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#non smetto di domandare
susieporta · 1 year
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Frammento di una lettera che non verrà spedita: «Sento quello che lei mi dice e sento ancor più il modo in cui lo dice. Lei chiede una cosa che le manca, e poichè le manca ne parla come se le fosse dovuta. Mi fa pensare alla frase udita l'altro giorno per strada: "Vuole essere amata, che imbecillità!" È dura questa parola, ma la verità certe volte ha denti da lupo. L'imbecillità in questione sta nel credere che il nostro volere dia adito a un diritto su ciò di cui abbiamo bisogno, e vi metta una specie di firma. L'imbecillità non sta nel domandare, ma nel cambiare la richiesta in lamento che si tramuta in pretesa. Lo so bene, lei non parla di questo, ma è su questo tono che lei parla e la verità è nel respiro prima d'essere nelle parole. Ascolto le sue ragioni e sento soltanto il suo risentimento. Ma non ho mai trovato un'oncia di verità nell'amarezza. Non vi ho mai sentito che la miseria di un amor proprio deluso.
Riconosco lo splendore del vero soltanto nella gioia e in quella coscienza di noi stessi che l'accompagna sempre, la coscienza radiosa di non essere nulla - e allora come avere pretese su qualsiasi cosa, perché intestardirsi in una richiesta che non sa bene quel che vuole e non fa che volerlo? L'amore viene solo per grazia e senza tenere conto alcuno di ciò che siamo. D'altronde, se non fosse così, non verrebbe mai. Stia certa: se scrivo di queste cose, sono lontano dall'esserne degno.
Non smetto tuttavia di contemplarle come sulla strada piena d'ombra guardiamo all'orizzonte le montagne dove nemmeno
oggi riusciremo ad arrivare».
Christian Bobin, da ‘Il distacco dal mondo’
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yourtrashcollector · 7 years
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Chiedo scritture che strappino lembi dell’invisibile, dell’inesistente, in qualunque modo, con rabbia o con distacco, con freddezza o con frugalità, con carnalità accesa o con astratto furore. Tutto, davvero tutto, purché si avveri il miracolo dell’indentramento e del trascendimento di questa complessità. Un empito che mi faccia trasalire e che non inventi mondi alternativi, bensì mondi profondi, capaci di farmi comprendere il mondo. Che l’universalità sia percepita nella cosa stessa del racconto, delle volute a cui uno stile necessario implichi la mia presenza. L’antico gioco delle forme e dei nomi divelto, nel momento in cui vi si aderisce con qualunque dispositivo, con lo strappo dell’anima, dell’animale. Vento sulle più alte cime. Fuoco dalle radici delle mangrovie più sorprendenti. Immobilità e gelo nella furia che rendiconta l’amore, la morte, l’esserci: il ghiaccio brucia. Questo chiedo alle scritture, pochissime mi danno questo che chiedo. Attendo ormai pochi libri, pochissimi nomi: padri, madri, fratelli e sorelle nell’inebetimento davanti all’eccelso, allo sprofondamento. So che questa non è una poetica: è un misurare gli esiti, è percezione mia di ciò che fu detto: letteratura. Non smetto di domandare, a prescindere dalle risposte. Datemi complessità, nutrite la mia fame, ammazzate i vitelli, ammazzate me.
Giuseppe Genna, Cosa chiedo alla letteratura
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marikabi · 6 years
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Like Fishes in the Net (XXVI puntata)
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Da Baldassarre Castiglione in poi, ogni epoca ha prodotto le sue regole per il vivere civile. Da Donna Letizia a Lina Sotis più o meno eravamo rimasti al dress code sulle partecipazioni nuziali o alla precisa mise en placedurante le cene.
Dopo il galateo del viaggiatore – quello in cui si prescrive di slappare rumorosamente con la lingua bevendo il brodo in Giappone, tanto per capirci – adesso c’è il galateo per navigatori.
Che NON è il mansionario del crocierista o dello skipper, bensì del frequentatore di social network.
Diciamo che in inglese il navigatore telematico viene detto ‘surfer’ -- sì, esattamente come chi sfiora le onde sulla tavola da surf -- solo che il italiano la definizione non è immediatamente intuitiva (per poca dimestichezza con le tavole e i mercoledì da leoni), quindi ‘navigare’ va bene, anche perché siamo con orgoglio un popolo di santi, navigatori eccetera eccetera.
Navigare sul web implica alcune regole, che vanno ben oltre il contegno, il non offendere (perché protetti dall’anonimato) e non fare stalking (ma anche spamming, phishing, cheating. Chi non sa l’inglese è fregato in partenza).
C’è un’etichetta peculiare per i social network, nei quali la gente si espone pensando di essere tra amici.
Il primo dei divieti è quello di creare Gruppi di odio. Cioè, se a me sta sonoramente antipatico Sgarbi, ciò non mi deve condurre a creare un Gruppo di ‘odiatori di Sgarbi’, perché fomenta l’odio e veicola il principio che sui social network si può fare di tutto: una cosa è dirlo fra amici (più o meno), altro è scriverlo e statuirlo da qualche parte, tivvù esclusa (dove alza l’audience con gran soddisfazione dei dirigenti televisivi).
Il secondo è quello di non dire ‘comunista’ (e succedanei come ‘radical chic’ e ‘bo-bo’ da bourgeois-bohemien). In primo luogo, perché ‘comunista’ identifica (e deve identificare univocamente) solo e soltanto una partigianeria politica e non ‘chiunque-parli-un-italiano-compìto-e-non-abbia-mai-parlato-male-della-Corazzata-Potëmkin-e-ha-pure-votato-Pisapia-Sindaco-di-Milano’ e in secondo luogo perché ciò denota l’oceanica ignoranza storica e sociologica di chi profferisce a sproposito l’attributo (o anche in funzione di apposizione, eh). Memorabile l’episodio (rintracciabile anche su YouTube) di Fabio Volo (radio-guru autore di best-seller filosofici) il quale – tacciato qual ‘comunista’ da un altrimenti insipiente ed ignorante radioascoltatore – cerca di spiegare come l’aggettivo abbia cambiato di significato tra le convinzioni (errate) di alcuni esponenti delle giovani generazioni, complice un insulso tam tam propagandistico. (Per una migliore analisi del problema cultural-antropologico consigliamo il libro di Silvia Dai Pra’ “Quelli che però è lo stesso”)
Antonio Cornacchione rende bene l’idea della banalità dell’uso dell’aggettivo ‘comunista’ quando insulta chiunque non ami Ilvio. Anche Gianfranco Fini è passato come comunista. Si è persa ogni religione!
Analogo a ‘comunista’, infine, è l’aggettivo ‘femminista’. Pare che essere femminista sia un abominio. Eppure – lo dico a giovamento degli smemorati – il comunismo ed il femminismo non sono reati per la Legge italiana (e per molte altre Costituzioni mondiali), mentre il fascismo lo è. Anyway.
Altra regoletta preziosa è quella di non fare quiz idioti (tipo “Cosa ti capiterà di sconvolgente entro un mese?”, oppure “Un nome, un colore”, o anche “Che personaggio dei cartoni animati sei?”, “Che albero 6?”) perché i risultati (spesso ridicoli ed imbarazzanti) vengono pubblicati sulla  tua bacheca e su quella dei tuoi amici, il che è, francamente, molto irritante.
Andiamo avanti. Non è opportuno collegare fèisbuk a Twitter perché inonderai le Bacheche dei tuoi amici di inezie sul tuo shopping o sulla passeggiata in Via Condotti (o Montenapo) lungo la quale incontrerai stelline o tronisti. Ed anche questo è irritante. Lo stesso dicasi per i miei amici cronisti politici che seguono i consigli comunali. Molte delle cancellazioni dalla lista degli amici derivano da questi svalangamenti massicci di insulsaggini da aula consiliare.
Anche se non è molto seguita come consuetudine (vd qualche capitolo fa), sarebbe opportuno non accettare l’amicizia di chi non si conosce di persona. Io ho provato a fare il terzo grado agli ‘aspiranti-amici-di-Marika-Borrelli’, con il risultato di apparire superba ed antipatica. Ho desistito. Accetto quasi chiunque possa vantare di avere almeno 10 amici in comune. Con la precauzione di ‘oscurali’, ‘censurarli’ o ‘impedirli’ al primo sintomo di ‘maschio-in-libera-uscita-sul-web’.
Parimenti, se sono io a chiedere a qualcuno l’amicizia, mi premuro di ricordargli chi sono e dove ci siamo visti, o il motivo della richiesta (di solito è uno scrittore o un giornalista, oltre non oso).
Altra dannazione è rappresentata dagli Inviti ad Eventi. Ma perché diamine mi invitate se non abito nella vostra città? È un modo per dirmi che siete tipi impegnati? Che avete scritto un noioso libro sulla felicità a portata di mano? Che ospitate un noioso autore di poesie? Che qualche vostro amico ha una band anni ’80 (orrido) e suona in un locale a 540 km da casa mia? Che c’è un volantinaggio a Rovigo, mentre io vivo molto più a sud e non ci vengo neanche se mi pagate il biglietto del Frecciarossa? Che la vostra amica ha aperto un locale vegano che prepara solo cibi crudi (io che amo la spigola all’acqua pazza)?
Che dire poi delle Cause? Non servono. Avete capito? N-O-N----S-E-R-V-O-N-O. Punto. Mettere come foto-profilo l’immagine della Prefettura dell’Aquila distrutta non aiuta gli Aquilani né dice molto sul gradiente personale di compassione e vicinanza a quelle sfortunate popolazioni. Quando mai raccogliere gente attorno ad un titolo di post su fèisbuk ha eliminato la tortura, liberato il Tibet o dato il Nobel a Julian Assange? Tantomeno debellato la leucemia, la malaria nell’Africa sub-sahariana o riaperto gli ospedali di Emergency. Il numero di IBAN (o il 5 per mille, se ce lo lasciano) è complicato, ma è sicuramente efficace.
Altra cortesia per i nostri ‘amici’ è quella di postare le foto nella giusta direzione. Non farlo è un segno di poco rispetto verso chi avrà la sorte di visionarle e denota molta superficialità (o ignoranza del mezzo informatico). Su fèisbuk ci sono due piccoli tasti sotto la foto, prima di pubblicarla, please click on per raddrizzare il collo altrui, evitando recrudescenze di artrosi cervicale.
È anche successo che un paio di esagitati amici avessero perso l’uso e l’accesso del loro profilo. Per cui, insistevano a domandare di inviare loro nuove richieste di amicizie a nuovi profili (non bannati ancora, ma lo sarebbero stati presto, visto le insistenze). Capisco il loro disappunto, ma non ho abboccato.
Ultima regola e smetto di annoiarvi. Non postate roba criptica. Ve ne riporto alcuni esempi (con le domande che automaticamente mi hanno suscitato):
“-1” (Un kilo? Al matrimonio? Al divorzio? All’uscita dell’iPadPro4?)
“Dubbiosa” (Perché?)
“Abbiamo dato” (Cosa? Soldi? Amore? Il mangiare al gatto?)
“Ricomincio daccapo” (File persi?)
“Ho freddo dentro” (Sei stata lasciata, eh?)
“Ho sposato un unicorno” (Adulterio a metà?)
“Mi sono affiliata alla massoneria” (Per fare soldi?)
“Sono intrappolata in una miniera” (È apparso nei giorni dell’odissea ipogea dei minatori cileni)
“Farò il pirata in Somalia” (Ah, non ci sono più i Salgari di una volta!)
“Forse domani ne usciamo” (Da che?)
Siamo sicuri che è roba che interessi davvero? O non ci fa apparire piuttosto patetici?
P.S.: Ah, dimenticavo. Non postate in terza persona. Fa tanto romanzo crepuscolare, ma è onestamente ridicolo su fèisbuk.
(Capitoli da un best seller ormai introvabile)
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