#microscopico
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Ameba caça e mata paramécio por fagocitose
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ARTE MICROSCOPICO
Revelando la belleza invisible
-Colectivo Citología Ciencia y Arte-
Omnis vita e Cellula
El O-cito cariñocito.
Save the whales.
Universo
Stranger Things
Caballo galopante
Fetoadenoma
Cervix Christmas
Flor reactiva
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sono su tinder perché non voglio precludermi esperienze etc etc etc ma porco dio quanto fa schifo
#sinceramente le dating apps in generale fanno schifo#avendo messo solo donne mi spuntano letteralmente solo uomini cis che hanno messo di essere donne per ? non lo so sinceramente. donne etero#profili di coppia che vogliono una cosa a tre e tra le persone restanti. oggettivamente conoscersi con le dating app non mi piace proprio#toglie molto della bellezza di incontrare persone dal vivo e averci a che fare di faccia sin da subito. poi dato che comunque la selezione#di persone appena fatta rende il campione di possibili match Microscopico la maggior parte delle persone con cui faccio match sono#abbastanza distanti da me e quindi è tutto un circolo vizioso di mi scarico tinder per incontrare gente ma finisco ad avere conversazioni#che durano massimo due/tre giorni e tira avanti così per un sacco di tempo finché non mi scoccio e non lo uso più ma poi lo riscarico perché#mi scoccio e. Odio odio odio. can my gf just drop from the sky Please
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Avere una casa piccola, molto piccola, ha consolidato la mia naturale propensione a muovermi bene in spazi complessi, delicati. Serve attenzione e serve avere chiaro l’obiettivo, come fanno i gatti. Era così quando riempivo le figure di colore, quando ritagliavo i bordi di un disegno che avevo tratteggiato, minuscolo. Mi viene da questo il talento immediato con cui inserisco il filo nella cruna dell’ago o faccio un nodo microscopico, pur avendo mani grandi. Un gatto, dicevo, per questa e altre ragioni. O magari un chirurgo. O un gatto chirurgo.
L’importante è guardare.
È per questo che sono certo imparerei a muovermi negli anfratti complicati del tuo cuore, ignota miniera di diamanti: perché un giorno ho deciso che li avrei raggiunti, come un gatto che ritorna alla sua casa impervia, affacciata su una poesia nascosta e arrampicata sopra una collina che, sebbene al centro del mondo, solo pochi conoscono.
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QUEL POST CON CUI EMPATIZZERANNO IN TRE (ME COMPRESO) Parte 1
Non è una storia triste, non ci sono plot twist né morali strazianti per cui togliete pure il secchio da sotto la sedia ché i testicoli rimarranno al loro posto (figura retorica gender-inclusiva).
L’altro giorno @der-papero ha rebloggato un mio post in cui c’era l’immagine di una mazza ferrata per ‘resettare’ un pc dicendo ‘Non fare male ai computer che sono stati i miei unici amici per tanti anni! (o qualcosa del genere) ed è a quel punto che io ho pensato la stessa cosa, anche se in modo più specifico e meno informatico del suo.
Dal 1979 a oggi ci sono stati degli ‘amici’ che sono diventati una sorta di pietra miliare temporale a cui posso tornare con la memoria in modo microscopico e con una precisione quasi eidetica, al punto che li posso usare come una personalissima radiodatazione al carbonio per conoscere gli eventi contestuali occorsi in un dato periodo.
Quando ero piccolo ho sempre creduto che tutti giocassero ai videogames, sia con la propria console a casa che nei bar o nelle sale giochi e invece ho lentamente scoperto che non solo quasi nessuno aveva un console per videogames a casa ma che anche i cabinati che erano nelle sale giochi o nei bar per molti non erano affatto un’attrattiva.
Beh... per il sottoscritto le cose andavano in modo molto differente.
Alle console che ho posseduto dedicherò la seconda parte di questo post ma ora vi dico che sul viale pedonale principale di Viareggio (quello del carnevale, per intenderci) c’erano due sale giochi ENORMI (posso confermarlo a distanza di anni che non era solo lo sguardo di bimbo) e mio nonno paterno lavorava li vicino, ragion per cui mi bastava mendicargli mille o duemila lire, cambiare tutto in monete da 200 lire (i gettoni dovevano ancora arrivare) e giocare come se non ci fosse un domani.
Io non so se la seguente descrizione possa avere un senso per la maggior parte di voi ma dovete considerare quanto fosse ENORME il trip sinestesico nell’entrare in uno di quei luoghi: prima di tutto passavi dalla luce del sole a una penombra che assomigliava molto a un buio luminoso, poi le tue orecchie venivano sopraffatte da parecchi decibel di musichette a 8 bit che si mescolavano a formare un meraviglioso cachinno eustordente e infine l’odore di sigaretta che permeava ogni centimetro cubo dell’ambiente con una coltre di fumo in cui lampeggiavano gli schermi dei cabinati come finestre su altri mondi.
(in effetti a posteriori posso capire perché la mia passione non fosse così condivisa)
Ho parlato del 1979 perché quello fu l’anno in cui da flipper, biliardini e altri giochi analogici (che io schifavo) si passò al primo videogame completamente elettronico a grafica vettoriale: ASTEROIDS.
Ora, siccome sono ben consapevole che la maggior parte di voi non ha la minima idea di cosa io stia parlando, sappiate che quando parlavo di finestre su altri mondi era proprio quella la sensazione che allora si provava: dalla visione passiva di un programma televisivo su tubo catodico passavi a poter FARE COSE SULLO SCHERMO, un qualcosa che pochi fra voi possono capire quanto fosse pazzesco.
E quello per me segnò un altro modo di considerare lo scorrere del tempo.
Per esempio, nell’Agosto del 1983 giocai per quindici giorni a Moon Patrol nel piccolo bar dell’Isola del Giglio dove andai in vacanza coi miei genitori
mentre al Bar Sombrero del mio quartiere nell’inverno del 1984 a Mag Max e Kung Fu Master, quest’ultimo a scrocco perché avevo imparato come accedere al sensore che veniva toccato dalla monetina e dava 1 credito
la stessa estate, nella sala giochi in pineta, scoprii e finii Bubble Bobble (l’intro musicale mi dà ancora i brividi) mentre il Juke Box mandava in loop una canzone che dopo ho scoperto essere Sweet Dreams degli Eurythmics.
Trojan nel bar Moreno sotto a una tenda minuscola, R Type al chiosco sul viale dei tigli, Tiger Road al bagno Aretusa, Circus Charlie nel bar della stazione vecchia vicino al biliardo dal panno verde consumato e segnato dalle sigarette, Knuckle Joe in un hotel in Val d’Aosta per la gita di terza media, Wiz nel bar vicino casa di mia nonna materna, Bomb Jack al maneggio dove Diego con 200 lire giocava tutto il giorno e regalava crediti, Bank Panic al bar del cinema all’aperto e New Zeland Story in quello del palazzetto dello sport mentre mangiavo un Paciugo all’amarena, prima Green Beret e poi Iron Horse nella pasticceria sotto casa di mia nonna paterna con l’odore di sfoglie alla crema, Robocop e Xain’d Sleena al bar del liceo, finiti entrambi a memoria prima che suonasse la campanella, i tornei di Dark Stalker con i miei amici al bar della stazione nuova e poi ancora X-Men e Avengers.
Centinaia di giochi che meriterebbero decine di post perché con mille lire potevo andare in un mondo dove non ero più il ciccione sfigato che non sapeva giocare a pallone... ero quello che poteva sconfiggere i nemici e alla fine vincere, sempre.
L’ultimo arcade cabinato a cui giocai - e poi dopo quella data praticamente scomparvero per essere sostituiti dalle Slot Machine - fu Metal Slug, in data 1997, dopo aver lasciato Figlia Grande all’asilo nido nel piccolo ritaglio di tempo prima di andare nello studio medico dove avevo appena cominciato a lavorare.
Naturalmente lo finii ma finì anche col chiudersi quella parentesi durata appena vent’anni ma lunga una vita intera.
Chi di voi è abbastanza vecchio da capirmi?
@axeman72? @renatoram? @ilnonnodiinternet?
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Mi ricordo il filobus che passava in via Martorelli ed io ero microscopico in quel mondo di mura annerite dalla fuliggine di una città che era dimenticata e fuori da qualsiasi passaggio per qualsiasi direzione.
Che per contrasto a tutto quel grigio con mediocri aspirazioni di nero, per andare a scuola ci mettevano pullover blu su camicia blu, col papillon giallo. E tutto questo sembrava loro normale. Le bambine, sembravano tanti angeli candidi nel grembiulino bianco, l' immancabile molletta su un lato dei capelli, il colletto di pizzo colorato.
I regali, che siano d'oro, alla maestra a fine anno, da un plotone di morti di fame che erano la maggior parte delle nostre famiglie.
Gente di altrove, molti altrove.
Un bel cazzo di bordello, la maestra piemontese e bigotta ed alcuni compagni che ancora a stento parlavano italiano. I cocchi della maestra, quelle tre o quattro creature da WWF che per puro caso erano di origine autoctona, poi tutti "noialtri", cosa che ai tempi non mi era troppo chiara, dal momento che parlavo solo e perfettamente italiano.
Rubavo le Bic in drogheria.
Anche la Bic era un lusso, un sogno, abituati alla Corvina, penna di merda vera.
L.
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Siamo istanti, istanti che muoiono. Viviamo per le piccole cose, per i sorrisi e per i tramonti, per i momenti che possono durare secondi o minuti, per i baci, per i testi delle canzoni che il più delle volte non capiamo neppure. Siamo fatti di tanti piccoli istanti, un po’ come un puzzle a più pezzi, di quelli grandi, che sembrano non dover finire mai. E andiamo alla ricerca, tutta la vita, di queste tessere, degli istanti che mancano, perché a tutti manca sempre qualcosa, sebbene non sia mai chiaro cosa. Andiamo alla caccia degli istanti che muoiono, e ogni volta che ne troviamo uno, ci sembra di morire un po’ con lui, quando ormai è tutto finito, e il momento è andato via., scomparso per sempre. Così amiamo senza speranza sempre tutto quello che è destinato a non durare. Che poi, le cose più belle spesso non durano. Se i baci potessero essere per sempre, sarebbe come non baciarsi mai, e se la felicità più pura fosse perenne, non si saprebbe neppure che quella è la vera gioia. Così, eccoci trafelati alla ricerca degli istanti che muoiono. La ragazza che vuole l’amore vero, e fa di tutto per trovare, invece, qualcuno che semplicemente le dia il suo maledetto primo bacio, per poi lasciarla sola di nuovo; la bambina che vede la luna inseguire la sua auto dal finestrino, e si chiede ridendo, perché si trovi sempre li, nello stesso punto, e rincorra la macchina, punto microscopico e inutile dell’universo; la moglie, che aspetta con ansia che il marito torni dal lavoro per abbracciarlo; il ragazzo che non riesce a dormire, perché vuole a tutti i costi vedere di nuovo la ragazza nella classe all’ultimo piano il giorno dopo, anche solo per pochi secondi; la vecchia, che si gode quello che sa essere l’ultimo tramonto con il compagno di una vita, a cui presto dovrà dire addio per sempre. Tutti questi, tutti questi sono istanti che muoiono. Fugaci, quasi non ci accorgiamo di loro, che non hanno passato nè futuro. Leggeri come il nulla, e nel nulla tornano subito dopo. Eppure, noi siamo la somma di questi gesti insignificanti e apparentemente inutili, che, paradossalmente, ci rendono più vivi di altri.
Muriel Barbery, "L'eleganza del riccio"
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COCCIANTE MICROSCOPICO 🥺
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Non so se sia più National Geographic o Comedy Central
Ricapitolando: dei calabroni hanno deciso di fare il nido all'interno della vetusta fontana di ghisa in giardino. Non posso usare il fuoco perché rischierei di sciogliere i tubi all'interno, né il pesticida vista la vicinanza con l'orto. Posso solo tappare i fori da dove entrano ed escono sti teppisti con le ali.
Giorno 1: Nastro da carrozziere. Li vedo ammassarsi incazzosi desiderosi di entrare e me ne vado convinto di aver vinto. Più tardi mi accorgo che hanno forato il nastro e sono rientrati.
Giorno 2: Vista la fragilità del nastro da carrozziere uso del nastro da pacchi. Riesco a sentire i vari colpi che danno mordendo il nastro e vado a letto convinto di aver vinto.
Giorno 3: al risveglio trovo il nastro da pacchi forato. Decido allora di incastrare un pezzo di legno da un ramo. Alla sera il pezzo di legno non c'è più. Inizio ad avere paura. Modello e appallottolo dell'alluminio che spingo con forza nel foro.
Giorno 4: al risveglio vedo che gli insetti di Satana hanno praticato un foro nell'alluminio a morsi. Come faccio a saperlo? Mentre sto guardando la situazione uno di loro esce beffardamente con un microscopico pezzettino di stagnola in bocca e vola via.
Ho la stessa espressione di quando Willie il Coyote vede passare bip bip all'interno della galleria che lui ha dipinto sulla parete di roccia.
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Il mattino non ha l'oro in bocca, se non al sapore di caffè.
Amava mescolarsi tra i il quotidiano arruffato e stanco, in un café di Parigi. Non era un tipo mattiniero, ma in quel café, sapeva di poter essere partecipe di un rito quotidiano, addirittura sacrosanto per un italiano all'estero: prendere il caffè. Non era solo questo, amava mischiarsi alla vita, quella di tutti i giorni. Li, in quella strada, in quel quartiere. Lui sapeva che tornando ogni giorno in quel café, gli sarebbe stato riservato amorevolmente un piccolo posto tutto per lui. Quanta cura e tenera delicatezza in un gesto non direttamente richiesto, ma così semplice. Sedeva in un angolino, allo stesso tavolino di sempre, dove si incontrava con un caro amico. Tutti i giorni. La stessa tenera delicatezza, la offriva a chi avesse voluto condividere con lui quel rito. A quel tavolino, sebbene anche solo per qualche minuto, ci sarebbe stato sempre posto. In quel microscopico angolo di vita, tra un sorso di caffè e una sigaretta accesa, ci si mischiavano preoccupazioni, successi, insuccessi, storielle di ogni genere, e qualche silenzio assordante. Quando Marcello morì, quel tavolino rimase riservato, il suo amico andò a prendere il caffè, ma non ebbe il coraggio di sedervi, poi non ci andò più. Quel caffè, gli sembrava più amaro del solito, non più buono come un tempo.
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Tian e Wainaina analisaram 7,6 terabytes de dados de sequência metagenômica de Tara Oceans para este estudo, aumentando as populações conhecidas de vírus de DNA oceânico para 579.904. 🦠
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perché quando succede qualcosa di bello nella mia vita, cerco un dettaglio, anche microscopico, per rovinare tutto?
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Realtà macroscopica basata su un caos quantistico
Nella termodinamica il legame tra meccanica quantistica e realtà concreta. Come è possibile che da regole “probabilistiche” e astratte emerga il nostro mondo macroscopico concreto? Un fisico austriaco suggerisce dove trovare la risposta. Una delle più celebri frasi attribuite a Richard Feynman, tra i più importanti e geniali fisici del secolo scorso, recita più o meno così: “Penso di poter affermare tranquillamente che nessuno capisce la meccanica quantistica”. Un po’ esagerato, un po’ provocatorio, come era nel suo stile; ma in fondo non troppo lontano dalla realtà. La meccanica quantistica – ossia la teoria che descrive il comportamento del mondo microscopico, quello fatto di molecole, atomi e particelle subatomiche – è certamente una delle discipline più complesse e controintuitive (ma proprio per questo estremamente affascinanti) della fisica moderna. Molte delle sue leggi e dei suoi postulati – pensiamo per esempio all’entanglement, la bizzarra interazione a distanza tra particelle “intrecciate”, o alla sovrapposizione degli stati e al collasso della funzione d’onda, ben illustrati dal famoso paradosso del gatto di Schrödinger, sono effettivamente così lontani dalla nostra esperienza quotidiana della realtà macroscopica da essere molto difficili da comprendere e digerire; tuttavia, come ha dimostrato oltre un secolo di rigorose prove sperimentali, la teoria è esatta.
A quanto pare, è proprio così che funziona la natura, o almeno la parte di natura che abbiamo iniziato a comprendere. Come dicevamo, è quando si provano a mettere in relazione le leggi della meccanica quantistica all’esperienza del mondo macroscopico che emergono gli scenari più interessanti e complicati, che rischiano di diventare meccanismi insondabili, come il pensiero del pensiero: c’è chi si è chiesto, per esempio, se si possa parlare di realtà oggettiva e quale sia il rapporto tra osservatore e realtà, e chi, proprio pochi giorni fa, ha cercato di far chiarezza su come sia possibile che dal mondo quantistico, “regolato” da leggi probabilistiche, emerga il mondo reale e “concreto” con cui abbiamo quotidianamente a che fare. Si tratta di un gruppo di fisici del Quantum Information & Thermodynamics (QuIT), un dipartimento di ricerca dell’Università di Vienna, che ha provato a rispondere alla domanda in due articoli, ancora in fase di revisione dei pari. Il primo è stato caricato lo scorso anno su ArXiv e il secondo è in corso di scrittura; a darne conto, sulle pagine della rivista New Scientist, è Tom Rivlin, fisico di QuIT che è tra gli autori di uno dei lavori e si occupa (anche) di divulgazione scientifica. Passeggiando nel cimitero di Vienna Il lungo racconto di Rivlin comincia proprio a Vienna, nel cimitero più grande della capitale austriaca, e precisamente davanti alla tomba di uno dei fisici più importanti della storia, Ludwig Boltzmann, padre della termodinamica e del concetto di entropia (tanto che sulla sua lapide è incisa la formula S = k log W, che è proprio una delle definizioni dell’entropia). Perché è nella termodinamica, secondo gli studi di Rivlin e colleghi, che va cercata la risposta. “Ero andato a passeggiare nei pressi della tomba di Boltzmann – racconta – perché penso che le sue idee, vecchie di un secolo, possano aiutare a risolvere uno dei problemi più complessi della fisica: come è possibile che le particelle quantistiche, che esistono in una ‘nube confusa’ di stati possibili, diano origine al mondo solido, concreto e ben definito, fatto di neve, foglie, lapidi e tutto quello che ci circonda. Sono stati fatti molti tentativi per risolvere questo problema, tra cui anche proporre l’idea bizzarra che tutte le altre possibilità del mondo quantistico si realizzino in universi paralleli, o che semplicemente svaniscano. Io e i miei colleghi sospettiamo che la risposta giusta abbia invece a che fare con Boltzmann”. Un bigino di termodinamica Prima di andare avanti serve un conciso ripasso: la termodinamica – detto grossolanamente – è la branca della fisica che studia come quantità macroscopiche (calore, energia, pressione, temperatura, eccetera) siano connesse a proprietà microscopiche (per esempio la velocità con cui si muovono le particelle in un fluido). Uno dei concetti fondamentali della termodinamica è l’entropia, che è una misura del disordine di un sistema, ovvero dei “possibili modi” in cui un sistema può esistere. Più il sistema è disordinato, più è alto il numero di modi in cui può essere realizzato: l’esempio più classico è quello di un mix di latte e caffè. Il sistema “ordinato” può essere realizzato in un solo modo (tutte le molecole del caffè da una parte e tutte le molecole di latte dall’altra), mentre il sistema “disordinato” (il caffelatte, ossia un mischione dei liquidi) può essere realizzato in un numero molto più alto dei modi. Il sistema disordinato è quello che ha massima entropia; e il secondo principio della termodinamica sancisce che (in un sistema chiuso) qualsiasi processo evolve sempre verso lo stato di massima entropia. In altre parole, il mondo va nella direzione del disordine. In questo senso, l’entropia (e il secondo principio della termodinamica) stabiliscono una direzione obbligata (o meglio, privilegiata) per tutti i fenomeni della natura: sempre verso il massimo disordine, in modo irreversibile. Le stranezze della meccanica quantistica Lasciamo per un attimo riposare Boltzmann e torniamo alle bizzarrie della meccanica quantistica. La questione che disturba di più Rivlin e i suoi (e non solo) è il fatto che una delle leggi della meccanica quantistica postula che una particella può “esistere” in diverse posizioni nello stesso momento (è la cosiddetta sovrapposizione degli stati) ma che questo effetto non si manifesta nel mondo macroscopico. Per di più, c’è un “problema” con le misure: nel momento in cui si cerca di misurare la posizione di una particella, la si “inchioda” in un certo posto e da quel momento in poi sta solo là (è il cosiddetto collasso della funzione d’onda); come se l’atto della misura “distruggesse” tutte le altre possibilità – un processo rapido, istantaneo e irreversibile. Il problema è stato parzialmente risolto negli anni Settanta, quando diversi esperimenti hanno mostrato che il famigerato “processo di misura”, quello che distrugge le altre possibilità, non avviene soltanto in laboratorio, ma sempre e ovunque: anche una molecola d’aria che colpisce un elettrone lo “misura” e ne distrugge la natura quantistica. Questo processo si chiama “decoerenza” e spiega il motivo del fatto che non vediamo effetti quantistici a livello macroscopico. Decoerenza e darwinismo La decoerenza è un meccanismo ancora in parte misterioso. Un significativo passo avanti nella sua comprensione risale al primo decennio di questo secolo, quando due fisici, Robert Blume-Johout e Wojciech Żurek, hanno mostrato che durante il processo di decoerenza tutte le informazioni relative a un sistema quantistico – compresa la sovrapposizione degli stati –non si distruggono, ma piuttosto si “diffondono” nell’ambiente circostante. Se non possiamo più vederle è solo perché non siamo in grado di farlo. “L’informazione quantistica”spiega Rivlin “è sempre lì, solo che è impossibile da vedere. Questa idea è stata chiamata ‘darwinismo quantistico’, in analogia all’idea dell’evoluzione dei sistemi biologici: in questo senso, l’ambiente intorno a un oggetto quantistico ‘seleziona’ solo le informazioni classiche un po’ come un ecosistema (in senso però molto diverso) ‘seleziona’ il collo lungo per le giraffe”. Lo zampino della termodinamica L’équipe di Rivlin non crede molto all’ipotesi del darwinismo; piuttosto, cerca una spiegazione alternativa guardando alla termodinamica – ed è qui che rientra in scena Boltzmann. “Storicamente, termodinamica e meccanica quantistica non sono mai andate molto d’accordo. L’idea convenzionale delle misurazioni quantistiche sembra addirittura infrangere le leggi della termodinamica, che sono ‘sacrosante’ per i fisici”. E quindi? Torniamo all’esempio del caffè: dicevamo che lo stato in cui evolve un mix di latte e caffè è quello di massimo disordine, di massima entropia, una miscela indistinguibile delle due sostanze. Questo ce lo dice il secondo principio della termodinamica (oltre alla nostra esperienza quotidiana). Ma c’è una questione più sottile: lo stato di massimo disordine è quello di equilibrio, e su questo non ci piove, ma è anche vero che ogni sistema, pur andando sempre verso lo stato di equilibrio, potrà avere, di tanto in tanto, delle fluttuazioni attorno a quello stato. Portiamo più in là questo concetto: dato un tempo sufficientemente lungo, diciamo pure infinitamente lungo, una di queste fluttuazioni porterà il sistema di nuovo nello stato in cui latte e caffè sono perfettamente separati. Bisogna aspettare probabilmente un tempo più lungo dell’età dell’universo, ma in un certo momento accadrà. E lo stesso, a quanto pare, avviene anche per la decoerenza: un’équipe di scienziati, nel 2018, ha osservato che effettivamente un sistema può “de-decorentizzarsi”, almeno per brevissimi intervalli di tempo. “È un risultato incredibile, perché se è possibile recuperare la coerenza vuol dire che le informazioni quantistiche non sono mai state davvero distrutte: erano lì, nascoste, e a un certo punto riappaiono”. I lavori di Birkin e colleghi partono proprio da qui: “La trattazione matematica è abbastanza complicata, ma sostanzialmente nel primo lavoro i miei colleghi hanno mostrato che l’equilibrio tra un sistema quantistico e un apparato di misura può far sì che un sistema che ‘sembra’ classico stia in realtà solo ‘nascondendo’ il comportamento quantistico, e non distruggendolo. Un apparato di misura abbastanza piccolo potrebbe, almeno in linea teorica, permettere agli effetti quantistici di tornare visibili. L’altro lavoro, ancora in corso, è relativo all’effettiva fattibilità di un esperimento per verificare questo effetto, e per comprendere se e come è possibile estrarre e informazioni quantistiche. Chissà cosa ne avrebbe pensato Boltzmann”. Read the full article
#darwinismo#decoerenza#entanglement#entropia#funzioned'onda#gattodiSchrödinger#meccanicaquantistica#termodinamica
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El mundo microscopico fotografiado en las imagenes ganadoras del concurso Nikon Small World 2023.
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Doc buon pomeriggio, ho fatto ago aspirato per un nodulo alla tiroide
Mi puoi aiutare a capire il referto in modo sintetico?
CAMPIONE INVIATO
tiroide - prelievo agoaspirato ecoguidato nodulo lobo dx
tiroide - esame citologico su agoaspirato ecoguidato
citologia - esame citologico
NOTIZIE CLINICHE:
Nodulo iso-ipoecogeno, a contorni netti, Ø mm 20, del lobo tiroideo dx.
REFERTO
MICROSCOPIA
Il quadro microscopico, moderatamente cellulare, mostra un fondo ematico e numerosi gruppi di macrofagi colloidofagici come da gozzo. Si osservano rari gruppi coesivi di elementi oncocitari con citoplasma granulare ossidilo, nucleolo incostante, talora prominente. Quadro da valutare anche in base ai dati clinici e strumentali, di lesione ossifila categoria indeterminata a minor rischio sec.Siapec*.
Categoria diagnostica: TIR3A (Indeterminate lesion, lower risk) sec. SIAPEC-AIOM-AME-AACE
Italian consensus for the classification and reporting of thyroid cytology. (J Endocrinol Invest Jun;37(6):593-9)
Commento: utile approfondimento con l'analisi dello stato mutazionale dei geni BRAF, NRAS, HRAS e KRAS da eseguirsi su prelievo dedicato*.
*Nota bene: l'analisi citologica e' parte integrante di una valutazione multidisciplinare comprendente l'esame clinico e strumentale (ecografico e/o scintigrafico etc.) ed in caso di discordanza con le altre valutazioni deve essere valutata la prosecuzione dell'iter diagnostico con altre modalità, eventualmente anche di prelievo (Diagn Cytopathol 2000; 22:126-130).
Grazie in anticipo.
(dalle analisi il tsh, ft3 e ft4 nella norma, anticorpi nella norma)
Immagino (anzi, ESIGO) che poi dovrai far vedere tale referto all'endocrinlogo che ti sta seguendo ma lunedì lo manderai via whatsapp anche al tuo medico... non perché ci siano delle cose brutte ma perché è così che funziona.
In parole povere il nodulo su cui è stato fatto l'agoaspirato presenta una CITOLOGIA INDETERMINATA cioè ci sono cellule che fanno il loro lavoro mescolate a cellule che invece potenzialmente potrebbero dare dei problemi.
Si usa l'agettivo INDETERMINATO perché il solo agoaspirato non basta a completare il quadro diagnostico (e infatti viene detto anche nel referto) e sebbene la classificazione TIR3A - Neoformazione follicolare a basso rischio di malignità - indichi un BASSO RISCHIO di tumore, consigliano di approfondire la predisposizione genetica a tale potenziale tumore.
Non è un tumore ma in particolari condizioni potrebbe diventarlo.
Alcuni consigliano l'asportazione con studio approfondito del nodulo (con questo si avrebbe la certezza) ma solo il 20% di questa neoformazioni risultano poi veramente a rischio e l'80% assolutamente innocue.
Sarà il tuo endocrinologo a indirizzarti verso la giusta prosecuzione dell'iter.
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Cecilia Vicuña
La donna di oggi è Cecilia Vicuña, artista visiva, poeta e attivista cilena, nota per le sue performance poetiche che rivendicano la sua identità femminile provando a riscrivere la storia della cultura indigena.
È creatrice di una poetica speciale che interseca arte e coscienza ecologica.
Il suo lavoro porta avanti conoscenze millenarie attualizzate con performance, film, installazioni, sculture, libri e gesti della vita quotidiana.
Ha scritto 25 libri di arte e di poesia, tradotti in sette lingue e anticipato i più recenti dibattiti su ecologia e femminismo decoloniale, immaginando nuove mitologie personali e collettive. Molte delle sue installazioni sono realizzate con materiali trovati e detriti abbandonati che intesse in delicate composizioni, nelle quali il microscopico e il monumentale trovano un fragile equilibrio, la sua arte è precaria, intima e, insieme, potente.
I suoi dipinti si ribellano alla forma, mettendo al centro l’immaginazione di una donna indigena.
Oggi le sue opere fanno parte delle collezioni di importanti musei tra cui il Guggheneim, il MoMa, la Tate, il Museo d’Arte Latinoamericana di Buenos Aires e il Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago del Cile.
È nata a Santiago del Cile il 27 luglio 1948 in una famiglia di artisti e intellettuali. Dal 1966, dopo aver iniziato con tele astratte, ha iniziato a lavorare a un progetto che ancora oggi porta avanti, le precarios, sculture assemblate con materiali da recupero, esposte agli agenti atmosferici e alle maree.
Nel 1967 ha fondato il suo primo gruppo, Tribu No, che realizzava azioni artistiche collettive nella città di Santiago.
Nel 1968 ha pubblicato il suo primo poema sul periodico messicano El Corno Emplumado.
Dagli anni ’70, il suo lavoro si è confrontato visivamente e poeticamente con i rituali dell’America latina, delle popolazioni aborigene australiane, del Sudafrica e dell’Europa paleolitica. Le sue esibizioni, installazioni site-specific, quipu, sculture, dipinti, disegni e testi legano il filo rosso al sangue mestruale e alla continuità della vita.
Dopo aver esposto per la prima volta al Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago ed essersi laureata in Belle Arti, nel 1972 è partita per Londra per specializzarsi alla Slade School of Fine Art.
Si trovava in Gran Bretagna quando, l’11 settembre 1973, c’è stato il violento colpo di stato militare contro Salvador Allende guidato da Pinochet e ha chiesto asilo politico.
L’anno seguente ha fondato il gruppo Artists for Democracy per raccogliere fondi per la Resistenza cilena e organizzato il Festival of Arts for Democracy in Chile che ha visto partecipare 320 artisti e artiste internazionali tra cui Julio Cortázar, Christo e Sol LeWitt. Durante il Festival erano stati denunciati i soprusi commessi dalla dittatura militare di Pinochet e dalle altre dittature dell’America Latina e la violazione dei diritti umani.
Nel 1975 si è trasferita a insegnare storia dell’arte e poesia latinoamericana all’università di Bogotà, ha lavorato in ambito teatrale e condotto laboratori artistici con la comunità guambiana della Valle del Cauca, esperienza che l’ha portata ad approfondire il suo legame con la cultura indigena.
Quando al Concorso nazionale di poesia Eduardo Coté Lamus le è stato negato il premio a causa del tono erotico e irriverente della sua opera, è partita una serie di azioni artistiche di protesta che le hanno dato grande fama.
A questo periodo risalgono le Palabrarmas, neologismo che unisce le parole (palabra) con le armi (armas), concretizzate attraverso varie tecniche artistiche che spaziano dal disegno alla performance, dalla scrittura ai film, come risposta poetica alla distorsione del linguaggio e alla violenza delle menzogne.
Nel 1980 ha realizzato il suo primo documentario, ¿Qué es para usted la poesía? (Cos’è per voi la poesia?), oggi nella collezione del MoMA.
A New York ha collaborato con il periodico Heresies: A Feminist Publication on Art and Politics, leggendario gruppo di artiste e intellettuali femministe.
Nel 1981 ha esposto per la prima volta al MoMA, nella collettiva Latin American Video.
Tra i viaggi in giro per l’America Latina e gli Stati Uniti, producendo reading, performance poetiche e esposizioni, non ha mai smesso di scrivere libri.
Nel 1995 ha tenuto il primo seminario con la comunità rurale di Caleu, in Cile, per promuovere la riscoperta delle conoscenze ancestrali dando origine a un metodo di educazione decolonizzatrice che ha chiamato Oysi, titolo che ha dato alla sua organizzazione senza scopo di lucro.
Nel 1997 è stata pubblicata la biografia The Precarious. The Art and Poetry of Cecilia Vicuña. L’anno successivo ha realizzato la prima mostra multimediale Cloud-net, dedicata al riscaldamento globale e all’estinzione delle specie e delle civiltà, temi che denuncia e porta avanti, instancabile, in ogni suo lavoro.
Numerose sono state le esposizioni e retrospettive tenute in giro per il mondo e le conseguenti acquisizioni da parte dei più importanti enti museali internazionali.
Nel 2015 è stata nominata Messenger Lecturer per il Dipartimento di Antropologia della Cornell University per contribuire all’«evoluzione della civiltà con lo scopo specifico di elevare lo standard morale della nostra vita politica, commerciale e sociale».
Nel 2017 ha partecipato a documenta 14, una delle più importanti esposizioni d’arte contemporanea nel mondo.
Nel 2018 ha ricevuto il premio Achievement Award assegnato da Cisneros Fontanals Art Foundation ed è stata nominata Sherry Memorial Poet in Residence 2018 per il Programma di poesia e poetica dell’Università di Chicago.
Nel 2019 ha ricevuto il Premio Velázquez di arti plastiche assegnato dal Ministero della cultura e dello sport della Spagna.
Al Centro Cultural España di Santiago del Cile, ha presentato Minga del Cielo Oscuro, convocando personalità del mondo dell’arte, astronomia, archeologia, musica ed etnomusicologia per riflettere sull’oscurità del cielo notturno e sulle molteplici conseguenze ecologiche, neurologiche e sociali della sua scomparsa.
Il 23 aprile 2022 è stata la prima artista cilena a ricevere il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Per l’occasione ha realizzato l’installazione site specific NAUfraga, dedicata alla fragilità (fraga) della laguna.
Il 3 maggio 2023 ha ricevuto la Laurea honoris causa dall’Università del Cile.
Per i suoi meriti, la poetica, l’instancabile ricerca e il fervente attivismo, si può considerare tra le più interessanti protagoniste dell’arte contemporanea.
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