#non siamo prede
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Eddie Brock: "Non siamo prede" è il nuovo video
Esce per Sangita Records e distribuito da ADA Music Italy il videoclip ufficiale del brano Non siamo prede del cantautore Eddie Brock, colonna sonora originale del film La preda diretto dal regista abruzzese Pierluigi Di Lallo. Ambientato tra le antiche mura di Guardiagrele (CH), il videoclip Non Siamo Prede rappresenta un tassello importante del cortometraggio, contribuendo a diffondere il…
#eddie brock#emergenti#genere musicale#musica indipendente#non siamo prede#trakoftheday#video#youtube
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Breve storia del clima.
In epoca romana, dal 250 a.C. al 450 d.C., la temperatura era di almeno 2ºC più alta di oggi (i più nerd tra i medioman vi diranno che c'erano variazioni, senza rendersene conto confermando la tesi: le variazioni climatiche avvengono "da sole" non certo per colpa dell'uomo. I più fessi, quelli che non sapendo leggere ma solo ubbidire chiedono "le fonti?", sostengono che i romani aumentarono la CO2 ... bruciando legna. La fonte? ndr).
Era un periodo di riscaldamento globale. La popolazione è aumentata (...). L'agricoltura del clima caldo poteva essere intrapresa in aree a latitudini e altitudini molto più elevate di adesso. (La vite in Inghilterra, ndr). Questo riscaldamento non poteva essere dovuto alle emissioni umane di CO2.
Seguirono i secoli bui. Questo è stato un periodo di freddo pungente di fallimento dei raccolti, carestia, malattie, guerra, spopolamento, espansione del ghiaccio e aumento del vento. (...) Bande assassine di rifugiati climatici vagarono per l'Europa in cerca di prede. Civiltà come i Maya crollarono.
Il successivo riscaldamento medievale (900-1300 d.C.) fu un periodo (positivo) per la vita sulla Terra. Le calotte glaciali, i ghiacciai e il ghiaccio marino si contrassero, consentendo l'esplorazione e l'insediamento del mare ad alte latitudini. Colture di cereali, bovini, ovini, fattorie e villaggi furono stabiliti in Groenlandia, almeno 6ºC più calda di oggi.
Sebbene ci sia stato un periodo freddo di 40 anni nel riscaldamento medievale (i clcli del clima che cambia COSTANTEMENTE, ndr), i fallimenti dei raccolti e la carestia erano rari. La popolazione aumentò (...). La ricchezza creata (...) è stata utilizzata per costruire cattedrali, monasteri e università. Il riscaldamento medievale era globale. Ancora una volta il riscaldamento non poteva essere dovuto alle emissioni umane di CO2.
La piccola era glaciale iniziò alla fine del XIII secolo con una diminuzione dell'attività solare. La piccola era glaciale è stata caratterizzata da un clima rapidamente fluttuante, e periodi straordinariamente freddi durante l'inattività solare: (1280-1340, 1450–1540, 1645–1715 e 1795–1825). Faceva molto freddo (i carri dei rifornimenti a Venezia potevano passare sulla laguna ghiacciata d'inverno, ndr). È stato un cambiamento climatico globale. C'era il fallimento del raccolto, la carestia, la malattia (peste nera, peste manzioniana, ndr), la guerra e lo spopolamento.
Ci fu uno spaccamento sociale (rivoluzione francese). I prezzi del cibo aumentarono nei periodi di debole attività solare. I vichinghi in Groenlandia si estinsero. Non era un buon momento per vivere. La piccola era glaciale terminò nel 1850 e da allora c'è stata una tendenza al riscaldamento con periodi più freddi (1940-1976 e 1998-2005). Storia, archeologia e geologia dimostrano che attualmente viviamo in un clima interglaciale e variabile.
I cambiamenti che possiamo osservare con la strumentazione moderna sono molto piccoli. Sia i tassi che l'entità del cambiamento climatico sono inferiori ai cambiamenti negli ultimi 1000, 10.000 o 100.000 anni.(...) La storia e l'archeologia ci mostrano che il raffreddamento globale provoca siccità, sconvolgimenti sociali, migranti climatici, carestie, malattie, guerre, spopolamento, collasso di civiltà ed estinzioni di piante e animali. Le grandi civiltà prosperarono in tempi caldi. Viviamo nei tempi migliori che gli esseri umani abbiano mai avuto sul pianeta Terra.
Siamo l'unica generazione di umani a temere un clima caldo! Il riscaldamento globale ci ha sempre reso più ricchi e più sani. La storia è li a ricordarcelo ma, come la matematica e le scienze, oggi non si studia più.
via https://twitter.com/climacritic/status/1738157567820312714
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Oltrepasso la soglia dei miei 50anni e vergine di social, scelgo tumblr, in cerca di aforismi; da sempre affascinata dal potere delle parole, alla ricerca dell'orgasmico piacere di una frase giusta detta al momento giusto. Mi tuffo nel gomitolo...mi affaccio alle vostre finestre e trovo vite...trovo persone con cicatrici vistose che si arrossano ancora al sole cocente del tritacarne, chiamato vita, in cui ci muoviamo o con ferite ancora aperte e sanguinanti, esposte alla fame delle prede...trovo cuori lacerati, cervelli in panico, mani protese a cercare altre mani per farsi risollevare...trovo corpi senza forze, che si lasciano schiacciare da un mondo che corre troppo in fretta, senza rispetto per chi non ce la fa, senza attesa x chi resta indietro...trovo anime a brandelli che si sentono sole ma che hanno paura del contatto di altre anime sole...spaventate, uccise, morenti...
Cercavo parole ed ho trovato vite silenziose che parlano più di tutte le parole dell'intero universo...che libro l'umanità....quante pagine siamo in questo mondo...non basta un'enciclopedia per racchiuderci tutti...
Questo è un omaggio a tutti voi...al popolo Tumblr...a voi trovati per caso nel libro della mia vita... Solleviamo i nostri capi e guardiamoci per un attimo negli occhi....attraverso gli occhi si arriva all' anima....magari capita di scoprire nell' altro la nostra stessa sofferenza e in modo ridicolo sentirci un pochino sollevati dal condividere lo stesso tipo di dolore. Usciamo a guardare l'alba tutti insieme...ognuno la vedrà diversa attraverso i propri occhi, xchè ognuno è diverso ed è questa la nostra 'grande bellezza'.
Buona giornata a tutti voi...a tutti noi! ❤️
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“Il Trentino può ospitare un massimo di 50 orsi. Gli altri vanno rimossi”
—Il presidente della Provincia di Trento.
“Il rilascio di 10 esemplari provenienti dalla Slovenia per ripopolare i boschi trentini tra il 1999 e il 2002, erano stati preceduti da un dettagliato studio di fattibilità, curato dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica, che aveva accertato l’idoneità ambientale di un territorio sufficientemente ampio ad ospitare una popolazione vitale di plantigradi (40-60 orsi), che costituiva l’obiettivo finale del progetto. L’areale doveva andare ben oltre i confini del Trentino, interessando le regioni e i Paesi confinanti. Ebbene, la maggior parte del centinaio di esemplari attualmente presente in Trentino si sposta all’interno di un’area ampia circa 1.500 chilometri quadrati (pari a un quarto dell’intero territorio provinciale) e fortemente antropizzata.” (comunicato della provincia di Trento)
Sono passate poche ore dalla tragica morte di Andrea Papi e già la politica sa perfettamente cosa bisogna fare per gestire la situazione degli orsi in Trentino. Ma se così fosse, non si poteva iniziare prima con questo meraviglioso piano risolutorio?
Sorgono però varie domande: se i 10 orsi introdotti nei primi anni 2000 sono diventati 100 in soli 20 anni, quanti pensano diventeranno i 50 superstiti, anche in molto meno tempo? Uccideranno o deporteranno (dove?) tutti gli esemplari eccedenti i 50 ogni anno? E quando morirà un'altra persona, anche solo con 50 esemplari in giro, dimezzeranno ulteriormente la quota o faranno finta di niente? E quanti problemi creerà l'aumento improvviso delle loro prede che si troveranno metà degli orsi di ieri? Si tratta di mammiferi, sia piccoli come i topi che grandi come i cervi.
La tentazione dell'Uomo è sempre stata quella di gestire la Natura, spesso per tentate di rimediare ai danni che noi stessi abbiamo provocato. E sempre senza successo. Perché se oggi la popolazione è meno abituata alla presenza degli orsi e non sa come comportarsi in loro presenza (ad esempio fuggendo di corsa appena ne avvistano uno o portando cani senza guinzaglio nei boschi) è perché ne abbiamo uccisi così tanti in passato che sulle nostre Alpi erano totalmente estinti. Per questo sono stati reintrodotti dalla vicina Slovenia.
Gli orsi si comporteranno sempre da orsi e, a meno di ucciderli di nuovo tutti quanti, probabilmente sarà impossibile evitare di nuovo tragedie come questa. Che però appare totalmente inaccettabile perché non stiamo mica parlando aggressioni da parte di cani, i quali uccidono varie persone l'anno. Per quale motivo un orso dovrebbe avere meno diritto di vivere di un cane? Chi siamo noi per fare questa scelta?
Significativa l'espressione del comunicato stampa della provincia di Trento che usa la parola "ospitare" quando parla della presenza degli orsi. Il pianeta non è nostro, non stiamo ospitando nessuno. Lo stiamo solo condividendo. E la convivenza con le altre specie sarebbe possibile se avessimo più rispetto e conoscenza degli ecosistemi.
E invece oggi si continua a parlare del diritto di andare ovunque nei boschi, di continuare con le solite attività che si sono sempre fatte, invece di iniziare una campagna per spiegare alla popolazione l'importanza di minimizzare i rischi. Non è facile in un Paese già enormemente antropizzato, dove gli ecosistemi sono continuamente sotto stress anche solo a causa della loro fortissima frammentazione.
Ma se non ci proviamo sarà sempre più facile dare la colpa alle altre specie delle idiozie che commettiamo noi.
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Io ho il ribrezzo dei cadaveri degli animali, ma questo solo perchè non ho mai trovato per strada il cadavere di una persona mentre passeggiavo, altrimenti forse avrei il disgusto anche del cadavere delle persone. Se vedo un animale morto per strada, qualsiasi esso sia, mi viene subito la tachicardia, inizio a tremare e mi viene da svenire, ci mette un po’ a passarmi, ma ok, insomma adesso io ho un gatto. Una gatta. La mia gatta non ha ancora un anno, quindi diciamo che ha iniziato a bazzicare il mondo esterno che era inverno e non ha avuto modo di praticare la caccia alle prede, d’inverno ce n’è poca di carne da macello fuori. Però la sua indole da killer noi l’avevamo già intuita. Appena è arrivata la bella stagione lei ci ha messo solo qualche secondo per annunciarci che la primavera è giunta e per gli animaletti era rimasto poco scampo.
Siamo invasi di cadaveri di lucertole. Sul tappeto della cucina e sul terrazzo e di solito se ne occupa Luca di toglierli alla mia vista. Una delle prime volte io ero in salotto e dalla mia postazione vedevo questa cosa che si muoveva saltellando sul tappeto della cucina e lei, la l’assassina dal pelo grigio, però stava giocando con un’altra cosa, sempre sul tappeto, mi avvicino e noto che c’era una lucertola divisa in due, la cosa che saltellava era la coda e la gatta stava giocando col corpo. Volevo morire. Chiamo Luca che prende e porta fuori la coda, ma poi prende e va per portare fuori anche il corpo cercando di attirare l’attenzione della gatta che invece ancora non si era resa conto della situazione e cercava la lucertola sotto al forno, sotto al frigo etc. Quindi a quel punto non sapevamo che fare, nel senso, salviamo la lucertola e lasciamo che la gatta scopra piano piano di essere stata gabbata o ridiamo la lucertola alla gatta e la togliamo fuori una volta che si è stancata? Dilemma etico. Non vi dico cos’abbiamo deciso perchè mi vergogno di me stessa.
Oggi ero sola a casa, mi sveglio, vado per tirare su le tapparelle della cucina e mentre salivano noto attaccata in fondo una lucertola morta che saliva insieme alla tapparella e la gatta, che sta sempre in mezzo al cazzo, che cerca di acchiapparla. Io ho avuto un mancamento. Faccio scendere la tapparella in modo che la gatta potesse prendere quel povero cadavere di animale così almeno gioca con un essere già morto e amici, adesso ho una gatta che sbatacchia a destra e a sinistra una cadavere di lucertola in soggiorno perchè io non ho la forza di spirito di prenderlo in mano per lanciarlo in giardino e insieme lanciare anche la gatta basta mi sono rotta il cazzo chi vuole un felino crudele?
Aiuto.
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incrocio lo sguardo di un estraneo sui mezzi pubblici e subito abbassa gli occhi, so in maniera così profonda, come se ce lo avesse inciso sulla fronte, scritto a inchiostro indelebile sui vestiti, nebulizzato attorno al corpo come un pensiero che prende vita, che pensa che lo stia giudicando negativamente. siamo tutti deformi nella testa degli altri che ci portiamo dentro, conserviamo nello stomaco menti cattive e onniscienti che sanno che non abbiamo raggiunto i nostri obiettivi, che saltiamo di relazione in relazione conservando la perla della solitudine sotto alla lingua, che abbiamo mangiato troppo per affrontare la prova costume, che pensiamo di ucciderci ogni volta che qualche cazzata ci ferisce in profondità. gli altri non vogliono alleviarci il dolore, ridono di noi nella nostra stessa coscienza, ci aprono con uno sguardo, siamo sempre sotto attacco quando il trucco ci cola in faccia a fine giornata e siamo gonfi e stanchi, prede facili della sera, dell'insonnia, dei telefoni, dei ricordi. siamo brutti e vulnerabili e loro lo sanno. ma io, anche se non riesco a dirlo, penso siano bellissimi gli estranei che mi offrono il loro profilo per evitare i miei occhi, penso a quanto siano gloriose le occhiaie sotto ai loro occhi, a quanto sia eroica la matita colata, alla storia che raccontano i chili di troppo, le cosce troppo magre, la smania con cui rispondono subito ai messaggi con un'espressione seria e tesa. tutto corre nella direzione sbagliata eppure siamo ancora vivi cazzo, esistiamo sotto una pressione che minaccia di farci dissolvere nel respiro degli altri, tutti i giorni prendiamo a testate le città e i palazzi e sappiamo che non serve a niente ma se ci si guarda bene siamo più alti di qualsiasi altra cosa.
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Non siamo molto diversi dagli animali. C’è un meccanismo di difesa che è possibile adottare quando sei ferito e stanco molto simile a quello che adottano le prede per non farsi attaccare: la paralisi. Ti paralizzi, resti immobile, sperando che così niente e nessuno ti noti, niente e nessuno verrà più a chiederti i conti. Si dimenticheranno della tua esistenza. Ma per quanto concerne gli uomini, la bestia dalla quale cerchi di difenderti è la Vita, e la vita pretende continuamente, non se lo scorda che esisti, cercherà in ogni modo di renderlo tangibile a te e agli altri. E non puoi scappare in nessun modo.
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Mi chiedo ancora se raccontare sia "spingere” o “arretrare". Per me, narratore, e uomo, è domanda cruciale. Come e dove nasce la frizione che può diventare emozione, brivido, spostamento? Da quale “dinamica”? Da una danza, forse, che tra avanzare, fermarsi, lasciare lo spazio ad altro, se va bene crea qualcosa nello spazio tra me e il pubblico. Che sia la storia, l'incanto, il rapimento o chissà cosa. Quando poi di fronte ho bambini e ragazzi la domanda è ancora più cruciale. Le parole, il corpo, l'energia in scena "toccano". E' un potere. E come lo usi, per dire cosa, è domanda non da poco. Se poi "tocchi" le emozioni sono convinto che bisognerebbe farsene mille di domande. Questi giorni ho viaggiato anche con "Tarzan ragazzo selvaggio". E' uno spettacolo con un'energia particolare. Diverso dagli altri, su questo non ho dubbi. Si apre con una scena viva e selvaggia di scimmie che rincorrono le loro prede, senza sconti, e poi lentamente sposta la camera su un bambino perso che quelle scimmie trovano nella foresta. Eravamo a Lucca. Mi avvertono prima di entrare in scena, Teatro del Giglio, che la sala è piena fino in alto e che ci sono bambini di diverse età. Decido allora di uscire a sala accesa per parlare con tutti prima. Lo faccio a volte, per prendere un contatto, creare un tempo di decompressione tra la sistemazione dei ragazzi, gli scuolabus, le faccende delle maestre e la storia. Avanzo in proscenio. Il mormorio diminuisce. Mi basta uno sguardo e capisco che servirà una grande energia. Ecco. Con Tarzan, poi. Sì, ma per cosa: per "spingere o arretrare". La domanda è chiara e tra adulti BISOGNA farsela senza scandalizzarsi. E' una questione cardine nel rapporto di forza tra adulti e minori. Bisognerebbe guardarla davvero questa domanda e le maestre in classe perderebbero molto meno la voce e le energie. Tornando alla sala: è piena. Quattrocento, credo ragazzi e ragazze, fino in galleria. Una bambina sulla sinistra comincia a gridare. Accanto a lei ci sono due maestre. Capisco che sono le sue insegnanti di sostegno. La bambina grida ancora. Forte. Il mormorio si accende di nuovo, gli altri ridono si agitano, come si farà a fare buio e raccontare in silenzio?, è la domanda che si fanno tutti. Cosa accadrà con il buio del racconto? Parlo a quella bambina allora, alle sue maestre, a tutti dicendo che qualcuno ha bisogno di noi oggi, al mio tecnico dicendo che il buio lo faremo molto piano, e parlo parlo ancora dicendo che mi batte il cuore, che ci "sfioreremo" e poi, molto probabilmente, non ci vedremo mai più, senza nessuna promessa, e che nulla ci farà del male in questa storia, di questo mi assumo io la responsabilità e che per il resto non so cosa accadrà ma sarà bello se starete con me. Faccio silenzio. La bambina non grida più. Va tutto bene, dico alle maestre, che intanto si chiedono se portarla fuori o meno. Va tutto bene, dico ancora. Possiamo cominciare. Il mio tecnico, Ciccio, fa buio molto lentamente. Salgo sulla pedana. Invoco un vuoto. Questo lo so. Forse è una preghiera. Comincio a raccontare. Per i primi dieci minuti racconto solo e soltanto a quella bambina, solo a lei su quattrocento. Lei non urla. A poco a poco tutti siamo nella storia. A fine spettacolo si fa luce. La bambina schizza in piedi. Ha gli occhi azzurri, corre sotto il palco, mi viene incontro. Grazie, le dico. Grazie. Le prendo la mano. Lei mi accarezza il piede nudo. Sono commosso. La guardo andare via. "Spingere” o “arretrare"? E' domanda cruciale.
#narrazione#adulti#minori#tarzaragazzoselvaggio#teatrodelgiglio#teatroherberia#alcantarateatro#teatridibari
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Quando eravamo nietzschiani
Passionaccia di (quasi) tutti gli aspiranti filosofi: Friedrich Nietzsche. A vent'anni Nietzsche era la rivolta, il maglio che sbriciolava tutte le convenzioni. Si capiva e non si capiva, l'importante era il senso che gli si voleva dare. Nietzschiani dionisiaci scorrazzavano per i forum di filosofia come satiri alla caccia di giovani prede, scambiando Nietzsche per un pornomane, uno che potendo sarebbe andato in giro a mostrarlo alle signore (impazzito, pare che Nietzsche ballasse e cantasse nudo nella sua stanza, confesso di averlo fatto anch'io, o perlomeno in mutande). Io a quell'epoca facevo il moderatore e dall'alto della mia carica proteggevo le pulzelle dalle villanie dei più scalmanati. Poi, a forza di maturare un senso critico, la comprensione migliorò fino a vederlo per intero, quel Nietzsche, a scorgerci un principio, un filo rosso che univa tutti quei brandelli di pensiero sparsi apparentemente a caso. Se da giovani Nietzsche era il campione della volontà di potenza, identificata con la semplice forza di volontà (volere è potere), leggendo meglio si capiva che la volontà di cui parlava Nietzsche era qualcosa di più schopenhaueriano, con la differenza che in Schopenhauer quella volontà doveva essere spenta, rifiutata, annullata, mentre in Nietzsche accolta, esaltata. Un flusso di energia vitale scorre nel mondo creando incessantemente il caos da cui emergono le cose, scopo del superuomo è farsi attraversare da questo flusso, liberandosi dalle convenzioni che ne limitano l'amperaggio. Ma c'è il fatto che non siamo liberi, siamo frammenti di fato. Il libero arbitrio, per Nietzsche, è un'invenzione di quel giudaismo cristiano che vuole trovare per noi delle colpe, anche originarie, indelebili, per poi indicarci la via della salvezza, ma noi non siamo responsabili di ciò che siamo.
"Nessuno è responsabile della sua esistenza, del suo essere costituito in questo o in quel modo, di trovarsi in quella situazione e in quell'ambiente. [...] Si è necessari, si è un frammento di fato, si appartiene al tutto, si è nel tutto [...] con ciò soltanto è ristabilita l'innocenza del divenire". (Crepuscolo degli Idoli)
E comunque bravi come Nietzsche a scovare i moventi tutt'altro che nobili che ispirano certe virtù ce n'è pochi al mondo.
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Il turismo però è anche un’esperienza democratica, un’attività collegata al riposo, al piacere, è l’estensione di un diritto conquistato a caro prezzo da generazioni precedenti, quello di fuggire dal lavoro. Nasce come antidoto alla schiavitù del tempo salariato, è diventato la più predatoria delle industrie, la perfetta espressione del realismo capitalista in cui siamo tutti prede o predatori a seconda del ritmo circadiano della produzione. In realtà ho scritto una cosa non del tutto vera: l’estrazione dei metalli che ci sono dentro questo computer è più predatoria del turismo, lo è anche la produzione della maggior parte del cibo che mangiamo e lo è ancora una gigantesca fetta della creazione di energia, quella da combustibili fossili. La predazione turistica però è più vistosa: non si può delocalizzare, non si può nascondere, è sempre lì davanti ai tuoi occhi. Il turismo è in un certo senso un errore del capitalismo, un bug del suo principio cardine. Il sistema si regge sull’idea che i costi veri di un prodotto o di un servizio si possano occultare, in paesi remoti, nella nostra psiche, nell’atmosfera o nell’oceano, ma quelli del turismo sono impossibili da nascondere. Non serve particolare elaborazione politica nel registrare che la sua espansione non governata rende impossibile affittare un appartamento, né per notare la sparizione dei servizi base, la metamorfosi dei quartieri, e la bruttezza dell’esperienza turistica in generale, quando non ne siamo noi i fruitori.
L'anno in cui si è rotto il turismo
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IL MARE
Il mare scorre dentro la sua panna bianca di spuma, a cavallo dell’onda, con la sua opera miracolosa, a tracciare un angusto sentiero e si apre subito lucente negli occhi la visione dell’oceano. Dopo tanto vagare, lambisce rive sconosciute, donne d’esiguo ruscello, fiumi irreali che lo confondono e porta nel corpo innumerevoli cicatrici, impetuosi venti, prede e rigurgiti di vita, segni della lontana esistenza degli uomini. Il mare nel suo brodo primordiale conserva storie di navigatori e di vascelli fantasma, imprese legendarie ed enormi disastri, i suoi marosi si alzano verso il cielo a vigilare sulle città morte, nel fascino che incute terrore, nel freddo veleno artico o tra le palme padrone delle sabbie dorate, o contro le scogliere incoccate da colonie d’uccelli marini. Le sue isole sono piaghe d’una scoperta ferita, esse non guariscono, seminano rugiada sulle acque di ogni squarcio, per qualsiasi impronta sconosciuta sul terreno e quando la luna vi si specchia, l’argenteo riflesso assume aspetti fiabeschi, a nascondere le larghe piastre di pietra del fondale, i cespugli rosa, le alghe sinuose, i relitti morenti con le loro incrostazioni-
Il mare ha una suo voce, quella dell’abile cacciatore, del forte guerriero, del perfetto esploratore, a diffondere il suo grido da sciacallo e il suo richiamo da sirena. Ha il riso sghignazzante che si conficca nei terreni costieri, che erode le barriere, che scavalca i frangiflutti e allaga accampamenti. Sobrio e opaco, in allegro disordine, vivo e scattante in ogni respiro, trasparente osservatore delle profondità, si diffonde con la sua cornice, con i cassetti pieni di vecchie cianfrusaglie, andando a tastoni nel suo tappeto profondo, con una grande quantità d’animali di stoffa, con le sue luci e le sue oscurità ad emergere al netto di una vecchia fotografia, ricchissima di particolari, appartata e segreta, con i suoi ganci e nastri colorati, luccicanti e cangianti, incipriati e punteggiati di nei, ricoperto dalla sua sopracoperta originaria, con le sue crepe nei fondali, come un bozzolo spigoloso che si perde in una lunga e ripida galleria dove si annidano innumerevoli abitanti.
Quando diventa più pesante, con la sua artistica architettura, lambisce le salite e le discese, passa indisturbato con i suoi rumori e si percepiscono a stento i suoi scrosci d’acqua, le catene del suo starnutire, quell’intonaco che si sgretola e si scolla quando si abbatte contro le vesti costiere, a sbucciare la rada, i camminamenti dei porti da sembrare un colabrodo di intenzioni smarrite. E quando invece un po’ svogliato e sciocco, rimasto orfano delle sue muse, si arrampica con amari e disperati salti e abbozza un fiacco sorriso andando a sbattere contro le fiancate delle navi di passaggio, smette di legarsi e quindi si sottrae al perverso gioco delle maree e con la sua profonda voce d’ammonimento si presenta e si gonfia come una valanga in discesa per aggiungersi al suo cumulo di fallimenti.
Il mare nel suo affettuoso ritratto ricorda con nostalgia il tempo della caccia alle balene, le nobili famiglie di delfini, l’intrecciarsi delle spade dei pirati, lo straziato e dolente passaggio dei sottomarini, i corpi galleggianti dei naufraghi dei numerosi affondamenti, le labili tracce lasciare dai migranti, le plastiche e le chiazze di petrolio imbastite dagli uomini, le reti infinite dei pescatori. Il mare raccoglie in sé , straziato e dolente, sferzato e furibondo, tutte queste iniquità, con la sua testa occhialuta racchiusa in uno scialle nero, con le pestilenze lasciate alla deriva, con i detriti e i pomeriggi trascorsi a navigare, mette a lucido la sua copertina d’azzurro, si ammanta di conchiglie e racchiude tutto ciò che acquista nella sua aria di mistero e con rosso dispetto ci ricorda che siamo ormai inutili raccomandazioni senza altro futuro, perché dal mare siamo venuti e le difficoltà e le fatiche della vita al mare ritorneranno.
Il mare s’indovina dal profumo, dagli occhi spalancati e dal cuore che batte forte, con le sue nudità che rivestono i colori del cielo, con quei boccoli d’oro che gli scendono sulle spalle, con quella sua graziosa composizione che diventa a tratti pericolosa e richiama agguati e svolazzi, tempeste e trame tascabili che non offrono perdono. Il mare ha i piedi lunghi e ti bacia le mani, ma non farti ingannare, ha imparato a farsi rispettare e non t’ingannino i suoi luccichii, le sue scatolette con le lucciole dentro, il suo pescato e il suo senso di profonda protezione. Potrebbe addirittura tentare la fuga, ribellarsi, rabberciare il tempo. Il mare è lì che ti guarda, con il suo diletto profondo, che t’insegna incredulo ad essere libero, a disseminare e rosicchiare i confini del mondo , a lasciarti andare alla deriva. Le sue acque e il suo ventre culleranno la tua anima con la sua onda di piacere e ti renderanno immortale.
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Passando la sigaretta al gatto, il gatto dice "Che buona", e trasforma il fumo in un luna park. Sulle montagne russe c'è una donna. Un fantasma chiamato Belinda. Mangia le mele prese dal fruttivendolo del parco, ride dei passanti che cadranno dalla giostra. Io me ne frego perché sono cantore del loro mondo finito. L"altra volta in piazza ho sentito un rumore, come di un aereo che stava per schiantarsi sulla terra. Mi sono spaventata ma poi ci ho sperato. Credevo fosse arrivato il giorno del giudizio, che gli angeli con le trombette (lo diceva la maestra dell"asilo) avrebbero suonato per tutti noi. Ci saremmo svegliati, avremmo infestato i castelli, io ti avrei detto che se proprio avessi dovuto amare qualcuno al mondo, nel migliore dei mondi e nel peggiore di quelli-quindi anche un mondo in cui mi fossi uccisa-avrei amato comunque te.
Ma il giorno del giudizio non è venuto. Io non ti ho detto niente. Ho chiuso le comunicazioni, ho contestato la disinibizione della gente al Pride. Provo disagio, imbarazzo per le parti intime altrui, per il loro mostrarsi. Per me tutto quanto è ancora tabù. Per me non c'è liberazione, io sono nel giardino dell'Eden, sono ancora come il serpente che vuole conoscere e sfidare chi non conosce. Dio sa più di me perché io non ho mangiato la mela. La dobbiamo pagare, noi. Da piccola pregavo di continuo. Avevo un rituale, ogni sera prima di dormire. Le preghiere erano tutte in fila come mi erano state insegnate all'asilo. Ogni sera prima di dormire, per abitudine ripetevo "Signore, fa che i miei genitori stiano sempre bene". Quando ho messo di farlo parecchi miei parenti cominciarono a star male. Vivo in una preistoria senza evoluzione. Io e Darwin ci teniamo la mano, siamo tesi e antitesi del mondo, siamo la lama del volgo che fucila le sue prede estasiate. Io e Darwin stiamo col più forte, nel pesce più grande ci nascondiamo. Abbiamo mentito per essere capiti. Non siamo stati capiti, e abbiamo scritto per non essere cancellati. Non voglio più esistere perché non sopporto più di vivere con l'idea che un giorno io e la mia anima non riusciremo più a esistere.
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Noi italianos, predisposti al culto di esser calpesti e derisi come da inno (pensa te), oggi più che mai siamo prede della subcultura egemone di massa: i passivos aggressivos piagnina maledettih.
Portato dell'egemonia culturale sinistra cheap della "dietrologia" da insegnandi medi, tale atteggiamento mentale fa perdere i riferimenti tradizionali veri (tanto non li conoscono più) e oggi trascina pure diversi destri nella melma del sentimiento con poco ragionamento, fetente e perdente, passivo aggressivo appunto.
Da cui il socialame post-m5s popolazzaro o il nazimao gommblotto demo pluto giudaico oggidende merda; tutti bei pirla, cit. Feltri, che danno addosso non solo alle nostre degenerazioni indotte e sponsorizzate ma anche a tutto il resto che ci ha resi benestanti nonostante i nazi e i mao.
Tra tutti questi eunuchi panzoni che anelano ad esser obbligati al salto nel cerchio di fuoco, abbiamo quindi decisamente bisogno dell'apporto di bolas maschili. Tipo quelle antiche tasi-e-tira individualiste nordiste, l'esatto opposto delle palline conferite all'ammasso per far quantità alla orientale.
Oggi esse paiono in dotazione ad arghentinos che per fortuna ci sono affini. Mica solo in campo, alla Lautaro o Nacho Brex: anche in panchina, tipo Quesada nel rugby e Milei al governo. Con loro, pur dopo decenni di piagnistei "qua non può funzionare", ci rianimiamo e funzioniamo pure noi. Provare per credere.
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Questo è l’unico modo che ho per parlarti, di usarne un altro io davvero non sono capace. Quando si tratta di noi io mi sento muta, io mi sento un pesce e se aprissi la bocca di fronte a te su questo ne verrebbe fuori un discorso confuso o addirittura potrebbe non uscire una parola.
So che hai paura. Anche io ne ho. La nostra reciproca presenza è sempre in tensione. Siamo animali nella notte che cercano di nascondersi nel silenzio del bosco senza luce e si muovono cercando di non far rumore per non essere mai prede sfortunate. Lo sento che hai paura e forse anche tu senti che ne ho io.
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Young Italian scared shitless by election results seeks shelter somewhere else in Europe, skills include cooking and being a good listener. Might also crack a couple jokes here and there
#the situation here is terrifying and i'm so disappointed in my country#i wasn't expecting this from italy#abbiamo dimenticato il nostro passato da emigrati e sta cosa è spaventosa. prede dell'odio siamo diventati.#provo tanta rabbia e speranza nel futuro che possa essere migliore#mia nipote non deve crescere in un paese così.
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COSA FARE IN CASO DI MORSO DI VIPERA
(post resosi necessario per la percezione di una perturbazione nella forza)
Noi non siamo come l’Australia dove praticamente ogni essere vivente è dotato di veleno mortale, però anche noi abbiano i nostri ragnetti e i nostri serpentelli dai quali sarebbe meglio non farsi mordere.
Questa è la mappa della distribuzione della vipera in Italia
Quindi si salva solo chi abita nell’isola d’Elba, nel Parco Nazionale dell’Asinara, sull’Isola di S.Pietro, a Sant’Antioco e a Trieste (anche se credo sia stato un errore di riempimento colore con lo strumento di Paint).
Esistono principalmente altri tre tipi di vipera oltre la Aspis cioè Ammodytes (nelle Dolomiti), Berus (Nord-italia) e Ursini (Umbria, Marche, Lazio e Campania) ma ecco una mappa più dettagliata
Insomma... ce n’è per tutti e anche se nell’immagine successiva potremo vedere le varie differenze di specie, in questo post parleremo del trattamento del loro morso in modo sovrapponibile:
Il morso di vipera è EMOTOSSICO cioè induce EMOLISI DEI GLOBULI ROSSI, che è l’effetto che dobbiamo temere di più, visto che causa trombosi. La neurotossina presente, invece, a differenza delle loro piccole prede non è sufficiente a paralizzarci.
La DL50 (dose letale) è di 1 mg/Kg e visto che in media ne inietta 8-20 mg (in base alle dimensioni dell’animale e alla quantità di veleno presente nelle sacche) un adulto in buona salute se la dovrebbe quasi sempre cavare con un arto gonfio e molte bestemmione... cosa diversa per bambini, cani o adulti con problemi di coagulazione.
NON INCIDERE IL MORSO
permettereste solo una sua diffusione ematica più veloce
NON METTETE UN LACCIO EMOSTATICO
i danni da mancato afflusso di sangue all’arto supererebbero i benefici
NON PERDETE TEMPO A SUCCHIARE IL VELENO
ma andate con calma in PRONTO SOCCORSO.
Esiste un siero antiofidico (immunoglobuline specifiche ‘coltivate’ su plasma di cavallo) ma vista la frequenza degli effetti avversi, si preferisce trattare il paziente morso con CORTICOSTEROIDI per ridurre la reazione infiammatoria, EPARINA A BASSO PESO MOLECOLARE per scongiurare la trombosi emolitica e ANTIBIOTICO per evitare sovrainfezioni.
Quindi occhio se andate in giro PER IL CENTRO DI TORINO a non farvi mordere da questo bell’esemplare di Vipera aspis... anche se credo che le sue ghiandole velenifere ora siano vuote.
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