#meglio le ciaspole o i ramponi
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mymountaintrails · 2 years ago
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Quale differenza tra ciaspole, ramponcini e ramponi?
Quale differenza tra ciaspole, ramponcini e ramponi?
Come e quando usare questi strumenti che non sono solo per “professionisti” del mestiere Premessa Ormai tutti sappiamo – anche se alcuni affermano che sia leggenda – che sono circa 21 i termini che gli Inuit, il popolo eschimese, usa per indicare la parola «neve». Uso questo espediente, se vogliamo un po’ ironico, per porre una domanda che  non dovrebbe mai mancare quando stiamo per cominciare…
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clorophillarium · 5 years ago
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Viaggio d’inverno
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Mi è sempre piaciuto ricercare l’avventura ‘dietro casa’, e non semplicemente per comodità, ma perché conoscere meglio il luogo in cui vivo è un modo per essere riconoscente per la fortuna che ho, e per essere più vicino alle origini della mia storia, che per una serie di ragioni passa anche di qui.
Inoltre, con un po’ di fantasia e limitando le risorse all’essenziale, si possono vivere grandi giornate ed essere pronti per altre difficoltà e altre avventure.
L’appennino è una montagna di grande personalità, e inverno, in particolare, non fa sconti a nessuno.
Temperature rigide, neve, ghiaccio , terreno tecnico e isolamento aiutano ad affinare sensi, mente e corpo.
Muoversi da queste parti nella stagione più fredda, è una scuola che può insegnare molto.
Probabilmente è il ‘molto’ di quel poco che ho capito sulla montagna e non solo su quella.
Tanti anni fa, prima delle belle scalate sulle Alpi, io e Daniele ci facemmo po’ di esperienza sulle ‘nostre’ montagne, così vicine a casa, ma così ruvide e solitarie, nonostante abbiano spessissimo la ‘vista mare’.
Una delle avventure che tutt’ora ricordo meglio e che ho documentato con qualche foto, è stata una due giorni invernale in autonomia, tra Aiona e Penna, in val d’Aveto.
Partimmo a piedi il mattino presto dal lago delle Lame, per raggiungere la cima dell’Aiona lungo il versante nord del Cerighetto. Ancora oggi è una cresta facile e panoramica, che continuo ad inserire nei miei giri di corsa, anche in inverno, se è abbastanza pulita dalla neve.
Eravamo inesperti e anche un po’ troppo pesanti, se ripenso agli zaini pieni con fornello, tenda, sacchi a pelo, ramponi, piccozze e ciaspole. Ma l’idea era proprio quella di vivere una vera avventura in montagna in inverno, cercando di capire cosa sarebbe servito e cosa lasciare a casa le volte successive.
Oltre ad una lunga parte di avvicinamento, il progetto includeva anche la scalata notturna su ghiaccio del canalino del Penna (resta anche adesso una grande classica, se in condizioni) e il bivacco in cima.
Da sempre, il tempo non era mai stato troppo importante per noi, e infatti ce la prendemmo piuttosto comoda anche quel giorno.
Arrivammo all’attacco del canalino nel tardo pomeriggio ma ovviamente era già buio, essendo inverno. Nel tentativo di cambiare le pile alla macchina fotografica, la custodia mi scivolò in un buco nella neve, questo perché non ho mai perso la pessima abitudine di fare cose ‘normali’ in posti ripidi e scomodi, anche se ultimamente sono diventato più accorto...
Il canalino del Penna si presentava in condizioni molto liguri - o scozzesi, di cui ho sempre letto e che purtroppo non conosco direttamente, però amo dire ‘condizioni da gully scozzesi’ - quindi, ghiaccio durissimo, poca neve e erba gelata. Salimmo con delicatezza anche a causa degli zaini enormi e delle deboli e primitive frontali, più simili a lumini da cimitero che a vere e proprie luci...
Però ricordo benissimo le scintille che facevano le piccozze, nel tentativo di piantarle in quella pelle di ghiaccio secco e duro, misto a roccia.
Una cosa che capimmo in fretta, è che in Appennino, a causa dei rapidi cambiamenti di correnti e di versanti, è difficile trovare condizioni ottimali per scalare su ghiaccio o scendere qualche pendio con gli sci ; infatti tutto si trasforma in fretta e il momento ‘buono’, a volte, dura solo lo spazio di un alba o poco più.
Sbucammo alla forcella tra Penna e Pennino di notte. Se ci passate ora, troverete una rudimentale ringhiera di legno e potete guardare a destra lo scivolo / imbuto dell’uscita del canale . Quella notte di febbraio il vento era a dir poco furioso, la tipica tramontana tesissima e gelida, perciò attaccammo subito e senza troppi complimenti la paretina finale della via normale. Non usammo nemmeno i fittoni e le catene del sentiero attrezzato perché non trovammo niente, forse per colpa della neve, del buio e della stanchezza.
Sulla cumbre del Penna, un po’ calotta e un po’ fungo (con un pizzico di fantasia patagonica) il vento spingeva implacabile, era tale da sbatterci per terra e sarebbe stato comunque impossibile scavare una buca e montare la tenda.
Allora scendemmo poco sotto la cima, dove iniziava la foresta di faggi e finalmente trovammo un buon posto per piazzare la tenda, anche perché qui il vento ci lasciava un po’ stare.
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Una volta dentro e arrotolati nei sacchi, forse sgranocchiammo qualcosa o forse nemmeno quello, visto che di solito eravamo sempre piuttosto ‘tirati’ con le scorte, nonostante gli zaini assurdamente pesanti !
Non fu una notte facile, immagino perché il nostro termometro di legno a mercurio (che staccai dal terrazzo di casa prima di partire) indicava -15 gradi .
Al mattino, ricordo che poter uscire fuori al primo timido sole, fu liberatorio, proprio come nei migliori racconti bonattiani !
Dopo una frugale colazione ci rimettemo in cammino nella faggeta immobile, in un meraviglioso giorno d’inverno.
Rifletto spesso su questa avventura, che fu tra le primissime vissute praticamente dietro casa. Non fu difficile da un punto di vista tecnico, ma sicuramente importante per l’impegno totale e per la durezza determinata dal freddo.
Mi resi subito conto che era possibile ritrovare quella nudità e quell’esposizione, di cui leggevo nei libri di esplorazione, pur senza essere così lontano fisicamente.
Ritengo fondamentale poter conoscere meglio il luogo in cui vivo e, se possibile, sperimentare con buon senso e preparazione anche le condizioni climatiche più difficili. La sicurezza è determinata dalla consapevolezza e dalla preparazione, e fondamentalmente esiste solo nella nostra testa, basata su una valutazione equilibrata di noi stessi, dell’ambiente in cui ci muoviamo e dalla capacità di fare la cosa giusta nel momento opportuno, incluso il saper rinunciare.
Questo di per sè non elimina il rischio, non rende infallibile la percezione del rischio (che è una cosa diversa) e non prevede l’imponderabile, che semplicemente accade.
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