#modi per far dimagrire le cosce
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Mal di Facebook
La mia storia con Facebook inizia nel 2008, o lì attorno, all'epoca andavo al liceo e usavo MSN (poi Windows Live Messanger), che tra i miei coetanei andava alla grande - e per un primo periodo avrebbe perfino fatto concorrenza alla chat di Facebook, alla quale, dileggiata pubblicamente, si preferiva il concorrente di casa Microsoft.
Entrai su Facebook perché... beh, perché lo facevano tutti ovviamente. E nessuno mancava di fartelo sapere via posta. Qualcosa tipo: "Hey, mi sono unito a Facebook, guarda che lo dovresti fare anche te." Alla millesima mail, un pochino scocciato perché che-cazzo-è-questo-Feisbuc, mi sono ritrovato un po' con le spalle contro il muro e non ho resistito alla gentile ma opprimente pressione sociale, quindi in pochi passi mi consegnai a Zuckerberg. E vabbè.
Quel che facevo ai tempi su Facebook è giusto non venga divulgato - e poi nemmeno ci tengo a fare lo sforzo di ricordare, giacché gli sforzi dovrebbero essere ricompensati con sensazioni perlomeno un poco piacevoli, di certo non con una vergogna infinitamente dolorosa. Basti dire che se sono un poco capace di frenare la mia arroganza, oggi, lo devo al ricordo di quella cosa là che ero online.
A un certo punto comunque il profilo l'ho fatto saltare in aria. Mi piace l'idea di averlo fatto saltare in aria, perché era un coacervo di insulsaggini. E le insulsaggini non dovrebbero semplicemente limitarsi a sparire, non sarebbe molto gratificante; bisognerebbe imprimere loro sufficiente energia cinetica per perderle di vista un attimo prima che esplodano - e questa esplosione sì che dovrebbe essere visibile, abbastanza da abbracciare tutto il tuo campo visivo, e magari, se proprio non è chiedere troppo, scaldarti appena la pelle. Ecco.
Ma divago.
Mi ricordo che non mi riusciva di essere popolare quanto altri (che comunque ci sono sempre, a prescindere, questi altri; ora lo so, ora) quindi giustamente me ne rammaricavo: cosa mai ci sarà di sbagliato in me, che sulla foto del profilo non ho 10, 20, 100 Mi piace o like che dir si voglia?
Eh, evidentemente tanto da starci male.
Sì, starci male. Non esagero. È che bisogna chiarire cosa vuol dire stare male.
Non dico che mi saliva la febbre alta o che, piegato in due, petto sulle cosce, vomitavo sulle mie lacrime. No. Si sta male in tanti modi diversi, e spesso senza nemmeno accorgersi di stare male. Anzi, magari pensando di stare alla grande. Che casino.
Quindi il Facebook-uno non mi fece stare bene, ma il Facebook-due invece?
Eeeh…
Innanzitutto sì, c'è stato un secondo profilo. Ovviamente. E qualche passo avanti lo feci. Tipo selezionare le amicizie. O meglio, gli amici, in corsivo. Però (sono molto banale in questo) meglio non chiamarli amici ora, meglio contatti, ché se no ci si confonde. Anche ai fini del mio discorso s'intende.
Infatti, mentre nel Facebook-uno avevo un profilo a porte aperte e lasciavo entrare - e speravo entrasse - chiunque, questo era senza dubbio più selettivo, anche se ancora mi presentavo con nome e cognome ed ero perfettamente rintracciabile. Però il numero dei contatti aveva smesso di essere uno status symbol; mi sforzavo anzi, di mantenerlo contenuto e riservato a "quelli con cui avrei avuto piacere di andare a cena" - agli Amici insomma.
Poi che uno si sappia scegliere gli amici è un altro paio di maniche.
Avanti veloce: Facebook-due non salta in aria, ma conosce uno sfoltimento importante, drammatico: mantengo pochissimi contatti, che però trovo occasione di nascondere e in seguito eliminare, per poi poterli contare su due mani… una mano…
Zero contatti. A un certo punto il mio Facebook va oltre i contatti, e si focalizza sulle pagine. Sì, perché nell'ultimo periodo con contatti ormai non ne seguivo più nemmeno uno, di contatto: figuravano ancora tra i miei amici, potevano ancora interagire con me, ma io avevo deciso che non mi interessava nulla delle vite degli altri, e che quindi gli altri potevano andare al diavolo, anche se ci avrei mangiato volentieri una pizza. Quindi poi fu una transizione facile, quella da contatti a senza contatti: di fatto per me non cambiava nulla. La mia concezione di Facebook ora ruotava su contenuti che mi potessero far star bene e che mi dessero qualcosa. Entrambe le cose però, perché se si fosse trattato di stare bene e basta, avrei potuto guardare per ore video di salvataggi di animali; se si fosse trattato soltanto di avere qualcosa in cambio della fruizione, avrei potuto guardare giorno e notte video divulgativi che mi avrebbero via via reso sempre più cosciente di sapere sempre meno dell'argomento in cui mi cimentavo, frustrandomi.
In teoria era così, in teoria.
Avanti veloce: il Facebook-due salta in aria.
《Ma come, e la sua rivoluzione post-contatti?!》
Quella no. Quella era stata una mossa saggia e ammirevole della quale non mi pentii.
È che il Facebook-due era ancora troppo riconducibile alla mia persona. Cambiai le generalità e blindai tutto, sì, ma ancora riuscivano a rintracciarmi, specialmente persone che non volevo ci riuscissero: vecchi tag, vecchie conversazioni… andava fatto esplodere tutto. Quindi Facebook-ter. Nuova vita, daccapo, nel totale anonimato, io e le pagine più opportune, che via via andai selezionando in base ai criteri di cui sopra: dovevano darmi appagandomi. Quello che ne uscì fu una miscela di pagine di letteratura, cinema, divulgazione scientifica, satira politica… la fetta più grossa erano loro. Andava molto bene. Ma qualcosa ancora non mi convinceva.
《Che palle, non gli va mai bene niente a questo...》
Vado a votare regolarmente, quindi qualcosa me lo faccio andar bene. Non sono così schizzinoso. È che, come il protagonista del Fu Mattia Pascal di Pirandello, mi sentivo appagato dal e al contempo intrappolato nel mio anonimato. Interagivo con le persone, sì, ma cosa rimaneva dei miei interventi? Centinaia di like, cuori, ahah e qualche grr, a chi andavano? Io non ricordo nemmeno una persona alla quale abbia messo like o risposto. Non è facile nemmeno risalire alle conversazioni, su Facebook diventa tutto un minestrone.
E poi c'erano loro, i boomer. O, più in generale, gli analfabeti funzionali. Uscivano da tutte le parti, cagavano dappertutto sul loro cammino come un gregge di pecore. Poche volte mi sono sentito deluso, avvilito, depresso come dopo aver letto i commenti a un qualsivoglia articolo di un qualsivoglia quotidiano. Roba da farti arrabbiare con un'intera generazione di italiani, da renderti odioso l'intero corpo elettorale. Volendo sorvolare sul caps lock invadente, la punteggiatura inesistente, la grammatica stuprata… populismo, qualunquismo, gentismo, fascismo, xenofobia, omofobia, razzismo, odio, violenza… tutte belle cose figlie dell'analfabetismo (funzionale però).
Ogni tuffo in sezione commenti era un bagno di amarezza. Inevitabilmente provavo a rispondere per le rime, ma - vi assicuro - è dannatamente frustrante: non puoi vincere, solo pareggiare; nessuno ti darà ragione, al limite cancellerà il commento. Nemmeno Facebook gioca più di tanto questa partita, ma fa finta o lo fa comunque secondo criteri che non afferro bene: le bestie che segnalavo non venivano nemmeno rimproverate; io d'altro canto mi son preso ben più di un'ammonizione e anche un paio di espulsioni per aver risposto come si deve a qualche fascista. Una volta proprio per aver dato del fascista a uno che si definiva tale già da solo. Boh. L'attività poi è inutilmente onerosa, in termini di tempo. Virtualmente potrei fare solo quello h 24, anche se avrebbe lo stesso senso di mettersi al sole senza crema per dimagrire - nonché lo stesso risultato, il cancro.
《Non leggerli, no?》
Sì, vabbè, la si fa semplice così. Resta pochino del social network se non posso nemmeno leggere i commenti. Mi resta un flusso di notizie che architettando un pochino può darmi Google News.
Poi anche su questo aspetto credo d'aver fatto passi avanti. Le notizie può darmele un quotidiano, che - udite udite - sono disposto a pagare. Magari ci guadagno pure, dal punto di vista informativo: invece di un collage disarticolato ho una visione d'insieme e più coerente, e non mi faccio scegliere gli articoli da un maledetto algoritmo. Così ho fatto.
Per la divulgazione sorprendentemente vale lo stesso discorso: non si può sapere tutto di tutto; di sicuro la cultura non la costruisci con la divulgazione spiccia: disposto a pagarlo (pensa te), un benedetto libro sul tema, qualsiasi tema, è infinitamente meglio. Così ho fatto.
Facebook-ter è esploso. E così anche gli effimeri profili creati successivamente in qualche fugace momento di debolezza in cui dimenticavo il trade-off del reiscrivermi su quel social network.
Al momento non ho l'app di Facebook sul telefono, non ho alcun collegamento a Facebook su Chrome e Mentana lo seguirò su LA7. Va molto meglio.
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Vorrei fermare il tempo e capire chi sono
Il mio cervello è in reset
Tra poco inizio la quinta
C’è la maturità
L’ansia di non farcela
La paura di non riuscire
Le delusioni
Qualche piccola soddisfazione
C’è la pallavolo
Ci sono io
La mia salute
Il mio corpo
E la mia mente
Vorrei capire chi sono perché non lo so più
So che si cresce e io voglio crescere
Non voglio cambiare, la mia mente per come è ora è uno spazio complicato, ma nonostante i mostri che la popolano, nei ripostigli bui delle mie paure, c’è un luce che anche se fioca continua a bruciare. Ho paura di domani e di quel che sarà. Ho paura di affrontare gli ostacoli perché non voglio fallire, ma so che sarà inevitabile. Devo solo avere la forza di riprendere le mie cose, me stessa, e riprovarci con un po’ più di convinzione, fiducia, esuberanza, e non perdere la testa se per una, due, tre volte non funziona, perché magari non sarà la quarta ma prima o poi ce la farò
Il mio corpo non mi piace, guardarmi allo specchio è una tortura, come quando le donne ebree commettono adulterio e vengono umiliate pubblicamente. So che le persone hanno occhi per guardare e parole per ferire e so che non dovrebbe importarmi ma il loro giudizio mi tocca e a volte lo fa in modo troppo violento perché io possa starmene ferma, nel mio piccolo che io sento grande e ingombrante. Si mi sento ingombrante. Come quando non stai più Nell’altalena che da bambina ti piaceva tanto. Non voglio farlo in modo poco sano, non voglio provare ancora quella sensazione di vuoto che mi faceva sentire piena, piena di sporco e di cose che non volevo, ma che mio malgrado sopportavo per riuscire a passare davanti ad uno specchio senza abbassare la testa in segno di schifo, vergogna, ribrezzo.
“Mamma voglio andare da un nutrizionista”
Lo voglio fare per me, per non concludere tutto con una fissa, una malattia che mi perseguita e non si vede. Non si vede perche le mie cosce si toccano, perche la mia pancia non è piatta, perché non sono magra come vorrei, e nessuno mi al mio “devo dimagrire” risponde “ma sei già magra” ma esordisce con “ma no stai bene cosi”. Quel stai bene cosi mi ferisce, è come dire “si non sei magra, ma non mi importa perché io non ti guardo, perché non mi importi, non c’è gusto a guardarti”.
Voglio smettere di fumare. Per il mio cuore che regge nonostante tutto, nonostante il male che mi provoco, nonostante l’ansia. Ti voglio bene cuoricino, io sono la cosa più preziosa che ho ma non so apprezzarla, o meglio non ho ancora imparato a farlo. E mi dispiace. Mi dispiace perché so di poter far di più, ma non lo faccio, per pigrizia, per gli occhi degli altri e loro giudizi.
Ti voglio bene Noemi. Sei la persona più grandiosa che esista e non voglio passare quel che hai passato tu, anche se ti è servito io voglio farlo in altri modi. Voglio imparare da me e bastarmi, non voglio che sia una voce fastidiosa e crudele a convincermi a farlo.
Quel che scrivo finisce sempre allo stesso punto. Finisce qui, con io che un po’ mi odio e che parlo di me a vanvera, senza trovare una reale soluzione, buttando parole a caso alle 4 di notte, con il sonno che scalpita e una giornata dura che mi aspetta. Dovrei dormire si, ma i pensieri mi pervadono e prendono il posto. Un posto che sporcano e che io non riesco a ordinare, un po’ come camera mia.
Devo riordinare camera mia, specchio riflesso di quello che sento, di come sono, di come sto vivendo. Vivo in disordine e nel disordine, circondata da sporcizia camuffata da cose che fingo di volere. Buonanotte Irene.
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