#non mi si urla in faccia nemmeno con una mail
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Chi glielo dice alla figlia del capo che a ME, non si inviano mail scritte in maiuscolo, senza salutare e ringraziare??
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Quando non trovi le parole ma in realtà non servono.
Il servizio fotografico per un nuovo progetto pubblicitario è appena terminato per Namjoon, il quale decide di aspettare che anche il resto del gruppo concluda con i propri scatti singoli nel cortile dell’edificio. Normalmente impiegherebbe quei minuti di buco per controllare le mail e fare un giro sui vari social media ma dal momento che anche tu sei lì, straordinariamente nello stesso luogo e continente, la sua scaletta cambia automaticamente. Siete quindi entrambi seduti su una panca in granito, lui più in alto, sulla spalliera, e tu appena accanto ai suoi piedi, che di tanto in tanto posi la testa sulla sua gamba quando il calore dei raggi del sole ti contagia con una punta di sonnolenza. Non avete il bisogno di distrarvi con vaghe conversazioni o vuote chiacchiere per godere della reciproca compagnia; a volte vi basta semplicemente stare insieme e… nient’altro. Solo Dio sa quante ore avete trascorso così, in silenzio, a leggere dei libri nella calma solenne di un salotto o di un aereo. Entrambi ricaricate le vostre batterie così. Lasci dunque che la quiete vi culli e porti la vostra mente in posti più lontani e sereni. Ma per te pensare ad un luogo del genere è troppo difficile perché quelle sensazioni non riesce a trasmettertele uno spazio fisico quanto accuratamente riesca a fare una certa persona. Quando alzi la testa per entrare in quello stato di totale pace, il tuo sguardo incontra una visione angelica; con il volto rivolto verso il cielo e gli occhi chiusi, Namjoon risplende di un bagliore caldo e puro. La luce si fa spazio tra ogni singolo capello che gli cade sulla fronte, delinea il profilo del naso e fa scintillare il resto del gloss sulle labbra facendole apparire ancora più piene e soffici. L’ombreggiatura del trucco contrasta il riflesso del sole sugli zigomi lineari, l'undercut nel suo taglio di capelli che noti risalire dalla nuca ispida fino alla basetta, quella così vicina ad uno dei due piccoli nei gemelli che gli decorano il profilo destro come fossero impercettibili macchie d’inchiostro sulla tela liscia della sua pelle color miele in stagioni soleggiate come quelle. Ed intanto che il viaggio visivo prosegue, scendendo verso una valle fatta da vene giugulari e stessa incisura, qualcosa cambia: le guance si riempiono e colorano di rosa mentre il loro volume va a mutare la forma degli occhi, ora più sottile. Un’ adorabile fossetta fa capolino due centimetri più in là dall’angolo interno delle labbra; ed anche se sai che quella più marcata si trova sul lato sinistro, quello che ti è nascosto dalla prospettiva, è come se la vedessi comunque. Perché, proprio come accade per i vostri momenti di totale armonia, non occorre che facciano rumore. Perché come tu sei riuscita a percepirla sul suo viso senza vederla, lui ha sentito la tua attenzione ad occhi chiusi. “Io… vorrei ci fosse una parola in grado di descrivere appieno quello che provo per te.” tiri fuori in un sospiro, incantata. A volte i sentimenti che nutri per lui sono così improvvisi ed intensi da lasciarti senza fiato, in un limbo di assente adorazione e gratitudine, quindi non poterli manifestare o descrivere in maniera tale da fargli giustizia ti sfibra. Stai ancora riflettendo in una serie infinita di pensieri su quanto ti accade dentro quando prende parola. “ ‘Kilig’.” dice tornando serio e facendoti l’immenso regalo di ricercare e concatenare la tua mano alla sua, costringendoti a manifestare una maggiore presenza mentale dopo il viaggio sulle rosee nuvole dell’amore. Ma per quanto ti sforzi, non riesci proprio a coglierne il significato. “È una parola in tagalog, una delle lingue principali delle Filippine” risponde ai tuoi muti dubbi portando le vostre mani vicino alle labbra per baciare il dorso della tua, accarezzandola subito dopo con il pollice. Il fatto che non si sia ancora sbilanciato nel guardarti solitamente presagisce un certo imbarazzo da parte sua. Oppure, come in quel caso, un restio aprirsi e permetterti di andare oltre la sua comfort-zone. Ami la rarità di quei momenti perché è proprio questa a renderli speciali. “È l'eccitante e sublime trasporto che provi quando ti accade qualcosa di bello, come baciare qualcuno per la prima volta” rivela tentando d’improvvisarsi stoico con quella definizione degna di un dizionario. Peccato che tu percepisca la sua agitazione nella voce e nella stretta che tiene ancora vicino al viso. Lo ascolti in religioso silenzio, un po’ perché senti sia la cosa giusta da fare ad un po’ perché il tuo respiro è bloccato nei polmoni e si rifiuta di uscire fuori. “Magari non descriverà appieno tutto quello che provo ma… è ciò che ci va più vicino.” Lo palesa mentre con sguardo nel vuoto annuisce con il capo, gesto che compie quando è davvero convinto che quanto affermato sia una verità assoluta. “Joonie…” è tutto ciò che riesci a replicare mentre ruoti il tuo corpo nella sua direzione, rimpiangendo di non esserti seduta sulla spalliera alla sua stessa altezza. “Non lo dico tanto per dire” mette in chiaro, incosciente di darti il colpo di grazia decidendo di guardarti negli occhi una volta per tutte. Una scossa che ti fa tremare le gambe. “Lo dico perché è quello che sento.” E le sue iridi brillanti sono solo una tra i milioni di conferme che hai a riguardo. “E mi dispiace se non sono il tipo di fidanzato che lo dimostra dandoti il bacio del buongiorno ogni mattina o sbandierandolo ai quattro venti con continue effusioni d’affetto.” “Non dirlo nemmeno per scherzo” lo fermi prima che possa esordire con altre stupide scuse senza senso. Abbandoni la tua posizione per sopraelevarti, mettendoti a sedere al suo fianco, spalla contro spalla. In canale visivo non viene interrotto nemmeno per un secondo, come se fosse proprio quello a mantenere viva l’intera conversazione. E forse lo è davvero. “Non hai niente di cui scusarti. Se sono innamorata di te è perché amo il modo in cui mi ami” prosegui portando la mano destra, quella libera, sulla sua guancia calda. “Dio, Namjoon, tutte le volte che parlo con te è come se facessimo l’amore! Non so neanch’io come diamine faccia a sopravvivere a tutte le nostre chiacchierate!” E capisci dalla sua espressione sorpresa di aver deragliato il dialogo verso binari pericolosi, a volte anche sconnessi. Quindi ti impegni al massimo per poter tornare sulla pista principale. “Il punto è… che amo questa testolina e tutto quello che c’è dentro, che siano idee brillanti o dubbi esistenziali.” Le mani compattano ulteriormente la morsa e durante il vostro ennesimo silenzio Namjoon avvicina la propria fronte alla tua, facendole incontrare in una tenera e profonda connessione. E ti va benissimo così, anche se non c’è nessun bacio o abbraccio. Rimanete in quella posizione per i cinque secondi più eterni che tu abbia mai sperimentato peró poi, a malincuore, sei costretta a privartene, avendo udito un applauso provenire dall’interno dell’edificio: il photoshoot era terminato. “Dovremmo rientrare” mormori sommessa sorridendo prima di interrompere il contatto ed alzarti dalla panca per dirigerti verso la porta. Avanzate non più di tre passi prima che lui possa bloccare bruscamente i suoi piedi e tirare la tua mano all’indietro, costringendoti a voltarti di scatto nella sua direzione. Accade in un lampo. Il tuo viso è incorniciato dai suoi grandi palmi, i corpi sono compressi l’uno contro l’altro e le lingue si muovo libere ad all’unisono in una danza che ti sta lentamente uccidendo pur facendoti sentire ogni secondo più viva. Frenare quell’impulso è impossibile. “Kilig” ripeti contro le sue labbra da attenta studentessa quale sei. “Assolutamente” ti spalleggia orgoglioso. “PICCIONCINI, È ORA DI ANDARE!” Urla Jin facendo capolino dallo stabile seguito dal resto del gruppo, battendo le mani come se stesse davvero cercando di scacciarne uno stormo dal proprio giardino. “La gente qui ha fame, cerchiamo di darci una mossa, su, su! Voglio tutti sulle auto entro due minuti, l’ultimo che arriva paga per tutti.” Ed a quelle parole Jimin supera tutti come una cometa, sapendo di essere lui quello sempre in ritardo per qualsiasi cosa. L’intera scena vi fa scoppiare a ridere, riportandovi con i piedi per terra nella maniera meno brusca possibile. O almeno così credevi. Il rapper a quanto pare non ha la stessa fretta: infatti non si smuove di un millimetro se non per scuotere la testa e sorriderti furbo. “Ha detto due minuti, no? Saranno soldi spesi bene. Benissimo.”
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Maledetto 11 Aprile.
Maledetto undici aprile dell’anno echiseloricordapiù.
Domani è Pasqua.
Dopodomani Pasquetta.
Tre giorni fa ho cominciato a fare workout confidando in un’eventuale resurrezione in caso di morte.
Per ora riesco ancora ad utilizzare tutti e quattro gli arti, sempre che non abbia bisogno di distenderli.
Non ne ho bisogno: dal divano alla sedia.
Dalla sedia al divano.
Dal divano al letto.
Ce la faccio.
Con calma, ma ce la faccio.
La dignità e l’amor proprio non fanno parte del programma addominali-glutei-braccia per principianti.
Sapevatelo.
Ammiro e contemporaneamente detesto la signorina che mi mostra e spiega gli esercizi.
La trovo un tantino sopra le righe e a tratti pare strafatta di popper.
Ho tentato con una lezione di yoga la scorsa settimana: Dhanurasama, Pada Hastasana, Kakasana.
Ho subito capito di non meritarmelo.
Ho lavorato molto sull’autoprotezione in questi anni, ma ammetto di aver fatto una certa fatica a non chiamare il numero per l’emergenza Covid-19 Liguria e chiedere di poter parlare con uno psicoterapeuta.
Uno bravo, possibilmente.
Cosa vi devo dire?
Le giornate in quarantena sono interminabili.
Mi rifiuto categoricamente di avventurarmi in astrusi esperimenti culinari.
La pandemia non mi ha sicuramente fatto venire voglia di lavare i piatti e ri-piastrellare la cucina.
Continuo imperterrita a comprare le mie buste di muschi e licheni.
Le trovate nel reparto surgelati tra il disagio e il ridatemilamiavita.
Oggi non ho nemmeno la necessità di andare a fare la spesa e dedicarmi alla mia attività preferita da un mese a questa parte: osservare le persone mentre tentano di aprire i sacchetti per la frutta e la verdura con i guanti di plastica.
Così tante bestemmie consecutive non le ho sentite pronunciare nemmeno dal mio amico Gregorio, veneto DOCG.
Ricordo con affetto il suo utilizzo dell’imprecazione come intercalare.
Ora vive a Parigi, ma non credo abbia smesso.
Avrà semplicemente tradotto.
Ad ogni modo mi pare di aver capito che il Papa ci perdona tutti.
Ieri, al supermercato, mentre stavo pagando, è entrata una coppia e la cassiera, una santa, urla: “Scusate, per favore, solo uno per nucleo familiare.”
Perfetto.
Io non ho nucleo familiare.
Ho una pianta e un cactus.
Avrò diritto a qualche bollino in più? Il tizio le risponde:
“Ha ragione, ma tanto ci stiamo separando purtroppo.”
Non l’ho rincorso per chiedergli l'autografo solamente per non infrangere la regola del distanziamento sociale.
“Ci vorrebbe l’esercito davanti ai supermercati. Schedare le persone che vengono più di una volta a settimana.”
Continua la cassiera, Fissandomi.
Cazzo mi ha sgamato.
Ho capito, amica, non fa una piega, ma le buste pesano.
La birra pesa.
Non riesco a portarne più di tre alla volta.
Due da quando faccio gli esercizi a casa.
Studio in modo altalenante.
Sto preparando l’esame di diritto penale.
Sapevate che per il reato di atti osceni in luogo pubblico sono previsti dai 5.000 ai 30.000 euro di sanzione amministrativa?
Magari avere degli atti osceni, ma anche solamente un luogo pubblico andrebbe bene.
Pure senza gli atti osceni.
Tutti i pomeriggi verso le ore 15:00, per fortuna, prendo il caffè in cortile con Robbi.
Robbi ha un ristorante.
Chiuso, naturalmente.
Robbi mi aggiorna quotidianamente, tra una boccata di sigaro e una bestemmia, sulle novità estorte con le peggiori minacce al suo povero commercialista.
Ecco: forse lui non lo perdonano.
Questa mattina alle otto una dottoressa è venuta a farmi il prelievo per il famigerato test per il dosaggio degli anticorpi.
Sembrava fossero arrivati i RIS di Parma.
Temevo potesse vederci qualche vicino e di essere additata come l’impestata del comprensorio.
È un attimo che la reputazione va a farsi benedire.
“Caspita che fatica trovarla. Se dovesse mai aver bisogno di un’ambulanza lei è spacciata.”
“Buongiorno anche a lei.”
A quanto pare il piacere è solo mio. Entra con il fiatone tira fuori ago e provetta.
Non ha tempo da perdere mentre io pagherei per fare due parole veloci sul senso delle nostre vite.
“Mi dia il braccio che le prendo un po’ di sangue.”
“Faccia pure, tanto mi resta solo questo da dare.”
“Per i risultati ci vuole pazienza, glielo dico! Le arriverà una mail.”
“Una mail? Disinfettata mi auguro!”
La battuta non le strappa un sorriso.
Non era un granché effettivamente e mi pare ovvio che sia parecchio incazzata con la vita.
Come darle torto.
Sono la prima paziente della giornata.
Riguardo, mentre faccio colazione, l’ultima diretta di Conte.
Bisogna ammettere che è sexy quando si incazza e pure quando parla in latino: “Cum grano salis”.
Da brividi signori.
È l’unico uomo della mia vita.
Ieri nell’attesa (infinita attesa), confidando finalmente in un appuntamento con il Presidente, mi sono fatta la doccia e depilata.
Con l’aratro.
Non mi pare che nel decreto ci sia l’obbligo della ceretta.
Perlomeno durante la Fase Uno.
Sindrome di Stoccolma, la chiamano.
La signorina del meteo ha appena detto, con un’enfasi decisamente non necessaria, che avremo giornate meravigliose che dovremo restare a guardare dalla finestra di casa.
Una sadica.
Sono le undici.
Mi farò un altro caffè.
Se mi dovessero scoppiare le coronarie, Signori, è stato bello.
L’ambulanza, a quanto pare, non riuscirà a trovarmi.
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Era una casa molto carina
Sai com’è... Un giorno ti svegli e ti rendi conto che sei grande, e ti rendi anche conto che forse è il momento di lasciare il nido. Alcuni fortunati hanno già un altro posto dove andare, altri no.
Ovviamente io faccio parte della nutrita schiera degli altri.
Quindi che fai? Hai uno smartphone, installi app su app per cercare un tetto e quattro mura che ti costringeranno a 30 anni di amicizia coatta con un istituto di credito.
Inizi a vedere e valutare possibili soluzioni, basandoti su improbabili descrizioni e foto fatte con fotocamere con qualità lievemente inferiore a quella di questi attrezzi
e scattate da pseudo agenti immobiliari che si improvvisano fotografi. Inizi con lo scegliere quelle che più incontrano i tuoi gusti, o nel quartiere che più ti piace.
Poi ti rendi conto che sei povero e inizi ad ordinare le ricerche dal più economico.
Dopo tanto, finalmente trovi quell’appartamentino carino, con due camere, due bagni, salottino e spigolo cottura, ti fai coraggio e contatti l’agenzia immobiliare.
Questo è il primo passo di una lunghissima strada che ti porterà a vedere le più svariate “soluzioni abitative” - che altro non è che un simpatico sinonimo per “catapecchie” - della città.
Questo passo io l’ho fatto un po’ di tempo fa, e di cose strane ne ho viste veramente tante.
Ho visto agenti immobiliari vestiti di tutto punto uscire da Mercedes, portarti in giri lanciati degni del miglior Bolt dentro case di estranei con tanto di estranei dentro, e solo alla fine dire “ah comunque piacere, io sono Gianfranco della Immobiliare Petacca”.
Ho visto gente definire cose come questa
“...uno spazioso terrazzo abitabile”
e scandali come questi
commentati con un onestissimo “come può vedere, tutti gli impianti sono a norma”
il tutto poi concluso con un amichevolissimo “ah, guardi, però l’avverto: c’è un’altra signora che è interessata all’appartamento...”
Sì sì, certamente, può tranquillamente dire alla signora che ha campo libero.
Una cosa particolare mi è capitata poco tempo fa.
Su una nota app di annunci immobiliari, trovo un appartamentino apparentemente carino, ad un prezzo ragionevole. Cosa decisamente strana, perché dopo aver visto diversi annunci e anche diverse soluzioni abitative ho capito che se il prezzo è basso, di solito c’è qualche magagna.
Decido di dare fiducia all’annuncio e chiedo tramite app se è possibile visionare l’immobile, in quanto interessato all’appartamento. Mi risponde Melania, non via mail, né via telefono, ma lo fa direttamente da WhatsApp.
Fico! - penso io - Finalmente un’agenzia immobiliare al passo con i tempi!
Con un paio di chattate ci accordiamo per il sabato successivo alle 11:30, appuntamento direttamente in Via Cerea 9, dove si trova l’immobile in questione. Perfetto.
La settimana finisce e arriva il sabato dell’appuntamento. Alle 10 di mattina arriva un messaggio, sempre su WhatsApp, sempre della mia cara amica Melania, che mi ricorda il nostro appuntamento. Gesto tanto carino quanto apprezzato.
Questo messaggio le ha appena fatto guadagnare 10 punti.
Arrivo in via Cerea alle 11:15, in quanto non conosco bene la zona e preferisco non arrivare in ritardo. In 5 minuti sono parcheggiato di fronte al cancelletto di ingresso dello stabile, noto così che non è una palazzina singola ma quasi un residence costituito da due luuuuuuunghe palazzine di 3 piani ciascuna, una di fronte all'altra, separate da un vialetto centrale, mentre sullo sfondo in lontananza, molta lontananza, si intravede un piccolo parchetto verde, che fa anch'esso parte del comprensorio.
Sono le 11:20 e la mattinata è freschina, mi rintano in macchina per evitare l’ipotermia e consumare qualche giga di traffico dati del mio piano telefonico, ma sempre con un occhio puntato sulla strada, fosse mai che Melania arrivasse in anticipo.
11:30 - decido di abbandonare il caldo tepore dell’abitacolo della mia auto per aspettare sul marciapiede Melania.
11:35 - ho fatto almeno una cinquantina di volte avanti e indietro sul marciapiede di fronte l’ingresso, ma di Melania ancora nessuna traccia. Ha perso i 10 punti guadagnati con il messaggino delle 10 su WhatsApp.
11:40 - non si vede ancora nessuno, controllo la suoneria del cellulare, è al massimo. Nessun messaggio, nessuna chiamata persa… e fa freddo.
Scrivo a Melania su WhatsApp un laconico “sono qui” e le invio la posizione GPS, sperando in una sua risposta, in un suo segno di vita. Mi sarei accontentato anche di qualcosa tipo “mio padre ieri è rimasto chiuso nell’autolavaggio”, ma niente.
11:42 - arriva una panda grigia, forse è lei.
Però… me la immaginavo un po’ più giovane, inoltre il carrellino da mercato non è molto professionale…
che forse non sia lei?
Mi passa accanto, mi guarda e mi fa “no, no grazie giovanotto, non ci serve nulla. Calzini e fazzoletti li ho, accendini non fumo.”
Poi mettendomi qualcosa in mano, aggiunge “tieni, vatti a comprare un gelato” e riprende in direzione del comprensorio, con una perfetta andatura claudicante.
La fisso incredulo per qualche istante, poi guardo la mia mano e vedo una moneta da 20 centesimi.
No, non credo sia Melania.
11:45 - di Melania ancora nessuna traccia. Inizio ad essere un po’ contrariato, non ci si comporta così. Se fai tardi, almeno avvisa! E che cavolo. Chiamo il numero con cui ho messaggiato. Squilla. Squilla. Squilla. Squilla… segreteria telefonica. Riprovo.
Risquilla. Risquilla. Risquilla. Risquilla… risegreteria telefonica.
Prendo la chat su WhatsApp e scrivo “sono ancora qui, ma non vedo nessuno, e fa anche un po’ freschino…” .
Nessuna risposta, neanche a dirlo.
11:50 - ho praticamente scavato una scolina sul marciapiede di fronte all’ingresso del comprensorio. Da un balcone un signore mi guarda con sospetto, e come dargli torto. Vedere un cretino che fa avanti e indietro, per 20 minuti al freddo, non è una cosa normale. Ma ecco che da lontano sopraggiunge una macchina, una Mercedes ultimo modello. Mentre si avvicina vedo che al volante c’è una donna. Non so cosa sperare. C’è del disappunto in me. Non so se far finta di nulla o se dirle che sono 20 minuti che sono qui ad attendere. Sempre ammesso che sia lei.
La Mercedes parcheggia. Si apre la portiera ed esce una avvenente ragazza dalla lunga e fluente chioma bionda. Lo ammetto, il mio primo pensiero è stato “beh, almeno è valsa la pena di aspettare”. L’avvenente ragazza dalla lunga e fluente chioma bionda fa il giro dell’auto, apre la portiera posteriore e prende una voluminosa borsa da donna. Attraversa la strada e si dirige nella mia direzione. Noto con una punta di perplessità che l’avvenente ragazz… vabbè, sì lei, indossa degli stivali con un tacco che definirei “importante”, tacco che spiega anche la sua altezza. Faccio per muovermi nella sua direzione quando dalla borsa spunta una specie di topo con un collare. Ora io e l’avvenente siamo praticamente faccia a faccia. Io la guardo, lei mi guarda. Io la guardo, lei mi guarda.
Vabbè, ora si presenterà...
Lei mi guarda, io guardo il cane, il cane guarda me, poi guarda lei, ma nessuno parla. Nemmeno quel sorcio col collare emette alcun suono.
Prendo l’iniziativa “...Melania?” L’avvenente mi lancia un’occhiata alla “spaco botilia amazo familia” e risponde
“Melania ci è tua sorela!”
“...ah, mi scusi, credevo fosse… no niente. Scusi ancora”
Mi sa che non è nemmeno lei.
Non appena la versione femminile di Zlatan Ibrahimovic si allontana, dal cellulare parte a cannone la sigla del Trono di Spade. Melania mi sta chiamando.
La telefonata inizia con un “scusa, Fabio, avevo il cellulare in modalità silenziosa… non ho sentito le chiamate e i messaggi”, continuando con “comunque io sono già qui, mi affaccio dal balcone, così mi vedi. Entra dal cancelletto”
Sono basito, provo un impellente desiderio di inviarla a espletare le proprie funzioni fisiologiche, ma oramai sono qui, vediamo questo appartamento.
Mentre sono ancora al telefono con Melania entro dal cancelletto, faccio pochi passi e vedo una tizia in tuta che si sporge da un balcone sbracciandosi con un cellulare in mano.
Deduco sia lei.
...in tuta.
Copro la breve distanza che mi separa dal portone d’ingresso del palazzo, mentre lei dall’altro capo del telefono mi fa “ma Fabio, potevi citofonare!”
Certo, se conoscessi il cognome del proprietario dell’appartamento!!
Brutta cerebrolesa che non sei altro!
Quando sono quasi arrivato al portone, dal balcone mi urla “citofona ‘che ti apro!”
Ma fai sul serio? Non so a chi cavolo devo citofonare! Lo vuoi capire o no? Fortunatamente per lei non le do retta, in quanto sono intento ad avvisare di un molto probabile ritardo -no, non quello di Melania- un altro appuntamento che avevo fissato.
Arrivo al portone della scala e fortunatamente corre in mio aiuto la persona con il numero giusto di cromosomi della famiglia. Il marito di Melania. Esce dall’appartamento e viene ad aprirmi il portone.
Presentazioni di rito, neanche a dirlo, due gradini dopo la stretta di mano, già non ricordo più il suo nome.
Mettendo insieme i pezzi del puzzle, un dubbio si stava prepotentemente insinuando nella mia mente. Il cell della tizia muto... lei che è già nell’appartamento, sempre lei che mi accoglie in tuta dal terrazzo…
Porca paletta! Vuoi vedere che non è un’agente immobiliare, ma un privato? Appena si apre la porta di casa, il dubbio svanisce per lasciare posto alla certezza. Melania NON è un’agente immobiliare. Mi accoglie infatti con una tuta di pile grigio topo, con i capelli legati alla buona.
“Piacere, Melania”
“Piacere, Fabio”
“Fabio, scusami per il telefono, non so come mai, ma non l’ho proprio sentito”
Penso “forse perché era in modalità Do Not Disturb, brutta beota che non sei altro!”
Dico “ma no, figurati, non ti preoccu”
Non riesco a finire la frase, che una specie di incrocio tra una pecora, Bob Marley e una cesta di biancheria sporca mi si avventa sulla gamba con tutta l’intenzione di arricchire il patrimonio genetico della sua prole, donando agli eventuali cuccioli il dna dei miei jeans.
“No Spike! Fermo Spike! Cattivo Spike! Non si fa così Spike!” dice Melania a quello scherzo della natura, mentre per il collare lo trascina fuori sul balcone.
“Scusa, Fabio, ma il nostro cagnolino è un po’ vivace, se vuoi ti faccio vedere la casa”
Va detto che l’ingresso dà su una stanzetta in cui è concentrato salone, sala da pranzo, angolo cottura. Concentrato in tipo 10 metri quadrati. La porta d’ingresso dà direttamente sulla cucina. Cucina che è praticamente un angolo con un lavandino e 4 fornelli. Una finestrella che dà sul “terrazzo”, anche quello microscopico. Il salone non è da meno: un divano due posti lo riempie abbondantemente.
Melania mi guarda e mi fa:
“Questo è il salone con angolo cottura, che si affaccia sul terrazzo”
“sul balcone...”
“No guarda, questo è un comodo terrazzo vivibile”
Dalla finestra del terrazzo, il cane maniaco mi fissa con uno sguardo che implora pietà. Tra la sua cuccia, il motore del climatizzatore e un paio di ramazze, ha praticamente il muso appiccicato alla finestra e, scodinzolando, con la coda suona la ringhiera come fosse la batteria di una canzone dei Motörhead.
Diciamo che io e Melania abbiamo una concezione leggermente differente del termine “vivibile”.
“Ok, Fabio, continuiamo con il giro, questa è la cucina, qui c’è un piccolo disimpegno, questo è un armadio a muro che abbiamo fatto...”
“Scusa, Melania, non capisco perché dici che continuiamo con il giro se sono ancora fermo nello stesso punto da quando sono entrato.”
“Ora andiamo a vedere il bagnetto di servizio, come vedi ha la doccia, poi è anche finestrato, abbiamo fatto qualche soppalco lì, lì e anche lì e lì e lì e lì, per poter mettere qualcosa, come avrai notato lo spazio interno deve essere gestito accuratamente”
“Sì, in effetti, ho visto che avete soppalcato anche i soppalchi... ”
“Questo è un altro armadio a muro, che abbiamo ricavato qui lungo il corridoio. E’ bello profondo, ci possono entrare anche le valigie ed i trolley, vedi”
“Sì, nell’armadio ci entreranno pure i trolley, ma nel corridoio non ci passiamo noi”
“Questa è la stanza di Leopoldo, vedi come è spaziosa e luminosa, la cosa particolare è proprio la finestra, tutta in vetro, una vetrata in pratica, ma senza il solito terrazzino che dà noia e che ostruisce la visuale.”
“Ok, per il terrazzino che ostruisce la visuale, ma almeno una tapparella, uno scuro, un’imposta...”
“Questa invece è la stanza matrimoniale, vedi com’è spaziosa, luminosa”
“Ma è identica alla stanza di Leopoldo”
“Sì, ma questa ha anche il bagno padronale in camera, vedi quanto è carino?”
“Sì, devo dire che sono veramente graziosi quei sanitari nascosti tra i soppalchi”
“Va bene, Fabio, il giro è finito. Che te ne pare? Pareri? Impressioni?”
“Che dire, il giro è stato abbastanza breve. Mettiamola così, se fosse stata una giostra, probabilmente non ci salirei di nuovo. Se dovessi descriverla con un aggettivo… Compatta. Ecco. Sì. E’ molto compatta”
“Guarda, Fabio, a me piace essere onesta con la gente. Questa casa noi l’abbiamo pagata 2000 euro al metro quadro”
“Quindi, considerando la metratura, non vi è costata tanto...”
“L’abbiamo pagata 2000 euro al metro quadro e ora la stiamo svendendo a 1600 euro al metro quadro, perché abbiamo fretta di vendere per poter comprare poi altrove... Quindi ecco, non vorrei farti perdere tempo e non vorremmo perdere tempo nemmeno noi, il prezzo è quello riportato nell’annuncio. A noi non piace alzare il prezzo per poi dover contrattare, ribassare, offerte, contro offerte… Il prezzo è quello.”
“Sì sì, ok, chiaro. Ho capito. Il prezzo è quello e non è trattabile. Grazie per la disponibilità, Melania. Per la disponibilità e per il giro panoramico. Allora facciamo così, se sento che qualcuno cerca un appartamentino da queste parti, lo mando da te.”
Più o meno questa è stata la visita all’appartamento di Melania.
La prendo come un’esperienza formativa. Un’esperienza mistica quasi.
Ha indubbiamente arricchito la mia anima.
Ah, se state cercando un appartamentino, ve ne posso consigliare io uno veramente carino.
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