Tumgik
#musicainuit
darthreset-blog · 6 years
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Musica Inuit
C’è tanta musica che ancora non conosco e che sono ansioso di ascoltare: ogni volta che trovo qualcosa di nuovo è sempre un piacere, e la possibilità di espandere la mia cultura è ciò che di meglio mi possa accadere. In aggiunta a questo, c’è il mio modo di essere stramboide e l’interesse particolare per ciò che è inusuale, quasi sconosciuto e difficilmente apprezzabile o comprensibile. Date le premesse, venire a conoscenza di Tanya Tagaq (e nello specifico del suo EP “Toothsayer”, uscito ad inizio mese) ha comportato obbligatoriamente un ascolto di cui non mi sono pentito, anzi. Ne sono entusiasta.
Tanya Tagaq è una cantante canadese, precisamente del territorio del Nunavut, patria del popolo Inuit. Ed è proprio alla cultura Inuit che si ispira la musica di Tagaq, che si esprime attraverso una tecnica tradizionale chiamata katajjaq, che solitamente viene praticata da due donne posizionate una di fronte all’altra, ma che la cantante ha adattato alle sue esigenze da solista.
“Toothsayer” ha accompagnato la mostra “Polar Worlds” al Museo Marittimo di Greenwich, dedicata alle esplorazioni e popolazioni dell’Artide e dell’Antartide. In quanto parte di quelle popolazioni, la scelta di Tagaq si è rivelata azzeccata, sia per coerenza tematica, sia perché la cantante ha tirato fuori cinque pezzi favolosi.
Non ho intenzione di recensire l’EP, perché qui non c’è da fare una valutazione qualitativa: c’è da imparare cos’è la musica per gli altri e come questa può essere resa più accessibile. “Toothsayer” non è una raccolta di canti tradizionali: alla voce si accompagnano arrangiamenti elettronici (”Icebreaker”, “Toothsayer”, “Hypothermia”), orchestrali (”Snowblind”) e rock (”Submerged”). La fusione tra i generi funziona benissimo: il canto, a volte acuto come un fischio e a volte gutturale, fa quasi sentire il freddo, suona lontano e straniante. Gli arrangiamenti, sebbene derivanti dalla cultura musicale a noi più vicina, in questo contesto non contribuiscono a ridurre le distanze, ma le amplificano. E’ qualcosa che non abbiamo mai sentito. E’ nuovo, ma esiste da sempre. E’ emozionante ed emozionato: c’è dolore, sofferenza, rabbia. C’è tutto un popolo dentro. C’è il pericolo di vedere una tradizione sparire, e insieme a lei tutto un territorio. Non c’è più il freddo e il ghiaccio di quando questi canti sono nati. Il mondo è cambiato, e con lui anche le persone. Ma il desiderio di esprimersi e trasmettere ciò che si è e si ha non è mai sparito, e continua a manifestarsi. Questo è un esempio. Uno dei migliori. Oggi ho scoperto qualcosa di fantastico, che mi ha ricordato anche perché questo blog si chiama “odissea”: è davvero tutto un viaggio, e la fermata di oggi mi ha dato tanto. Riparto con convinzione, sperando di visitare altri posti meravigliosi e pieni di suoni.
Appuntamento alla prossima tappa della nostra odissea musicale!
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