#moltitudine
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viviween · 24 days ago
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Devo, davvero!, spiegare, a chi mi legge - ma non fa parte dei miei follower - che la moltitudine di "virgole" utilizzate, nonché i "due punti", sono un mezzo espressivo per far cogliere l'intonazione della mia voce - come se stessi raccontando un aneddoto, o un fatto, dal vivo?
Devo, davvero!, specificare, ai rintronati che continuano a criticare il mio stile di scrittura, presentandosi qui, a cazzum, che questo non è un posto di lavoro?
Che non sono tenuta a rispettare formalità, qui?
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baxterbella24 · 10 months ago
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princessofmistake · 10 months ago
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La poesia è dappertutto — nella terra e nel mare, nei laghi e sulle rive dei fiumi. È anche nelle città — non lo si può negare — e ciò mi è palese dall’esser qui seduto: c’è poesia in questo tavolo, in questo foglio, in questo calamaio; c’è poesia in questa frenesia di automobili per le strade, in ogni minimo, comune, ridicolo movimento di un operaio che dipinge l’insegna di una macelleria dall’altra parte della strada. Il mio senso interiore predomina sui miei cinque sensi in modo tale da farmi vedere le cose di questa vita — ne sono convinto — in modo diverso dagli altri. Esiste per me — esisteva — tutta una ricchezza di significato in una cosa così ridicola come una chiave, un chiodo su una parete, i baffi di un gatto.
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perpassareiltempo · 5 months ago
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Sei solo. Non lo sa nessuno. Taci e fingi.
Fernando Pessoa - Una sola moltitudine
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crazy-so-na-sega · 1 month ago
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La possibilità stessa che si formi una moltitudine così eterogenea suggerisce che, nello spazio da essa occupato, non esiste già più da tempo, tra gli autoctoni, il desiderio di salvaguardare nemmeno l'ombra di una propria identità. (cit)
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pizzetterosse · 1 year ago
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non mi sento più me stessa da tanto tempo, sento come di aver perso una luce che mi contraddistingueva in mezzo una moltitudine di persone
#b
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pensieri-di-dea · 4 months ago
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“Amo le persone che mi fanno ridere. Onestamente penso che sia la cosa che mi piace di più, ridere. Cura una moltitudine di mali. Probabilmente è la cosa più importante in una persona. ”
Audrey Hepburn
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Momenti con te
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tulipanico · 7 months ago
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Necessità
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(Che per me è: aggrapparsi alle cose importanti, tenersele strette in mezzo alla moltitudine)
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myrxellabaratheon · 9 months ago
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I’m definitely not Stannis n. 1 fan for a moltitudine of reasons, but what I resent him the most is killing Renly (and using Edric’s blood to do it) when he was THIS close to allying himself with Robb.
Not only because I really think Renly was of all the Baratheons the one who’d made the best king but because he and Robb had a great chance of winning the War of the Five Kings with minimal loss in terms of both men and alliances.
And also because think about Renly on the Iron Throne with Loras as his Hand and Robb as King in the North with Theon as either his Hand or as Prince of the Iron Islands BUT Renly legalize gay weddings!
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lunamarish · 23 days ago
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[...]
Mentre pensi e accordi le sfere d’orologio della mente sul moto dei pianeti per un presente eterno che non è il nostro, che non è qui né ora, volgiti e guarda il mondo come è divenuto, poni mente a che cosa questo tempo ti richiede, non la profondità, né l’ardimento, ma la ripetizione di parole, la mimesi senza perché né come dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine morsa dalla tarantola della vita, e basta.
[...]
Mario Luzi
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scorcidipoesia · 6 months ago
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Voglio che tu sappia
che non sei qui per caso
e che capiterà sempre più spesso
di salutare le persone che ami
alla stazione, di non rivederle
per settimane e mesi…
Le vedrai cadere
nella voragine dei giorni
e ti verrà da piangere e maledire,
da spaccare le vetrine.
Ma le distanze sono ponti
non possono dividere noi
che abbiamo raccolto la luce
dal pozzo degli occhi, abbiamo
visitato il tronco rotto della notte.
Voglio che tu sappia
che non sei sola mai
e che in ogni centimetro di vuoto
c’è una festa, una moltitudine
e che ogni sorriso viene
-ricordatelo, mi raccomando-
dalla riserva segreta del bene.
Sappi che ci sarà da domandarsi
il senso di tutto, che alla fine
non ci sarà una vera fine
e capirai che l’amore
era l’unica domanda buona,
l’unica risposta giusta.
(Valerio Grutt, Dammi tue notizie e un bacio a tutti)
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perpassareiltempo · 7 months ago
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Pensiamo ci faccia male solo ciò che sappiamo che ci fa male, ma c'è una moltitudine di ricordi e di immagini che provocano una grande malinconia perché non ne capiamo il senso.
Clara Sàncez
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viendiletto · 9 months ago
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Nel ricordo di Marinella… Una scelta di volontariato
“Mi aggiravo tra la folla, attratta da quella moltitudine vociante, dalle bandiere e dai labari delle nostre città istriane, fiumane e dalmate. Era il 1997, si ricordavano nella piazza principale di Trieste i 50 anni dall’esodo, anche i miei cinquant’anni essendo nata nel 1947. Ma il mio pensiero era fisso su mio padre. Vedi ��� gli dicevo col cuore gonfio – finalmente parlano di noi. Ma lui era mancato qualche tempo prima senza smettere di sentirsi fuori dal coro, un alieno…” 
Fu così che, durante quell’esperienza pubblica, Fioretta Filippaz, nata a Cuberton, esule a Trieste dal 1956, si rese conto di sapere ben poco della propria storia e del destino di tanta gente che come lei era stata costretta all’esodo dall’Istria.
Decise così di fare la volontaria?
“Quel ’97 fu per me uno spartiacque importante, i miei genitori non c’erano più ma le domande che avrei voluto rivolgere a loro, erano veramente tante. Allora presi informazioni e mi ritrovai all’IRCI che allora aveva sede in P.zza Ponterosso, nell’ufficio di Arturo Vigini, con lui c’era anche la figlia Chiara. Mi presentai e dissi che avrei voluto rendermi utile, partecipare dopo tanto silenzio. Non cercavo un lavoro di concetto, mi bastava anche semplicemente imbustare e affrancare gli inviti per le numerose iniziative dell’ente o per spedire la rivista Tempi&Cultura. Così ho cominciato”.
Una “volontaria”, oggi una del gruppo che segue l’attività dell’IRCI in via Torino, accoglie i visitatori delle mostre che si succedono numerose durante l’anno a cura di Piero Delbello e con il supporto del presidente Franco Degrassi, raccontando un esodo per immagini, attraverso i suoi personaggi, a volte famosi, a volte sconosciuti…
“Viene sempre tanta gente, chiede informazioni, racconta la propria storia, queste sale diventano un contenitore di tante vicende mai emerse, di tante storie familiari mai portate alla luce. Molti arrivano con fotografie, locandine, documenti per il museo. Per noi volontari è una responsabilità, ma anche un profondo desiderio di condivisione. Vede, questo documento alle mie spalle nell’ambito della mostra ‘Come ravamo’ è quello della mia famiglia, è lo storico dell’anagrafe dal quale hanno cancellato Marinella…”.
Chi è Marinella? È una delle storie emblematiche dell’esodo, quella di una bambina che non ce l’ha fatta, in quell’inverno polare del ’56. Aveva appena un anno e una polmonite se la portò via, “morta di freddo” sentenziarono i medici dell’ospedale che non furono in grado di salvarla.
“Ero già grandicella e Marinella me la portavo in braccio, le davo il biberon, la cambiavo, me ne occupavo per alleviare il lavoro di mia madre che doveva pensare a tutta la famiglia, al marito e ai cinque figli. I suoi occhi erano per me, con i sorrisi e i primi borbottii, una gioia infinita: non sono mai riuscita a dimenticarla, a farmene una ragione”.
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Per quanti anni siete vissuti in quella baracca?
“I miei genitori dodici anni, finché io e mio fratello non siamo riusciti a terminare le scuole nel collegio dove eravamo stati trasferiti per poter avere un’istruzione e migliori condizioni di vita”.
Vita?
“Quando la famiglia vive separata tutto è molto duro. Mio padre a Cuberton era un bravo contadino, da esule poté fare il manovale, la qualifica di profugo non era servita a nulla. Aveva sperato di entrare in fabbrica, ma nessuno ci aiutò. Ricordo che spesso diceva con convinzione, non sembrava neanche un lamento ma una semplice constatazione: ‘noi ne vol, proprio noi ne vol’ e così continuò per anni sentendosi fuori luogo, forse sconfitto. Quando ebbi diciannove anni, ci diedero una casa comunale, una sessantina di metri per la nostra famiglia numerosa, ma era comunque un miglioramento. Andai a lavorare alla Modiano”.
In che veste?
“Alle macchine per la stampa, ci ho lavorato fino alla pensione. All’inizio vista con sospetto, la nostra presenza di esuli a Trieste veniva ancora considerata un peso, ma noi istriani siamo lavoratori, disciplinati, vivaci, con il tempo mi sono conquistata le simpatie delle persone che hanno saputo apprezzare il mio impegno”.
E la famiglia?
“Mi sono sposata a 25 anni, per qualcuno era quasi tardi, per me anche troppo presto, vista la tragedia che avevamo vissuto in famiglia, non mi sentivo pronta”.
Non era solo per Marinella?
“Soprattutto per lei il cui sguardo non ho mai smesso di cercare, ma anche per tutto ciò che avevo visto al campo di Padriciano: la gente si lasciava morire, di disperazione, per mancanza di qualsiasi prospettiva, in quelle baracche dove non si poteva accendere un fuoco per scaldarsi. La mia casa era rimasta a Cuberton. Ci sono tornata per andare al cimitero. L’ho vista da lontano, diroccata, non ho avuto il coraggio di avvicinarmi”.
Nessuna assistenza psicologica in tutti questi anni?
“Nessuna. E ce ne sarebbe stato bisogno”.
Che cosa ha rappresentato il Giorno del ricordo?
“La possibilità di parlare, andando nelle scuole, fornendo testimonianza sui giornali, le televisioni. Gli italiani hanno iniziato a conoscere squarci della nostra vicenda. Ogni anno mi invitano a Cremona, in Umbria, nel Veneto, con le docenti è scattata un’amicizia importante. Dopo che Simone Cristicchi ha raccontato di Marinella nel suo spettacolo Magazzino 18, l’interesse è diventato maggiore, mi chiedono di raccontare. Lo faccio per i miei genitori, per restituire dignità a tanta gente, per rivivere il ricordo di Marinella, doloroso, ma necessario. I ragazzi delle scuole mi hanno omaggiato dei loro lavori di gruppo che custodisco gelosamente. È incredibile con quanta pietas abbiano saputo raccontare le nostre vicende, anche quelle più difficili. Mi fanno tante domande”.
E Padriciano?
“Ho accolto le scolaresche per tanti anni insieme a Romano Manzutto, finché l’associazionismo ha deciso di formare dei giovani perché raccontassero la nostra storia”.
In maniera più asettica?
“Certo hanno avuto modo di studiare, approfondire, possono rispondere a tante domande, non certo a quelle sull’esperienza diretta che rimane di chi l’ha vissuta veramente, ormai non siamo tantissimi, il tempo decide per noi”.
Dal campo di Padriciano molti partirono per gli altri continenti…
“Avevamo considerato anche questa ipotesi, ma cinque figli piccoli a carico erano una condizione che non favoriva il giudizio dell’emigrazione. Mio padre era una persona di grande cuore, certo avrebbe fatto fortuna, ma era convinto che nessuno avesse compreso che non eravamo venuti via se non perché fosse impossibile rimanere. Questa sensazione non lo abbandonava mai e forse gli toglieva la forza di tentare altre strade. Non ne abbiamo mai parlato successivamente. Ma mi accorsi del suo dolore quando giunti al cimitero di Cuberton, al momento di decidere di andare a mangiare qualcosa insieme, mi pregò di riportarlo velocemente oltre confine. La paura non li aveva ancora abbandonati e non l’avrebbe mai fatto fino alla fine”.
Di cosa avevano paura?
“Di restare e di tornare. In Istria tutto era cambiato e quindi non ritrovavano più la loro dimensione, c’era stata la dittatura che aveva spaventato tutti. In Italia avevano dovuto imparare a vivere il quotidiano, in Istria pagavano le tasse e basta, non erano abituati ad andare per uffici, fare domande, ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Quando Marinella morì nessuno venne a manifestare la propria solidarietà, non fecero che cancellare il suo nome dal nostro stato di famiglia”.
Quale spiegazione riesce a darsi oggi?
“Lo dico spesso e l’ho anche scritto: fummo accolti con fastidio e indifferenza, eravamo un corpo estraneo che tentava di inserirsi in un tessuto sociale che non voleva intrusioni”. Dire che la storia si ripete è anche troppo ovvio.
Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin a Fioretta Filippaz per La Voce del Popolo, 5 gennaio 2020
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occhietti · 1 year ago
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Le donne
devono sempre ricordarsi chi sono,
e di cosa sono capaci.
Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo.
Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai. 
- Virginia Woolf
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luanasissy · 6 months ago
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Insegnate ai vostri figli già dai 4 anni le basi della superiorità femminile e della inferiorità maschile.
In questo modo in un decennio avremo una moltitudine di giovani Matriarche
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ideeperscrittori · 10 months ago
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IL FATTO DEL GIORNO Spesso, di fronte al fatto del giorno, milioni di persone scrivono sui socal network esattamente la stessa cosa, a volte usando le stesse parole, senza uno sforzo di immaginazione per esprimere un pensiero originale, una rifflessione su un dettaglio significativo sfuggito ad altri. La cosa più stupefacente è che sotto queste opinioni ti capita di leggere commenti tipo: «Oh, finalmente! Era ora che qualcuno lo dicesse». E l'aveva detto una moltitudine mezzo nanosecondo prima. [L'Ideota]
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