#non tanto per il cibo peraltro perché ci sta
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#madonna quelli che si portano da mangiare sui mezzi; potrei veramente uccidere#non tanto per il cibo peraltro perché ci sta#ma 1) siamo appena partiti abbi pazienza forse è ora di pranzo in Svezia ma qui sono le 11:46#2) bello perché questi personaggi sono sempre capaci di selezionare le cose che emanano più odori molesti possibili#* LA ROBA DI MCDONALD’S CAPITO MA VOI SIETE DEI CRIMINALI PER VOI NORIMBERGA CI VUOLE#madonna quanta violenza provo oggi veramente potrei distribuirla e ne avrei comunque in eccesso
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'L'Europa vuole farci mangiare vermi': ad 'Anni 20' di Rai 2 un servizio da propaganda nordcoreana L’unica, magra consolazione è che Anni 20, il nuovo programma di approfondimento di Rai 2 condotto da Francesca Parisella, non sta andando bene negli ascolti. E che dopo quanto avvenuto ieri, potrebbe essere definitivamente cancellato. L’Ad Rai Salini sarebbe ‘furioso’ per il servizio con toni da propaganda nordcoreana andato in onda ieri, un pastiche surreale di retorica anti-europea, anti-vaccini, anti-gay, anti-ecologia e anti-rom. Anti-tutto, insomma, una sintesi esaustiva dei programmi politici dell’estrema destra in Italia (e non è un caso che la voce che sta tuonando più forte di tutte in difesa del programma sia quella di Giorgia Meloni che - il colmo - usa lo stesso paragone con la Corea del Nord). Cercare un senso logico al servizio è davvero complesso: si parte da una inventata ‘imposizione’ dell’Europa, dipinta come origine di ogni male, che ci costringerà, nel prossimo futuro, a mangiare vermi e insetti e a bere vino annacquato. Mentre sullo sfondo passano animazioni di piatti di zuppe con vermi vivi, chi volesse davvero informarsi dovrebbe sapere che l’Ue ha dato via libera al consumo delle larve delle tarme della farina (Tenebrio molitor) in forme disidratate e intere - quindi non a zuppa, e sicuramente non obbligatoriamente - oppure come ingrediente per altri piatti, cosa peraltro che già avviene in diverse parti del mondo. Per quanto riguarda il vino annacquato, si fa riferimento alla proposta - ripetiamo, proposta, quindi ancora una mera ipotesi - di un vino a basso contenuto alcolico. Questi due elementi sono diventati, per il servizio di Anni 20, un attentato all’italica dieta mediterranea. ‘Ce lo chiede l’Europa’: il mantra dei sovranisti è il fil rouge che tenta - a fatica - di legare il delirio che segue. Dal presunto attentato alla buona, italica tavola, segue una filippica contro il piano Green, che ci costringerebbe a mangiare ‘cibo spazzatura’, per poi passare ai vaccini, un’altra cosa che ‘ci chiede l’Europa’. Un’altra imposizione, come anche - qui arriviamo nell’iperuranio del ridicolo - un ‘Ddl Zan continentale’. E dopo Europa, ecologia, complottismo e gay, nel calderone si gettano anche i rom, i cui campi e la relativa distruzione dovrebbero essere una priorità ma l’Europa dice un ‘chissenefrega’, con tanto di gesto dell’ombrello. Fa molto riflettere che, appena due settimane fa, la Rai negava con tutta la sua forza l’esistenza di un sistema, che volesse impedire a Fedez di fare nomi e cognomi dei leghisti omofobi sul palco del 1 maggio, ma non si fa nessuno scrupolo a mandare in onda, in una fascia molto privilegiata e sul suo secondo canale, un concentrato di fake news. Sempre perché viviamo in un paese dove, a detta di certuni, non si possa più dire nulla. Verrebbe da dire, ‘magari fosse vero’. Magari non si dovesse assistere allo scempio che viene fatto del servizio pubblico. Una nota a margine: chissà se l’autore del servizio (Antonio Rapisardi, che nella sua carriera ha scritto per Panorama, Il Tempo, Il Giornale e Libero) abbia ricevuto una chiamata dai dirigenti di Rai 2 che gli facevano presente che un servizio del genere non può andare in onda senza un contraddittorio, senza qualcuno che spieghi come stanno le cose. Probabilmente no. Probabilmente, Rapisardi nel ‘sistema’ ci rientra perfettamente. Giuseppe Cassarà
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Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes? No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono? I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione. Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo. Il dottor Cardoso finì di mangiare la sua macedonia e si asciugò la bocca con il tovagliolo. E dunque cosa mi resterebbe da fare?, chiese Pereira. Nulla, rispose il dottor Cardoso, semplicemente aspettare, forse c'è un io egemone che in lei, dopo una lenta erosione, dopo tutti questi anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c'è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime, lei lo lasci venire alla superficie, tanto non può fare diversamente, non ci riuscirebbe e entrerebbe in conflitto con se stesso, e se vuole pentirsi della sua vita si penta pure, e anche se ha voglia di raccontarlo a un sacerdote glielo racconti, insomma, dottor Pereira, se lei comincia a pensare che quei ragazzi hanno ragione e che la sua vita finora è stata inutile, lo pensi pure, forse da ora in avanti la sua vita non le sembrerà più inutile, si lasci guidare dal suo nuovo io egemone e non compensi il suo tormento con il cibo e con le limonate piene di zucchero.
Antonio Tabucchi, da Sostiene Pereira, cap. 16
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La sanatoria ha moltiplicato gli sbarchi. La Gdf: "Ci mandano a prenderli a 12 miglia dalla costa"
«Adesso ci mandano a prendere i migranti anche a 12 miglia dalla costa.
Stiamo giorno e notte in mare, non ne possiamo più»: è la testimonianza di alcuni uomini della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, che ormai da tempo sono impegnati nel recupero degli immigrati che arrivano dalle coste del nord Africa. Un lamento univoco, in seguito agli sbarchi degli ultimi giorni. Solo ieri ne sono stati registrati cinque.
Ad aggiungersi a un barcone recuperato a Lampedusa dalle Fiamme Gialle con a bordo un gruppo di 77 migranti, tra cui 16 minorenni (dai 16 ai 17 anni), altri quattro micro sbarchi: uno davanti all'isola dei Conigli, con sopra 4 tunisini e 4 ivoriani, uno arrivato direttamente a terra vicino a Cala Madonna con 9 tunisini, più altri due con 6 persone ciascuno.
Un viavai che non si ferma, tanto che sull'isola, sia al porto che sulla terraferma, si notano i barconi accatastati non ancora distrutti. Lampedusa è stracolma di extracomunitari e gli abitanti iniziano a non poterne più. Molti scappano, allettati dalla prospettiva di trovare lavoro dopo l'annuncio della regolarizzazione da parte del ministro Teresa Bellanova, le cui lacrime hanno portato in Africa alla diffusione della notizia che l'Italia è la nuova El Dorado. «Il fatto - racconta un operatore sul campo - è che quando questa gente arriva va a finire negli hotspot dove gli vengono dati vestiti, scarpe, cibo e la promessa di un futuro migliore. Hanno tutti il telefonino, che non gli viene sequestrato, per cui poi chiamano parenti e amici e dicono loro di partire perché in Italia sono serviti e riveriti. Per noi, invece, un lavoro continuo». Con straordinari che spesso vengono pagati molto più avanti. Molti migranti, peraltro, una volta arrivati sulle coste non vengono più trovati. Eppure gli aerei che sorvolano il Mediterraneo sono in grado di intercettare i barconi poco dopo la partenza. «Quando Salvini era ministro dell'Interno - racconta un altro operatore di polizia - veniva avvertita la Guardia costiera libica che riportava indietro gli immigrati. Ora avviene di rado. Quasi tutti, peraltro, partono dalla Tunisia, come era poco dopo la Primavera araba e arrivano vicini alla costa, dove poi noi li recuperiamo o direttamente sulla terraferma. Da quanto sappiamo - prosegue - il governo ha dato indicazioni affinché siano recuperati». Chi sono coloro che arrivano? Per assurdo non si sa. I controlli ci sono, ma non è gente che scappa dalla guerra, visto che di guerre in Africa allo stato attuale non ce ne sono e neanche dalla fame, poiché chi non ha soldi non può neanche permettersi di pagare la traversata. La maggior parte sono uomini giovani, che partono perché credono che l'Italia possa mantenerli. Della pandemia di Covid-19 se ne infischiano, perché in Africa ci sono più possibilità di contrarlo che qui, ma il fatto è che loro stessi potrebbero essere portatori del virus. Di fatto un tempo i migranti venivano trasportati dalle navi delle Ong, ora ferme, oggi i traghetti del mare sono gli stessi barchini o addirittura le motovedette di Gdf o Guardia Costiera che eseguendo gli ordini dei ministeri competenti recuperano i migranti e li portano a terra. Una situazione che sta sfuggendo di mano e che rischia di riportare l'invasione nel nostro Paese ai numeri che si registravano ai tempi del governo Renzi, in nome di una politica dell'accoglienza che in molti faticano a capire.
Ogniuno pensi ciò che vuole...
Io lo trovo assurdo..
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Dolcetto o Scherzetto aka la notte del citofono maledetto
Inzomma, ormai mi odierete tutty ma ecco qua, così, un po’ di sano quel-che-mi-è-quasi-successo-ieri e di metamoro. Au con ambientazione bolognese perché sì.
Enjoy
Come ogni anno, i giorni si ripetono, quasi tutti uguali. Lezioni, esami, Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi, ultimo dell’anno organizzato per l’appunto all'ultimo minuto, mare in estate, freddo bolognese in inverno e siamo tutti contenti insomma.
Questo significa che, una volta all’anno, si ripete però anche una delle notti che Ermal Meta più odia al mondo : la notte del 31 Ottobre.
Ah, Halloween.
La notte in cui le strade si riempiono di gente in costume troppo grande per fare stronzate del genere, mentre gli universitari si stipano in discoteche e bar e case a bere.
La notte dove orde di bambini con costumi ridicoli si muove in branco sorvegliata da pattuglie di genitori per suonare campanelli al grido di “dolcetto o scherzetto?” e dove, passeggiando per strada e incontrando i gruppi di adolescenti che si collocano a metà tra le due categorie di adulti e bambini e che quindi non hanno esattamente un passatempo predefinito, sorge spontanea la domanda:
“Ma questi dannati petardi non se li possono infilare nel-eh scusa ti ascolto!”
Ed eccolo lì: telefono appoggiato all’orecchio e sguardo torvo rivolto a un gruppo di suddetti adolescenti, Ermal si aggira per le strade umide della stramaledetta Bologna, cercando il loco designato per la festa.
Festa a cui non voleva andare ma a cui è obbligato a partecipare a causa della perdita di una scommessa con il suo coinquilino.
In costume, peraltro.
In costume, a una festa a cui non voleva andare, organizzata da un tipo che non conosce, per di più.
Buon Halloween, Ermal.
E la cosa migliore di tutte è che si è anche perso perché, in tutto questo, ha finito pure i giga a furia di usare il telefono causa modem rotto che nessuno si è ancora preso la briga di venire a sostituire nonostante le assillanti chiamate e mail.
Come se in quanto universitario a lui non servisse internet eh.
Perciò è da venti minuti al telefono con Marco che, da tutt’altra parte, sta cercando di guidarlo nella direzione giusta.
Ad Ermal stanno venendo i nervi
E parecchio anche.
Il fatto è che, come al solito, gli altri sono andati a sistemarsi per la festa tutti insieme e, come al solito, hanno finito ad essere in ritardo clamoroso.
L’unico più o meno in orario è lui che dopo aver passato un pomeriggio a studiare è tornato a casa, si è fatto la doccia e si è infilato il costume, costituito dal massimo che è stato disposto a mettersi: camicia bianca-ridicola a suo parere, con le maniche a sbuffo e i cordini, ma almeno è una camicia- pantaloni neri, scarpe scure e un mantello nero. La dentiera si è rifiutata di metterla.
“E per il pallore e le occhiaie sei già apposto di tuo!” aveva detto Francesco soddisfatto, guadagnandosi un’occhiataccia che avrebbe potuto ucciderlo e tumularlo seduta stante.
“Senti Dracula, svolta a destra e prova a vedere se c’è la via” si sente dire al telefono ed è sbuffando e rabbrividendo che svolta, sospirando di sollievo quando finalmente il cartello rispecchia la sua destinazione
“Sì, ci sono” afferma, iniziando a camminare “ora ce la faccio. Ci vediamo dopo. E muovetevi” dice, prima di chiudere la chiamata e proseguire a passo di marcia verso il numero 104
Quando ci arriva, si accorge con orrore di non sapere a che campanello suonare.
O meglio, dovrebbe saperlo, ma non se lo ricorda perché non stava prestando attenzione.
Ma, a dire il vero, i campanelli provvisori sono solo due e dato che gli pare di aver capito che gli altri sono tutti fuorisede come loro, è probabile che sia uno di quelli, no?
Li osserva, cercando di decidere cosa fare, fino a che non legge un nome che gli pare di ricordare e suona
Mal che vada, sbaglia
Niente
Nessuno risponde
Irritato, suona di nuovo ed ecco che mezzo minuto dopo una voce risponde “Siiii?” in maniera scazzata mentre una musica in sottofondo quasi copre le sue parole
Ok, musica uguale festa quindi forse ha azzeccato
“Emmmm...” balbetta piano “Sono Ermal?” dice titubante “Sono un amico di Francesco lui-sono qui per la festa” spiega infine
“Si.... cesco..... esta!” risponde la voce, in quello che pensa sia un assenso alle sue parole “certo...ali pure....to piano!”
“Aspetta non ho-” cerca di dire, ma prima che possa dire che non ha capito a che cazzo di piano deve andare il citofono si chiude e il portone scatta, lasciandolo al suo destino.
Sbuffa, infreddolito, spingendolo ed entrando
Di citofonare di nuovo non ne ha voglia e poi, in teoria, non sarà difficile trovare la festa, no?
To piano. Quindi... quarto, quinto o sesto, immagina. Beh, basterà provarli tutti e tre.
Così sale in ascensore e preme il pulsante per il quarto, lanciandosi un’occhiata allo specchio e sbuffando al suo riflesso che trova piuttosto ridicolo così, mentre sembra venuto fuori da un romanzo del milleduecento. Che palle.
Al quarto piano, trova il nulla.
Fortunatamente, quando le porte dell’ascensore si aprono al quinto, sente una musica provenire da li e, sbirciando, trova una porta aperta da cui proviene suddetta musica.
Bene, ecco qua.
Esce sul pianerottolo, titubante, avvicinandosi piano alla porta, non sapendo cosa fare, se entrare o bussare o cosa, ma per fortuna ecco che dopo pochi secondi di stallo in cui si sente un coglione, qualcuno compare sulla soglia
Tale qualcuno è un ragazzo, un poco più grande di lui, le braccia nude ricoperte di tatuaggi e un buffo cappello in testa, che lo guarda, inclinando appena il capo.
Si fissano, in silenzio, prima che lui si illumini con un sorriso enorme “Sei qui per la festa tu, sì?”
Ed Ermal sospira e annuisce, sentendosi appena in imbarazzo
“Si... sono... cioè... un mio amico...io... sono Ermal” si risolve a dire, dandosi dell’idiota perché ha balbettato, tendendo la mano al ragazzo che gli sorride ancora di più mentre gliela stringe e si fa da parte per farlo passare “Fabbbbrizio, entra entra” gli fa cenno, mentre dietro di lui, dalle scale, sbucano altre persone, che sorridono e salutano entrando subito nella casa al suo seguito, Fabrizio che a sua volta ricambia strette di mani e nuovi convenevoli
Ermal si guarda attorno, appena imbarazzato, prendendo il telefono per controllare se gli altri sono in cammino, ma trova solo un messaggio di Marco che lo avvisa che sono super in ritardo. Ecco qua.
“Vieni accomodati” gli dice Fabrizio e lui, appena in imbarazzo, lo segue: guardandosi attorno si rende conto che alla festa sono quasi tutti più grandi di lui, ma non è un problema questo. Solo... non conosce nessuno
La musica suona mentre Fabrizio lo conduce in una stanza, dove sono ammucchiati zaini e cappotti vari
“Lascia pure la giacca qua” gli dice, sorridendo “il padrone di casa si sta a fa’ la doccia, però poi arriva” gli spiega poi mentre Ermal annuisce, posando la giacca
Non ha cuore di dirgli che lui, il padrone di casa, manco lo conosce
Quando ha finito segue Fabrizio in un’altra stanza, dove c’è molta più gente e un tavolo ricolmo di cibo e bevande.
“Serviti pure” raccomanda Fabrizio prima di sparire, rincorrendo un amico che lo richiama con un gesto, senza lasciare la possibilità di chiedere qualcosa
Ed eccolo la, fermo come un coglione in una stanza piena di gente sconosciuta.
Beh, tanto vale aspettare gli altri seduto su una sedia.
Ne adocchia una libera in fondo alla stanza, e ci si dirige.
Qualcuno gli fa un cenno di saluto mentre passa, qualcuno lo ignora.
Comunque, va a schiantarsi sulla sedia e guarda ancora il cellulare, senza trovarvi nulla se non la batteria quasi scarica.
Sospira, preparandosi a una lunga, lunghissima attesa
E infatti, mezz’ora dopo è ancora la, seduto sulla sedia, senza nessuno che gli parli, senza nessuno che conosce
Guarda nervosamente il telefono, con il “Prima o poi arriviamo” di Marco che risale a un quarto d’ora prima e sospira, massaggiandosi piano la base del naso
“Nun te stai a divertì molto eh?”
Alza gli occhi a quella frase, ritrovandosi davanti il ragazzo di prima, Fabrizio, che lo osserva con una birra in mano, che gli tende
“No” ammette piano “Non molto” dice sconsolato, guardandolo sedersi accanto a lui mentre recupera la birra con un “grazie” leggero
“’O vedo” risponde l’altro “non ti sei mosso da qua da quando sei arrivato... com’è che non conosci nessuno?” gli domanda cosa a cui Ermal risponde con uno sbuffo
“I miei amici devono ancora arrivare” spiega, alzando gli occhi al cielo “Sono sempre in ritardo” spiega poi, irritato, mentre la risata di Fabrizio si fa appena sentire, leggera, a quelle parole
“Un classico” dice, prima di voltarsi, per guardarlo meglio “Che dovresti essere tu?” domanda poi, indicando il suo costume
“Dracula, in teoria” replica Ermal, grattandosi appena il collo, che prude per colpa di quella camicia mentre Fabrizio lo guarda annuendo
“Il vampiro. Giusto?” chiede ed Ermal annuisce anche se è un po’ perplesso che ci sia stato bisogno di precisarlo
“E tu?” chiede poi, confuso dal suo abbigliamento: ha addosso un paio di jeans scuri e una maglia con le maniche tagliate, in vita una camicia a scacchi neri e rossi, e quello stupido cappello ancora in testa a nascondere dei ciuffi scuri. Anche sforzandosi, non riesce a capire cosa sia
A parte un gran fregno
“Io so me stesso” ride l’altro, bevendo un sorso di birra “Nun me piace molto Halloween” spiega poi mentre Ermal annuisce entusiasta
“Nemmeno a me” conferma “Mi sono dovuto vestire perché ho perso una scommessa ma sto odiando ogni minuto, credimi” dice, prima di prendere un sorso di birra a sua volta, socchiudendo gli occhi
Almeno ha da bere, ora
Voleva aspettare almeno gli altri ma... a questo punto, tanto vale. Meglio l’alcol che la solitudine.
Mentre beve, si sente lo sguardo di Fabrizio addosso per cui si rivolta per osservarlo meglio, sorridendo
“Che c’è?” chiede, allungando appena una gamba davanti a se con noncuranza, stiracchiandosi
Lo osserva, mordendosi piano il labbro, cercando di valutare le proprie opzioni
Ok forse è decisamente troppo sobrio per iniziare a flirtare pesantemente ma Fabrizio è un bel ragazzo e quantomeno gli sta parlando quindi può tastare un po’ il terreno, no?
Beh, sì.
Mal che vada... chissenefrega
E poi o è parlare con lui o è morire di noia quindi tanto vale tentarla
Anche perché, pensa, Fabrizio non gli avrà offerto una birra per pura e semplice gentilezza giusto?
“Niente” replica l’altro, scrollando le spalle e leccandosi piano le labbra “Allora...tu non sei di qui vero?” gli chiede
E così, Ermal si volta del tutto e inizia a parlare con lui, avendo cura, ogni tanto, di rivolgergli qualche piccolo gesto: leccarsi le labbra, scostarsi piano i ricci, inclinare appena il capo, sorridere.
E Fabrizio, c’è da dirlo, gli da corda.
Parla con lui, sporgendosi appena per ascoltarlo meglio, sorridendogli, il viso che pur nella penombra della stanza si rivela bello, con quella barba appena accennata e le lentiggini
Parlano di tutto: da dove vengono, cosa fanno, cosa gli piace. Di musica, di cinema, di studi e lavori.
Tanto che Ermal, a dire il vero, si dimentica anche che devono arrivare i suoi amici
Il tempo scorre e la birra scende mentre le aspettative di una serata piacevole si alzano sempre di più ed è solo quando si alza per andare in bagno che si accorge che è passata più di un’ora da quando ha guardato il telefono
Perplesso, si guarda attorno.
Nessuno: di Marco o Francesco o qualcuno degli altri non c’è assolutamente traccia.
Corruga la fronte in una ruga di preoccupazione, dirigendosi verso il bagno e tirando fuori il telefono che trova spento.
Sbuffa, irritato: non si dovrebbe preoccupare troppo, eh, ma l’essere ancora solo e la batteria scarica gli hanno rovinato un po’ l’umore che la birra e Fabrizio gli avevano tirato su.
E’ brillo, si, ma non abbastanza da non capire che c’è qualcosa che non va in quasi due ore di ritardo
Perciò, quando torna indietro, si avvicina a Fabrizio e chiede “senti non è che hai una presa?” sventolando il telefono scarico
“Si, vieni” annuisce l’altro, alzandosi, accompagnandolo nella stanza di prima e facendogli un cenno verso il muro
“Grazie” sospira Ermal, attaccando il telefono, chinandosi per farlo “I miei amici non sono ancora arrivati e io-” inizia a dire, interrompendosi però quando si volta
Fabrizio è appoggiato allo stipite della porta ora chiusa, e lo guarda, il viso appena arrossato per l’alcol e un sorriso sottile sulle labbra
Inclina appena il capo Ermal, arrossendo appena di fronte a quello sguardo che non sembra solo vederlo, ma studiarlo e quasi... spogliarlo.
Non che se ne stupisca troppo: è dall’inizio della loro conversazione che stanno giocando a quel gioco e evidentemente ha fatto centro perché se ora sono lì e si osservano in quel modo vuol dire che sono ambedue sulla stessa lunghezza d’onda.
Deglutisce, le dita ancora premute ad accendere il telefono, ma lo sguardo rivolto solo a lui, che lo osserva, indeciso su cosa fare apparentemente
Perciò, si morde piano il labbro, guardandolo intensamente come a dire, vieni avanti dai
Non che non sia più preoccupato ma l’alcol e il modo di Fabrizio di guardarlo gli fanno mettere da parte momentaneamente l’urgenza
Per un paio di minuti... non succede nulla, giusto?
Fabrizio si tira su, iniziando a camminare e posando la birra che ha ancora in mano su una scrivania, mettendosi poi le mani in tasca
“Toglimi una curiosità” dice Fabrizio, avvicinandosi a lui lentamente “Com’è che funzionava con i vampiri? Ti devono mordere per trasformati, giusto?” chiede, cosa che spinge Ermal ad annuire, un ghigno che gli si dipinge piano in faccia a quella domanda
“Perché” chiede piano, leccandosi le labbra quasi senza accorgersene “Hai paura che ti morda?” scherza, guardando Fabrizio farsi sempre più vicino, arretrando più per istinto che per altro
“Mh” risponde solo l’altro, arrivando a mezzo passo da lui, i loro respiri che si mischiano nell’aria immobile e fresca della stanza “Ma che succede se invece un vampiro ti bacia?” chiede, cosa che fa aumentare il ghigno sul viso di Ermal, che si inclina appena mentre si sporge delicatamente verso di lui
“Non saprei” dice, ponderando la cosa come se fosse una domanda seria prima di dire “vuoi scoprirlo?”
Fabrizio ride piano a quella cosa, annuendo appena “scopriamolo” dice, ma non fa in tempo a finire di dirlo perché Ermal decide di sporgersi verso di lui
Con tutta la razionalità del mondo eh, non perché Fabrizio è un fregno paura no no
I loro nasi si sfiorano, piano, e poi le loro bocche si incontrano, in maniera dolce, leggera, delicata
Un bacio che sembra quasi fin troppo giusto, naturale, cosa che porta Ermal a sospirare sulla sua bocca, un sorriso che gli si allarga sulle labbra che fa per schiudere per approfondire quel bacio che già non è più abbastanza...
...se non fosse che il telefono che ha in mano inizia a suonare, facendolo sobbalzare dalle spavento ed è a tanto così *gesto delle dita che si toccano* dal lasciarlo cadere di prepotenza
Guarda lo schermo, notando il nome di Marco - ovvio che era lui dato che la suoneria è quella di una sirena di emergenza - e subito guarda Fabrizio con aria di scuse
“Un secondo” gli chiede, facendo cenno di alzare il dito mentre l’altro annuisce
“Sì?” risponde, sussultando di nuovo quando la voce di Marco gli urla nell’orecchio “ERMAL BRUTTA TESTA DI CAZZO MI HAI FATTO PRENDERE UN COLPO”
Sbatte le palpebre, perplesso da quel commento “Scusa, mi si era spento il telefono... ma tanto non siete ancora arrivati, no? Siete voi che avete fatto prendere un colpo a me” ribatte
“Non ancora arrivati? Ma se è mezz’ora che siamo qui e ti cerchiamo! Pensavamo fossi svenuto da qualche parte” ringhia l’altro, cosa che fa inarcare le sopracciglia ad Ermal dallo sdegno e dallo stupore
“Mezz’ora? Ma non dire cazzate! Ho fatto un giro nelle stanze due minuti fa e nessuno di voi c’era!” replica stizzito dall’essere anche preso in giro oltre che interrotto nel corso di un bacio
“Ma che stai dicendo!” sbotta Marco “Ma si può sapere dove cazzo sei?!”
��ALLA FESTA!” sbotta a sua volta, scoccando uno sguardo a Fabrizio che si è messo una mano sulla bocca come a nascondere una risata alla sua esasperazione “In questo stracazzo di vicolo, al numero 104, alla stracazzo di festa di Halloween allo stramaledettissimo quinto piano!” ulula contro al telefono
Sclero a cui segue un minuto di silenzio, pieno, denso, che nemmeno lui osa rompere sentendo che qualcosa di imprevedibile e terribilmente divertente nel suo orrore deve essere accaduta
“Al sesto” dice solo Marco, piano, tanto piano che quasi non lo sente “La festa è al sesto piano”
“Sesto? Ma allora io a che cazzo di festa-” dice prima di interrompersi
Rimane immobile, congelato quasi sul posto, Fabrizio che lo guarda come in cerca di una spiegazione ed è così che mormora “Scusa un secondo” a Marco prima di tirare giù il telefono dall’orecchio per guardarlo “Questo è il quinto piano, vero?” chiede, guardandolo poi annuire “Ok. E la festa è di...?”
“...Roberto?” chiede piano Fabrizio, confuso dal fatto che il ragazzo davanti a lui abbia prima peso poi perso colore e che ora stia tornando di una sfumatura tendente al viola mentre un attacco improvviso di risa lo scuote
“Ho sbagliato piano” ride, nella cornetta, non riuscendo a trattenersi per quanto assurdo sembri “Macco ho sbagliato piano. Sono alla festa sotto di... Roberto, apparentemente” dice, scuotendo la testa, imbarazzato ma anche troppo incredulo per trattenersi
E anche Fabrizio, accanto a lui, ride
Ride forte, lasciandosi andare su una sedia, cosa che lo fa ridere ancora di più a sua volta
“SEI UN COGLIONE MA COME CAZZO PUOI SBAGLIARE PIANO” sbraita Marco dall’altro lato, anche se Ermal può sentire che, in fondo, sta ridendo anche lui “Ci hai fatto morire di paura” spiega prima di dire “Ci raggiungi? Aspetta, ma sei con qualcuno?”
“Succede, se il citofono fa schifo e non si sente nulla” replica prima di guardare Fabrizio alla domanda “Si” dice, scuotendo poi la testa “No. Cioè... si, c’è. E sai cosa? Credo proprio che rimarrò qui” replica, spegnendo pian piano la risata per guardare Fabrizio con malizia “Ci vediamo a casa Macco” dice, chiudendo poi il telefono che abbandona a terra, avvicinandosi di nuovo a Fabrizio che, rosso in viso, è ancora scosso da brevi sprazzi di risata
“E così” gli dice, guardandolo mentre si avvicina “Hai sbagliato piano”
“Già” replica, sorridendo mentre si sistema piano su di lui, inclinando appena il capo “Solo mi chiedo... com’è che c’era la porta aperta?”
Fabrizio scuote la testa a quella domanda, posandogli piano una mano sul fianco e l’altra sulla schiena, andando poi ad affondarla tra i ricci “I ragazzi che sono sbucati dopo di te. Loro hanno suonato. Probabilmente mentre tu salivi loro so arrivati ed è successo” cerca di spiegare, mentre Ermal annuisce
Probabile, sì
“Beh” dice, leccandosi piano le labbra “in fondo, meglio così” sussurra, avvicinandosi piano a lui, un brivido leggero che lo percorre quando sente il suo respiro caldo sul viso “Dove eravamo?” domanda, poi, avvicinandosi appena a lui
“Al cosa succede se baci un vampiro” replica Fabrizio, sorridendogli, guardandolo, per nulla contrario alla svolta degli eventi
“Mh giusto” replica Ermal, sfregando appena il naso contro al suo “Però sappi che questo vampiro potrebbe anche decidere di morderti, prima o poi” lo prende appena in giro, sorridendo quando lo sente ridere appena, una risata bassa e roca che lascia sul suo collo che lui inclina appena indietro per lasciargli spazio
“E se volessi morderti io?” chiede poi, posando piano le labbra sulla sua pelle pallida e accaldata “Cosa succede, mh? Che succede se mordi un vampiro?” domanda
Ermal sospira, rabbrividendo appena mentre socchiude gli occhi, le labbra schiuse in un sorriso e lo sguardo che, rivolto al soffitto, pensa a cosa si sarebbe perso se avesse imbroccato il piano giusto
“Non saprei. Scopriamolo”
Ed ecco va beh è una cazzata ma insomma si abbiamo pensato per un buon periodo di tempo di aver sbagliato piano solo che io e i miei amici eravamo infine alla festa giusta xD
Spero ve lo siate goduto!
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Voglio farle una domanda, disse il dottor Cardoso, lei conosce i médecins-philosophes? No, ammise Pereira, non li conosco, chi sono? I principali sono Théodule Ribot e Pierre Janet, disse il dottor Cardoso, è sui loro testi che ho studiato a Parigi, sono medici e psicologi, ma anche filosofi, sostengono una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere "uno" che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto nella confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione. Forse, concluse il dottor Cardoso, dopo una paziente erosione c'è un io egemone che sta prendendo la testa della confederazione delle sue anime, dottor Pereira, e lei non può farci nulla, può solo eventualmente assecondarlo. Il dottor Cardoso finì di mangiare la sua macedonia e si asciugò la bocca con il tovagliolo. E dunque cosa mi resterebbe da fare?, chiese Pereira. Nulla, rispose il dottor Cardoso, semplicemente aspettare, forse c'è un io egemone che in lei, dopo una lenta erosione, dopo tutti questi anni passati nel giornalismo a fare la cronaca nera credendo che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, forse c'è un io egemone che sta prendendo la guida della confederazione delle sue anime, lei lo lasci venire alla superficie, tanto non può fare diversamente, non ci riuscirebbe e entrerebbe in conflitto con sé stesso, e se vuole pentirsi della sua vita si penta pure, e anche se ha voglia di raccontarlo a un sacerdote glielo racconti, insomma, dottor Pereira, se lei comincia a pensare che quei ragazzi hanno ragione e che la sua vita finora è stata inutile, lo pensi pure, forse da ora in avanti la sua vita non le sembrerà più inutile, si lasci guidare dal suo nuovo io egemone e non compensi il suo tormento con il cibo e con le limonate piene di zucchero. Pereira finì di mangiare la sua macedonia di frutta e si tolse il tovagliolo che aveva messo intorno al collo. La sua teoria è molto interessante, disse, ci rifletterò sopra, mi piacerebbe prendere un caffè, che ne dice?
Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli, 1994 [Libro elettronico]
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IT (WAS A FUCKING NIGHTMARE)
*spoiler free* Ho visto It al cinema.
È stata l’esperienza più traumatica della mia intera esistenza.
Ma non per il film, eh. Il film è bello. Per la gente che c’era.
Per la gente che c’era e che da bambina ha preso troppe poche botte.
Per la gente che c’era e che da bambina ha preso troppe poche botte e che stavo per restituirgli io con tutti gli interessi del caso.
Perché mentre sullo schermo passavano i Perdenti e Pennywise, tutti intenti a fare le loro cose, io fantasticavo di prendere otto tonnellate di popcorn e usarle per ostruire ogni singolo orifizio di tutta la gente in in sala, per poi guardarla morire soffocata tra atroci spasmi al vago aroma di burro fuso.
Già eravamo partiti malissimo. Nemmeno il tempo di sederci, io e mio fratello, che avevamo capito quale tragedia greca sarebbe stata.
“Fila M, posti 8 e 9. Centralissimi, perfetti”
Toh, che cosa curiosa, nei posti 8 e 9 ci sono già borse e giacche. Poffare. “Questi posti sono occupati” dice lei, dal sedile 10. “Sì, da noi, sono i nostri” dico io.
“Causa del decesso, capocciata sul naso” direbbe il medico legale. “Legittima difesa, il caso per me è chiuso qui” direbbe il poliziotto di un mondo più giusto, perché io già stavo svalicando nel penale.
“Le altre sono in bagno, quando tornano glielo dico” dice lei, dal sedile 10.
“Noi abbiamo i posti fino al 7, 5-6-e-7, è un problema?” dice l’abusiva di ritorno dal bagno.
“Sì, è un problema” dico io.
Enonmenefregauncazzosepoilavostracomitivarestadivisaipostiperfettinontelicedo.
Il film inizia.
La sala rumoreggia. In effetti non ha mai smesso di rumoreggiare. In una scala da 1 a 10 di misurazione del casino, avevamo già raggiunto i 130, nel senso di decibel. Quelli del decollo di un aereo.
Tuttavia in quel momento avrei preferito i 130 nel senso di km/h, ossia la velocità alla quale avrei voluto mettere tutti sotto.
“Puoi fare silenzio?” chiede mio fratello alla tipa del posto 7. “Oh, stai calmo, eh, se me lo chiedi gentilmente...” dice la tipa del posto 7. “Puoi fare silenzio, perrrrfavorrrrre?” insiste mio fratello con occhi di bragia.
Il film prosegue. È praticamente un film muto, tanto non si riesce a sentire una parola. Manca soltanto l’accompagnamento del pianista, come da tradizione, che in questo caso infatti è sostituto da Raffaella Carrà.
Na na
na na na na
na na na na na na na rumore rumore
Al chiacchiericcio incessante si aggiungono i telefoni cellulari. Livello di luminosità degli schermi: “Soli gemelli di Tatooine”. Raffealla Carrà è passata al Tuca Tuca.
Fine primo tempo.
Si accendono le luci. Entra il carrello degli snack e la sala sciama per le scale con l’obiettivo di procacciarsi cibo spazzatura, quello stesso cibo che gli ostruirà le arterie ma gli otto minuti dell’intervallo sono troppo pochi per sperare che all’occlusione del sistema cardiocircolatorio segua anche l’infarto. Raffaella Carrà prende una bottiglia d’acqua così poi è pronta per il suo cavallo di battaglia, Tanti Auguri (che suona un po’ come un’amara constatazione: “Volete godervi il film? Eh, tanti auguri”). “Potete guardarci gli zaini?” chiede la tipa del posto 7. La cosa sta prendendo una piega surreale.
“Scusate per prima”. Ancora più surreale.
“In effetti anche a me disturba la gente che parla a film iniziato”.
Guardo mio fratello. Mio fratello guarda me. Alice guarda i gatti. I gatti guardano nei soli gemelli di Tatooine. René Magritte guarda tutti e dice “Ah, lasciatemi fuori da ‘sta storia che è troppo surreale persino per me”.
Il film riprende. Na na
na na na na
na na na na na na na rumore rumore
(Raffaella Carrà capisce l’andazzo e molla Tanti Auguri per fare un encore di Rumore)
La tipa seduta accanto a me guarda compulsivamente il telefono e di tanto in tanto grida “Giorgio” e “Giorgió”, che potrebbe essere un suo amico della fila davanti o più verosimilmente il suo psicanalista perché alla fine tanto normale non devi essere per fare tutto ‘sto casino.
Il film prosegue. I Perdenti vanno in giro, fanno cose e vedono gente. Pennywise va in giro, fa cose e mangia gente.
Nessuno però che mangi la tipa seduta di fianco a me o il resto delle persone in sala.
Tipo il ragazzo verso le prime file che fa battute idiote a voce alta per rendere partecipe tutto il pubblico convinto che verrà incoronato Re della comicità.
È simpatico quanto un impiegato INPS.
Il film prosegue. La sala salta dalla paura ad ogni jumpscare (tutti peraltro assolutamente prevedibili), applaude a caso, e soprattutto fa domande sulla trama la cui risposta non è nemmeno da ricercarsi nelle 1300 pagine del capolavoro di Stephen King ma nel film proiettato proprio in quell’istante, e che sarebbe stato sufficiente seguire in silenzio per tre minuti e mezzo. (e comunque, anche volendo, secondo me le risposte non avrebbero in ogni caso potute trovarle nel libro: poiché tutti sembravano condividere lo stesso Q.I. del cavolo verza, è già tanto che fossero alfabetizzati abbastanza da aver compreso la lettera della fila in cui dovevano sedersi)
Il film prosegue.
I Perdenti sconfiggono Pennywise.
Pennywise viene inghiottito dal buio oblio senza aver mangiato nessuno della sala.
Il film finisce.
Ora. Limortaccivostri.
Perché spendere i soldi per fare qualcosa che evidentemente non vi interessa, dato che gli avete prestato la stessa attenzione che Virginia Raggi presta all’amministrazione di Roma? Perché rovinare alla gente, che al contrario vostro vorrebbe godersi un film (un bel film, come in questo caso), l’intera serata?
Perché io alla vostra età - dato che sembravate tutti proprio al limite del divieto dei quattordici anni - andavo al cinema con ammirazione reverenziale, mentre voi andate al cinema come andate al cesso?
Perché non sapete stare al mondo?
E soprattutto
perché nessuno vi ha mai menato da piccoli? Siete andati a “vedere” un film su un gruppo di bambini che si definisce “I Perdenti”.
In realtà gli unici veri perdenti siete voi.
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"26 DICEMBRE, si “FESTEGGIA” la nascita dell’ANTISEMITISMO CRISTIANISTA PALESTINESE!!!!
Oggi è il 26 Dicembre, ed è FESTA NAZIONALE COMANDATA, ed è una FESTA RELIGIOSA. Certo, sarà anche bello non dover andare al lavoro (per chi lavora, che non si sa più se è un bene o un male assoluto), e va bene, passi…. Ma lo sai almeno cosa stiamo “festeggiando”??
Festeggiamo “SANTO STEFANO PROTOMARTIRE”. Proto/martire, il primo martire della DITTATURA MONOTEISTA PALESTINESE che dura da poco meno di 2000 anni….
Ebbene, chi era costui???
era uno dei primi 7 diaconi definiti dagli apostoli per fare politica mascherata da “attività sociale benefica”, quella di cui Bergoglio va cianciando a favore dei “confratelli in crimine” islamisti, cioè quelli che secondo la retorica fascista ci starebbero “invadendo”.
Allora, fuori dalle favolette, facciamo un po’ di storia vera. delle tre religioni abramitiche, AV-RA-HAM, la prima ad essere stata “creata” fu quella Giudaica, circa 4mila anni fa (duemila anni prima dell’invenzione di Cristo).
Anche se la religione giudaica sostiene di esistere fin dalla “creazione”, come del resto sostengono anche le altre due, è evidente che fu creata 2000 anni prima della nascita del cristianesimo.
Ora, senza andare troppo nel dettaglio (ma lo faremo), la situazione politica della PALESTINA di duemila anni fa era molto instabile. Il territorio era occupato dalle truppe romane, che in termini religiosi sono decisamente laiche.
Quando Roma conquista un territorio, impone tasse (per costruire sovrastrutture, ma anche, logicamente, per portare ricchezza in città), ma lascia la lingua, gli usi e costumi locali in essere, e soprattutto la religione locale.
Il motivo, estremamente SAGGIO (e che non farà mai praticamente più nessun’altro dopo, il che sarebbe un motivo sufficiente per essere a favore di ROMA invece che “di sinistra o “anticapitalist*”, ma ne riparleremo) è quello di NON creare risentimento nelle popolazioni locali, che possa poi fomentare rivolte.
Motivo logico, militarmente e politicamente, ma “laico avveduto, saggio, perfino “democratico”, diremmo oggi.
I romani però non sapevano ancora di avere a che fare colla peggiore ideologia del male che sia mai sbocciata sul pianeta terra, al cui confronto il nazismo è stato solo un gioco da pallidi imitatori dilettanti.
Quindi in sostanza all’epoca la religione dominante in PALESTINA era il GIUDAISMO, cioè’ la versione ebraica del monoteismo di YHWH, di Dio insomma.
Ma all’interno del giudaismo esistevano varie sette politiche, con sfere ideologiche e di influenza diverse. Tra queste le più forti erano quelle degli ZELOTI, degli ESSENI, dei SAMARITANI, dei FARISEI..
La setta dei BATTISTI ad esempio non si ispirava purtroppo al più grande cantante della storia della musica italiana (oltre a DEMETRIO STRATOS), ma a quel GIOVANNI BATTISTA che molti storici ritengono essere il personaggio storico realmente esistito su cui poi gli “evangelisti” plasmarono l’invenzione della figura di Gesù Cristo, molto anni dopo…
Ora, anzi “allora”, queste sette andavano tutte in giro a fare opera di conversione presso i Giudei più ortodossi, e lo facevano con le tecniche ancora in uso ora, cioè distribuzione di cibo e vestiario, o altri beni, la famosa TECNICA BUONISTA DELLA SOLIDARIETA’ finalizzata politicamente a altro..
Uno di questi, probabilmente mai esistito, o meglio creato a posteriori, era, nella tradizione evangelica degli Atti degli Apostoli, un ebreo ellenico di nome Stephanos, parola che in greco significa CORONA (non la Birra, purtroppo), e che rappresenta appunto la raffigurazione del MARTIRIO (anche Cristo quando trascina la croce sul monte Golgotha infatti indossa la “corona”).
Quindi evidente dalla simbologia, è tutto inventato a posteriori.
Perciò la favola degli Atti degli Apostoli continua raccontando che costui portava cibo, aiuto e sostegni alle vedove greche in palestina, che venivano discriminatate dagli EBREI CATTIVI, a favore delle vedove ebree che ricevevano “approcci e welfare STATALE”.
Quindi un santo, una figura eccezionale, “ovviamente devoto alla causa del cristianesimo” (che peraltro ancora non era stato formulato), e pure il primo a fare MIRACOLI dopo Gesù’ Cristo.
Quindi costui facendo DEL BENE a povere donne PERSEGUITATE DAGLI EBREI CATTIVI, diventa il primo SIMBOLO VIVENTE DELL’ANTISEMITISMO.
La narrativa degli Atti degli Apostoli continua raccontando che a causa di ciò il SINEDRIO, che sarebbe “l’autorità ebraica in territorio palestinese” dell’epoca in seno al governo romano, lo accusa ingiustamente di BLASFEMIA, e lo condanna alla LAPIDAZIONE. perciò costui, probabilmente mai esistito, MUORE COME PRIMO MARTIRE CRISTIANISTA…
Ma martire di cosa??
Semplice, della lotta di questa setta, contro gli EBREI ORTODOSSI del tempo.
In pratica quindi il 26 DICEMBRE si “festeggia” la nascita del preconcetto ANTISIONISTA, della discriminazione dell’odio contro gli ebrei, che dura da duemila anni, e che crea una linea diretta che dalle SETTE CSRISTIANISTE arriva fino al NAZISMO….
E la costruzione falsificata, costruita ad arte di questa narrativa antiebraica, e’ frutto di un’altra linea diretta che da GLI ATTI DEGLI APOSTOLI arriva fino ai PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION.
Curioso notare inoltre che in questa narrativa falsificante, costruita davvero ad arte e piena di simbologie esoteriche, si racconta anche che uno dei testimoni della lapidazione del nostro futuro SANTO MARTIRE (ripeto, probabilmente inesistente) STEFANO CORONA (anche un’altro Corona, martire del berlusconismo, potrebbe essere beatificato da Bergoglio, quindi qui glielo suggeriamo ufficialmente, tanto, visto che si santifica la peggio feccia…), sia un membro della setta cristianista dei FARISEI, un certo PAOLO DI TARSO che successivamente diventerà uno dei peggiori criminali della storia del cristianismo, cioè colui che portò per primo questa dottrina TERRORISTA TEOCRATICA E TOTALITARIA di una SETTA PALESTINESE ANTIEBRAICA, proprio a ROMA, dove ci sta come FORZA DI OCCUPAZIONE COLONIALE da circa 2000 anni.
Questo con buona pace della narrativa fascista contro “l’invasione dei migranti islamici”, quando la vera invasione da parte di un corpo estraneo fu proprio quella PALESTINESE che i fascisti tanto amano, insieme in logicissimi termini (VA) ai loro falsi nemici comunisti, coi cui condividono anche L’ODIO PER GLI EBREI, opps, scusate, SIONISTI!!!
E questo perché in termini (VA), tutto esiste in funzione del suo contrario, perché tutto nel COSTRUTTO MAGICO/IDEOLOGICO è esattamente il suo contrario, anche se finge tutt’altro….
E il collante d’unione smascherato dal (VA) del falso dualismo fascismo/comunismo è proprio il terzo incomodo abramitico del GIUDAISMO, il capro espiatorio del cristianismo panarabo (e successivamente del patto dei Fratelli Musulmani tra Islam e Nazismo), rivelatosi nella creazione quindi dell’ANTISEMITISMO.
Ora io mi chiedo sinceramente come faccia la Comunità Ebraica Italiana, e Romana in particolare (e di questa centralità di Roma riparleremo molto presto), ad accettare che IL GIORNO IN CUI SI PRATICAMENTE FESTEGGIA LA NASCITA DELL’ANTISEMITISMO, sia FESTA NAZIONALE RELIGIOSA, sancita dallo Stato italiano.
Anche perché, nota bene, la Festa di Santo Stefano del 26 Dicembre non è un mito arcaico, una “tradizione millenaria” o quant’altro, ma è stata istituita nel non certo lontano 1949!!!!!
E’ necessario quindi un lavoro di decostruzione sul mito delle “radici cristiane dell’Europa”, MAI ESISTITE, perché la realtà invece è che le radici libertarie & libertine, pagane & gaudenti originali greco-romane sono state soppiantate dall’invasione e colonizzazione di una setta terroristica palestinese che nulla ha a che fare con la nostra storia e i nostri valori di vita e libertà (e anche sessualità) più profondi, decisamente anticristianisti!!!
Helena Helena
(VA) – DEE CYBORG
X B@CCO!
ascolto consigliato: Necros Christos – Necromantic Doom (2002) (blackened death doom metal tedesco)"
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Se Seneca tornasse oggi
S: "Lucilio, ragazzo caro! Sei proprio tu!"
L: "Maestro! Sei tornato! Non posso crederci...oh, come mi eri mancato!"
S: "Che gioia poterti riabbracciare! Però, carissimo, ricorda che non devi avere nostalgia di me, ma dei pensieri sulla virtù che ti posso stimolare. Se un amico non ti dà occasione di progredire sulla via della virtù, non merita la tua nostalgia".
L: "Hai ragione maestro, giustissimo, bravissimo, esattissimo, anzi a proposito: che cosa stiamo aspettando? Dammi di nuovo qualcuno dei tuoi consigli su come diventare padrone di me stesso. Anche se è passato tanto tempo ne ho ancora bisogno, come dell'aria..."
S: "Ma certo. Per prima cosa, Lucilio: ti sei sempre ricordato di non passare le tue giornate senza far niente, ma di essere operoso fino alla morte, nella vita politica quando lo Stato era sano, nell'ozio letterario quando lo Stato era corrotto?"
L: "Eeh, maestro, ci ho provato...ma purtroppo i tempi sono un po' cambiati".
S: "In che senso?"
L: "Vedi, da quando non c'è più la schiavitù, quasi chiunque deve avere un lavoro se non vuole morire di fame. Con questo nuovo sistema, come puoi capire, tutti quanti avrebbero una voglia matta di essere operosi: e lo credo bene, visto che è l'unico modo per sfamarsi! Ma purtroppo, ormai in ogni Paese i posti di lavoro sono meno numerosi dei lavoratori, oppure sono concentrati solo in certe regioni, o ancora si smaterializzano dopo pochi mesi. Risultato? Tanti ragazzi come me sono costretti a non fare niente. Vorremmo darci da fare, ma non ne abbiamo modo. Inoltre, né con l'ozio letterario né con l'impegno politico si guadagna mezzo centesimo. È il mondo alla rovescia, vero?"
S: "Accipicchia! Ma ascolta, non perderti d'animo. Anche nelle ristrettezze materiali il vero saggio sa essere felice, anzi lo è ancora di più! Perché la povertà ti fa scoprire chi ti era amico per davvero, e chi invece lo era solo per interesse".
L: "Però, o luminosissimo, ammetterai che è complicato campare senza un centesimo".
S: "Beh, tutto sta nel sapersi adeguare. Per esempio: inizia a nutrirti di cibi rustici e frugali, invece che di vivande delicate. Vedrai che gioverà alla tua salute, oltre che al tuo portafogli..."
L: "Con rispetto, maestro, ma far questo poteva avere un senso fino agli anni '50, quando in media un italiano spendeva più della metà dei suoi guadagni solo per l'alimentazione. Oggi la spesa per il cibo non supera il 10%. Non sarebbe questo gran risparmio...inoltre potrà sembrarti strano, ma i cibi "rustici e frugali" sono diventati quelli più costosi. I cibi economici, al contrario, sono robaccia prodotta in serie dentro stabilimenti industrializzati di Paesi che ai tuoi tempi neanche si sapeva dove fossero. Imbottiti di pesticidi e di antibiotici, spesso creati artificialmente in provetta, non hanno sapore e non danno nutrimento, e più li si mangia, più si sarà costretti a un salasso di spese sanitarie negli anni a venire, come già sta avvenendo ai popoli che ne hanno consumati di più".
S: "Ma questo è il mondo alla rovescia per davvero!"
L: "Ahimè sì, o sapientissimo! Per questo la situazione è critica e ho tanto bisogno del tuo aiuto!"
S: "Ma per che cosa allora, o mio buon Lucilio, oggi si spendono i denari? Per i vestiti, forse? Magari, se cominci a indossare sempre un rozzo saio, oltre a passare per una persona umile farai anche un po' di economia..."
L: "Mi piacerebbe, dolce maestro...ma i tempi sono cambiati, e pure per i vestiti si spende solo una minima parte di quel che si guadagna. Oltreciò, anche qui i rapporti fra tessuti semplici e tessuti raffinati si sono un po' evoluti. A Porta Portese con cento euro puoi rifarti un guardaroba di acrilico e poliestere, ma qual è il vero prezzo da pagare? Che quegli abiti "semplici" vengono tutti da luoghi lontani chiamati Vietnam, Cina o Bangladesh, nelle cui industrie lo sfruttamento e le molestie sessuali sono all'ordine del giorno, e peraltro le operaie intascano poco o nulla del ricavato finale. Parallelamente, il loro prezzo stracciato fa concorrenza sleale ai tessitori italiani, che chiudono bottega o traslocano altrove lasciando i dipendenti per strada. Questo vuol dire più italiani poveri e costretti a comprare vestiti "semplici": cosicché il circolo si ripete, e una spirale di miseria avvolge sempre più strettamente e questo e gli altri continenti".
S: "È sconvolgente! Perciò, anche per quanto riguarda i vestiti, non possiamo più fare i nostri vecchi ragionamenti sulla sobrietà!"
L: "Alzo le spalle. È così!"
S: "Non mi hai ancora rivelato, però, a cosa destinate la maggior parte dei vostri soldi..."
L: "Te lo dico subito: casa, energia e tecnologia".
S: "Perfetto. Non si può risparmiare sulla casa?"
L: "Volendo sì, ma anche qui c'è stato un brusco cambiamento. Da circa mezzo secolo, le case più vicine ai centri cittadini sono le più care, mentre quelle più a buon mercato si spostano miglia e miglia più lontano ogni generazione che passa. Così, non c'è scelta: se vuoi spendere poco di affitto, devi perdere ogni giorno una marea di tempo. E sei stato proprio tu, o sensibilissimo, a insegnarmi che il tempo è il nostro bene più prezioso. Ti ricordi? Dicevi, scandalizzato: la legge obbliga a risarcirci chi ci ha fatto perdere del denaro, che si può riguadagnare una seconda volta, mentre nessuna legge obbliga a risarcirci chi ci ha fatto perdere del tempo, che non tornerà mai più.
Ebbene, oggi nessuno risarcisce i poveri che passano ogni giorno due o tre ore a viaggiare avanti e indietro pur di lavorare".
S: "E l'energia?"
L: "Come puoi fare a meno del condizionatore, se sei una persona anziana? O del riscaldamento, se vivi in una regione fredda? O della benzina, se sei un pendolare? E poi, da quando non c'è più la servitù, è necessario usare gli elettrodomestici. No, dell'energia non si può proprio fare a meno".
S: "La tecnologia, almeno!"
L: "Purtroppo, se non hai un telefono e un computer della massima efficienza, molti datori di lavoro ti fanno una pernacchia. Ma fossero solo loro! Perfino gli amici ti snobbano. E più o meno ogni tre anni quegli aggeggi vanno sostituiti, senza contare le volte che finiscono rubati, persi o distrutti".
S: "Per gli dèi...ma quindi...se non ho capito male...vivete in un sistema in cui dovete per forza spendere? Una vita austera e sobria è diventata impraticabile? O dannosa, o addirittura malvagia? Siete costretti a vivere da benestanti, e se scegliete una vita modesta aggravate solo la situazione???"
L: "Hai colto il punto, o venerabilissimo".
S: "Ma perché l'avete fatto? Alla fine siete più bisognosi qui, più sfruttati negli altri continenti, più infelici dappertutto...quale sarebbe il senso di questa operazione?"
L: "Eccolo qui, in questo grafico, il senso".
S: (si gratta il capo perplesso)
L: "Ah scusami, ai tuoi tempi non esisteva il piano cartesiano. Che sbadato. Comunque, fa vedere quanta parte della ricchezza mondiale è stata in mano all'1% più ricco degli esseri umani negli ultimi anni".
S: (rimane per un attimo in silenzio).
"...................ah. Adesso capisco".
(altro lunghissimo silenzio).
L: "Maestro?" (sottovoce). "Non me lo dai il regalino della buonanotte, come facevi sempre?"
S: "Che cosa?"
L: "Alla fine di ogni tua lettera, mi regalavi una perla di saggezza detta da un filosofo, una massima, diciamo, una frase a effetto, che mi aiutasse a scegliere la retta via. Te lo ricordi?"
S (assente): "...sì...è vero, ora che ci penso...me lo ricordo".
L: "E ce l'hai, stasera, una frase di un filosofo?"
S: "...sì...sì, Lucilio...ce l'ho".
L: "E qual è?"
S: "PROLETARI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI!!!!!!!!!"
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Alla ristorazione va dato il giusto peso Anche a Venezia
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Alla ristorazione va dato il giusto peso Anche a Venezia
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Che magiare (bene) a Venezia non sia sempre facile, è scontato. Dopo troppi anni di lassismo che hanno portato kebab, paninoteche e pizzerie al trancio ad occupare quasi ogni calle, il numero dei ristoranti di qualità si è rarefatto. Non è però accettabile che piazza San Marco e zone limitrofe si possano considerare come una sorta di Disneyland in cui tutti si aspettano di mangiare come in un fast food a prezzi popolari.
La riflessione viene spontanea considerando la spiacevole vicenda della famiglia cinese che ha contestato un conto a loro dire “salato” per più portate di pesce di qualità. Francamente non ci interessa tanto di capire se il costo fosse equo o meno (se tutto era indicato nel menu, cosa si può contestare?), ma come si possa essere arrivati a una denuncia con tanto di Sindaco che risponde dando dei “pezzenti” a dei turisti stranieri. Categoria, lo ricordiamo, senza la quale Venezia forse starebbe un po’ peggio di come è oggi…
Problemi di incomprensione della lingua? Può essere, ma il prezzo in euro non si può non comprendere. E comunque capita a tutti di essere in giro per il mondo e non capire cosa ci potrebbe essere in un piatto, ma quanto costa è quasi sempre chiaro. In questo ha ragione Aldo Cursano (Fipe) quando ricorda che è dovere, e interesse, di ogni ristoratore informare correttamente anche del costo di una portata. Cosa che in verità però non sempre succede, anche a Venezia…
Nel caso della Serenissima c’è però da considerare che da anni si è creata l’immagine (immeritata) di una delle città dove si mangia peggio e a caro prezzo. Situazione compensata peraltro da location e viste uniche al mondo… Ma se siamo arrivati a questo non è che nessuno abbia delle responsabilità. Siamo in presenza di uno dei centri storici più devastati dall’assalto di un turismo spesso a bassa spesa a cui interessa poco di mangiare bene. Una situazione che istituzioni e associazioni di categoria hanno tollerato, lasciando diffondere l’idea che, come detto, a Venezia non ci si vada per mangiare bene. Eppure la realtà di una ristorazione di qualità è invece proprio quella che sta ridando un po’ di smalto alla città. Sono ormai numerosi i ristoranti stellati o con cuochi famosi e il problema vero è che a questa nuova dimensione della Serenissima non si dà il giusto valore.
Questo è il limite di Venezia e di molte altre città. Pur essendo il cibo una delle motivazioni maggiori per i flussi turistici, pensiamo che bastino un po’ di format televisivi per tenere alta la bandiera. In verità c’è ancora molto da fare per spiegare agli italiani e al mondo che un conto è un fast food ed un altro un ristorante che fa cucina di qualità. La verità è che, per citare ancora Aldo Cursano, «a Venezia c’è una responsabilità maggiore perché lì si parla al mondo ed episodi come quello in questione non fanno bene all’immagine del nostro Paese». E non si può non essere d’accordo con lui anche nel giudicare «un po’ troppo sanguigna» la risposta del sindaco Brugnaro.
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“I buoni propositi per l’anno nuovo” o “come sfruttare un giorno a caso per darsi una regolata”
Anziché passare giorno 31 dicembre a fare bilanci, ho accolto con entusiasmo il nuovo anno, con una serie di propositi, già in parte orgogliosamente messi in atto. Sarebbe un sacco divertente scrivere i cattivi propositi, ci penso per il prossimo post.
Scrivo qui per renderli chiari a me stessa. Se qualcuno dovesse per caso visitare la pagina potrà prendere spunto.
1. Sfide ogni giorno. Basta digitare su Google cose tipo “30 days challenge” per trovare i più disparati programmi da seguire: disintossicarsi dallo smartphone in 7 giorni, sbarazzarsi dell’ansia in 21 giorni, 30 giorni di spunti per scrivere... Ne ho scelti un bel po’, tanti da riempire l’anno. Finita una sfida, se ne fa un’altra. Si tratta spesso di compiti piccoli e leggeri, che consistono a volte nell’astenersi dal fare qualcosa, quindi non sono un grande peso all’interno della giornata. Queste sfide sono il mezzo pratico per acquisire quelle abitudini che altrimenti rimarrebbero simpatiche liste lasciate a prender polvere perché non si sa mai da dove iniziare. Altro importante strumento: app apposite, podcast, consigli sui blog che non ti dicono cosa fare, ma il modo per fare quello che vuoi fare. P.s. Fare!
2. Riconciliare realtà e fantasia. Nelle fantasie serali sono qualcuno, di giorno qualcun altro. Concentrerò buona parte dei miei sforzi nel riappiccicare le due immagini e diventare chi mi immagino di essere.
3. Palestra, cibo, ma soprattutto risolvere i problemi alla radice. La palestra mi fa sentire nuova, mi impone di affrontare con coraggio un ambiente che odio (sono l’anti small talk per eccellenza, situazioni sociali di caciara senza contenuti mi fanno diventare timida e ebete), mi fa sentire pulita, mi fa mangiare bene. Tuttavia, io e il mio fisico siamo grandi amiconi, ci giustifichiamo a vicenda, facciamo grandi cose assieme ma poi alla prima debolezza cediamo... E così da 50 chili si arriva a 70 e poi giù e su e giù. Quindi no alle diete e sì alla consapevolezza: devo sapere perché mangio, se davvero mi fa stare bene o mi rende più nervosa, e combattere l’ansia e la noia per risolvere il problema del cd. emotional eating.
4. Tenere un diario (o più di uno). Gran parte dei miei problemi deriva dal fatto che mi annoio facilmente. Voglio fare una cosa, mi sforzo, riesco a farla, dunque mi annoio, e la abbandono. Ho comprato un’agenda a settembre, per i primi due mesi mi ha aiutata tantissimo a gestire studio e problemi abbastanza seri, poi... la noia. Un’idea è quindi cambiare spesso modo di tenere l’agenda (al pc/diario piccolo/lavagna/quadernone/colorata/minimalista eccetera) e cambiare tecniche di scrittura e contenuti per tenere vivo l’interesse. Vale anche per diete, routine, profumi, persone... Rinnovare tutto, spesso.
5. Perché mi piaci? Sto insieme alla stessa persona da 5 anni, e non sono stati anni di uscite allegre ed entusiasmi, ma anni di accettazione e soluzione di problemi, di duro lavoro (o meglio studio), di quasi convivenza, di costruzione. Il rapporto è simbiotico, sia per le cose belle, sia per le cose brutte, e così come tendo a dare per scontata me stessa, do per scontato anche lui, il suo carattere, le cose che ci spingono a stare insieme - si sta insieme e basta, è bello, è fondamentale, mi spinge a fare cose buone, e pare basti questo. Ma voglio amare di più la persona che ho accanto, scrivendo ogni giorno una cosa che amo di lei. Sai che bella lettera da consegnare l’ultimo dell’anno! Abbinare a un perché mi piaccio?, perché quando apprezzi gli altri smetti di essere critico con te stesso e ti dici “mbé, pure tu sei forte in questa cosa, in fondo...”
6. 365 giorni di film e di musica (o quasi). Amo il cinema e amo la musica, voglio conoscerne sempre di più, ho un sacco di titoli che mi frullano per la testa... E poi quando ho il tempo di ascoltare o vedere qualcosa, non so mai cosa. A breve userò qualche ora per mettere insieme una lista di cose che mi interessano, da sfoderare al momento del bisogno
7. Credere in qualcosa che ti fa stare bene: io credo solo in me stessa. Niente Dio, Patria, famiglia, oroscopo, figura ispiratoria. Sono priva di punti di riferimento, e a volte mi pesa molto. Molti pensano in momenti difficili a “cosa farebbe mio padre?” o “da vero cristiano come dovrei agire?”, a volte l’esigenza viene pure a me ma non ho il metro con cui misurarmi. Ho i miei valori e la mia fortissima logica. Ho deciso comunque di credere a una cosa stupida (anche se credere non è il termine giusto, in fondo, e non è nemmeno stupida), e cioè al famigerato test della personalità Myers Briggs, che sostiene io sia una temibile, geniale, stramba INTJ; peraltro, in quanto donna, sarei particolarmente rara, tanto da essere definita un unicorno. Mi ritrovo nelle descrizioni, nei consigli e nelle varie analisi. Avere un profilo in cui identificare le proprie forze e le proprie inclinazioni fa sentire abbastanza fighi. E’ bene prendersi il lusso di sentirsi fighi, in generale.
8. Stregoneria: i barattoli. Ecco un esperimento a mio avviso melenso, anche se quando ne ho parlato al mio ragazzo mi ha risposto un po’ sconvolto “la smetti di essere così strega?”, la cosa mi ha divertito quindi la prendo così. Due barattoloni di vetro, dei foglietti, i pensieri di ogni giorno, da trascrivere sui foglietti, da mettere in uno dei barattoli se sono positivi, nell’altro se sono negativi. Valutare, a fine anno, la proporzione tra i foglietti nei due barattoli; rileggere i negativi, piangere, bruciarli; rileggere i positivi e tenerli nel cuore. Gneee
9. Continuare a tenere il foglio dei film. Sono un tipo che dimentica le cose, tipo quali film ha visto recentemente, ma da un paio di anni ho trascritto quasi tutti i titoli ed è molto soddisfacente riempire così le pagine.
10. Cose random che devo imparare a fare: guidare la macchina; saper parlare e comunicare; sentirmi a mio agio con una qualunque attività fisica diversa dagli attrezzi che possa aiutarmi a mettermi in gioco; usare tecniche per fare le cose (routine mattutine, bullet journaling, metodo del pomodoro per dire le più famose); usare i social o in maniera attiva o niente; capire cosa fare dopo la laurea; essere meno tirchia di soldi ed emozioni; continuare a dare un contributo alla causa femminista, alla comunità lgbt e lottare in piccolo contro tutti i pregiudizi; finire di scrivere le tre storie che ho in mente; fare più regali.
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Da dove arrivano i gamberi che mangiamo La domanda internazionale di gamberi è cresciuta nettamente negli ultimi anni, e si stima che oggi rappresenti circa il 20 per cento del mercato ittico internazionale. Secondo la Commissione Europea il consumo di gamberi in Europa è di 1,56 chili a testa all’anno, in aumento del 4 per cento negli ultimi cinque anni. Le catture mondiali di gamberi sono aumentate del 14 per cento tra il 2007 e il 2016, ma si stima che nel 60 per cento dei casi i gamberi che si mangiano nel mondo provengano da acquacolture, una percentuale che sale fino all’82 per cento nel caso dei gamberi tropicali. L’allevamento mondiale dei gamberi ha aumentato la produzione di quasi il 60 per cento negli ultimi dieci anni, periodo nel quale i prezzi sono stati perlopiù stabili e relativamente bassi. Questa crescita repentina però ha fatto venir fuori diverse criticità, e oggi molti esperti avvertono che l’attuale domanda mondiale di gamberi non è sostenibile. (...) Ad avere dei problemi è sia la pesca dei gamberi, sia l’allevamento. Il problema della prima non sta tanto nello sfruttamento delle risorse: esistono alcune specie di gamberi minacciate dalla pesca, ma in generale i gamberi si riproducono come pazzi e a quanto sappiamo non li stiamo facendo estinguere. Ma ci sono diversi problemi che riguardano il loro habitat: il principale è legato alla tecnica usata dalla larghissima maggioranza delle barche che pescano gamberi, e cioè la pesca a strascico. Come suggerisce il nome, si pratica facendo scorrere sul fondale marino, a profondità di decine e decine di metri, una rete di forma conica. Da tempo viene considerata una delle tecniche di pesca industriale con il maggiore impatto ambientale, perché distrugge e asporta la gran parte degli organismi – coralli, alghe, molluschi, pesci, crostacei – che incontra. (...) Per quanto riguarda l’acquacoltura, invece, i problemi riguardano il fatto che i gamberi sono allevati spesso in paesi con scarsi standard, sia per quanto riguarda la sicurezza del cibo sia le condizioni dei lavoratori. In molti paesi l’espansione delle acquacolture di gamberi ha comportato una rapida distruzione delle foreste di mangrovie, tra gli habitat più fragili al mondo e peraltro tra quelle più efficaci per quanto riguarda l’assorbimento di anidride carbonica. Si stima che dal 1980 si sia perso il 20 per cento delle foreste di mangrovie mondiali, circa metà delle quali a causa dell’acquacoltura: di questa parte, la maggior parte dipende dall’allevamento di gamberi. Recentemente alcuni governi del sud est asiatico hanno provato a risolvere il problema, imponendo qualche limite al disboscamento di mangrovie per l’acquacoltura. Esiste poi, come in molti altri casi di allevamenti intensivi, il problema della facile diffusione di malattie, che spesso si trasmettono anche al di fuori degli allevamenti, e che sono spesso combattute con un esteso uso di antibiotici. L’industria di molti paesi si basa su piccoli allevamenti familiari – si stima che in Vietnam ce ne siano circa 100mila, per esempio – e per questo è molto difficile fare controlli efficaci, anche per quanto riguarda le sostanze inquinanti riversate nei fiumi. È un problema per esempio dell’area del delta del Mekong, tra quelle che producono più gamberi e tra le più inquinate del mondo, visto che il fiume ci arriva dopo aver attraversato Cina, Birmania, Thailandia, Laos e Cambogia, raccogliendo prodotti di scarico in ciascuno di questi paesi. In altri paesi, specialmente in Thailandia, si è scoperto che la produzione di gamberi esportati in Occidente si basa su lavoro in condizioni di schiavitù: un’inchiesta del Guardian di alcuni anni fa rivelò che Charoen Pokphand Foods, il più grande produttore mondiale di gamberi d’allevamento, comprava i mangimi da fornitori che usavano barche da pesca il cui equipaggio era composto da schiavi costretti a turni da venti ore al giorno, picchiati, venduti come animali e soggetti addirittura a esecuzioni sommarie. Tra i clienti internazionali di Charoen Pokphand Foods c’erano Walmart, Carrefour, Tesco e Costco, tra le più grandi catene di supermercati al mondo. (...) Un rapporto di Human Rights Watch del 2018 aveva però denunciato che situazioni come quelle scoperte dal Guardian continuano a verificarsi in Thailandia e Cambogia. Come per molte altre questioni sulla sostenibilità del cibo, le soluzioni dipendono soltanto in parte dall’impegno individuale. Spesso conoscere la provenienza dei gamberi che mangiamo è difficile, soprattutto al ristorante o in prodotti lavorati. Il consiglio che danno gli esperti di impatto ambientale del cibo è, come in molti altri casi, quello di mangiarne meno, e cercare di scegliere quelli che hanno un qualche tipo di certificazione di sostenibilità, anche se sono più costosi. Il Post
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