 50 lire e mi dico: "Se a Genova, dove sono così attenti ai soldi, nessuno l'ha raccolta, allora questo è un segno". L'amuleto provoca subito un nuovo incontro: vado alla Phonorama, la più importante sala di registrazione milanese e mi dicono che in una delle salette c'è Fabrizio che incide Valzer per un amore e poco dopo, al bar, arriva proprio lui che mugugna qualcosa sinché non decidiamo di scambiarci i numeri del telefono. Mi saluta dicendo: "Domani ti chiamo". Credevo fosse il tipico "le faremo sapere"; invece il giorno dopo mi chiama davvero.
Cominciamo a parlarci e a vederci sempre più spesso, ma restiamo solo buoni amici. Lui non mi ha mai detto una parola d'amore, ma i suoi silenzi diventano sempre più eloquenti. Morale: nasce un amore grande, grande per davvero...».
Dori Ghezzi
❤️❤️❤️
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Siccome bisognava fare una cerimonia inclusiva allora hanno chiamato il visagista delle dive che ha riempito Parigi di drag queen e obese body positive inscenando un "rito pagano". Il cosiddetto "rito pagano" si è poi risolto in una serata pazza al Muccassassina, perché ormai tutta la trasgressione si è conformata al modello borghese del night club, quando i veri pagani strappavano il cuore delle loro vittime oblandolo a Tezcatlipoca, il dio del destino e della notte (e poi pagano sarà lei, direbbe il fiero azteco vedendo il cristiano mangiare il corpo di Cristo). Nemmeno una cosa nobile come la liberazione dell'individuo, qualunque cosa sia, riesce a mantenersi tale quando viene data in pasto alle cosiddette "campagne di sensibilizzazione". Il gusto attuale, ritenendosi superbamente più smart di quello di tutte le epoche precedenti, procede alla cieca per progressive trasgressioni che non trasgrediscono ormai un bel niente, essendo ormai abbondantemente concesso tutto, ormai tutto digerito e rimasticato dal grosso stomaco ruminante della modernità, post- o meno che sia.
Alla base di tutto, il grande equivoco: io non voglio essere incluso in una società, io voglio che la società non mi includa affatto e mi lasci semplicemente essere in santa pace quel che sono.
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Un sogno che sembrava troppo reale
PARTE SESTA
I giorni successivi volarono in un attimo. Stavo in un costante stato di bramosa eccitazione. Dicky aveva una capacità e un bisogno straordinario. Con lui mi ritrovavo spesso sul pavimento. È come se non ne avesse di me mai abbastanza , mi voleva costantemente. Non si stancava mai. Mi sentivo molto desiderata, ero viva. Gli orgasmi erano strabilianti, ma iniziavo a preoccuparmi, riuscivo a calmarlo per poco tempo, e subito dopo era sempre alle mie calcagna con quello sguardo speranzoso, impaziente e persistente. Era sempre pronto a sfiorarmi e a spingere il suo muso dove non gli apparteneva. Il suo cazzo era sempre in tiro e faceva capolino in modo allettante. Non facevo altro che pensare a quando mia cugina sarebbe tornata a riprenderselo. Mi si stringeva il cuore. E quando sarebbe arrivata Carla come avrei potuto controllarlo? Come farò per impedirle di scoprirlo? La preoccupazione man mano che passavano i giorni diventava sempre più grande. L'unico momento in cui sembrava calmarsi era quando gli davo quello che voleva. Per scacciare quelle preoccupazioni, per un momento mi sollevavo la gonna, mi sdraiavo sul pavimento, Dicky mi saliva sulla schiena premeva contro di me e raggiungevo orgasmi incontrollabili. Un giorno lo facemmo per ben quattro volte. I giorni passavano velocemente. Mi sentivo più viva di quanto mai lo fossi stata fino ad allora. Le costanti attenzioni di Dicky erano uno stimolo per il mio ego, ma il mio cuore era avvolto di una profonda tristezza unito a uno stato di panico, ero arrivata all’ultimo giorno e Carla sarebbe arrivata in serata a riprenderselo. Anche lui sapeva che ci sarebbe stato un distacco da me. Era particolarmente nervoso e insistente. Cercai di spingerlo via, ma Dicky non accettava un “no” come risposta. Tutto era diventato come un gioco delle parti, lui frugava sotto la mia gonna ed io fingevo di essere imbarazzata e lo spingevo via. Tutto questo lo trovavo esaltante in modo perverso ed emozionante, alla fine cedevo e con entusiasmo mi mettevo prona sul pavimento dandogli quello che voleva. Mi resi conto di aver commesso un grosso errore, poiché Dicky veniva sempre da me e non avrei potuto nasconderlo a Carla. Avrei dovuto mantenere il segreto ma non sapevo in che modo. Intanto Dicky si stava strofinando contro di me, cercai di allontanarlo con più vigore, non ci riuscii, sentii la sua fermezza premere contro la gamba. Non so come facesse, lo avevamo fatto appena un’ora prima. Non so proprio come farò a mantenere questo segreto, tremavo, il sangue mi fluì alla testa, non capii più nulla, spinsi il suo muso contro il mio inguine, mi abbassai e gliela diedi per l’ennesima volta, pesando fosse l’ultima.
P.S.
Pubblicato da me Pestifera (la sua compagna) sul suo profilo, secondo le sue volontà, perchè Micia è impossibilitata per il momento a farlo.
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Ci sono persone con cui ho condiviso un’intimità molto grande, e che ora non frequento più. Intimità significa che ho conosciuto il loro corpo nudo, i loro familiari, le storie più dure e inconfessabili che riguardano questi familiari, e conosco episodi di quando erano bambine, e adolescenti, significa che le ho viste piangere e le ho abbracciate, e sono stata vulnerabile davanti a loro, e ho raccontato dei miei familiari, almeno qualcosa, e nuda no, non mi sono fatta vedere, perché io nuda non mi faccio vedere mai, e che ho pensato che non le avrei perse, perché il loro modo di stare al mondo mi commuoveva, perché sentivo la profondità irreparabile del loro dolore ed era quello a tenermi incollata. Non le frequento più, le persone di cui parlo, ma quel dolore lo riconosco ogni volta. In un pezzo che scrivono e che leggo pensando eccoti, sei tu, quanto mi somigli, quanto ti conosco. A una cena pubblica, in cui recitano una parte come me, come tutti, una parte sempre uguale, tanto che ormai è la verità, una delle tante verità di noi stesse. In un breve fortuito scambio di battute a un evento, in cui non ci diciamo quasi nulla, in apparenza, ma il sottotesto è enorme - e non riguarda noi, intendo il rapporto fra noi, un’avventura conclusa per sempre, neppure un rimpianto, riguarda le nostre vite separate che un tempo sono state vicine perché c’era una ferita che le rendeva simili, o così pensavamo. Così pensavo io.
Accade che una di queste persone mi dica: ci vediamo? Dopo anni. Dopo una cena in cui per caso ci siamo trovate. Mi scrive un messaggio, mi ringrazia per averla ascoltata, compresa, in quella serata capitata per caso, mi chiede di rivederci. Io non rispondo all’invito. Perché ognuno ha i suoi schemi per sopravvivere, e quello che ho imparato io è allontanarmi da ciò che potrebbe farmi male, perché me ne ha fatto una volta, non tornare mai indietro. Non dipende tanto da loro, ma da me. Da quanto posso sopportare, dalla specificità di ciò che fa soffrire una come me, una con la mia storia.
La maggior parte delle persone che amo le amo a distanza e, anche se è accaduto incidentalmente, se non è il risultato di un reciproco abbandono, a tratti credo sia il modo più adatto a me. Me ne dispiaccio, ma lo accetto. Nel caso degli abbandoni, invece, non ho rancore, e ho nostalgia di rado, quella distanza non è un castigo inflitto, è solo che la passione si è esaurita. Come avviene nell’amore, può avvenire nell’amicizia. Chissà perché alla gente sembra diverso.
Se queste persone ormai lontane scrivono - romanzi, racconti, pezzi sui giornali - io posso leggerle, e nei loro scritti spesso riconoscerle, e ricordare perché la passione era nata, ricordare la nostra intimità. È comunque un dono ricevuto nel corso della vita, un’esperienza che resta, una traccia di me che a volte ricompare nei sogni notturni, con le loro sembianze. Leggendole posso riconoscermi: in quel loro dolore sordo al fondo delle cose, che un giorno e per sempre ho sentito fratello - anzi, sorella.
Rosella Postorino
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La tazzina con il caffè, rigorosamente macchiato, mi guarda. Sono seduto al tavolo in cucina, in questa frastornata mattina domenicale. Dalla schiuma formata dal latte alcune bollicine d'aria formano una faccina sorridente. La mia pareidolia, una illusione subcosciente che mi fa vedere cose e forme antropomorfo, è sempre stata molto viva e forte in me. Ma in questa tazzina di caffè fumante riuscirebbe a vederci uno simile sorridente.
Tra me e la tazzina di caffè, questa mattina, risulta lei la più vitale. Pago il pegno di una nottata all'insegno del divertimento: in discoteca.
Ho passato decenni in discoteche più o meno note del Nord Italia, sia durante i miei vent'anni che i miei trent'anni. Poi gli impegni lavorativi, famigliari e una forma di rigetto per i locali affollati mi hanno allontanato da questo mondo. Ripenso a ieri sera, il sabato sera.
Per quelli della mia generazione il sabato sera è "la febbre del sabato sera". Quante volte ho vissuto la cerimoniale preparazione all'evento. La doccia, lavandosi parti del corpo che non si sapeva di avere. Il vestirsi in maniera adeguata e con abiti adatti all'evento, manco fossimo Jiulian Kay, il personaggio interpretato da Richard Gere in American Gigolò. Il gel nei capelli, la pettinatura e la cura dei dettagli, come se fossimo Tony Manero. Fino al profumo e alla maniacale pulizia del cavo orale con il Colgate zeppo di fluoro.
Uscire di casa e salutare i genitori, non notare i loro sguardi misti a preoccupazione e raccomandazioni. Particolari che ora interpreto benissimo visto il mio ruolo di genitore. Gli occhi azzurri di mio padre, scavati dalla fatica che supplicavano un mio comportamento dignitoso in quei locali, che quelli della sua generazione chiamavano "balere".
Ieri sera in auto ho rivissuto quei momenti, ero eccitato stavo andando in discoteca. Figo!
La musica alla radio, quella giusta, quella di "attesa" che scalda i timpani e gli altri sensi per una serata all'insegna del divertimento. Ripercorro strade che ho fatto chissà quante volte, quanti sabati sera. Uno diverso dall'altro. Sempre con la speranza che quello sarebbe stato il sabato sera giusto.
Sono così assorto nei miei pensieri che non mi accorgo che... che...
- Papà, oh pa' siamo arrivati - la voce è quella di figlio n. 2 Eric Draven che mi riporta alla realtà - guarda che l'ingresso è qui! - Ah si, cavoli, metto la freccia e accosto. È qui che ti aspettano i tuoi amici? - Sì, sì all'ingresso. Niente pensilina esterna questa sera. - Ma tornate in auto? - No papà, ci siamo fatti tutti accompagnare dai propri genitori. Chi rischia il ritiro della patente o il fermo dell'auto con il nuovo Codice della Strada. - Capisco. Eccoci arrivati. Mi raccomando "fai il bravo e stai sempre attento" - oramai è una raccomandazione che, credo, gli ripeterò anche se dovessi campare fino a cento anni. - Si, tranquillo - mi schiocca un bacio sulla guancia - e per favore, appena arrivi a casa mandami un messaggio. - Si, tranquillo anche tu. - Papà, l'ultima volta sei crollato sul divano e sono rimasto in pensiero - me lo dice quasi come un rimprovero, mentre scende dall'auto per rifugiarsi tra abbracci e le pacche sulla schiena dei suoi amici.
Ok in discoteca ci è andato Eric, non io, ma durante il viaggio ho vissuto quelle emozioni. Quando cominciai a guidare io non c'era l'obbligo nemmeno delle cinture di sicurezza o del casco se eri in moto. Altri tempi, anzi era un'altra dimensione.
Le auto tirate a lucido e profumate, oltre a noi ragazzi della notte. Me li ricordo i sorrisi e gli sguardi dei miei amici, che poi erano di riflesso anche i miei, erano quelli della speranza in un grande futuro, che avrebbe potuto incominciare proprio a ogni singolo sabato sera.
Così, nel rientrare in una casa che mi aspetterà silenziosa, ho ripensato a quei sabati sera. A molte situazioni. Come quella sera che, sapendo di trovare sulla strada delle ragazze autostoppiste per raggiungere la stessa meta, decidemmo di mettere Marco nel portabagagli della Citroën Pallas chiamata "squalo", guidata da Roberto, a fare la voce fuori campo. Così dopo aver fatto accomodare in auto le due ignare ragazze, Marco dal capiente portabagagli, iniziava a pronunciare parole come "curva a destra", "curva a sinistra", "stop" e altre parole capendo i movimenti dell'auto d'inerzia prodotta.
Le ragazze erano stupefatte, chiesero subito che voce fosse quella. Le raccontammo che era la voce di un computer di bordo. Ci credettero. Almeno credo, o per lo meno fino al momento in cui Roberto frenò bruscamente per evitare un tamponamento e fece sbattere la testa al povero Marco. Che cominciò a imprecare.
Raccontammo alle due autostoppiste del sabato sera che il computer "aveva una valvola rotta", quindi di perdonarle per il linguaggio scurrile del diabolico marchingegno. Mi ricordo che piansero anche l'acqua del battesimo dalle risate. Tanto che arrivate in discoteca, dopo averci ringraziato, corsero in bagno a rifarsi il trucco. Avevano il mascara che arrivava sui loro colli.
Tralascio di riportare cosa disse Marco quando lo facemmo uscire dal portabagagli. Alla fine finì tutto in abbracci, risate e pacche sulle schiene. Come questa sera tra Eric e i suoi amici. La storia si ripete. Spero solo che i suoi traguardi, quelli che raggiungerà, siano migliori e più appaganti di quelli raggiunti da me.
Meglio bere questo caffè, rigorosamente macchiato, che ha smesso di sorridere. Anche se ora ci vedo il profilo di un unicorno.
#libero de mente#pensiero#vita#racconto#pensieri#discoteca#sabato sera#vita da padre#figli#divertimento
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Erano più o meno le 18.00 e l'autobus ci portava all'aeroporto dopo aver giocato la partita di serie A di Calcio a Cinque contro il Palermo, valevole per l'accesso alla Poule Scudetto, che abbiamo poi disputato. Ricordo che giunti a Capaci, uno dei miei giocatori fece una battuta spiritosa, in riferimento alla buona partita e al buon risultato ottenuto: "Vedi ce lo riconoscono pure loro, oggi siamo stati davvero bravi, veramente capaci".
Subito dopo strada facendo sentimmo un sordo rimbombo, come fossero fuochi d'artificio poco lontani. Arrivati all'Aeroporto, vedevamo tanta irrequietezza e nervosismo tutt'intorno a noi ma non potevamo di certo immaginare, o renderci conto dell'accaduto e qualcuno degli addetti ai lavori ci disse che erano esplosi alcuni tombini del gas lungo la strada. Giunti a Fiumicino scesi dall'aereo come sempre ad aspettarci dopo ogni trasferta, c'erano le varie mogli e fidanzate che ci seguivano per radio e che nonostante il buon risultato piangevano tutte. Finalmente potevano uscire dall'incubo perchè loro si, che sapevano e che erano al corrente del drammatico accaduto.
In serata dai telegiornali, apprendemmo anche noi ufficialmente di essere passati in quel punto circa cinque minuti prima, che scoppiasse tutto il tritolo. All'epoca ero ancora ateo, ma neanche allora credevo alla fortuna/sfortuna o al caso e... al perchè noi no ci ho pensato per molto tempo.
No, non potrò mai dimenticarlo.
Per il suo modo di essere vero Uomo, per il suo operato, per i suoi principi e per i suoi valori, per il suo amore per la giustizia, per la sua dignità e per il suo coraggio e perchè ho respirato anch'io quell'aria omertosa di quei tragici momenti, mai ho potuto e mai io potrò dimenticare: "Giovanni Falcone".
P.S. Questa è una recensione che io scrissi nella mia libreria virtuale di "anobii" e che ho riportato ogni anno nei miei blog in ricordo e a memoria e onore di un grande Uomo (e del suo caro amico fratello Borsellino, come lui martire per lo stato).
#veriuominidiveronorerazzamortaconloro
lan ✍️❤️
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Mi ritrovo a 25 anni e l’idea dell’amore come quella dei bambini.
Mi sono ritrovata a parlare con una bambina di amore.
È fidanzata, da un anno, con Francesco.
Prima di lui c’è stato un altro che però è stato rubato dalla sua migliore amica.
Penso che se questo le fosse successo alla mia età si sarebbero strappate i capelli a vicenda e lui ne sarebbe uscito illeso, come succede il 99,9% dei casi. Anche se la colpa non è mai da una sola parte.
Non so perché ora senta la necessità di scrivere quello che mi sta passando per la testa, forse perché ora scrivere a mano non mi basta di più, ho tanto da dire e poca voce per farlo.
Ho sempre preferito scrivere che parlare.
Continuo a scegliere le parole con la stessa accuratezza con cui le mie coetanee scelgono l’outfit (ora ci siamo tutti inglecizzati) che indosseranno per una serata in discoteca.
Io in discoteca non ci sono mai stata, non ho mai fumato una canna, fumo sporadicamente le sigarette, giusto per infliggermi un po’ di dolore.
Dicono che ogni sigaretta fumata accorci la vita di 7 minuti, sto sperimentando la veridicità di questa affermazione.
Non voglio morire.
Sia chiaro.
Quando ci penso ho onestamente paura.
Chiudi gli occhi e tutto finisce.
Non si pensa più.
Le connessioni tra neuroni si fermano.
Niente stimoli.
Niente input.
Niente output.
Tutto tace.
Eppure quante volte aspiriamo nella vita ad un po’ di silenzio?
Sono consapevole che per quanto voglia ciò è impossibile. Almeno da vivi.
Motivo per il quale mi sto quasi abituando all’idea che troverò la pace a cui aspiro una volta morta.
Il discorso sta prendendo decisamente una piega tetra.
Sono una persona abbastanza noiosa.
Non amo il casino.
Mi piacciono le pantofole calde, le coperte, le tisane e i libri.
Non mi piace andare a mangiare fuori, mi piace l’intimità delle mura di casa.
Ma sono consapevole che sono in rotta di collisione con il resto del mondo.
Questo mondo di oggi che deve ostentare tutto.
Ieri sono uscita e c’era un tramonto stupendo a Roma, il volerlo immortalare mi stava quasi distraendo che stavo dimenticando di vivermelo.
E invece l’ho vissuto.
Ho notato ogni piccola sfumatura presente. Nei minimi dettagli.
Io sono così, guardo i dettagli e cerco di leggerli tra le righe.
Sono sempre stata una che ha visto nel piccolo prima di vedere nel grande.
Questa società ci ha abituati ad avere tutto e subito. Pretendiamo di conoscere le persone con lo schiocco delle dita.
PRETENDIAMO.
Non penso ci sia niente di più brutto che pretendere un qualcosa da qualcuno.
È come se lo obbligassimo a fare qualcosa che non vuole per un tornaconto solo nostro.
Ne lede ogni libertà di scelta e di pensiero.
Lo stesso errore si commette quando parlando si dice “io al posto suo…”.
Al posto suo non ci sei.
Al posto suo c’è solo la persona.
Non tu.
Per fortuna o per sfortuna, dipende dai casi, ognuno ha una propria testa e ragiona come meglio crede.
Io ho sempre pensato di ragionare con la testa di una ragazza di 60 anni fa.
Non mi sono mai sentita a mio agio in questa società.
Come un pesce fuori dall’acqua che cerca di tornare al mare.
Non mi sono voluta adeguare alla massa.
Non mi sono mai voluta adeguare a qualcuno.
Per qualcuno.
Rimarrò sola? Non so.
Ho paura? Non so.
Perché le persone cercano di cambiarsi per andare bene a qualcuno?
Capisco lo smussare gli spigoli, ma perché cambiare rinnegando quello che si è?
Io non voglio rinnegare niente di quello che sono.
Qualcuno una volta mi ha detto che siamo la somma delle esperienze che ci sono capitate. Beh, non per vittimismo, ma potrei scrivere un libro per tutte le volte che sono caduta in tutte le maniere in cui una persona può cadere e con la sola forza delle mie braccia mi sia rialzata.
Non penso di avere una vita tragica, ma penso di avere una vita in cui il coraggio le ha fatto da padrona.
Sì, sono coraggiosa.
Questo me lo devo.
In fondo credo che un po’ io mi voglia un po’ di bene, per quanto a volte litighi con me stessa sul perché non riesca a cambiare alcune cose di me che davvero non mi piacciono.
Sono abituata a fare l’elenco dei miei difetti, e non riesco a trovare mai un pregio.
Ecco, coraggiosa è il primo pregio.
Ma tornando al discorso di prima…
Vanno a scuola insieme.
Non si sono visti e neanche sentiti per tutto il periodo dell’estate.
Le ho chiesto allora perché non gli avesse scritto per tutto il periodo e la sua risposta è stata: “Avevo da fare con le amichette.”
Di risposta le ho chiesto se dopo tutto questo tempo lontani era sicura che anche da parte sua ci fosse lo stesso sentimento.
Penso di aver impiantato in lei il seme del dubbio.
Se magari prima ne era convinta, adesso non più.
Eppure 60 anni fa partivano per la guerra, passavano mesi senza vedersi e, se Dio voleva, riuscivano a mandarsi una cartolina ogni tot di tempo.
Ora il dubbio sorge non appena si ha un messaggio non visualizzato.
Maledette spunte blu.
Sorge il dubbio se non si risponde entro un tempo predefinito.
Ed ecco che la vipera del tradimento si insinua nelle nostre menti.
E distrugge tutto.
Con questo non voglio dire che prima non si tradiva, anzi forse era anche più facile tradire prima.
Senza Instagram, senza storie, senza localizzazione, senza messaggistica istantanea, senza chat segrete di Telegram (che ancora non so come funzionino).
Forse c’era una cosa che oggi è difficile trovare: il rispetto.
Ecco, forse ho trovato un altro mio pregio.
La mia famiglia mi ha insegnato a rispettare tutto e tutti.
Non so ammazzare neanche una mosca senza sentirmi in colpa.
Ho imparato il rispetto per ogni forma vivente: animali, piante, persone.
Ho imparato il rispetto per ogni forma non vivente.
Grazie mamma, grazie papà, grazie nonna e grazie zia.
Forse non gliel’ho mai detto.
Prima o poi lo farò.
Loro sono le colonne portanti della casa che sono.
E gliene sarò per sempre grata.
Mi hanno insegnato il senso di sacrificio. E rispettare chi ne fa.
Cerco di mantenere ogni promessa, di renderla reale.
Ma in un mondo che ti fa lo sgambetto più e più volte è difficile, ma continuo ad apprezzare la buona volontà di chi ci prova.
È un mondo malato che sta facendo ammalare anche le persone che ci vivono. Forse gli animali sono gli unici che ne restano illesi.
Quanto può essere cattivo l’essere umano?
Einstein diceva che l’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo inventerebbe mai una trappola per topi.
Siamo davvero così stupidi?
Perché soffriamo di queste manie di grandezza?
Perché questa necessità di prevalere sull’altro e di doverlo sventolare ai quattro venti?
Comunque, continuando il nostro viaggio nella mente di una bambina di 7 anni, dopo aver impiantato in lei il seme del dubbio ho cercato di sistemare la situazione, ormai già distrutta, affermando che in caso contrario avrebbe comunque potuto trovarne un altro. O anche due. Così da avere la riserva.
Lei ha fatto spallucce.
Non penso abbia apprezzato la mia affermazione.
In realtà non l’apprezzo neanche io.
Non nutro grande simpatia per coloro che decidono di intraprendere relazioni parallele. Anzi, direi che (sì, lo so che è brutto da dire), le schifo. E non poco.
Se una persona non ti fa stare bene, bisogna avere il coraggio di lasciarla andare.
Può essere doloroso, ma anche le ferite più dolorose guariscono.
E questo lo so bene, forse daranno un leggero fastidio ogni qualvolta il tempo cambierà.
Ogni qualvolta ti ci soffermerai a pensare.
Mamma dice sempre: “Le cose che non si fanno sono le migliori.”
Ma con quanti punti di domanda ci lasciano?
Quanti finali alternativi si alternano nella mente di una persona?
Sono una persona curiosa.
Ma non nel senso che sia impicciona, mi sono sempre fatta i fatti miei e continuerò a farlo visto che aspiro a campare 100 anni.
Sono spinta da curiosità costruttiva, non mi limito a sapere il fatto in sé, ma mi piace capire, scavare nel profondo. Forse la parola più corretta da usare sarebbe comprendere il perché di una scelta piuttosto che un’altra.
Mi astengo dal dare qualsiasi giudizio.
Mi limito a dare un consiglio, senza aspettarmi che la persona lo segua, anche perché chi è che segue i consigli?
Io sono la prima a non farlo.
Mi piace sbatterci di testa, di faccia, rompermi le ossa, il cuore e l’anima.
Si dice si impari meglio sbagliando e io voglio sbagliare nel modo giusto.
Voglio passare la vita imparando, crescendo, diventando sempre più saggia.
Avrei voluto dire a quella bambina che poi tanto male non è stare soli, conoscersi.
Capire quello che realmente vogliamo.
Quello di cui abbiamo realmente bisogno.
Avrei voluto dirle di non piangere alle ginocchia sbucciate perché il cuore sbucciato quando crescerà farà ancora più male.
Avrei voluto dirle di godersi ogni attimo della sua età.
Avrei voluto dirle di avvicinarsi al mondo dell’amore il più tardi possibile.
Avrei voluto dirle che ha fatto bene a godersi l’estate con le amichette piuttosto che pensare al fidanzato.
Avrei voluto dirle che l’amore se è vero supera ogni ostacolo, ogni distanza, ogni tempo.
Avrei voluto dirle che non deve mai dare nulla per scontato, perché nel momento in cui lo fai tutto perde di valore e non è più come prima.
Non aspettatevi che una persona vi stia accanto per sempre, che vi ami per sempre.
L’amore è un fuoco di paglia, di solito la passione brucia velocemente.
La vera scommessa è alimentarlo.
Vorrei essere brava in questo.
Invece credo che tra le mie mille mila cose da fare non riesca mai ad alimentarlo come si deve, e niente.
Fa la famosa vampa e si spegne.
Azzarderei a dire che quasi a volte l’acqua per spegnerlo sopra l’abbia messa io.
Perché l’amore si identifica con il cuore?
Un muscolo involontario.
Probabilmente perché così come non abbiamo la possibilità di controllare il suo battito non possiamo decidere di chi innamorarci.
Ed ecco lì che capita di innamorarsi di chi probabilmente non avremmo mai detto.
Nel mio caso penso che avrei messo la mano sul fuoco che non sarebbe mai successo, ed invece è successo.
Ho imparato il mai dire mai proprio in questo caso.
E chi l’avrebbe detto che avrei messo le armi per distruggermi in mano a qualcuno.
Mi meraviglio con quanta facilità l’essere umano sia capace di buttare giù tutto quello che costruisce senza nessuna pietà e rimpianto.
Mentre io mi sono ritrovata a dire addio ad una macchina e a dare il benvenuto ad un’altra.
Ho provato il senso di colpa nell’averla quasi tradita per qualcosa di nuovo.
Perché è questo quello che succede nella vita, buttiamo il vecchio per fare spazio al nuovo.
Io sono così legata al vecchio che provo dolore quando lo butto.
Ecco, forse questo invidio a quella bambina, la facilità con cui nel momento in cui il piccolo Francesco deciderà di lasciarla lei troverà qualcun altro e riuscirà a chiudere Francesco in un cassettino della sua memoria che probabilmente non riaprirà mai più.
Io i miei cassetti della memoria li apro e anche spesso.
Maledette domande che attanagliano la mia mente e non la lasciano riposare.
Forse se riuscissi a lasciarmi scivolare tutto addosso sarebbe più facile.
E invece il Padre Eterno ha deciso di farmi cocciuta, testarda e con la necessità di sapere come, quando, dove e perché.
Vorrei poter chiudere tutto a chiave, buttare la chiave in un qualsiasi posto e perderla così da non poter riaprire niente, anche volendo.
Sono masochista.
Non mi taglio, non mi infliggo dolore fisico perché mi basta il dolore dell’anima.
E se per i tagli questi cicatrizzano, non so come possa guarire un’anima mal concia.
Lana Del Rey canta: “Mi amerai lo stesso quando non avrò nient’altro che la mia anima dolorante?”
Mi chiedo se davvero esista qualcuno capace di amare una persona nonostante l’anima che non si regge in piedi.
Ci vuole tanto amore ad amare chi non ci ama.
E ci vuole grande forza di volontà a lasciare andare le persone.
Lasciare andare qualcuno è la più grande forma di generosità.
Come può un rapporto cambiare per “colpa” di una frase sbagliata?
Dicono che la lingua riesca a ferire più di un coltello.
E perché le permettiamo di ferirci?
Sento ancora quel formicolio al cuore quando ripenso ad alcune frasi, che siano belle o brutte.
Nella maggior parte dei casi sono tutte le parole che più mi hanno ferita.
Quelle che più mi hanno fatta sentire inadatta.
Ma non penso di essere inadatta per davvero.
Penso sinceramente che alcune situazioni non vadano con altre.
Ecco di nuovo quella sensazione.
La me di dentro urla, si sta spolmonando. E la me di fuori non riesce a tirare fuori niente.
A volte penso se possa essere liberatorio salire sulla prima montagna e urlare, fino a non avere più aria nei polmoni. Fino ad essere stremati per l’urlo e non per altro.
A volte vorrei farlo.
Poi penso che le persone mi prenderebbero per pazza.
Anche se è mio uso e costume credere che i pazzi stiano fuori e le persone mentalmente stabili siano chiuse nel primo reparto di psichiatria disponibile.
Forse in mezzo a loro troverei la mia pace, chissà.
Vorrei fare un appello a me stessa: smettila di provare a fidarti delle persone.
Sono destinate tutte ad andare via. E tu speri ancora nelle cose irreali.
Chiudi gli occhi e immagini cose che sai anche tu non succederanno mai. E ti addormenti con il cuore un po’ più leggero, perché quello ti da pace.
Perché sono così?
Cos’è che realmente voglio?
O sono solo lo specchio di quello che gli altri vogliono da me?
Vorrei bastare a me stessa.
Essere sicura di me, delle mie capacità, senza il bisogno che qualcuno mi ricordi quanto valga.
Amo stare da sola, e non capisco perché continuo a far entrare persone nella mia vita che la mettono sottosopra.
Inizio ad essere quasi certa di essere masochista.
Sto per prendere il treno.
L’ennesimo.
Quanti treni ho preso, e non ne ho mai perso uno.
Anche quando ero in ritardo.
Sono stata sempre brava a prenderli.
A farli coincidere con altri.
Ad aspettare il meno possibile alle coincidenze.
Non mi è mai piaciuto aspettare.
Non sono una che sta con le mani in mano aspettando che arrivi la manna dal cielo.
Mi sono sempre data da fare, ho organizzato la mia vita in ogni minimo dettaglio e la vita ci ha provato ripetutamente a far saltare ogni mio piano.
A volte ci è riuscita.
A volte no.
Mi chiedo dunque, perché se non riesco ad aspettare un treno che dovrebbe portarmi altrove dovrei riuscire ad aspettare una persona?
Beh, il treno prima o poi arriva e anche se in ritardo a destinazione ci porta.
Ma le persone?
Arrivano?
Tornano?
Riescono a portarti realmente dove vuoi che ti portino?
Non si può decidere dove queste ti porteranno. Bisogna lasciarsi guidare.
E io non sono brava in questo.
Sono stata abituata a guidare, e non riesco a far sì che le persone guidino me.
Eppure io vorrei qualcuno che mi portasse al mare.
Scorrendo la ricerca di Instagram in una di quelle pagine di frasi fatte e depresse ho letto trova qualcuno che ti faccia dimenticare di avere un telefono.
Chissà com’è prendere il treno della vita.
Quello che dicono passi solo una volta.
Quello del hic et nunc, del carpe diem.
Non penso di aver mai colto un’occasione, troppo presa ad organizzarmi la vita che probabilmente mi sono dimenticata di viverla.
Ho messo da parte tutti i sentimenti, cercando di reprimerli.
Li ho messi così schiacciati bene in un cassetto che pensavo di averli sistemati lì a vita.
E invece il cassetto è esploso, lasciando venire fuori tutto quello che credevo di non poter provare.
La depressione.
Se mi avessero detto che un giorno ne avrei sofferto sinceramente gli avrei riso in faccia.
E invece sono qui, a distanza di due anni, con questo mostro dietro le spalle che mi attacca all’improvviso, quando sono più vulnerabile.
E so da me che la spinta per “guarirne” devo darmela da sola, ma le persone che, intorno a me, si limitano a dire: “Dai, su. Muoviti. Se ti fermi è perché sei tu che vuoi stare male” mi istigano sempre di più ad isolarmi.
Mi piace stare sola.
Mi piace l’equilibrio che raggiungo.
Se sto male non devo dar conto a nessuno.
Se sto bene non devo dar conto a nessuno.
Solo a me stessa.
Chissà quale organo ne risente di più.
Il cuore?
Il cervello?
Penso che i miei siano andati entrambi in sovraccarico e il mio esplodere ne è stata semplicemente una conseguenza.
Come se nel cassetto avessi messo più di quanto avrei dovuto e ora non si riesce più a chiudere e tutti i sentimenti repressi siano usciti uno dietro l’altro, sovrapponendosi anche a volte.
Tocco un po’ anche di bipolarismo probabilmente.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che ho riso quando avrei voluto piangere.
Meriterei un oscar come migliore attrice per aver mentito sul mio stato di salute mentale a tutti, compresa la famiglia.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che mentre ridevo pensavo a come sarebbe stato buttarsi dal Canale di Mezzanotte.
Ci sono andata.
Mi sono seduta sul bordo del ponte.
Penso che più di una volta sia stata sul punto di farlo.
Perché non l’ho fatto?
Probabilmente perché io sono ancora qui e posso scegliere di vivere, lei non ha avuto scelta.
E se l’avesse avuta sicuramente avrebbe voluto vivere.
Per cui, mossa da un minimo di lucidità, sono scesa giù e sono tornata a casa, mettendo la maschera perfetta.
Ma non a tutti si può mentire.
E gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Non vedo i miei occhi brillare da un po’.
Chissà se ricapiterà.
E se la nostra vita fosse un libro scritto a penna?
Un cosiddetto manoscritto.
Senza bozza.
Senza margine di correzione, perché si sa, non si può cancellare con la gomma e riscrivere tutto.
Si può solo mettere una linea e andare avanti, fino alla fine del racconto. Fino alla fine del libro.
E lì, dove la penna inizia a incantarsi, arrivano le decisioni prese d’istinto.
Quegli scarabocchi che nessuno riuscirà mai a decifrare, neanche noi.
Perché quelle decisioni prese di pancia sembrano così sensate nel momento in cui le prendiamo mentre con il senno di poi si rivelano dei veri flop?
Perché, a volte, l’istinto prevale sulla ragione, perché autoinfliggersi dolore sperando in qualcosa che sicuramente non capiterà.
La legge di Murphy parla chiaro: se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo; Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto; lasciate a sé stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio.
E allora mi chiedo, perché si molla la presa in alcune situazioni?
Perché non siamo più così bravi da lottare per quello in cui crediamo?
Perché non mi fido più delle mie sensazioni?
Ho sempre viaggiato con il mio sesto senso.
A volte bene, altre male.
Penso faccia parte del gioco.
Non credo nemmeno si possa pretendere che la vita giri sempre bene, penso sia impossibile vivere una vita senza cadere.
Dovrebbero essere le imperfezioni a rendere le cose perfette.
Il sudore dei sacrifici rende tutto più bello.
Ma ai sacrifici bisogna essere abituati.
E come ci si abitua?
Come può una persona abituarsi alla sofferenza per avere cose belle.
Ma perché si deve soffrire per arrivare al bello?
Per apprezzarlo di più?
E perché non godere delle piccole cose, ma aspettarsi sempre cose plateali?
Perché non compiacersi dei gesti ripetuti, seppur piccoli, ogni giorno, ma riempirsi gli occhi e soprattutto la bocca per un qualcosa che accade una sola volta e per un tempo breve.
Ho rivisto la piccola Giada.
Le ho chiesto di aggiornarmi sulle sue vicende amorose.
Mi sono così appassionata a questa storia d’amore che mi sembra quasi di viverla in prima persona.
Ci siamo sedute a terra.
Ha trovato dietro la tenda del salotto i regoli.
È stato come tornare indietro di quasi 20 anni.
Ricordo l’emozione, quando arrivava il momento dei regoli alle elementari.
La felicità nell’aprire quella scatola che sembrava magica perché quei piccoli rettangoli avrebbero dovuto insegnarmi a contare.
Anche se, diciamocelo sinceramente, tutti li abbiamo usati per costruire la famosa torre.
Apprezzo dei bambini in genere lo stupore davanti alle piccole cose; il trovare il buono e il bello anche nelle piccole cose.
Quelle più insignificanti.
Poi com’è che si diventa così materialisti?
Qual è il preciso istante in cui le piccole cose, anche le più stupide, smettono di bastarci e iniziamo a volere e a pretendere sempre di più?
Ho sempre avuto paura di crescere, di perdere il mio contatto con l’innocenza della tenera età, non essere più considerata la bocca della verità, diventare agli occhi del resto degli adulti una persona che sputa veleno perché dice quello che pensa.
Io non credo di sputare veleno, non penso nemmeno di essere così vipera come mi dipingono. Credo che la verità tendenzialmente faccia paura, fa paura a tutti, anche a me che sembro così dura e tosta.
La verità quando ci viene detta, nuda e cruda, ci spoglia di ogni maschera e ci costringe a guardarci allo specchio, come se fossimo tanti vermi privati di un guscio protettivo.
L’adulto è viscido, e di questo ne sono sempre stata convinta.
Ha sempre secondi fini, non sa bastarsi a sé stesso, cerca perennemente il confronto con altri per sentirsi superiore, non sa competere in modo sano, è cattivo e diventa egoista, egocentrico, cercando di creare una storia in cui risulta essere il protagonista assoluto.
Per non parlare degli adulti nelle relazioni: è un continuo prevalere sull’altro nel 90% dei casi, non si sa più viaggiare l’uno accanto all’altra.
Ho quasi 25 anni e la voglia di provare gli stessi sentimenti di Giada, la voglia che qualcuno provi per me gli stessi sentimenti che prova Giada.
La purezza.
Non perché servo a qualcuno, non mi piace essere sfruttata.
Ho sempre fatto mio il detto: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, ma puntualmente ricevo altro. Ricevo quello che probabilmente se fossi realmente stronza farei alle persone.
Non so sfogarmi, non so buttare giù quello che provo se non scrivendo.
Mi sento così bene quando scrivo.
Non saprei come fermarmi.
Ho tanto da dire, continuo ad avere sempre tanto.
E continuo ancora a meravigliarmi delle mie capacità paragonate a quelle di persone più grandi.
Perché continuo a sottovalutarmi?
Apriamo i regoli, con l’intenzione (ovviamente) di fare la Tour Eiffel.
Iniziamo a mettere da parte tutti i pezzi che ci servono e intanto penso che vorrei essere circondata una vita intera da bambini e animali, dalle anime pure, da chi non fa male a qualcun altro per il puro scopo di goderne; voglio essere circondata da chi se fa male a qualcuno sa chiedere scusa.
Arriva il momento della fatidica domanda, chiederle come fosse andato il ritrovo con Francesco.
Ne ho quasi timore, soprattutto dopo l’ultima chiacchierata, ma i bambini hanno quell’innocenza disarmante contro cui nulla vince.
Il sospiro di sollievo tirato dopo aver saputo che ancora ad oggi stanno insieme è stato rumoroso, tanto da scambiare uno sguardo complice con la mamma.
A distanza di circa un anno io e Giada ci siamo riviste.
Qualcosa è cambiato, io sono cambiata e anche lei.
Se lei è cresciuta in altezza, in bellezza e anche in intelligenza, io sono diventata più vecchia, scorbutica e meno paziente verso ogni genere umano.
Non vedo Giada da un anno e quanto vorrei poter parlarle ancora. Interfacciarmi con lei e con l’ingenuità con cui vede il mondo: senza malizia, senza cattiveria, senza alcun melodramma irrisolvibile.
Mi chiedono spesso perché sia così attirata dai bambini e dagli animali, probabilmente la risposta si trova in questo: non fanno melodrammi e se dovesse accadere la situazione si placa in un tempo così breve da non destare nessuna preoccupazione.
Quanto sarebbe bello tornare piccoli, dove le uniche preoccupazioni sono soltanto i giochi non comprati da mamma e papà, le merende e il pisolino pomeridiano fatto controvoglia.
A ventisette anni il pisolino pomeridiano è quasi diventato un default per me, senza il quale non saprei neanche sopravvivere alle persone che mi sono intorno.
Vorrei tanto sapere di Giada, dei suoi amori, se è riuscita a continuare la sua storia con Francesco, mi piacerebbe dirle che ho trovato probabilmente l’equilibrio a cui aspiravo, ma so che mi guarderebbe interrogativa perché: come lo spieghi l’equilibrio ad una bambina?
Ho paura a dirlo forte, non tutte le persone sono felici se lo sei anche tu, ma ho trovato quella sorta di pace interiore che sembrava non potesse arrivare per me.
Sto per iniziare a fare una cosa che mi piace. Non mi interessa della fatica. Ho scoperto che con le persone giuste accanto sono ancora più forte di quello che credevo. Ho capito chi sì e chi no. Chi mi fa fiorire e chi cerca di estirparmi come un’erbaccia.
Grazie delle delusioni, dei momenti no, dei momenti in piena sbronza, delle scelte sbagliate, dei viaggi in macchina, del mare che calma in inverno e abbronza l’estate. Grazie dell’amore, delle amicizie nate dal nulla, del cuore rotto, dello scudo contro le parole che fanno male. Grazie per le serate a guardare le stelle in balcone con la sigaretta accesa, i lividi addosso per l’equitazione che libera la mente, i lividi dello stress mentale. Grazie per gli addii e le riscoperte di alcune persone. Grazie per il mio essere leggera, saper capire quando essere pesante e quando no, quando farne melodramma e quando no. Grazie perché ho capito quanto valgo, ho capito che non mi accontento di tutti e che chi mi sta accanto lo fa per scelta, per amore e ha rubato un pezzetto del mio cuore e lo custodisce preziosamente. Grazie anche a chi il pezzetto del mio cuore lo ha preso a pugni, a cazzotti e ci ha ballato sopra con la speranza di vedermi a terra strisciare come magari fanno loro. Mari splende anche grazie a voi. Soprattutto grazie a voi.
L’ultima foto non poteva non essere il mio panorama sul mio golfo preferito.
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Ellen
Chiamai Ellen per uno dei nostri soliti appuntamenti:
«Ciao, ti vengo a prendere verso le 20».
Non se lo fece ripetere due volte e rispose: «Ok, ti aspetto». Cenammo in un locale fronte mare. Due enormi scogli primeggiavano al largo, mentre la spiaggia era illuminata da candele di vario spessore. La serata era un invito a passeggiare al chiaro di luna, che splende più del solito, alta nel cielo, facendo brillare gli occhi di Ellen come fossero stelle. Poco più in là vidi un hotel. Guardai Ellen, splendida nel suo abito leggero a fiori che svolazzava sospinto dalla brezza. Lei aveva capito la mia intenzione e senza esitare annuì. «Una camera per due, grazie». Alla reception, una ragazza molto gentile porse la chiave, dimostrandosi discreta: «Camera 21, secondo piano».
Dallo specchio della hall notai che la ragazza finalmente ci guardava, incuriosita dalla differenza di età tra me ed Ellen, ma poco m’importava!La stanza era molto accogliente, decorata con un vaso e delle rose fresche dal gambo spinoso. Sui cuscini del letto vi erano posate due caramelline a forma di cuore, mentre la stanza da bagno conteneva una vasca idromassaggio. Tutto era perfetto! Ellen, senza parlare, si siede ai bordi del letto, mentre io accendo le candele profumate poste sopra un mobile, arricchito con un grande specchio, spegnendo le luci per creare un’atmosfera accogliente e romantica, dando vita a un contrasto tra buio e luce. Con quel fascio di luce in penombra, Ellen è stupenda, le labbra accentuate dal rossetto, lo sguardo magnetico, la rende attraente più del solito.
Nel osservarla ho un erezione improvvisa.
Sento il pene duro, gonfio, caldo, intrappolato ancora nei boxer, ma pronto a uscire.
Con un gesto di sfida Ellen divarica le gambe e lentamente alza il vestito scoprendo le sue gambe coperte dalle calze a rete autoreggenti, fermandosi poi fino alla sua intimità già nuda.
Quella visione celestiale mi provoca un gran desiderio di possederla.
Con passo deciso mi piazzo di fronte al suo viso e sfioro le sue labbra prima con la punta della lingua come a voler assaporare il rosso fuoco del rossetto. Mi occupo del labbro superiore, poi di quello inferiore, ancora qualche assaggio, poi passo il pollice per contornare quelle labbra carnose, fino a quando mi decido a infilare la lingua.
Iniziamo una guerra di lingue e morsi, di assaggio e desiderio, oramai privo di controllo, appoggio la mano sul suo capo spingendola verso di me il più possibile.
Volevo non finisse mai, quei travolgenti baci passionali, mi provocano una eccitazione irresistibile.
Mi allontano e in silenzio mi tolgo la cintura dei pantaloni, le sfilo le calze e con le stesse la bendo.
Ellen è in balia di ciò che desidero, così mi ritrovo nudo con il cazzo che scoppia dal desiderio.
«Ti prego, scopami la bocca».
La sua voce è un sussurro di piacere, le afferro i capelli, l’avvicino e lei di rimando spalanca le labbra accogliendomi.
“Fammi godere, troia”
Le infilo il membro senza pudore, quasi fino a soffocarla, a lei piace tanto, fino a che mi stringe i fianchi assecondando le spinte.
La sua bocca piena comincia a sbavare, e con decisione aiutandosi con la mano, aumenta il ritmo, lasciando esplodere schizzi caldi che ingoia con devozione.
Sfinito da quel gioco mi sposto e la sbatto sul letto, le spalanco le cosce senza esitare per ammirare la sua figa bagnata, pronta per accogliermi.
Le ordino di stare ferma non sa cosa l’aspetta! La faccio mettere a pancia in giù e comincio a sculacciare il culo dicendole:
"sei stata monella, non indossavi le mutandine "
E ancora giù uno schiaffo più forte:
"Sei una puttanella, lo sai che voglio che indossi le mutandine."
Giù un altro schiaffo.
I suoi gemiti, tra dolore e piacere, spezzavano il rumore degli i schiaffi sul culo arrossato, ma Ellen non si lamenta anzi mi prega di continuare:
"Siiii fammi male, ti prego! Sbattimi, sono la tua puttana”.
A quel punto, con la mano sotto il bacino le alzo il culetto, così da avere la sua fica all’ altezza del mio cazzo . La penetro lentamente, voglio sentire ogni minima contrazione , entro ed esco quasi al rallentatore, movimenti che fanno sentire gli spasmi della sua fica eccitata.
Ellen sibila gemiti a bocca chiusa, ma non mi fermo, anzi!
Affondo tutto dentro di lei, mi soffermo pochissimi attimi per sentire i battiti del cazzo nella sua carne.
Riprendo il ritmo aumentando sempre più veloce, affondo come un animale senza sosta, i suoi gemiti si fanno sempre più intensi, sentire quel suono alimenta sempre più il desiderio.
Il cazzo sembra impazzito, le mie gambe sbattono contro le sue cosce e le sue natiche arrossate, ho voglia di godere dentro ma resisto.
Esco, la lascio lì immobile sul letto in attesa.
Ellen cerca di immaginare la mia prossima mossa, l’incertezza la eccita tantissima.
Mi accingo a prendere una rosa dal vaso.
Il gambo ha tre spine, ma non le tolgo, anzi la faccio voltare con le gambe ben aperte.
Le verso dell’acqua fredda sul seno, i suoi capezzoli si irrigidiscono mentre lei ansima un lungo « mmmmmmm».
La scia dell’acqua scivola giù verso il ventre fino ad attraversare la sua fica già di per sé bagnata.
Ancora un respiro soffocato,
"mmmmmm siiiiiiiii "
A quel punto prendo la rosa e comincio a strusciare i petali sull’inguine mentre lecco i suoi irti capezzoli, fino a morderli.
Arrivo con la rosa fino al monte di venere, per poi scendere lungo le grandi labbra, su e giù con i petali.
Ellen non c'è la fa più, il piacere che si fonde con l’agonia di quel gioco la fa impazzire, con voce eccitata mi ordina,
"slegami e togli la benda, ti prego. Voglio vedere!"
l’accontento,
"Sei perverso!"
La guardo un attimo negli occhi, mentre con il gambo di spine attraverso la fessura delle labbra fino a strofinare sul clitoride che sporge evidente.
Ellen inarca la schiena, il culetto alzato è un invito per la spina verso quel buchetto.
Così attraverso la fica fino allo sfintere e la graffio leggermente, inevitabile il suo «hai», ma subito la ripago da quel piccolo dolorino, portando la bocca sul graffietto ricoprendola di baci soffici e peccaminosi.
Dal culetto alla fica il passo è breve.
D’improvviso le afferro le gambe, senza darle tregua, le posiziono sul mio collo, l’odore del suo sesso è inebriante, la mia lingua si posizione al centro delle sue labbra e comincio a leccare come se non ci fosse un domani.
Ellen ansima, è in estasi, le sue gambe tremano, mentre con le mani, mi accarezza i capelli e affonda il mio viso sulla sua figa strusciandosi il più possibile, In quell’attimo ebbe un orgasmo, scatenando la mia reazione: «non dovevi godere, sarai punita! Girati a pecora».
1,2,3,4,5,6,7,8,9,10... Cinghiate sul culo:
«sei proprio una puttanella monella».
Ellen è oramai priva di orgoglio e inibizioni tanto che urla:
«sìì, puniscimi! scopami!»
La sua schiena è molto sexy, i fianchi stretti e tra le chiappette sporge quel bocciolo luccicante di umori che mi invitava a scoparla.
Dio che spettacolo non resisto
Comincio a passare la cappella sulle labbra, su e giù, su e giù, poi continuo con tutta l’asta a strofinare, sono in delirio.
La sento pulsare, vogliosa di essere penetrata. Non voglio la fica, così senza lubrificare, le penetro il culo dicendo: «sono dentro, urla per me», lei in risposta afferra le lenzuola e miagola un; «haiiiiiiiii»
Il suo buco è stretto ma non desisto a continuare con colpi decisi, aumentando così il suo dolore che si fonde con il piacere.
A quel punto ero talmente eccitato da volerle venire dentro, ma la troia doveva essere umiliata come piace a lei…
La faccio mettere seduta sul divano e d’improvviso le metto il cazzo davanti alla bocca.
Lei comprende subito quello che le sto ordinando!
Inizia a succhiarlo, con una mano mi strizza i testicoli e continua a farlo scivolare tra le sue labbra:" Sto per venire mia piccola puttanella, continua!” veloce lei si scosta e si inginocchia sotto il cazzo in attesa della schizzata che arriva subito!
La guardo bere il mio sperma con avidità! Non rinuncia neanche a una goccia!
Con una mano sul suo mento le alzo il viso dicendo, «Sarò sempre dentro di te mia REGINA». Lei risponde sorridendo: «Anche tu sei dentro di me, in ogni pensiero, soprattutto quelli più proibiti mio Re»
Fine...
#erotico#raccontierotici#eros#sensualità#sesso #passione#orgasmi#erotic#lingeriesexy# erotismo#scritturaerotica#poesiaerotica
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mi scuso e metto le mani avanti che io conosco esattamente 0 canzoni di ghali, l'ho sentito cantare una sola volta ed era la serata cover lol, perciò non so se mi sto perdendo qualche passaggio. ma ho appena googlato "ghali milf lyrics" per curiosità e... "Tua mamma era una grande milf / Ho sempre cercato di non guardare / Ma nonostante facessi così / Tu hai continuato ad essere un infame"? ma. è questo il massimo del sessismo che la gente riesce ad attribuirgli? un your mom joke? sono quasi delus
Ma infatti Ghali è definito uno dei rapper/trapper meno sessisti della scena, anzi personalmente, almeno da quel poco che ascolto di lui, non lo infilo manco in quella categoria.
Però per i canoni di tumblr/twitter è abbastanza per considerarlo sessista, cioè non scherzo se dico che in passato l'ho visto accusato proprio per questa canzone, ed è per questo che l'ho citata. Poi tbh Ghali lo seguo proprio per le hit, non ti so dire se ci siano altre canzoni "sotto accusa", e sinceramente non m'interessa neanche indagare-
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Gentilissima dottoressa Anna…
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Quando al lavoro ricevo un'email che inizia così, mi viene sempre da sorridere. Sapessero quale perverso e irrefrenabile 'folletto del sesso' possiede totalmente la mia psiche! Lavoro da tre anni in un nuovo ufficio con due mie care colleghe: Lina, la più anziana, prossima alla pensione e Rossana, mia coetanea di circa trentacinque anni e che è anche mio Capo. Con Ros ormai siamo migliori amiche da diverso tempo e lei mi confida sempre tutto. Io a lei… be': 'quasi' tutto.
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Rossana è, manco a dirlo, una rossa esplosiva. Alta e slanciata: una quarta di reggiseno. Una femmina florida e piena di curve mozzafiato. Sempre vestita in modo molto sensuale. È oggettivamente un gran bel pezzo di figliola e l'oggetto di cupidigia di chiunque abbia a che fare con lei: uomini e donne. La riempiono sempre di attenzioni, cortesie e caffè.
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E invidie da parte delle donne che non possono averla o essere come lei. La corteggiano tutti, più o meno esplicitamente. Lei è la star del piano. Quanto a me invece, vesto sempre in modo classico, poco appariscente e, a parte i rapporti di lavoro, con me generalmente buongiorno e buonasera: nessuno osa andare mai troppo oltre. E così io posso essere libera di volare sotto i radar e farmi gli affari miei.
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Certamente, arrivata a trentacinque anni, ho avuto anch’io le mie belle storielle: il mio primo fidanzato l’ho avuto a diciott'anni. Era gentile e piccolino, come me. È con lui che ho fatto l'amore la prima volta. C'è da dire che per mia parte sono magra, alta 1,60 e con una prima scarsa di reggiseno. Però ho un bel culetto alto, sodo e un visino d'angelo. Gambe nervose e perfette. Faccio regolare esercizio fisico in palestra e corro ogni domenica.
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E comunque la donna più bella mai apparsa sulla terra - Jane Birkin - aveva il seno tra il piccolo e l'inesistente, proprio come il mio! Ho lasciato il mio primo amorino dopo un anno per un ragazzo più grande sia di età che fisicamente; incidentalmente ho scoperto che alla maggior altezza e robustezza fisica corrisponde in genere una… 'attrezzatura' maschile di calibro altrettanto superiore. E questa cosa mi ha mandata fuori di testa. Ho avuto molti altri uomini, li ho cercati sempre soltanto molto più grandi di me: sia di età che fisicamente. Mai comunque qualcosa che fosse duraturo o di emotivamente troppo impegnativo.
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Mi piaceva troppo solo il fatto di farmi riempire e scopare da loro. Godevo dei loro grossi membri dentro il mio corpo: amavo sentirmi occupata e poi farcita dal loro seme. Adoravo quel contrasto sulla carta impossibile tra me e l’uomo alto e grande. Quindi progressivamente ho imparato a farmi elastica, sotto ai loro corpi, mentre mi sbattevano a destra e sinistra, spesso facendomi volare sul letto come un fuscello. Sebbene mi promettessero tutti mari e monti, non appena sentivo puzza di innamoramento, di legame o di matrimonio, tagliavo di netto. Soffrivano. Moltissimo; tornavano alla carica. A volte disperati. Io dicevo di no e basta.
Un anno fa Ros mi ha invitata di venerdì sera a una cena tra colleghi. E lì ho conosciuto finalmente Pietro, suo marito. Descrizione di questo capolavoro della natura: alto 1,95 per 120 kg. Un fascio di muscoli, istruttore di Mixed Martial Arts. In sostanza, un gigante forte e gentile. Molto sexy, ma spassosissimo e cortese. C'è da dire che quando il Folletto del Sesso mi si risveglia io non guardo in faccia nessuno. Dopo un rapido scambio di battute, senza farmi troppo notare dalla mia amica intima, gli ho dato il mio numero: “sai: in caso ti servisse, se magari non riesci a parlare con Ros o per qualsiasi altra cosa…” e glielo dicevo guardandolo fisso negli occhi. Lui era rosso di vergogna. Tenerissimo: me lo sarei scopato lì.
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Durante la serata abbiamo anche ballato un po’ e io mi stringevo a lui in modo vergognoso. Da seduti, tra noi due: giù battute, frasi e via via discorsi sempre più seri, sino a uno sbottonarsi a riguardo di cose anche molto personali. La stessa sera, da casa mia gli ho chiesto io con un messaggio di vederci per un caffè e due chiacchiere in libertà. Così: solo perché mi stava simpatico. Sullo smartphone lui, dapprima un po’ esitante, ha infine accettato. Ci siamo visti all'indomani, sabato, in mattinata in un bar del centro e dopo nemmeno un'ora dal caffè eravamo a casa mia… a letto. L'ho conquistato letteralmente. Mi prendo chi voglio. Mi ha detto che ama moltissimo sua moglie, ma anche che lei purtroppo lo fa sempre venire fuori, che il suo culo se lo può scordare e la bocca neppure a pensarci. Al massimo quando lei è indisposta lo sega.
E’ rimasto stupito quando l’ho incitato a spaccarmi la fica senza troppi complimenti: un bestione del genere, che però ho accolto sino alla radice, senza fare neppure un urletto di dolore. Quando stava per venire me l’ha detto e sarebbe voluto uscire, perché era abituato così. Io invece l’ho trattenuto dentro di me incrociando le gambe sulla sua schiena. E tenendo le mie mani sulle sue chiappe. Gli ho anche detto di non preoccuparsi, perché prendo le mie precauzioni. Lui allora s’è indurito completamente all’idea e ha iniziato letteralmente a sfondarmi: sembrava un vero selvaggio! Mugolava, grugniva e mi diceva cose all’orecchio che mi facevano arrapare ancora di più. Mi chiamava puttanella, troia senza vergogna.
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Al culmine, mi ha urlato infoiato: “sei una piccola cagna, mi stai facendo tradire mia moglie, la madre di mio figlio… voglio vedere proprio quando strillerai... e dai: strilla, maledetta puttana…” Ma per me queste erano solo parole di miele. Gli ridevo in faccia, godendo come una cagna, appunto. Dopo la nostra prima volta, la settimana successiva l’ho fatto entrare. Ero in vestaglia trasparente, nuda e mi sono messa subito sul letto: pancia sotto e a culo ben aperto, in posa inequivocabile. Lui mi ha chiesto: “ma sei sicura?” e io provocandolo gli ho detto: “ma... lo sai fare o ti devo fare un disegnino?” Per tutta risposta ha puntato il suo membro enorme contro la mia rosellina, che si è aperta magicamente e pian piano lo ha accolto completamente. Oggettivamente mi faceva un po' male, ma solo l’idea di avere un palo del genere dentro mi faceva venire!
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Va detto che m’ero ben preparata, tenendo nell’ano tutta la settimana il mio fido plug di belle dimensioni. Ed eccoci qua, nel mezzo di questa storia segreta. Adoro essere il suo chiodo fisso sessuale, vedere la sua espressione sorpresa ogni volta che glielo prendo tutto in bocca senza fiatare e mi piace troppo essere la ragione delle corna della mia migliore amica, mio Capo e gran pezzo di gnocca, soprattutto se confrontata con me, donnetta slavata, insignificante e totalmente anonima. Amo i racconti che mi fa Ros di come secondo lei lui è innamoratissimo, di come lei lo tenga legato con la sua preziosa fica. Che non oserebbe mai tradirla, perché dove la trova un’altra gnocca come lei. Lo so: il mio Folletto del Sesso prima o poi mi porterà alla perdizione. Ma intanto nella mia vita, di un maschio come Pietro, timido gentiluomo ma selvaggio, enorme bestione nel sesso, non posso fare a meno.
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RDA
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IL KARMA NELLE RELAZIONI
“Mai confondere una relazione basata sulle dinamiche psicologiche con una relazione basata sull'amore e sulla condivisione.
Condividendo, il proprio amore lo si amplifica, perché ciò che senti è roba tua; ciò che provi, viene da te, non dall'altro.”
Questo so che interessa a molte persone:
Come si distinguono le relazioni karmiche dalle altre relazioni?
Se devo spiegarlo da un punto di vista oggettivo, la verità è che tutte le persone con cui entri in contatto (che non sia un semplice incrocio di sguardi per strada ovviamente), ma con tutte le persone con cui hai a che fare o interagisci, conservano del karma.
Perché, da un punto di vista che spiegano i maestri, il caso non esiste.
Tu non incontrerai mai quella persona in Cina, in Giappone, in America se non avete instaurato una connessione karmica precedente.
Questo significa che alle volte puoi incontrare persone, magari anche solo per una serata e non vedervi mai più, ma neanche quello sarà frutto del caso:
vi siete incontrati con persone con cui hai già avuto un contatto.
Ecco, lì si parla di karma neutro o karma piacevole, dove non c’è un gran positivo ma neanche negativo.
Ma essenzialmente non esiste un incontro che non sia karmico, in un modo o nell’altro.
In gergo, più che altro, per karmico intendiamo karmico negativo, karmico pesante, ma non dimentichiamo che c’è anche il karma positivo, e che quindi esistono relazioni dove si è fatto un percorso di vita, di amore, di condivisione, anche di crescita assieme, per cui prima o poi ci si rincontra, non per forza come amanti, alle volte, (spiegano i maestri, ma ho anche avuto modo di verificare attraverso varie metodologie), anche come figli, genitori, parenti e amicizie in cui eravamo in altri tipi di legami.
Quello che conta è che ci si rincontra per continuare il nostro percorso.
Una volta eri uomo, una volta eri donna, una volta eri figlio, una volta eri padre, una volta eri amico, una volta amante, non ha importanza.
Quello che conta è che ci si rincontra nella nostra grande famiglia spirituale, quello che accennavo nell’ultima lezione.
Ciò che crea più sofferenza invece sono le relazioni karmiche negative, quelle sono più urgenti da sciogliere.
Ed esistono tantissime relazioni di karma da trasformare.
Il che vuol dire che abbiamo dei debiti karmici.
Cosa significa debito karmico?
Significa che dentro di noi c’è una parte di memoria in cui è rimasto bloccato qualche cosa che non abbiamo risolto, chiarito e che è rimasto lì.
Facendo un esempio molto pratico, ipotizziamo che al momento di lasciare il corpo io lo lasci pieno di rabbia, risentimento verso una persona.
Una delle leggi karmiche (simili alle leggi dell’entropia) non accetta che ci siano troppi pieni e troppi vuoti a livello energetico, cioè il karma vuole che tu riporti il tuo sistema energetico in perfetto equilibrio, per una sorta di legge dell’entropia karmica.
Il karma è molto simile alle leggi della chimica e della fisica, non accetta grossi pieni e grossi vuoti, vuole un equilibrio naturale – dinamico ma pur sempre equilibrio. Ci deve essere movimento, ma non squilibrio.
Quindi, se io mi porto dietro una grande rabbia, un grande risentimento, succede che attirerò un partner che mi tirerà fuori proprio queste caratteristiche, perché sono dentro di me, ben nascoste, molto in profondità, ma ci sono.
Questo lo vedremo meglio dopo, ma per avere un assaggio, devi sapere che non possiedi solo la memoria a breve termine e quella a lungo termine, hai anche una memoria molto molto più profonda, chiamata memoria esserica o memoria karmica.
Qui conservi un magazzino di memoria karmica dove ci sono tutte le cose rimaste in sospeso da sciogliere, che prima o poi, in qualche corpo-vita dovrai affrontare.
Quindi noi incontriamo persone, in parte per continuare un percorso, in parte perché dobbiamo sciogliere dei nodi, rivivere delle situazioni già vissute, con le solite dinamiche che portano sofferenza.
Ecco perché abbiamo parlato precedentemente delle cinque ferite karmiche, per studiarle ma anche perché sono connesse poi ad altre ferite e ad altre ancora.
Ma non ci interessa tanto far raccolta di ferite, quanto capire i meccanismi e come lavorarci sopra, ovviamente.
Stiamo tutti recitando il nostro ruolo karmico
Ora voglio illustrarti un po’ cosa avviene quando il karma si intromette nelle relazioni o nelle semplici interazioni che hai con le persone.
Qualsiasi persona: Tuo marito, tua moglie, tua madre, tuo figlio, il carabiniere che ti ferma per strada, il tuo collega al lavoro, il tuo superiore al lavoro, il tuo migliore amico, l’uomo che hai appena conosciuto al bar…
Apriamo il sipario.
Perché non ti accorgi, ma nella vita insceniamo continuamente atti teatrali.
“Teatro? Io non recito, io sono me stesso!”
Vero?
Sbagliato.
Noi recitiamo eccome.
Siamo attori-marionette, mossi dai fili invisibili del karma.
Cioè da tutto il materiale inconscio al nostro interno.
E ogni relazione non diventa più un piacevole scambio, una condivisione spinta dalla spontaneità del cuore, ma una dinamica.
Un gioco di potere, in cui ognuno ha un ruolo da interpretare e cerca di rispettare il suo copione per ottenere qualcosa dall’altro.
Inconsapevoli del proprio potere personale interiore, le persone cercano di conquistarlo al di fuori di loro. Con la manipolazione e la forza. A volte dirette e ben visibili, a volte più nascoste e subdole.
E noi non abbiamo alcun tipo di controllo su questi giochi di ruolo.
È il karma che ci fa recitare in modo automatico questi personaggi.
Personaggi che alterniamo in base alle situazioni e alle persone che abbiamo di fronte.
Tengo a precisare che il gioco dei ruoli richiede almeno due persone.
Di solito con una tematica in comune.
Proviamo a scoprirne qualcuno. Vedi se hai mai avuto a che fare con questi personaggi o se li hai interpretati tu stesso…
Il dominatore e la vittima.
Questi sono i classici ruoli in cui uno si abbassa e uno si alza. Li abbiamo ben descritti nella ferita del carnefice e della vittima. E qui abbiamo un uso completamente sbagliato del terzo chakra. Il chakra del nostro potere personale.
Il giudice.
Cosa fa un giudice? Semplice, lui sputa sentenze. Questo personaggio tenta di darsi un tono e controllare tutti grazie alla sua arma preferita: il giudizio. Invece di costruirsi una vita felice e soddisfacente per se stesso, si dedica a svalutare quella degli altri. “Se abbasso gli altri, io sarò sempre più alto ai loro occhi.”
Il colpevole.
Il colpevole si nutre di pane e senso di colpa. Un po’ perché si sente sbagliato davvero, un po’ perché così può suscitare qualche forma di pietà da parte degli altri. E chi si sente sempre sbagliato e in colpa, troverà sempre qualcuno che continuerà a sminuirlo e a punirlo. A volte lui stesso, a volte un bel giudice magari…
Il manipolatore.
Il manipolatore non ha il coraggio di esporsi e tenta di ottenere quello che vuole con mezzi indiretti. Mezzi più subdoli.
Spesso facendo passare l’altra persona per il carnefice. Non conosce altri modi. Questa persona ha un grave problema a esporre i suoi bisogni.
Il malato.
Altro stratagemma per avere potere o attenzione sugli altri passando per vittima.
Mi viene in mente l’esempio di alcune mamme che appena il figlio tentava di andare via di casa si ammalavano di colpo. Spesso qui c’è una somatizzazione, di solito dell’ansia.
Il mendicante.
Colui che elemosina e pretende attenzioni, affetto e sostegno. Anche se sa che non è carino, non riesce a farne a meno. “Mi ami? Vado bene?”. Lo fa anche in maniera più abusiva, attaccando e tormentando l’altro “Non mi porti mai lì, non mi chiami mai, non fai mai questo e quello”... Sempre forme di elemosina perché hanno grandi buchi d’amore che non sanno come zittire.
Il dipendente.
Il dipendente si appoggia. Non vive bene senza l’altro o senza quello che l’altro gli dà. Non sa stare in piedi sulle sue gambe, non si ama e non si conosce. E spera che l’altro non cada o cadrà anche lui di conseguenza.
L’anti-dipendente.
L’opposto della medaglia. Colui che non ha bisogno mai di niente e di nessuno. Fa tutto da solo, sta bene da solo, le emozioni sono solo debolezze. Questa persona, in realtà, ha più bisogno d’amore degli altri. Indossa un’armatura e non capisce che la vita è uno scambio, che l’amore e l’intimità sono importanti. È fondamentale diventare inter-dipendenti, non chiudersi pur di non dipendere da nessuno.
Il non meritevole.
Si autosabota, si autopuinsce proprio perché in fondo è sicuro di non meritare felicità e amore. È condizionato dal senso del dovere. Arriva a strafare e va oltre i suoi limiti, per dimostrare di essersi meritato anche lui qualcosa dopotutto.
Il salvatore, il guru, il prete.
Colui che vuole salvare tutti. Colui che spesso lo fa controllando le persone. Si crede il detentore della verità assoluta. Pensa di fare del bene e di essere d’aiuto agli altri con il suo controllo, ma non è altro che uno stratagemma per avere potere e influenza su tutti, spacciandosi per buono.
L’altruista, il soccorritore.
Questo è il classico ruolo di crocerossina. Mi viene in mente la classica donna che di solito attira a sé sempre uomini con problemi seri, come l’alcool, la droga ecc.. O l’uomo che attira sempre donne drammatiche, depresse e in crisi. Qui a volte non c’è sempre una ricerca di un potere subdolo, ma più di un sentirsi utili e necessari, così da garantirsi attenzione e sostegno reciproco.
Il buffone, lo sciocco del villaggio.
L’hanno etichettato da piccolo così e non avendo altri modi per essere visto o accettato, non riuscendo a farsi riconoscere in positivo, accetta di farsi riconoscere in negativo. E qui c’è una persona che vorrebbe appunto farsi accettare per quella che è e fa quello che sembra aver funzionato: sminuirsi e umiliarsi.
“Con me si divertono, mi vedono. Meglio che niente”.
Il martire.
Colui che si sacrifica per gli altri per poi segnare sul suo taccuino chi gli deve un favore di ritorno. ”Ho fatto tanto per te, quindi ora tocca te, me lo devi…”
Anche questo è un atteggiamento da abusatore che tenta di farsi passare per vittima. Più dai dal cuore , meno ti importa cosa ricevi in cambio. Ti senti libero e di solito ti ritorna il doppio.
Chi dà per ricevere, chi dà e si lamenta perché non riceve, sta comprando l’affetto di qualcuno. Ha ancora un buco d’amore da colmare.
Il rinunciatario.
Il classico “vorrei ma non posso”. Questa persona ha sempre una scusa a ogni soluzione che trovi. Nega continuamente l’evidenza. “Si tu hai ragione, sì è vero, ma…” Qui c’è tanta confusione mentale. Ci si è radicati talmente tanto nelle proprie convinzioni e fissazioni mentali che la persona boicotta se stesso e ogni tua risposta, con la scusa del “e se invece fosse così?”. Nemmeno si dà il tempo di vedere cosa gli stai dicendo. Non vuole cambiare perché ne ha paura. L’ignoto lo terrorizza.
Il vagabondo.
È quello che salta da una parte all’altra e non si ferma mai. Fa un corso, poi ne fa un altro, poi un altro ancora. Continua a cambiare e non va mai fino in fondo. Non conclude mai nulla. Non riesce a costruire niente. E questo perché ha paura di entrare in profondità.
Il fanatico, il rigido.
Quello che va avanti per dogmi e regole. Ha ragione solo lui e gli altri non capiscono niente. Anche qui si cerca di darsi un tono in qualche modo, con le proprie conoscenze o la propria moralità. E allo stesso tempo ci si nasconde dietro a tutti questi preconcetti, sempre per paura di cambiare.
Il caotico.
Lui ovunque va crea confusione. Crea confusione nei rapporti, la crea nel lavoro ed è convinto di avere tutto sotto controllo. “Io sono chiaro e preciso.”
“E allora perché è tutto un caos qui?”
“Ovviamente sono i miei colleghi che non sanno fare il loro lavoro. Anzi hai ragione li ho già cambiati 3 volte in questo trimestre, ma evidentemente non ho ancora trovato quelli giusti”.
Il padre/la madre di tutti.
Sono diversi dal guru, perché non si ergono sopra tutti, non siedono sul trono. Semplicemente interferiscono nella vita degli altri.
Pensano di avere più esperienza e dicono agli altri come devono vivere. Hanno la mania di consigliare, gli altri sono tutti bambini per loro. “Non capisco perché non vengono mai a trovarmi, io li voglio solo aiutare”.
È un atto d’amore programmare la vita di tutti…
Ce ne sono moltissimi, ma questi sono i più frequenti.
Attenzione perché non sono dinamiche psicologiche, ma psichiche.
Cioè hanno a che fare con l’energia di un individuo. Avvengono a livello profondo, inconscio, come meccanismo di difesa al risveglio.
Sono ruoli che ci lasciano automatici, nel sonno, altamente reattivi, inconsapevoli e pericolosi e ovviamente creano sofferenza.
Il bello è che noi non ci accorgiamo di nulla. Assolutamente nulla.
Siamo subito pronti a dare la colpa agli altri per come ci trattano e per le loro mancanze nei nostri confronti e non osserviamo mai come ci siamo posti noi.
Non vediamo che abbiamo semplicemente messo in atto una bella scenetta teatrale che ormai conosciamo a menadito.
Rileggendo questi ruoli ti è capitato di ritrovarti in uno di loro?
Ti sei rivisto?
Hai rivisto altre persone che interpretano questi personaggi?
Bisogna essere onesti e non nascondersi. E nemmeno sentirsi in colpa e giudicarsi. Altrimenti si riconferma che siamo di nuovo nei panni di uno di quei personaggi che non conoscono amore e gioia.
Accettare con amore, perdonarsi, sono passi fondamentali del risveglio per una buona vita.
Per sganciarsi da questi ruoli è necessario liberarsi dentro.
E anche se l’altro tenta di riportarti lì, tu non ci caschi più; la tua anima è troppo forte, molto più forte del karma.
ROBERTO POTOCNIAK
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