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#maria pia romano
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Una nuova viticoltura per un mondo più pulito e sano
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Unire qualità alla concreta sostenibilità: è questo lo spirito che guida la rete di aziende della Resistenti Nicola Biasi. E se la qualità dei vini viene ampiamente dimostrata dai numerosi premi che si sono aggiudicati durante l’anno appena passato (primo tra tutti i 3 bicchieri del Gambero Rosso assegnati al Vin de la Neu 2020) le aziende hanno voluto produrre anche una prova concreta della loro sostenibilità. Nasce così l’idea dello studio comparativo sull’impronta di carbonio nella produzione di vini da varietà tradizionali e vini da varietà resistenti in collaborazione con Climate Partners: -37,98%, questo è il valore riscontrato, in termini di CO2 prodotta nella gestione di un vigneto con vitigni resistenti e uno con varietà classiche a parità di condizioni climatiche e territoriali. Lo studio, condotto nel 2022 presso l’azienda Albafiorita in provincia di Udine, ha tenuto in considerazione tutti gli aspetti globali della produzione, dal vigneto alla commercializzazione, mettendo in luce l’importanza delle scelte imprenditoriali sul tema dell’impatto ambientale. I dati rilevati vanno dal packaging, alla chiusura, passando per la tipologia di bottiglia utilizzata fino ad arrivare a ciò che ha fatto veramente la differenza: l’utilizzo di vitigni resistenti permette oggi di avere alta qualità, alta sostenibilità e minori emissioni di CO2. Queste nuove varietà resistenti alle principali malattie della vite (peronospora, oidio e botrite), permettono una riduzione dei trattamenti, un minor utilizzo di antiparassitari, un minor consumo d’acqua con un conseguente impatto ambientale non paragonabile alla viticoltura attuale. Albafiorita a Latisana, Della Casa a Cormons, Ca’ da Roman a Romano d’Ezzelino, Colle Regina a Farra di Soligo, Poggio Pagnan a Mel, Nicola Biasi a Coredo, Villa di Modolo a Belluno e Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna sono le 8 aziende della rete che, guidate dall’enologo Nicola Biasi, stanno lasciando un’impronta indelebile nel mondo della viticoltura attraverso le loro attività. Una scelta che parla di difesa del territorio, valorizzazione del luogo e consapevolezza che, grazie all’innovazione, si può creare una viticoltura reale sempre più sostenibile. RESISTENTI NICOLA BIASI Resistenti Nicola Biasi è una rete di otto aziende agricole in otto territori diversi tra Friuli, Veneto e Trentino, creata nel 2021 e guidata da Nicola Biasi, miglior giovane enologo d’Italia per Vinoway, Cult Oenologist 2021 per il Merano Wine Festival ed Enologo dell’Anno 2022 per Food and Travel. Resistenti non sono solo i vitigni, noti anche come Piwi (dal tedesco pilzwiderstandfähige, ossia resistenti ai funghi–malattie fungine) ma anche gli stessi produttori che hanno abbracciato la sfida della sostenibilità in territori differenti e caratterizzati da altitudini e climi che fanno della loro viticoltura qualcosa di davvero innovativo. Questa difesa del territorio, coniugata a una viticoltura di precisione e a un’enologia dedicata e scrupolosa, permette di esaltare le qualità di queste nuove varietà e di conquistare così anche i palati più esigenti e rigorosi. LE IMPRESE DELLA RETE Albafiorita a Latisana, nella riviera friulana.In un zona non conosciuta per l’innovazione, Dino de Marchi decide di puntare sulla sostenibilità producendo i suoi vini bianchi esclusivamente da vitigni resistenti. Ca’da Roman a Romano d’Ezzelino.Ai piedi del Monte Grappa, Massimo e Maria Pia Viaro Vallotto nel 2015 danno vita all’azienda di soli vitigni resistenti con cantina dedicata che a oggi, risulta essere la più grande d’Europa. Colle Regina a Farra di Soligo, tra i colli trevigiani.Nel cuore del prosecco Docg Marianna Zago decide di andare controcorrente concentrando la sua produzione su vini ad alta sostenibilità grazie all’impianto di vitigni resistenti. Poggio Pagnan a Mel, nella Valbelluna.Gianpaolo Ciet e Alex Limana coltivano esclusivamente varietà resistenti e le vinificano nella loro cantina, la prima di Borgo Valbelluna. Della Casa a Cormons, in pieno Collio.Renato Della Casa decide di affiancare l’innovazione alla tradizione dei vitigni autoctoni del suo Collio bianco. Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna, sull’alta costa veronese del GardaMauro e Leonardo Bonatti, per il loro progetto di coltivare esclusivamente vitigni resistenti, in un territorio quasi inesplorato per la viticoltura ad oltre 700 metri s.l.m Villa di Modolo, Belluno, nel cuore delle Dolomiti veneteFrancesco Miari Fulcis, decide di ridare lustro alla dimora storica di Modolo, con un progetto unico nel suo genere che, come protagonista, prevede la produzione di vino da vitigni resistenti L’azienda dell’enologo.A Coredo, tra le Dolomiti trentine, Nicola Biasi crea un vino che nasce per rompere gli schemi, il Vin de la Neu. NICOLA BIASI Nicola Biasi nasce in Friuli terra di vini e, dopo il diploma di Enotecnico, lavora per importanti aziende del Friuli come Jermann e Zuani della famiglia Felluga. Prima di trasferirsi in Toscana, Nicola lavora per Victorian Alps di Gapsted in Australia e poi in Sud Africa per Bouchard Finalyson, dove amplia le sue conoscenze enologiche internazionali. Marchesi Mazzei, San Polo a Montalcino e Poggio al Tesoro di Bolgheri di Allegrini sono le aziende Toscane per cui lavora come enologo per quasi dieci anni. Nel 2016 Nicola decide di intraprendere l’attività di libero professionista fino ad arrivare nel 2020 a fondare la Nicola Biasi Consulting che vanta consulenze in Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli, Trentino e Marche. Nicola viene premiato nel 2020 durante la Vinoway Wine Selection 2021 come Miglior Giovane Enologo d’Italia e a giugno 2021 durante l’anteprima del Merano Wine Festival riceve l’ambito premio Cult Oenologist, riservato ai 7 migliori enologi italiani. Il più? giovane di sempre a ricevere questo riconoscimento. Nello stesso fonda la rete d’imprese Resistenti Nicola Biasi, un progetto che raggruppa al momento otto aziende vitivinicole differenti accomunate da un unico obiettivo: produrre vini di eccellenza praticando la vera e reale sostenibilità in vigna e in cantina, salvaguardando in maniera concreta l’ambiente. A ottobre 2022 resistenti Nicola Biasi riceve l’ambito riconoscimento “progetto vino dell’anno” da Food and Travel Italia, nell’ambito della stessa serata Nicola Biasi viene anche insignito del titolo enologo dell’anno. Unire qualità alla concreta sostenibilità: è questo lo spirito che guida la rete di aziende della Resistenti Nicola Biasi. E se la qualità dei vini viene ampiamente dimostrata dai numerosi premi che si sono aggiudicati durante l’anno appena passato (primo tra tutti i 3 bicchieri del Gambero Rosso assegnati al Vin de la Neu 2020) le aziende hanno voluto produrre anche una prova concreta della loro sostenibilità. Nasce così l’idea dello studio comparativo sull’impronta di carbonio nella produzione di vini da varietà tradizionali e vini da varietà resistenti in collaborazione con Climate Partners: -37,98%, questo è il valore riscontrato, in termini di CO2 prodotta nella gestione di un vigneto con vitigni resistenti e uno con varietà classiche a parità di condizioni climatiche e territoriali. Lo studio, condotto nel 2022 presso l’azienda Albafiorita in provincia di Udine, ha tenuto in considerazione tutti gli aspetti globali della produzione, dal vigneto alla commercializzazione, mettendo in luce l’importanza delle scelte imprenditoriali sul tema dell’impatto ambientale. I dati rilevati vanno dal packaging, alla chiusura, passando per la tipologia di bottiglia utilizzata fino ad arrivare a ciò che ha fatto veramente la differenza: l’utilizzo di vitigni resistenti permette oggi di avere alta qualità, alta sostenibilità e minori emissioni di CO2. Queste nuove varietà resistenti alle principali malattie della vite (peronospora, oidio e botrite), permettono una riduzione dei trattamenti, un minor utilizzo di antiparassitari, un minor consumo d’acqua con un conseguente impatto ambientale non paragonabile alla viticoltura attuale. Albafiorita a Latisana, Della Casa a Cormons, Ca’ da Roman a Romano d’Ezzelino, Colle Regina a Farra di Soligo, Poggio Pagnan a Mel, Nicola Biasi a Coredo, Villa di Modolo a Belluno e Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna sono le 8 aziende della rete che, guidate dall’enologo Nicola Biasi, stanno lasciando un’impronta indelebile nel mondo della viticoltura attraverso le loro attività. Una scelta che parla di difesa del territorio, valorizzazione del luogo e consapevolezza che, grazie all’innovazione, si può creare una viticoltura reale sempre più sostenibile. RESISTENTI NICOLA BIASI Resistenti Nicola Biasi è una rete di otto aziende agricole in otto territori diversi tra Friuli, Veneto e Trentino, creata nel 2021 e guidata da Nicola Biasi, miglior giovane enologo d’Italia per Vinoway, Cult Oenologist 2021 per il Merano Wine Festival ed Enologo dell’Anno 2022 per Food and Travel. Resistenti non sono solo i vitigni, noti anche come Piwi (dal tedesco pilzwiderstandfähige, ossia resistenti ai funghi–malattie fungine) ma anche gli stessi produttori che hanno abbracciato la sfida della sostenibilità in territori differenti e caratterizzati da altitudini e climi che fanno della loro viticoltura qualcosa di davvero innovativo. Questa difesa del territorio, coniugata a una viticoltura di precisione e a un’enologia dedicata e scrupolosa, permette di esaltare le qualità di queste nuove varietà e di conquistare così anche i palati più esigenti e rigorosi. LE IMPRESE DELLA RETE Albafiorita a Latisana, nella riviera friulana.In un zona non conosciuta per l’innovazione, Dino de Marchi decide di puntare sulla sostenibilità producendo i suoi vini bianchi esclusivamente da vitigni resistenti. Ca’da Roman a Romano d’Ezzelino.Ai piedi del Monte Grappa, Massimo e Maria Pia Viaro Vallotto nel 2015 danno vita all’azienda di soli vitigni resistenti con cantina dedicata che a oggi, risulta essere la più grande d’Europa. Colle Regina a Farra di Soligo, tra i colli trevigiani.Nel cuore del prosecco Docg Marianna Zago decide di andare controcorrente concentrando la sua produzione su vini ad alta sostenibilità grazie all’impianto di vitigni resistenti. Poggio Pagnan a Mel, nella Valbelluna.Gianpaolo Ciet e Alex Limana coltivano esclusivamente varietà resistenti e le vinificano nella loro cantina, la prima di Borgo Valbelluna. Della Casa a Cormons, in pieno Collio.Renato Della Casa decide di affiancare l’innovazione alla tradizione dei vitigni autoctoni del suo Collio bianco. Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna, sull’alta costa veronese del GardaMauro e Leonardo Bonatti, per il loro progetto di coltivare esclusivamente vitigni resistenti, in un territorio quasi inesplorato per la viticoltura ad oltre 700 metri s.l.m Villa di Modolo, Belluno, nel cuore delle Dolomiti veneteFrancesco Miari Fulcis, decide di ridare lustro alla dimora storica di Modolo, con un progetto unico nel suo genere che, come protagonista, prevede la produzione di vino da vitigni resistenti L’azienda dell’enologo.A Coredo, tra le Dolomiti trentine, Nicola Biasi crea un vino che nasce per rompere gli schemi, il Vin de la Neu. NICOLA BIASI Nicola Biasi nasce in Friuli terra di vini e, dopo il diploma di Enotecnico, lavora per importanti aziende del Friuli come Jermann e Zuani della famiglia Felluga. Prima di trasferirsi in Toscana, Nicola lavora per Victorian Alps di Gapsted in Australia e poi in Sud Africa per Bouchard Finalyson, dove amplia le sue conoscenze enologiche internazionali. Marchesi Mazzei, San Polo a Montalcino e Poggio al Tesoro di Bolgheri di Allegrini sono le aziende Toscane per cui lavora come enologo per quasi dieci anni. Nel 2016 Nicola decide di intraprendere l’attività di libero professionista fino ad arrivare nel 2020 a fondare la Nicola Biasi Consulting che vanta consulenze in Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli, Trentino e Marche. Nicola viene premiato nel 2020 durante la Vinoway Wine Selection 2021 come Miglior Giovane Enologo d’Italia e a giugno 2021 durante l’anteprima del Merano Wine Festival riceve l’ambito premio Cult Oenologist, riservato ai 7 migliori enologi italiani. Il più? giovane di sempre a ricevere questo riconoscimento. Nello stesso fonda la rete d’imprese Resistenti Nicola Biasi, un progetto che raggruppa al momento otto aziende vitivinicole differenti accomunate da un unico obiettivo: produrre vini di eccellenza praticando la vera e reale sostenibilità in vigna e in cantina, salvaguardando in maniera concreta l’ambiente. A ottobre 2022 resistenti Nicola Biasi riceve l’ambito riconoscimento “progetto vino dell’anno” da Food and Travel Italia, nell’ambito della stessa serata Nicola Biasi viene anche insignito del titolo enologo dell’anno. Read the full article
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rebrandtdebibls · 2 years
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Maria Grazia Tarallo is op 23 September 1866 in Barra, nou 'n distrik van Napels, gebore. Sy wou van kleins af godsdienstig raak, maar op die ouderdom van drie-en-twintig is sy deur haar vader gedwing om 'n burgerlike huwelik met Raffaele Aruta te sluit. Na die siviele seremonie het die bruidegom die eerste simptome van tuberkulose gehad wat hom later tot die dood sou lei. Maria Grazia kon toe haar droom verwesenlik: sy het die gemeente van die gekruisigde Susters van die Sakrament Jesus binnegekom, vandag die aanbidder van die Eucharistie gekruisig en die naam van die suster Maria della Passione aangeneem. Suster Maria Della Passione, toegerus met buitengewone charismes, maar terselfdertyd getref deur diaboliese teistering, het alles aangebied vir die heiligmaking van die priesters en die berou van sondaars. Hy is op 27 Julie 1912 op 46 jaar oud in San Giorgio A Cremano oorlede. Tydens haar versoeningsproses het sy persoonlik getuig van haar stigter, moeder Maria Pia Della Croce, wat in 2016 as eerbiedig verklaar is. Suster Maria Della Passione is op 14 Mei 2006 in die katedraal van Napels verslaan. Haar sterflike oorskot word vereer in die kerk wat aangeheg is aan die moederhuis van die gekruisigde susters, aanbidder van die eucharistie in San Giorgio, 'n cremano, in via San Giorgio Vecchio 59-63. Geboorte en familie Maria Grazia Tarallo is gebore in Barra, vandag 'n voorstad van Napels, maar toe 'n outonome munisipaliteit, op 23 September 1866, aan Leopoldo Tarallo, munisipale tuinier, en Concetta Borriello, 'n vrou met groot lewenskragtigheid. Hy het ses ander broers en susters in die gesin gehad, waarvan twee oorlede is. Onder die mans het Gabriele en Vitaliano oorleef, terwyl die susters Drusiana en Giuditta nonne van sy eie gemeente geword het, met die naam Maria del Sepolcro en Maria della Sacra Lancia. Maria Grazia het altyd in die gesin in Barra gewoon en eers 'n rudimentêre opleiding ontvang deur 'n privaatskool en daarna die van die Stimmatine-nonne by te woon. Hy het sy eerste nagmaal op 7 April 1873 uitsonderlik op byna sewe jaar oud gemaak, met die toestemming van die parogie wat dit as volwasse beskou. Sy was nog steeds 'n kind toe sy die agting en bewondering van baie gesinne in Barra verwerf het, wat vir haar ywer in die gebed 'n goeie voorbeeld vir haar eweknieë geword het. Die burgerlike huwelik uit gehoorsaamheid was 23 jaar oud toe die vader Leopoldovolle sy wil opgelê het om haar te laat trou, ondanks dat Maria Grazia haar begeerte uitgespreek het om 'n non te word sedert haar adolessensie. Hy moes dus die jong Raffaele Aruta as 'n kêrel aanvaar, maar hy het altyd die godsdienstige roeping in sy hart gehou. Haar vader het haar gerusgestel met vae beloftes en het haar op 13 April 1889 in die stadsaal van Barra gelei en haar uiteindelik die jong beloofde eggenoot met die siviele seremonie aanvaar: volgens 'n wydverspreide praktyk is die troue in die kerk uitgestel, terwyl die jong gades teruggekeer het om in hul onderskeie gesinne te gaan woon. Tydens die gewone verversing tuis met familielede van die stadsaal af, het Raffaele Aruta 'n bloedafloop gehad, 'n simptoom van tuberkulose wat die bevolking van die tyd geteister het, wat alle ouderdomme en geslagte beïnvloed het. Deur die hoofsorg wat bekend was, dit is die lugverandering, te implementeer, is dit na Torre del Greco gebring teen die hange van Vesuvius, 'n gebied van gesonde lug, waar die bose egter onherstelbaar vererger het. Die jong man is op 27 Januarie 1890 oorlede, nege maande na die burgerlike huwelik met Maria Grazia, wat, hoewel hy nie na sy bed toe gegaan het nie, so baie gebid het dat hy die wil van God sou aanvaar. Die vader is sterk geskud deur die voorval en het die vyandigheid vir die godsdienstige roeping van die dogter begin versag. In die klooster van die kruisigings van die Sakrament Jesus op 1 Junie 1891, vergesel van die Vader en met die goeie geskrewe verslag van sy belydenis Don Domenico Romano, het Maria Grazia op 25-jarige ouderdom homself aan Moeder Maria Pia van die Kruis voorgestel.
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Venerdì 10 settembre 2021, nell’ambito dell’evento di presentazione del libro di Giovanna Politi dal titolo LA STANZA ROSSA (Edizione Graus), presso il Chiostro del Convitto Palmieri di Lecce è stata organizzata la mostra personale di acquerelli dell’artista Angelo Grasso.
Le opere dell’artista leccese hanno dialogato artisticamente con la scrittura della Politi, interpretata da Anna Giaffreda e Francesca Magnolo, ottenendo un mix di linguaggi creativi di notevole impatto emozionale per il pubblico intervenuto, e ciò anche grazie alle musiche di Marco Rollo.
Lo scenario figurativo è stato anche l’affascinante set del confronto dialettico sul romanzo tra la Politi, Maria Pia Romano e Mauro Marino.
“Gli acquerelli di Angelo Grasso sembrano ricordi appannati di un mondo naturale lontano, incontaminato e rinvenibile solo nella memoria. I contorni incerti e a volte sfocati dei paesaggi, dei fiori, dei frutti denunciano un approccio artistico espressionistico coinvolgente, che quasi invita l’osservatore a condividere il sogno. Grasso guarda alla realtà contemporanea in maniera originale, la nega attraverso il rifugio in un mondo est-etico che fa parte della sua storia umana e creativa”. Marco Eugenio Di Giandomenico (critico di arte contemporanea)
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Angelo Grasso nasce nel 1948 in provincia di Lecce. Si diploma al Liceo artistico e successivamente all'Accademia di Belle Arti di Lecce. Nel 1974 ottiene la nomina per insegnare Educazione  Artistica in provincia di Bergamo e continua tale attività didattica per circa 40 anni. Ha un’intensa attività di produzione artistica utilizzando varie tecniche. Negli ultimi anni si focalizza sull’acquerello, che meglio rappresenta la sua evoluzione creativa.
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diceriadelluntore · 3 years
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La storia di questo saggio, magnifico e che mi ha davvero emozionato, nasce per caso. L’autrice, Fernanda Alfieri, filologa, è in un grande archivio romano alla ricerca di documenti su un gesuita del Cinquecento, quando, nella collana della Miscellanea, appare un faldone di documenti, intitolato Esorcisazione di Maria Antonina Hamerani, ritenuta ossessa (1834-1835). Poco più sotto, con una correzione a matita, Maria Antonina viene corretto in Veronica. Il faldone è corposo, oltre 300 fogli scritti da diverse mani, spesso in grafia minuta, copiati da altri appunti, in fogli scritti fronte retro. Inizia così un viaggio dai contorni suggestivi della Alfieri su questi documenti. Scopre che tra la fine del 1834 e l’inizio del 1835, Veronica Hamerari, figlia di Giovanni, ultimo discendente di una prestigiosa e famosissima famiglia di incisori (soprattutto dei papi, ma anche delle più grandi aristocrazie europee) viene visitata nel suo appartamento di Via Sant’Anna, nel Rione Sant’Eustachio di Roma, da due padri Gesuiti, chiamati dalla famiglia per gli strani atteggiamenti della giovane Veronica, ultima loro figlia, di 19 anni. Urla, movimenti del corpo strani, scatti, voci cavernose che provengono dal suo esile corpo. Il fulcro della vicenda è il diario dell’Esorcisazione, che i gesuiti tengono delle visite e delle pratiche che operano per salvare l’anima della pia ragazza. Ma è solo la punta dell’iceberg, perchè la bravura e il lavoro immane di ricerca delle fonti della Alfieri fà che in ogni capitolo si apra la storia di coloro che assistono alle pratiche, che siano i padri Gesuiti, o di altri ordini monastici, che siano i medici chiamati a dare un consulto. Si apre un mondo fatto di storie nella storia, che il caso ha voluto si incontrassero nelle stanze di questa casa romana, al capezzale di una ragazza: da padre Kohlmann, uno dei più grandi gesuiti della storia della Compagnia di Gesù, ai dubbi del fine filosofo padre Manera, alla vita torbida e misteriosa di Padre Massa, ai grandi medici chiamati per capire di cosa soffrisse la giovane Veronica. Per non parlare poi della storia della famiglia Hamerani, di origine tedesca, e degli intrecci che la Storia più grande ha con la vita di questi personaggi. Non vi dico cosa succederà a Veronica, lascio alla curiosità di chi vorrà leggere questo saggio, avvincente e bello come un grande romanzo storico. Ma ci sono dei punti che mi hanno colpito moltissimo:
1 - la dimensione “sanitaria” della donna, e i pregiudizi che la medicina di allora riservava alle donne, soprattutto non sposate; ricordate che quando anche per scherzo si dice “si vede che non scopi” ad una donna si perpetua l’idea del “furore uterino”, per cui se non usato (nel caso dell’Ottocento per procreare, manco per piacere personale) portava a pazzia, scompensi, che potevano passare per ossessioni sataniche;
2 - il ruolo dei Gesuiti, che avevano moltissimo a cuore l’esito di questa operazione di esorcizzazione, dato che ne derivava prestigio: la Compagnia di Gesù, sciolta nel 1773 da papa Clemente XIV, cercava di riguadagnare il prestigio di un tempo, dopo che pochi anni prima, nel 1814, papa Pio VII la riabilitò. Erano per lo più vecchi e di un’altra epoca i gesuiti superstiti, ma contavano di riacquisire prestigio e fondi anche attraverso operazioni come queste;
3 - le tracce che lasciamo nel tempo, che non è solo una dimensione della contemporaneità delle reti digitali; il lavoro che fa Fernanda Alfieri la porterà, per seguire le storie di chi verga quei documenti trovati a Roma in mezza Europa, a consultare archivi italiani ed esteri, dove, penso sempre proprio con questo intento, erano raccolte delle storie che volevano essere conservate per essere un giorno raccontate.
Aggiungo anche un altro aspetto, che è ancora più avvincente: i vuoti che qualche volta capitano nelle ricostruzioni di Fernanda Alfieri aprono porte di possibilità meravigliose, che tra l’altro, ed è un aspetto che amo notare in libri così, danno una nuova dimensione alla vita delle epoche passate, molto più vicina nelle logiche alla nostra di quanto si pensa solitamente.
Lascio un’ultima piccola annotazione, figlia di quelle reti di coincidenze che rendono la vita molto interessante: ad una giornata del FAI di Primavera del 2019, nella mia città fu esposta una collezione unica in Italia di Medaglie celebrative dei Papi, che un diplomatico aveva regalato alla Diocesi. Tra queste, mi colpì una medaglia di argento, su un lato il busto papale, sull’altro la Chiesa, personificata da una Dama che stava tra le nuvole, aveva nelle mani una Chiave e un’Edicola. Era una medaglia Hamerani, di Ottone Hamerani, uno degli antenati della Veronica di questo libro. Leggendolo, non saltando l’importantissima appendice di note, si scoprono cose che forse si sono sfiorate nelle nostre vite. E non lo sapevamo.
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giuliocatelli · 4 years
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b. 1982, in Rome Education:
2006-2008 MA , Accademia Belle Arti Macerata. 2001-2005 Bachelor Degree History of Art, Sapienza Università di Rome
Solo and Two-person Exhibitions:
2019 Fiore aperto / fiore chiuso, Maurizio Bongiovanni / Giulio Catelli, Galleria Richter, Roma;
Cats love birds, Giulio Catelli / Alessandro Finocchiaro, MARS a cura di Fabio Carnaghi, Milano.
2018 Quotidiano emozionale, a cura di Marta Silenzi, con un contributo di Mercede Auteri, Galleria Centofiorini, Civitanova Marche (Mc);
1 luglio 2014, a cura di Giuseppe Raso con un testo di Maria Pia Bonanate, Cantine De Gregorio, Sciacca (Ag);
2016 Giulio Catelli e Roma, testi di Fabrizio D’Amico, Guido Giuffrè, Antonio Mercadante, Galleria Lombardi, Roma
Group exhibitions (selection):
2020
Mistici, sensuali, contemplativi, a cura di Nicola Nitido, Metodo Milano, Milano;
Le altre opere. Artisti che collezionano artisti, a cura di Lucilla Catania e Daniela Perego Museo Carlo Bilotti, Roma.
2019
Antonio Mercadante, un critico irregolare in mostra. Paesaggi umani, Accademia di Belle Arti di Roma, Roma.
2018
Landina 2018, esperienze di Pittura en plein air , a cura di Lorenza Boisi, Museo Tornielli, Ameno (NO);
Painters – painting – painters, MARS a cura di Lorenza Boisi, Milano;
Birds, a cura di Enrico Mitrovich, L’Officina Arte Contemporanea / Galleria Ghelfi, Vicenza;
Eros, dal mito al contemporaneo, a cura di Alba Romano Pace, con la collaborazione di Angelo Mondo, Ennio Turco, Museo Archeologico di Gela (Cl)
2017
Selvatico [dodici]/ foresta. Pittura Natura Animale, a cura di Massimiliano Fabbri e Lorenzo di Lucido, Galleria Marcolini Forlì (FC).
2016
Civica raccolta del disegno di Salò, nuove acquisizioni 2011-2016, a cura di Marcello Riccioni, MuSa, Salò (BS);
Open eleven for GAP, a cura di Luca Scandurra, GAP Arte, Acireale (CT);
66° Rassegna Internazionale D’Arte G. B. Salvi, a cura di Nunzio Giustozzi e Daniela Simoni, varie sedi, Sassoferrato Ancona;
Erranti, Erotici, Eretici, a cura di Marco Tonelli, Fondazione Sergio Vacchi, Castello di Grotti, Siena;
Still Nature, Giulio Catelli – Alessandro Finocchiaro, a cura di Chiara Palozza, Ostello Santa Maria delle Grazie, Magliano Sabina (Roma);
Testo a Fronte 2, a cura di Tiziana D’Acchille, Galleria Porta Latina, Roma;
Katten Kabinet, a cura di Lorenza Boisi, Mars, Milano.
2015
"Ecce Homo" Immagini da Antonello, a cura di Gianfranco Centenari e Claudio Cerritelli, Galleria Alberoni, Piacenza.
Residency:
2019 Cartografia Sensibile curated by di Lorenza Boisi, Verbania Cusio Ossola, IT.
2017 Timisoara (Romania), International artist residency, Painting Colony / Krchedin (Serbia), 10th International Artistic and Poetry Colony “Krchedin 2017”.
2017 Landina, Esperienze di pittura en plein air, curated by Lorenza Boisi, Verbania Cusio Ossola, IT.
2012 Denizli (Turkey), Intercultural Painting Camp, Cafer Sadik Abalioglu Education and Culture Foundation.
2011 Hangzhou (China), Follwing the footsteps of Marco Polo: Italian Artist painting Hangzhou, Hangzhou Cultural Brand Promotion Organization
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lagonnadisocrate · 4 years
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7 ottobre 2020
Al Dirigente Scolastico Al corpo docente Agli e alle studenti del Liceo Classico-Scientifico Statale “Socrate” Via Padre Reginaldo Giuliani, 15 – 00154 Roma (RM)
Siamo ex studenti del Liceo Socrate di Roma, e per questa ragione abbiamo sentito la necessità di riunirci a seguito degli eventi che recentemente hanno portato il liceo al centro di una bufera mediatica. Il nostro intento è quello di esprimere solidarietà agli e alle studenti del Socrate nella lotta contro il sessismo presente nella nostra società e, di conseguenza, anche nel contesto scolastico.
In primo luogo ci teniamo a condannare tanto l’accanimento dei media verso la docente protagonista della notizia quanto il sensazionalismo con cui l’evento è stato trattato. Tuttavia, riteniamo importante affrontare in maniera più articolata il complesso tema che l’evento scatenante ha messo in luce: la violenza di genere veicolata da una mentalità, più o meno consapevolmente, sessista.
Ricordiamo il Socrate come una scuola unica nel suo genere in virtù della sinergia tra corpo docente e studenti, e del caratteristico spirito critico di quest* ultim*. Ciononostante, ribadire che il Socrate abbia una vocazione progressista è insufficiente ad affrontare il problema evidenziato dagli e dalle studenti. Questa narrazione rischia di ignorare o delegittimare le esperienze negative che possono verificarsi in qualunque contesto. Nessun ambiente, infatti, è di per sé immune da pregiudizi e violenze.
La maggior parte di noi ha sviluppato la propria consapevolezza femminista e di genere oltre le mura del Socrate. Al liceo, non avevamo un’idea chiara di cosa fosse il femminismo, né tantomeno della sua importanza nella società contemporanea.
Anche per questo, alcune testimonianze di ex studenti che abbiamo raccolto in questi giorni sono state condivise solo oggi, portando alla luce episodi di bullismo, discriminazione di ragazze per comportamenti giudicati promiscui (slut-shaming), umiliazione del corpo e dell'aspetto fisico (body-shaming) e commenti offensivi sull'abbigliamento da parte di docenti e studenti. Al tempo, non abbiamo saputo riconoscere il contesto strutturale in cui si collocavano i singoli eventi. Questo ci differenzia dagli e dalle studenti attuali, che hanno invece saputo individuare un comportamento involontariamente sessista e reagire con consapevolezza.
Sosteniamo che la loro iniziativa vada incoraggiata anziché sminuita, prendendo atto del fatto che non si tratta di una dinamica nuova. La scuola ha un ruolo fondamentale nel determinare un esito positivo o negativo nel processo di scoperta ed espressione di sé tra i ragazzi e le ragazze, affinché possano scoprirsi ed amarsi per quello che sono.
Scriviamo questa lettera nella speranza di contribuire ad un importante dibattito che, a causa della crisi mediatica, è stato estinto prematuramente. Vorremmo cogliere questa occasione per proporre alcune riflessioni che riteniamo di valore:
- Se una persona prova disagio o impulsi sessuali davanti a parti del corpo scoperte, non può scaricare la colpa su chi le provoca tali reazioni, ma deve saperle controllare nel rispetto altrui e mettere in discussione la legittimità dei propri impulsi.
- L’ambiente scolastico deve far sì che gli e le studenti si sentano in grado di fare presente atteggiamenti discriminatori e offensivi con la consapevolezza che verranno presi seriamente in considerazione e tutelati come parte lesa, anche qualora si tratti di “micro-aggressioni”.
- Nessun comportamento all’interno dell’ambiente scolastico dovrebbe portare chi ne fa parte a sentire criticato il proprio corpo o il modo in cui esprime la propria identità.
- La critica di certe scelte di abbigliamento è spesso giustificata in riferimento al “decoro” o alla “sobrietà”. Tali termini sono tuttavia astratti, relativi e facilmente declinabili in forma coercitiva e discriminatoria. Crediamo che il presunto “decoro” non sia il vero problema, e riteniamo che venga usato come diversivo per evitare di mettere in discussione abitudini o modi di pensare più profondamente radicati. In assenza di un regolamento ufficiale a riguardo, ciò che è “decoroso” o meno non può essere deciso arbitrariamente.
- Intenzioni ed effetto prodotto non sempre coincidono: se un’affermazione viene fatta bonariamente o con fini protettivi ciò non le impedisce di trasmettere un messaggio discriminatorio o offensivo. Se questo viene fatto notare, è fondamentale ascoltare e dialogare con chi ritiene problematica l’affermazione in questione.
- Il benessere delle e degli studenti ed il rispetto verso la loro autodeterminazione ed identità dovrebbero risultare di primaria importanza a scuola.
Speriamo in una autoanalisi da parte del corpo docente ed un reale ascolto delle argomentazioni avanzate dagli e dalle studenti. Rimaniamo a loro disposizione qualora avessero bisogno di sostegno, senza voler interferire in una realtà di cui non facciamo più parte. Confidiamo che i nostri punti di vista siano ricevuti positivamente, sapendo che, come ex studenti, ci auguriamo il meglio per il futuro del Socrate.
Le ex allieve e gli ex allievi
Firme in ordine alfabetico (nome, cognome, anno di nascita):
Aggiungi la tua firma: https://forms.gle/EiNRtKVdgHnECKSf7
Arianna Aguirre, 1998 Beatrice Albè, 1995 Claudia Alfonsi, 1987 Alberto Anticoli, 1997 Andrea Arcese, 1995 Giovanni Ardizzone, 1997 Cecilia Ascenzi, 1993 Alessio Balletti, 1992 Alice Bardelli, 1997 Marta Baroni, 1989 Giulia Benedetti, 1996 Eva Bertelli, 1994 Linda Bettelli, 1997 Alessandra Bolletti, 1996 Andrea Bongiorno, 1993 Michela Boromei, 1996 Valerio Brandimarte, 1989 Luca Brigida, 1994 Corinna Calabrese, 1989 Federica Caliendo, 1990 Serena Cannavò, 1993 Dafne Capotondi, 1996 Giulia Castelli, 1993 Cecilia Catania, 1993 Chiara Cazzato, 1995 Daniela Cenni, 1994 Althea Ciminiello, 1985 Lorenzo Cioci, 1996 Sara Coccoli, 1999 Veronica Coia, 1995 Eleonora Colarieti, 1996 Lidia Conti, 1998 Marianna Coppo, 1990 Niccolò Costantini, 1995 Chiara Conte, 1991 Andrea D'Albero, 1997 Lavinia D'Angeli, 1990 Diletta Della Rasa, 1974 Chiara Dorbolò, 1988 Caterina D’Ubaldi, 1998 Elena De Pasqualis, 1994 Claudia Di Carlo, 1987 Matteo Di Carlo, 1993 Livia Di Gioia, 1988 Rebecca Donati, 1995 Giulia Drummond J., 1993 Serena Fagiani, 1992 Gianna Fanelli, 1997 Valeria Fanti, 1990 Gisella Fasone, 1991 Claudia Filippi, 1974 Alexandros Fokianos, 1996 Giulia Fontana, 1994 Elisa Formigani, 1998 Sara Fossatelli, 1995 Jacopo Franceschetti, 1994 Anna Fumagalli, 1998 Bianca Fumagalli, 1996 Elena Gargaglia, 1993 Camilla Giuliano, 1997 Francesca Gravagno, 1994 Gaia Graziotti, 1994 Carola Grechi, 1992 Flavia Grimaldi, 1991 Anna Haas, 1995 Francesca Haas, 1993 Claudia Lalli, 1999 Giulia Libianchi, 1992 Lorenzo Libianchi, 1995 Silvia Losardo, 1997 Livia Lozzi, 1989 Valeria Maestri, 1996 Alessandra Marsico, 1994 Renata Martinelli, 1997 Emanuela Masella, 1995 Marta Mastrobuono, 1990 Giulia Mattei, 1994 Martina Mazza, 1999 Marta Mastrobuono, 1990 Arianna Mele, 1991 Michela Meniconi, 1998 Mariam Migahed, 1994 Nilima Mittal, 1997 Federica Moccia, 1994 Martina Monaldi, 1989 Diana Musacchio, 1997 Ilaria Musci, 1996 Francesca Nardi, 1997 Elisa Nardini, 1988 Alice Nosiglia, 1996 Giulia Padolecchia, 1998 Thomas Palozzi, 1996 Giulia Panfili, 1989 Maria Cristina Parenti, 1996 Alessia Pasotto, 1998 Marianna Pasquali, 1994 Chiara Pastore, 1993 Bianca Paolucci, 1995 Giulia Perpignani, 1995 Valentina Perpignani, 1995 Elisa Pescitelli, 1993 Elisabetta Petrucci, 1997 Flavia Petrucci, 1994 Elena Pia, 1990 Andrea Pianalto, 1996 Valerio Picchi, 1987 Adriana Pistolese, 1996 Flavio Pistolese, 1993 Irene Proietto, 1996 Cecilia Rendina, 1995 Iacopo Ricci, 1990 Susanna Romanella, 1995 Gaia Romano, 1998 Gilda Romano, 1993 Greta Romano, 1996 Filippo Sabani, 1993 Benedetta Sabene, 1995 Silvia Saccone, 1995 Francesco Saracini, 1996 Vanessa Sauls, 1994 Maria Savi, 1994 Leonardo Scarton, 1997 Tiziano Scrocca, 1985 Camilla Schettino M., 1992 Giulia Sepe, 1991 Federico Serpe, 1995 Barbara Sideri, 1990 Flavia Sidoni, 1988 Iacopo Smeriglio, 1999 Valentina Spagnoli, 1987 Alice Straffi, 1995 Isabella Tabacchi, 1998 Giulia Tancredi, 1996 Lorenzo Trasarti, 1992 Elio Trevisan, 1995 Veronica Turchetti, 1986 Marta Vannelli, 1997 Francesca Vignali, 1993 Eugenia Vitello, 1995 Marco Vitiello, 1990 Giulia Zadra, 1996 Marco Zanne, 1988 Maria Cristina Zanne, 1995 Francesca Zanni, 1994 Linda Zennaro, 1995 Alessandra Zoia, 1990
Per chi non fosse al corrente dello svolgersi degli eventi citati in questa lettera: Niente minigonna a scuola, preside del liceo Socrate: “Ancora non ho ricevuto lettera studentesse” (18 settembre 2020): https://bit.ly/30ImnQW Roma, gli studenti del Socrate alla vicepreside che vieta la minigonna: "La scuola deve eliminare la cultura sessista" (18 settembre 2020): https://bit.ly/3iCReV6 Comunicato del Dirigente Scolastico del Socrate (data ignota) : https://bit.ly/3jSHaJ7 Integrazione al comunicato del Dirigente Scolastico (19 settembre) : https://bit.ly/3jFdleB «Niente minigonne a scuola? Io, vicepreside femminista, sono stata fraintesa» (20 settembre 2020) : https://bit.ly/2GOvtnL Minigonne al liceo Socrate, parlano i docenti: “Solo strumentalizzazioni” (21 settembre 2020): https://bit.ly/3llsO47
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nardonews24 · 2 years
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CROCEVIA PER LO IONIO: MARIA PIA ROMANO APRE LA RASSEGNA CON LE STAGIONI DEL VIAGGIO
CROCEVIA PER LO IONIO: MARIA PIA ROMANO APRE LA RASSEGNA CON LE STAGIONI DEL VIAGGIO
Sarà Maria Pia Romano ad aprire la seconda edizione della rassegna letteraria Crocevia per lo Ionio con la presentazione de Le stagioni del viaggio (edito da BesaMuci). L’appuntamento è per lunedì 4 luglio all’Urban Park di via Incoronata, alle ore 20:30. (more…)
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sciscianonotizie · 2 years
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Chiusura del progetto del Co.Re.Com Campania “SBULLIAMOCI” alla presenza della Vicesindaco di Napoli Maria Filippone
Martedì 10 maggio 2002, ore 13:30-15:30 presso la Biblioteca Comunale “Annalisa Durante” di Forcella (Via Vicaria Vecchia n.23) chiusura e presentazione dei risultati del progetto sperimentale “SBULLIAMOCI. Per un’educazione digitale (e sentimentale) dei giovani cybernauti” ideato da Associazione culturale Kolibrì e Procida TV, nell’ambito della campagna di comunicazione per l’uso consapevole della rete e la prevenzione dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo, promossa e finanziata dal Co.Re.Com Campania. Interverranno all’evento: Maria Filippone, Vicesindaco e Assessore all’Istruzione del Comune di Napoli, Pino Perna Presidente dell’APS Annalisa Durante, Domenico Falco Presidente del Co.Re.Com Campania, Donatella Trotta Presidente dell’Associazione culturale Kolibrì, Stefania Colicelli Dirigente Scolastica dell’IC Ristori–Durante, Maria Pia Cacace Presidente AIB Campania, Giuseppina Rubinacci Referente della Biblioteca di Diritto Romano dell’Università Federico II, Maria Luisa Iavarone Pedagogista dell’Università Parthenope e Presidente dell’Associazione ARTUR, Rosario Esposito La Rossa scrittore, editore, librario, fondatore de La Scugnizzeria, Vincenzo Del Vecchio, illustratore, artista e designer, Cosetta Zanotti, scrittrice e poetessa, Nino Ferrara scrittore, poeta e illustratore, Cristiano Esposito regista e sceneggiatore, i ragazzi della II D dell’IC. Ristori guidati dalla prof.ssa Maddalena Costanza.
Nel nostro paese un minorenne su due subisce atti di bullismo o di cyberbullismo: dato peggiorato dopo la clausura da pandemia. Il bullismo, in tutte le sue molteplici declinazioni, è un fenomeno in costante crescita che allarma adulti e ragazzi: in Italia, il 72% degli adolescenti lo vive come il fenomeno sociale più pericoloso. E la fascia più esposta è quella fra i 12 e i 16 anni. Da quest’analisi del contesto scaturisce la necessità di azioni mirate come la campagna di prevenzione promossa dal Co.Re.Com Campania, che ha scelto di sostenere le proposte in grado di svolgere una più incisiva informazione tra i ragazzi, tramite nuovi linguaggi e forme di coinvolgimento innovative. Come quelle proposte dal format pilota “Sbulliamoci”, i cui risultati verranno presentati martedì 10 maggio, presso la Biblioteca Comunale Annalisa Durante, in un incontro/confronto alla presenza di rappresentanti delle istituzioni, della cultura e della formazione. Dal 30 marzo, il percorso di formazione anche laboratoriale è stato condotto con un gruppo di ragazzi di seconda media e i loro docenti dell’IC. Ristori di Napoli (Forcella), attraverso un ciclo di incontri dialogici, letture e laboratori audiovisivi interattivi con formatori, educatori ed esperti del mondo della letteratura giovanile, della comunicazione sociale e della produzione televisiva e digitale. Un viaggio in più azioni volte alla conoscenza – e prevenzione – dei rischi legati ai comportamenti aggressivi e devianti (spesso frutto dell’assenza di empatia verso il prossimo) grazie a letture partecipate, sessioni di scrittura, incontri “mirati” e la produzione di uno spot scritto, girato e montato dai ragazzi. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con la cooperativa sociale di servizi audiovisivi ArTu.Ro, l’APS Annalisa Durante, l’Istituto Comprensivo Ristori-Durante di Napoli, in collaborazione con il Comune di Napoli (Assessorato all’Istruzione), l’Università Federico II, l’Università Parthenope, l’Associazione Italiana Biblioteche (AIB), la libreria dei ragazzi BIBI, l’Associazione culturale Pediatri Napoli, l’Associazione ARTUR (Adulti Responsabili per un Territorio Unito contro il Rischio) e la Scugnizzeria di Scampia.
source https://www.ilmonito.it/chiusura-del-progetto-del-co-re-com-campania-sbulliamoci-alla-presenza-della-vicesindaco-di-napoli-maria-filippone/
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21 Novembre 2021 Presentazione della Beata Vergine Maria Memoria mariana di origine devozionale, si collega a una pia tradizione attestata dal protovangelo di Giacomo. La celebrazione liturgica, che risale al secolo VI in Oriente e al secolo XIV in Occidente, dà risalto alla prima donazione totale che Maria fece di sé, divenendo modello di ogni anima che si consacra al Signore. (Mess. Rom.) Martirologio Romano: Memoria della Presentazione della beata Vergine Maria. Il giorno dopo la dedicazione della basilica di Santa Maria Nuova costruita presso il muro del tempio di Gerusalemme, si celebra la dedicazione che fece di se stessa a Dio fin dall’infanzia colei che, sotto l’azione dello Spirito Santo, della cui grazia era stata riempita già nella sua immacolata concezione, sarebbe poi divenuta la Madre di Dio. Da Il Santo del Giorno #Tradizioni_Barcellona_Pozzo_di_Gotto_Sicilia #Sicilia_Terra_di_Tradizioni Rubrica #Santo_del_Giorno (presso Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia) https://www.instagram.com/p/CWiZCf2MZfL/?utm_medium=tumblr
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gerardoantolinezucv · 3 years
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FASE 1 DE LA EVALUACIÓN GRUPAL DE HISTORIA
Biografía y lista de obras sobre los arquitectos del texto de Arnold Hauser
Miguel Ángel Bounarroti
Fue un escultor, pintor y arquitecto italiano de los siglos XV y XVI (nació el 6 de marzo de 1475 y murió el 18 de febrero de 1564)
Nació en Caprese, municipio italiano de la provincia de Arezzo, denominado actualmente Caprese Michelangelo en su honor.
Comenzó su formación como pintor a los 12 años en el taller de la familia Ghirlandaio y un año más tarde se adentraría en el mundo de la escultura a través de Bertoldo di Giovanni, el cuál le introduciría en el influyente círculo de los Médici. Desde entonces desarrolló una fructífera vida artística entre Florencia y Roma, de cuyo amplio legado destacan dos grandes obras:  El David y la bóveda de la Capilla Sixtina.
Sus últimos años los dedicó a la arquitectura hasta que falleciera en Roma a los 88 años de edad. Algunas de sus obras fueron:
✓Proyecto para la fachada de la Basílica de San Lorenzo de Florencia — 1515–1520
✓La nueva Capilla de los Médici y la Sacristía Nueva de la basílica de San Lorenzo de Florencia — 1520-1534
✓Escalinata y vestíbulo de la Biblioteca Laurenziana, en la basílica de San Lorenzo de Florencia — 1523–1559
✓Biblioteca Laurenziana — 1523–1559 — Florencia
✓Fortificaciones de Florencia — 1528–1529 — Florencia
✓Palacio Farnese — 1546 — Roma
✓Basílica de San Pedro — 1546-1564 — Roma
✓Capilla Sforza en la Basílica de Santa María la Mayor — 1560 — Roma
✓Porta Pia — 1561–1565 — Roma
✓Basílica de Santa Maria degli Angeli e dei Martiri — 1561 — Roma
https://www.buscabiografias.com/biografia/verDetalle/8818/Miguel%20Angel
https://www.saberespractico.com/biografias-resumidas/miguel-angel-buonarroti/
Bramante
Arquitecto y pintor italiano. Donato di Pascuccio d'Antonio o Donato di Angelo di Antonio, conocido como Bramante, fue el mayor arquitecto del Renacimiento italiano, a caballo entre los siglos XV y XVI, heredero de Filippo Brunelleschi y Leon Battista Alberti e inspirador de muchas de las grandes figuras de la arquitectura posterior, de Sansovino a Antonio da Sangallo el Joven.
Nació en el año 1444 en Monte Andruvaldo, cerca de Urbino.
Su padre le inició en el arte de la pintura y del dibujo, mostrando muy pronto una gran predilección por los estudios de perspectivas y del dibujo arquitectónico, conservándose de su obra más temprana los frescos de la fachada del Palacio del Podestà en Bérgamo, realizados en el año 1477.
En 1482 se trasladó a Milán y comenzó su carrera como arquitecto.
En su proyecto para la iglesia de Santa María presso San Satiro (1488, Milán) utilizó por primera vez en la arquitectura el trampantojo en las pinturas del presbiterio fingido, que falsea las proporciones de la iglesia. El resto de sus obras en Milán, como el ábside de Santa María delle Grazie (1492-1495), muestran la influencia de Leon Battista Alberti y sobre todo la de Leonardo da Vinci.
Cuando en 1499 se produjo la caída del duque Ludovico Sforza, huyó a Roma, donde trabajó casi en exclusiva a las órdenes de su nuevo mecenas, el papa Julio II. Una de sus primeras obras romanas es el Tempietto de San Pietro in Montorio (1502), un pequeño templo circular cubierto por una cúpula semiesférica. Los dos grandes proyectos que ocuparon el resto de su actividad creativa, y que no se llevaron a cabo, fueron la reconstrucción de la basílica de San Pedro y el plan para los palacios del Vaticano.
Amigo y protector de Rafael, que le retrató con un compás en la mano en el fresco de la Escuela de Atenas en la estancia de la Segnatura de los palacios vaticanos.
Donato Bramante falleció en Roma el 11 de marzo de 1514.
Entre sus obras podemos citar las siguientes:
✓Santa María presso San Satiro (Milán, 1482 - 1486)
✓Claustro y ábside de Santa María delle Grazie (Milán, 1492 - 1498)
✓Palacio Caprini, o, como también se lo conoce, Casa de Rafael (Roma 1501 - 1502)
✓Templete San Pietro di Montorio (Roma, 1502)
✓Claustro de la iglesia Santa María della Pace (Roma, 1504)
✓Basílica de San Pedro, Ciudad del Vaticano (El diseño es de 1502)
✓Cortile del Belvedere, Ciudad del Vaticano (1506)
https://www.biografiasyvidas.com/biografia/b/bramante.htm
https://es.m.wikipedia.org/wiki/Donato_d%27Angelo_Bramante
Giulio Romano
Giulio di Pietro di Filippo de Gianuzzi fue un pintor, arquitecto y decorador italiano del siglo XVI, prominente alumno de Rafael, cuyas innovaciones en relación al clasicismo del alto Renacimiento ayudaron a definir el estilo definido como manierismo.
Poco se sabe de los orígenes de Giulio Pippi, uno de los más célebres representantes del primer manierismo italiano. Nació en Roma entre 1492 y 1499. Con diez años entró a trabajar en el taller de Rafael, del que en pocos años pasó a ser el colaborador principal. Auxilió al genial artista en la decoración de las Estancias del Vaticano y aunque su trabajo es difícil de discernir en el conjunto del taller rafaelesco, se le atribuye una importante colaboración en la realización de los frescos alusivos a Heliodoro, El incendio del Borgo y Constantino. Entre 1518 y 1519 se encargó, con su maestro, de la decoración de la logia del papa León X en el Vaticano. Giulio se ocupó de trasladar las escenas bíblicas que proyectaba Rafael, y de la dirección de parte de los pintores. Por esta misma época participó junto a su protector en la realización de numerosas obras de caballete. Su primera gran obra personal es la Lapidación de San Esteban (1519-21). A la muerte de Rafael en 1520, Giulio heredó la dirección del taller junto a Francesco Penni. Continuó la decoración de la Sala de Constantino en el Vaticano, para la que realizó la Batalla de Constantino, en que explota las cualidades del clasicismo de Rafael. Los estudios de Giulio para la ocasión revelan un fuerte interés por la arqueología. Al tiempo que realizaba estas obras, se ocupó del diseño de varias villas romanas para clientes de relieve como el Cardenal Julio de Médicis, futuro papa Clemente VII, para quien realizó la villa Madama. Desde 1522 el marqués y duque de Mantua, Federico II Gonzaga, requería sus servicios. En 1524, ante la perspectiva de ser encarcelado por Clemente VII por haber ilustrado los sonetos amorosos del Aretino, Giulio huyó a Mantua. Fue nombrado ministro de obras públicas y colmado de honores, por lo que ya no volvió a salir del ducado. Como fruto de este patronazgo, Giulio se ocupó de todo, construcciones palaciegas como el Palazzo Te o el Ducal, obras de ingeniería y saneamiento, o decorados de teatro y grandes programas decorativos al fresco. Acusó en estos años la influencia de Mantegna, pero, sobre todo, imitó el arte clásico. Plena de manierismo, su pintura destaca por su gran inventiva, su gusto caótico y su afición al ilusionismo en la perspectiva. Sin embargo, será más apreciado por los numerosos dibujos que realizaba como preparación, henchidos de mayor atrevimiento y habilidad técnica.
Falleció en Mantua el 1 de noviembre de 1546. Sus trabajos influirán en otros artistas como Tiziano así como en los autores del clasicismo barroco del siglo XVII.
Algunas de sus obras son:
✓Destacan entre sus obras los frescos sobre la Guerra de Troya y la Historia de Diana, así como los frescos de tema mitológico del Palazzo Te.
✓Logias vaticanas (1519)
✓La Villa Lante (1518 - 1521).
✓El Palacio Stati-Maccarani (1521 - 1524).
✓Palazzo Te (1525-1536)
✓Palacio Thiene (1542-1558)
https://www.artehistoria.com/es/personaje/giulio-romano-pippi-giulio
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Roma e la Madonna di Lourdes, storia di un quadro conteso
In una delle più antiche chiese romane, Santa Maria in Aquiro, è custodito il primo dipinto delle apparizioni di Lourdes realizzato nell’Urbe. Il quadro fu commissionato da un romano che aveva recuperato miracolosamente la vista bevendo l’acqua della fonte indicata dalla Vergine a Bernadette. E quello stesso dipinto fu al centro di un’incredibile contesa, in cui venne interpellato perfino il Papa.
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di Antonia Tarallo (11-02-2021)
Lourdes e la Francia. Lourdes e i Pirenei. Lourdes e Maria. Si potrebbe continuare nel cercare “binomi” che ormai fanno parte dell’immaginario collettivo. Ma, in questa ricerca, potrebbe risultare assai difficile menzionare il seguente binomio: Lourdes e Roma. Eppure, c’è un episodio assai particolare che lega le due città: la prima, speciale culla - si potrebbe dire - della devozione mariana; l’altra, la famosa “culla del Cristianesimo”. Ma cosa lega Roma e Lourdes? Complice - felicemente complice - di questa particolare “accoppiata” è una chiesa. Una chiesa che si trova nel pieno centro della Capitale, a pochi passi dal Pantheon e da Palazzo di Montecitorio. Una delle più antiche chiese di Roma; tanto ricca di storia, quanto poco conosciuta. È Santa Maria in Aquiro. Sulla fondazione di questa chiesa - di mirabile bellezza architettonica e artistica - possiamo trovare alcune fonti che la collocano tra la fine del IV e l’inizio del V secolo. Secondo il Liber pontificalis la chiesa di Santa Maria «a Cyro» fu rinnovata dalle fondamenta, abbellita e ampliata da papa Gregorio III (731-741). Ma, senza soffermarci troppo sulla storia di questa chiesa - seppur interessante -, focalizziamo la nostra attenzione su una cappella in particolare. Entriamo, dunque, in questa chiesa. Nella terza cappella a sinistra troviamo un quadro. Si tratta della prima raffigurazione delle apparizioni di Lourdes realizzata a Roma, dipinta davvero poco tempo dopo i mirabili avvenimenti della Francia che - all’epoca - destarono tanto stupore nel mondo intero. Il quadro risale al 1873, ma giunse a Santa Maria in Aquiro solo nel 1882, dopo essere stato ospitato in altre chiese del centro di Roma. La storia di quest’opera è alquanto affascinante. Anno 1873: un cittadino romano, perduta la vista, nel bere l’acqua della fonte miracolosa di Lourdes riesce a recuperarla prodigiosamente. Avviene, allora, una grazia: a sue spese, l’uomo aveva fatto dipingere un quadro raffigurante l’apparizione dell’Immacolata Concezione alla piccola Bernadette. Il quadro prima viene posto nella chiesa di San Lorenzo in Lucina per poi essere trasferito presso la Chiesa di Santa Rita da Cascia delle Vergini. Iniziò così una forte devozione a quell’immagine: papa Pio IX, colpito da tutto ciò, volle elevare la pia unione che si era costituita in questa chiesa ad arciconfraternita, con facoltà di aggregare altre confraternite, grazie a un suo breve del 27 agosto 1875. Il quadro, nel 1880, fu poi trasportato prima a Santa Croce dei Lucchesi, poi a San Rocco all’Augusteo. Infine nella chiesa di Santa Maria in Aquiro. La tela è di autore ignoto. La figura della Vergine sovrasta il quadro. È grande, Maria. Come la sua bellezza, la sua tenerezza. Uno sguardo amorevole verso Bernadette, piccola. È in ginocchio. In completa e tenera genuflessione verso la Mamma, la “Bella Signora”. Si scorge, in quel capo chino, accettazione e abbandono completo in Maria. È così speciale l’incontro: Maria nella grotta - un po’ stilizzata - è una figura sublime. Ai suoi piedi, nascono rose. Dove Maria passa, non possono che esserci vita, profumi, colore e bellezza, sempre. La piccola Bernadette - anche lei, quasi stilizzata - ha una cuffia bianca, un vestito color rosso (quasi porpora) con una mantellina color senape. Il quadro, per chiunque entri nella chiesa, rimane impresso nella memoria. Ma il colore, forse, che più rimane nel cuore e nella mente del fedele è l’oro: le dodici stelle che circondano il volto della Vergine sono ben evidenti. In merito al passaggio dalla chiesa di Santa Rita delle Vergini a quella “in Aquiro” c’è un episodio assai singolare. Entra in scena,
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ultimenotiziepuglia · 4 years
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ildiariodibeppe · 5 years
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AMICI E SERVITORI DELLA PAROLA
Lunedì 3 febbraio 2020 - IV Settimana del Tempo Ordinario
San Biagio – Memoria
DALLA PAROLA DEL GIORNO
«Giunsero da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci»
Mt 5,15-16
Come vivere questa Parola?
Il fatto dei porci è stranamente interessante.
I miracoli che Gesù veniva compiendo (ed erano quasi sempre guarigioni da gravi mali) stupivano le folle. Da un certo punto di vista nessuno si sorprende all’ammirazione dei miracoli che mirano al bene dell’uomo. Qui notiamo proprio un fatto: l’uomo di tutti i tempi spesso preferisce salvare i beni materiali piuttosto che affrontare la fatica di vivere scelte in ordine al bene migliore.
I porci vadano pure a perire nel mare! Quel che immediatamente succede è molto significativo. La gente, che ha accettato di perdere i porci, qui s’inalbera perché sono essi una notevole ricchezza. Quel che vien dopo è ancora più sintomatico: si desidera che il Rabbi Gesù se ne vada al suo paese.
E’ ben chiaro il senso di tutto questo: conta di più la ricchezza materiale o i gesti evidentemente salvifici come quelli messianici di Gesù: vita e salvezza per tutti?
Signore, l’umanità di tutti i tempi e di ogni luogo, è sempre tentata di privilegiare la ricchezza materiale. Fa che, in questa società tanto “avida” di piacevolezze care ai sensi, io effonda luce di scelte giuste e coraggiose.
La voce della tradizione della Chiesa
San Biagio, lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente. Per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele incrociate (oppure con l’unzione, mediante olio benedetto), mentre si invoca la intercessione del Santo. L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato un bambino da una lisca di pesce conficcata nella sua gola.
Come Vescovo, Governava la comunità di Sebaste d’Armenia quando nell’Impero romano venne permessa la libertà di culto ai Cristiani: nel 313, sotto Costantino e Licinio, entrambi “Augusti”, cioè imperatori. Licinio governava l’Oriente, perciò aveva tra i suoi sudditi anche Biagio. Di lui sappiamo che morì martire intorno all’anno 316, ossia dopo la fine delle persecuzioni.
O Caro fratello S. Biagio, intercedi per noi presso Dio in modo che, lungi dal lasciarci dominare dalla golosità, viviamo possibilmente in buona salute lodando Dio e compiendo il bene tra i nostri fratelli
Commento di Sr Maria Pia Giudici FMA
Casa di Preghiera San Biagio www.sanbiagio.org [email protected]
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freedomtripitaly · 5 years
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Il ghetto di Roma, conosciuto anche come il quartiere ebraico di Roma, è uno dei più antichi al mondo ed è sorto circa 40 anni dopo quello di Venezia, che storicamente fu il primo. Si trova nel pittoresco rione Sant’Angelo, dove sorge anche l’isola Tiberina, formata dagli incuneamenti del Tevere. Oggi è una delle zone della Città Eterna più amate non solo dai residenti, ma anche dai turisti ed è famosa per i suoi ristoranti di cucina ebraico-romanesca apprezzati dai viaggiatori gourmet di tutto il mondo. Situato a fianco del Teatro di Marcello, storicamente il ghetto di Roma è nato nel 1555 quando papa Paolo IV emanò una bolla per revocare tutti i diritti degli ebrei romani ordinando la creazione di un ghetto. Que sto quartiere quindi è nato come un luogo di segregazione, ma oggi è anche una delle aree culturalmente più vive della città. Ghetto ebraico di Roma: origini e storia Per capire veramente le evoluzioni che ha subito questo quartiere nel corso dei secoli è molto importante conoscerne la storia. Il ghetto romano ha un anno di istituzione preciso: il 1555 quando in seguito all’emanazione di una bolla papale, gli ebrei romani furono costretti a risiedervi. Ma perché proprio in questa zona? Se nell’antichità classica gli ebrei vivevano in particolare nella zona dell’Aventino, nel corso del ‘500 invece fu il rione Sant’Angelo ad ospitarne gran parte della popolazione. Oltre all’obbligo di residenza, gli ebrei dovevano anche portare un distintivo riconoscibile. I residenti ebrei non potevano essere proprietari delle case in cui abitavano, per questo con il passare del tempo gran parte delle abitazioni del quartiere erano sempre più degradate. Il ghetto inoltre era chiuso da porte, che ne regolavano gli accessi. Nel corso della storia, il ghetto fu più volte dismesso, grazie alle dichiarazioni di parità dei diritti tra ebrei e cristiani sia nel durante il 1700, sia durante il 1800. Si trattò però di brevi periodi, ai quali seguirono nuove reclusioni, fino ad arrivare al 1870 quando si aprì la breccia di Porta Pia terminando in questo modo il potere dei papi. Roma fu annessa al Regno d’Italia e questo significò la chiusura definitiva del ghetto ebraico. Nel 1888 gran parte del quartiere fu ricostruito e molti ebrei, pur non avendo più l’obbligo di residenza, decisero comunque di rimanere all’interno del quartiere. Dal 1904 invece, si dotò della sinagoga conosciuta come Tempio Maggiore, ancora oggi, una delle principali attrazioni storiche della zona. Roma: cosa vedere nel quartiere ebraico Quando si visita Roma, il ghetto è una tappa obbligatoria. Da molti è considerato uno dei quartieri più interessanti e culturalmente vivi della città. Di certo è una zona molto suggestiva e sono numerose le cose da vedere. Il consiglio è di raggiungerlo attraverso Trastevere, in questo modo di passa da Ponte Cestio, si attraversa l’isola Tiberina fino a raggiungere Lungotevere de’ Cenci. Il primo scorcio a cui si ha accesso è la splendida cupola del Tempio Maggiore. Tra le vie più suggestive in cui dedicarsi a splendide passeggiate, ci sono via della Reginella, via di Sant’Ambrogio e via del Tempio con scorci perfetti da fotografare. Da non perdere ci sono inoltre la Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, ricavata all’interno dell’antico mercato del pesce sui resti del Portico d’Ottavia. La Chiesa di San Gregorio in Divina Pietà, il ponte dei Quattro Capi che collega il ghetto all’isola Tiberina, la Chiesa di Santa Maria in Campitelli e la Fontana delle Tartarughe. Il ghetto a Roma è famoso soprattutto per la splendida sinagoga: il Tempio Maggiore, che risale ai primi del 1900. Lo stile architettonico è davvero particolare, durante la costruzione infatti, l’obiettivo era quello di svincolarsi dai canoni del cattolicesimo e il risultato è un edificio ispirato a forme assiro-babilonesi. Al suo interno, il Tempio Maggiore ospita anche il Museo Ebraico di Roma, una vera istituzione culturale da non perdere, quando si visita la Roma ebraica. Il museo ospita importanti reperti storici, oltre a mostre ed eventi temporanei. Suddiviso in 8 aree tematiche, il percorso espositivo permette di scoprire: la galleria dei marmi antichi, con marmi risalenti al 1500-1800; la guardaroba dei tessuti con velluti rinascimentali decorati, da Judaei a Giudei: Roma e i suoi ebrei, con lapidi provenienti dalle catacombe e manoscritti del medioevo; la sala Feste dell’anno, feste della vita, dedicata ai momenti che scandiscono la cultura ebraica; i tesori delle cinque Scole che raccoglie gli oggetti donati dagli ebrei alle sinagoghe; vita e sinagoghe nel ghetto, in cui vengono raccontati la vita, la cucina e le architetture tipiche; la sala con la proiezione del video “Dall’emancipazione a oggi”; infine la sala dell’ebraismo libico, dedicata alla dedicata all’immigrazione dei profughi ebrei trasferiti a Roma nel 1967. Il ghetto degli ebrei a Roma è un luogo che celebra prima di tutto la storia e la cultura della popolazione ebraica: per questo è anche una meta per gli ebrei di tutto il mondo che desiderano riscoprire le proprie origini. Sempre in via del Tempio, che è il cuore pulsante del ghetto, è presente una delle scuole primarie ebraiche più importanti della città. Proprio qui è frequente vedere ragazzi e uomini con il tipico copricapo ebraico, chiamato kippah. Uno dei luoghi da non perdere del quartiere è inoltre il Portico d’Ottavia che sorge tra il Tempio Maggiore e il Teatro di Marcello. Oggi non ne rimangono che alcuni resti che però sono un’importante testimonianza della Roma antica. Il modo migliore comunque per scoprire il ghetto a Roma, è lasciarsi trasportare a piedi lungo i suoi vicoli e le sue strade: impossibile non rimanerne affascinati. La cucina ebraica a Roma Molti visitano il ghetto di Roma anche per degustare i sapori della cucina ebraico-romanesca. Non è un caso infatti, che questo quartiere sia considerato un luogo imperdibile per tutti gli appassionati di enogastronomia. Il ghetto è una città nella città e lo si percepisce non solo dai ragazzi che indossano il tipico copricapo, ma anche dalle scritte in ebraico e dai ristoranti che propongono cucina kosher. Dove mangiare quindi in questa zona di Roma? La scelta è molto ampia e si trovano locali praticamente in ogni via, ma è importante partire preparati sul tipo di menù che ti troverai a degustare. Il piatto più famoso forse sono i carciofi alla giudia, una vera prelibatezza che compare obbligatoriamente sulle tavole romane del quartiere ebraico. Si tratta dei carciofi cimaroli, tipici della zona, che vengono immersi in acqua e limone, e in seguito fritti. È un piatto delizioso e leggero, che ha conquistato i palati di tutto il mondo. Non solo carciofi, la cucina ebraico-romanesca è un vero tesoro di sapori che unisce culture diverse e ingredienti provenienti da diverse parti del mondo. Si va quindi dai classici hummus e falafel a base di ceci, legumi e spezie orientali, fino alla concia e ai piatti a base di carne. La concia è un piatto a base di zucchine romanesche tagliate a striscioline e fritte. In seguito vanno messe in una pirofila e vanno condite con basilico, aglio e aceto. Un altro grande classico della cucina ebraico-romanesca è il tortino di aliciotti e indivia. In questo caso, l’indivia è marinata con olio, aglio, cipolla e pepe, in seguito viene alternata con le alici per creare un tortino che va infornato. Durante lo shabbat invece, il piatto tipico degli ebrei romani è lo stracotto di manzo cucinato con il pomodoro. Un piatto tipico del periodo pasquale sono le matzo ball, polpette di pane azzimo in brodo, molto simili ai canederli tirolesi. Molti ristoranti inoltre servono una grande varietà di fritti, oltre ai carciofi anche il baccalà e i fiori di zucca, senza dimenticare uno dei piatti più antichi e tipici della cucina ebraica: la zuppa di pesce. E per finire il pasto? Il dolce tipico è la torta di ricotta e visciole: una vera prelibatezza! Consigli per visitare il ghetto ebraico Ora che abbiamo visto che cos’è il ghetto ebraico, la sua storia, le origini, cosa vedere e cosa mangiare, non ci sono dubbi che tra tutte le zone di Roma, questa sia sicuramente una delle più interessanti e affascinanti. Il ghetto può essere visitato in ogni periodo dell’anno e ovviamente, a seconda delle stagioni cambiano anche le tradizioni. Sicuramente la primavera a Roma e nel ghetto, con tutte le tradizioni pasquali, è uno dei momenti più importanti dell’anno. Un ultimo consiglio: quando passeggerai per le vie del ghetto, non dimenticarti di osservare ogni tanto per terra. Troverai infatti numerosi blocchi in cui sono indicati nome e cognome di alcune persone. Si tratta del progetto “pietre d’inciampo” per ricordare i cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. https://ift.tt/2OE4aPe Visita del ghetto ebraico di Roma: cosa vedere e cosa mangiare Il ghetto di Roma, conosciuto anche come il quartiere ebraico di Roma, è uno dei più antichi al mondo ed è sorto circa 40 anni dopo quello di Venezia, che storicamente fu il primo. Si trova nel pittoresco rione Sant’Angelo, dove sorge anche l’isola Tiberina, formata dagli incuneamenti del Tevere. Oggi è una delle zone della Città Eterna più amate non solo dai residenti, ma anche dai turisti ed è famosa per i suoi ristoranti di cucina ebraico-romanesca apprezzati dai viaggiatori gourmet di tutto il mondo. Situato a fianco del Teatro di Marcello, storicamente il ghetto di Roma è nato nel 1555 quando papa Paolo IV emanò una bolla per revocare tutti i diritti degli ebrei romani ordinando la creazione di un ghetto. Que sto quartiere quindi è nato come un luogo di segregazione, ma oggi è anche una delle aree culturalmente più vive della città. Ghetto ebraico di Roma: origini e storia Per capire veramente le evoluzioni che ha subito questo quartiere nel corso dei secoli è molto importante conoscerne la storia. Il ghetto romano ha un anno di istituzione preciso: il 1555 quando in seguito all’emanazione di una bolla papale, gli ebrei romani furono costretti a risiedervi. Ma perché proprio in questa zona? Se nell’antichità classica gli ebrei vivevano in particolare nella zona dell’Aventino, nel corso del ‘500 invece fu il rione Sant’Angelo ad ospitarne gran parte della popolazione. Oltre all’obbligo di residenza, gli ebrei dovevano anche portare un distintivo riconoscibile. I residenti ebrei non potevano essere proprietari delle case in cui abitavano, per questo con il passare del tempo gran parte delle abitazioni del quartiere erano sempre più degradate. Il ghetto inoltre era chiuso da porte, che ne regolavano gli accessi. Nel corso della storia, il ghetto fu più volte dismesso, grazie alle dichiarazioni di parità dei diritti tra ebrei e cristiani sia nel durante il 1700, sia durante il 1800. Si trattò però di brevi periodi, ai quali seguirono nuove reclusioni, fino ad arrivare al 1870 quando si aprì la breccia di Porta Pia terminando in questo modo il potere dei papi. Roma fu annessa al Regno d’Italia e questo significò la chiusura definitiva del ghetto ebraico. Nel 1888 gran parte del quartiere fu ricostruito e molti ebrei, pur non avendo più l’obbligo di residenza, decisero comunque di rimanere all’interno del quartiere. Dal 1904 invece, si dotò della sinagoga conosciuta come Tempio Maggiore, ancora oggi, una delle principali attrazioni storiche della zona. Roma: cosa vedere nel quartiere ebraico Quando si visita Roma, il ghetto è una tappa obbligatoria. Da molti è considerato uno dei quartieri più interessanti e culturalmente vivi della città. Di certo è una zona molto suggestiva e sono numerose le cose da vedere. Il consiglio è di raggiungerlo attraverso Trastevere, in questo modo di passa da Ponte Cestio, si attraversa l’isola Tiberina fino a raggiungere Lungotevere de’ Cenci. Il primo scorcio a cui si ha accesso è la splendida cupola del Tempio Maggiore. Tra le vie più suggestive in cui dedicarsi a splendide passeggiate, ci sono via della Reginella, via di Sant’Ambrogio e via del Tempio con scorci perfetti da fotografare. Da non perdere ci sono inoltre la Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, ricavata all’interno dell’antico mercato del pesce sui resti del Portico d’Ottavia. La Chiesa di San Gregorio in Divina Pietà, il ponte dei Quattro Capi che collega il ghetto all’isola Tiberina, la Chiesa di Santa Maria in Campitelli e la Fontana delle Tartarughe. Il ghetto a Roma è famoso soprattutto per la splendida sinagoga: il Tempio Maggiore, che risale ai primi del 1900. Lo stile architettonico è davvero particolare, durante la costruzione infatti, l’obiettivo era quello di svincolarsi dai canoni del cattolicesimo e il risultato è un edificio ispirato a forme assiro-babilonesi. Al suo interno, il Tempio Maggiore ospita anche il Museo Ebraico di Roma, una vera istituzione culturale da non perdere, quando si visita la Roma ebraica. Il museo ospita importanti reperti storici, oltre a mostre ed eventi temporanei. Suddiviso in 8 aree tematiche, il percorso espositivo permette di scoprire: la galleria dei marmi antichi, con marmi risalenti al 1500-1800; la guardaroba dei tessuti con velluti rinascimentali decorati, da Judaei a Giudei: Roma e i suoi ebrei, con lapidi provenienti dalle catacombe e manoscritti del medioevo; la sala Feste dell’anno, feste della vita, dedicata ai momenti che scandiscono la cultura ebraica; i tesori delle cinque Scole che raccoglie gli oggetti donati dagli ebrei alle sinagoghe; vita e sinagoghe nel ghetto, in cui vengono raccontati la vita, la cucina e le architetture tipiche; la sala con la proiezione del video “Dall’emancipazione a oggi”; infine la sala dell’ebraismo libico, dedicata alla dedicata all’immigrazione dei profughi ebrei trasferiti a Roma nel 1967. Il ghetto degli ebrei a Roma è un luogo che celebra prima di tutto la storia e la cultura della popolazione ebraica: per questo è anche una meta per gli ebrei di tutto il mondo che desiderano riscoprire le proprie origini. Sempre in via del Tempio, che è il cuore pulsante del ghetto, è presente una delle scuole primarie ebraiche più importanti della città. Proprio qui è frequente vedere ragazzi e uomini con il tipico copricapo ebraico, chiamato kippah. Uno dei luoghi da non perdere del quartiere è inoltre il Portico d’Ottavia che sorge tra il Tempio Maggiore e il Teatro di Marcello. Oggi non ne rimangono che alcuni resti che però sono un’importante testimonianza della Roma antica. Il modo migliore comunque per scoprire il ghetto a Roma, è lasciarsi trasportare a piedi lungo i suoi vicoli e le sue strade: impossibile non rimanerne affascinati. La cucina ebraica a Roma Molti visitano il ghetto di Roma anche per degustare i sapori della cucina ebraico-romanesca. Non è un caso infatti, che questo quartiere sia considerato un luogo imperdibile per tutti gli appassionati di enogastronomia. Il ghetto è una città nella città e lo si percepisce non solo dai ragazzi che indossano il tipico copricapo, ma anche dalle scritte in ebraico e dai ristoranti che propongono cucina kosher. Dove mangiare quindi in questa zona di Roma? La scelta è molto ampia e si trovano locali praticamente in ogni via, ma è importante partire preparati sul tipo di menù che ti troverai a degustare. Il piatto più famoso forse sono i carciofi alla giudia, una vera prelibatezza che compare obbligatoriamente sulle tavole romane del quartiere ebraico. Si tratta dei carciofi cimaroli, tipici della zona, che vengono immersi in acqua e limone, e in seguito fritti. È un piatto delizioso e leggero, che ha conquistato i palati di tutto il mondo. Non solo carciofi, la cucina ebraico-romanesca è un vero tesoro di sapori che unisce culture diverse e ingredienti provenienti da diverse parti del mondo. Si va quindi dai classici hummus e falafel a base di ceci, legumi e spezie orientali, fino alla concia e ai piatti a base di carne. La concia è un piatto a base di zucchine romanesche tagliate a striscioline e fritte. In seguito vanno messe in una pirofila e vanno condite con basilico, aglio e aceto. Un altro grande classico della cucina ebraico-romanesca è il tortino di aliciotti e indivia. In questo caso, l’indivia è marinata con olio, aglio, cipolla e pepe, in seguito viene alternata con le alici per creare un tortino che va infornato. Durante lo shabbat invece, il piatto tipico degli ebrei romani è lo stracotto di manzo cucinato con il pomodoro. Un piatto tipico del periodo pasquale sono le matzo ball, polpette di pane azzimo in brodo, molto simili ai canederli tirolesi. Molti ristoranti inoltre servono una grande varietà di fritti, oltre ai carciofi anche il baccalà e i fiori di zucca, senza dimenticare uno dei piatti più antichi e tipici della cucina ebraica: la zuppa di pesce. E per finire il pasto? Il dolce tipico è la torta di ricotta e visciole: una vera prelibatezza! Consigli per visitare il ghetto ebraico Ora che abbiamo visto che cos’è il ghetto ebraico, la sua storia, le origini, cosa vedere e cosa mangiare, non ci sono dubbi che tra tutte le zone di Roma, questa sia sicuramente una delle più interessanti e affascinanti. Il ghetto può essere visitato in ogni periodo dell’anno e ovviamente, a seconda delle stagioni cambiano anche le tradizioni. Sicuramente la primavera a Roma e nel ghetto, con tutte le tradizioni pasquali, è uno dei momenti più importanti dell’anno. Un ultimo consiglio: quando passeggerai per le vie del ghetto, non dimenticarti di osservare ogni tanto per terra. Troverai infatti numerosi blocchi in cui sono indicati nome e cognome di alcune persone. Si tratta del progetto “pietre d’inciampo” per ricordare i cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. Il ghetto ebraico di Roma è un quartiere ricco e interessante, dove visitare la sinagoga e gustare piatti particolari, come i carciofi alla giudia.
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latinabiz · 4 years
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La lettera del Santo Padre per il mese di maggio
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Papa Francesco A latere del Regina Coeli di domenica 26 aprile, il Santo Padre ha voluto informare i fedeli dell'apertura del mese di maggio attraverso una lettera scritta e letta in questa circostanza: Cari fratelli e sorelle, è ormai vicino il mese di maggio, nel quale il popolo di Dio esprime con particolare intensità il suo amore e la sua devozione alla Vergine Maria. È tradizione, in questo mese, pregare il Rosario a casa, in famiglia. Una dimensione, quella domestica, che le restrizioni della pandemia ci hanno “costretto” a valorizzare, anche dal punto di vista spirituale. Perciò ho pensato di proporre a tutti di riscoprire la bellezza di pregare il Rosario a casa nel mese di maggio. Lo si può fare insieme, oppure personalmente; scegliete voi a seconda delle situazioni, valorizzando entrambe le possibilità. Ma in ogni caso c’è un segreto per farlo: la semplicità; ed è facile trovare, anche in internet, dei buoni schemi di preghiera da seguire. Inoltre, vi offro i testi di due preghiere alla Madonna, che potrete recitare al termine del Rosario, e che io stesso reciterò nel mese di maggio, spiritualmente unito a voi. Le allego a questa lettera così che vengano messe a disposizione di tutti. Cari fratelli e sorelle, contemplare insieme il volto di Cristo con il cuore di Maria, nostra Madre, ci renderà ancora più uniti come famiglia spirituale e ci aiuterà a superare questa prova. Io pregherò per voi, specialmente per i più sofferenti, e voi, per favore, pregate per me. Vi ringrazio e di cuore vi benedico. Roma, San Giovanni in Laterano, 25 aprile 2020 Festa di San Marco Evangelista        Papa Francesco Preghiera a Maria   O Maria, Tu risplendi sempre nel nostro cammino come segno di salvezza e di speranza. Noi ci affidiamo a Te, Salute dei malati, che presso la croce sei stata associata al dolore di Gesù, mantenendo ferma la tua fede.  Tu, Salvezza del popolo romano, sai di che cosa abbiamo bisogno e siamo certi che provvederai perché, come a Cana di Galilea, possa tornare la gioia e la festa dopo questo momento di prova.  Aiutaci, Madre del Divino Amore, a conformarci al volere del Padre e a fare ciò che ci dirà Gesù, che ha preso su di sé le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori per condurci, attraverso la croce, alla gioia della risurrezione. Amen.  Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta. Preghiera a Maria   «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio». Nella presente situazione drammatica, carica di sofferenze e di angosce che attanagliano il mondo intero, ricorriamo a Te, Madre di Dio e Madre nostra, e cerchiamo rifugio sotto la tua protezione. O Vergine Maria, volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi in questa pandemia del coronavirus, e conforta quanti sono smarriti e piangenti per i loro cari morti, sepolti a volte in un modo che ferisce l’anima. Sostieni quanti sono angosciati per le persone ammalate alle quali, per impedire il contagio, non possono stare vicini. Infondi fiducia in chi è in ansia per il futuro incerto e per le conseguenze sull’economia e sul lavoro. Madre di Dio e Madre nostra, implora per noi da Dio, Padre di misericordia, che questa dura prova finisca e che ritorni un orizzonte di speranza e di pace. Come a Cana, intervieni presso il tuo Figlio Divino, chiedendogli di confortare le famiglie dei malati e delle vittime e di aprire il loro cuore alla fiducia. Proteggi i medici, gli infermieri, il personale sanitario, i volontari che in questo periodo di emergenza sono in prima linea e mettono la loro vita a rischio per salvare altre vite. Accompagna la loro eroica fatica e dona loro forza, bontà e salute. Sii accanto a coloro che notte e giorno assistono i malati e ai sacerdoti che, con sollecitudine pastorale e impegno evangelico, cercano di aiutare e sostenere tutti. Vergine Santa, illumina le menti degli uomini e delle donne di scienza, perché trovino giuste soluzioni per vincere questo virus. Assisti i Responsabili delle Nazioni, perché operino con saggezza, sollecitudine e generosità, soccorrendo quanti mancano del necessario per vivere, programmando soluzioni sociali ed economiche con lungimiranza e con spirito di solidarietà. Maria Santissima, tocca le coscienze perché le ingenti somme usate per accrescere e perfezionare gli armamenti siano invece destinate a promuovere adeguati studi per prevenire simili catastrofi in futuro. Madre amatissima, fa’ crescere nel mondo il senso di appartenenza ad un’unica grande famiglia, nella consapevolezza del legame che tutti unisce, perché con spirito fraterno e solidale veniamo in aiuto alle tante povertà e situazioni di miseria. Incoraggia la fermezza nella fede, la perseveranza nel servire, la costanza nel pregare. O Maria, Consolatrice degli afflitti, abbraccia tutti i tuoi figli tribolati e ottieni che Dio intervenga con la sua mano onnipotente a liberarci da questa terribile epidemia, cosicché la vita possa riprendere in serenità il suo corso normale. Ci affidiamo a Te, che risplendi sul nostro cammino come segno di salvezza e di speranza, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. Amen. Read the full article
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giancarlonicoli · 6 years
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15 gen 2019 12:39 IL TERRORISMO ROSSO ITALIANO È UNA SAGA DI DELINQUENTI E CRIMINALI DA DUE SOLDI COME BATTISTI. A COLPIRMI L’OSTINAZIONE DI PIERO SANSONETTI, CHE RESTA CIECO INNANZI ALLA VERITÀ DEI FATTI, E LA CIVILTÀ CON CUI IL TORREGIANI FIGLIO, UNA DELLE VITTIME DI BATTISTI, HA COMMENTATO QUELL’OSCENA FARSA DI MINISTRI ITALIANI CHE ESULTAVANO IN FAVORE DI CAMERA PER L’ARRIVO DEL CRIMINALE CHE ASPETTAVAMO DA 37 ANNI E CHE CI E' COSTATO... 
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, all’aeroporto di Roma è sbarcato ieri un assassino, un personaggio da due soldi il cui destino sarebbero stati i piccoli crimini di strada se non fosse che i veleni dell’ideologia erano diffusissimi in quell’Italia dei Settanta e meglio ancora nelle sue carceri. E con tutto questo, malgrado Cesare Battisti abbia cominciato, a un certo punto della sua vita, ad autoidentificarsi come uno che combatteva le “ingiustizie sociali”, un piccolo criminale era e tale è rimasto, e seppure abbia avuto in Francia una buona mano nello scrivere dei “noir” di media tacca.
E del resto erano tanti i terroristi di sinistra che erano poco più che dei delinquenti di strada, altro che gli “idealisti” di cui cianciava l’attrice francese Fanny Ardant, tanto bella quanto intellettualmente irresponsabile.
Mi colpisce di più l’ostinazione di Piero Sansonetti, una persona e un giornalista che stimo (e di cui condivido la passione per il “garantismo” in fatto di giustizia) ma che evidentemente una volta che si innamora di un’idea resta cieco innanzi alla verità dei fatti. Ancora in queste ore si è detto convinto dell’innocenza di Battisti, o per lo meno del fatto che non ci sono prove che lui sia un assassino. Subito smentito dallo stesso Battisti, il quale nel mettere piede in Italia dopo 37 anni s’è riconosciuto “colpevole” anche se non di tutto.
Credo che sia esattamente così, lui ne ha ammazzati due, in altri due casi ha avuto un ruolo comunque secondario. Lui non c’entra niente con il ferimento di Torregiani figlio (colpito da una pallottola di rimbalzo sparata dal padre che stavano assassinando), una vittima di cui mi ha colpito la civiltà con cui ha commentato quell’oscena farsa di ministri italiani che esultavano in favore di camera per l’arrivo del criminale che aspettavamo da 37 anni e a catturare il quale abbiamo impiegato decine e decine di milioni di euro.
Fedele come sono al “principio di pietà” di cui ha scritto da par suo Mattia Feltri, a me va bene che Battisti non avesse le manette quando è sceso dalla scaletta dell’aereo. La sua cattura non è una festa. E’ l’ultimo atto di un’interminabile tragedia, e il mio pensiero non può non correre ai tre figli di Battisti sparsi per il mondo. Trenta e passa anni fa avesse riconosciuto le sue colpe, si fosse presentato innanzi a un tribunale italiano a separare ciò che aveva fatto davvero da ciò che non aveva fatto, avesse accettato la sua pena, oggi sarebbe un cittadino libero di vivere l’ultimo segmento della sua vita.
Un criminale da due soldi che aveva ipnotizzato la buona parte dell’intellighentia francese. Molti dei quali tipini ai quali non affiderei neppure da passeggiare il mio cane da quanto li so prevenuti sempre e comunque a favore degli “enragés”, affascinati da ciò che va contro la società esistente, meglio ancora se ti chiami Carla Bruni e da quella società hai avuto tutto ma proprio tutto.
Ho letto un testo di Bernard-Henry Lévy a difesa di Battisti. Da come raccontava l’Italia di quel tempo, dimostrava di non sapere nulla di nulla di nulla. Probabilmente gliela avevano raccontata al Café Flore qualcuno dei tanti terroristi italiani rifugiati in una Francia ospitale, o magari qualcuno dei numerosi intellettuali italiani che mantengono nei confronti dei terroristi rossi l’atteggiamento amicale che meritano dei “compagni che sbagliano”: ossia che le premesse ideali e politiche di quei tipini erano giuste e sacrosante, solo era sbagliato il momento in cui hanno premuto il grilletto.
E invece no. La saga del terrorismo rosso italiano è una saga di delinquenti e criminali da due soldi. Quando il quotidiano “Lotta continua” pubblica, a pochi giorni dall’assassinio del commissario Luigi Calabresi, il brano dell’autobiografia della medaglia d’oro della Resistenza Giovanni Pesce in cui lui racconta l’agguato che da solo portò - in una piazza della Milano presidiata dai nazifascisti - a un bestione fascista e alle sue due guardie del corpo _ come a dire “Vedete che abbiamo fatto a Calabresi quel che Pesce ha fatto al bestione fascista nel 1945”, ebbene quella è innanzitutto una porcata intellettuale.
Allucinante il paragonare l’agguato in tempo di guerra contro un avversario spietato all’andare alle spalle di un commissario di polizia disarmato che stava aprendo lo sportello dell’auto con cui andava al lavoro e ucciderlo con due colpi alle spalle. Delinquente chi ha sparato, delinquente chi ha ordito l’azione. (Altro che “i migliori della nostra generazione” come qualcuno li ha chiamati)
Delinquenti i quattro che si appostarono dalle parti dell’abitazione torinese dell’ex partigiano Carlo Casalegno, aspettarono che lui tornasse dal lavoro, entrarono nell’androne del palazzo e gli tirarono quattro colpi di pistola in faccia, e a Casalegno gli ci vollero 17 giorni per morire. Delinquenti i due che pedinarono il mio amico Walter Tobagi che stava andando anche lui al lavoro, armato della macchina stilografica infilata dentro il taschino della giacca, e lo uccisero sparandogli alle spalle. Delinquenti i terroristi di Prima linea che aspettarono il magistrato milanese all’angolo di una strada da dove passava in macchina ogni mattina dopo aver portato il figlio a scuola e lo assassinarono. Il 22 marzo 1977 un agente di polizia che stava tornando nella sua casa romana, Claudio Graziosi, intercetta sul bus una terrorista fuggita da un carcere  - Maria Pia Vianale -,  la afferra per un braccio a casa e non si accorge che alle sue spalle s’è alzato un altro terrorista – Antonio Lo Muscio _ che lo uccide tirandogli sei o sette colpi di rivoltella alle spalle. Altro che idealisti, vili assassini.
E allora la “geometrica potenza” dell’agguato ad Aldo Moro? Ma quale “potenza”. La scorta era pressoché disarmata e difatti non riuscì a sparare un solo colpo, neppure l’eroico maresciallo Leonardi; le a non dire che lo Stato italiano non aveva i soldi di che blindare l’auto del presidente Moro. Non c’è un solo agguato dove i terroristi abbiano rischiato qualcosa, uccidevano a gratis vittime inermi e tranne nel caso di dell’agguato a un vicequestore di Roma (il 14 dicembre 1976) in cui ci lascia la pelle un militante dei Nap di nome Martino Zicchitella.
Se incontro Bernard-Henry Lévy tutte queste cose gliele racconto una a una, l’ora degli agguati, la dinamica, i colpi a uccidere, chi ha fatto che cosa e come lo ha fatto. Sono certo che capirà, certissimo. E’ un uomo intelligente. Capirà che queste cose le so a puntino perché quegli assassini e quei delinquenti erano dei figli della mia generazione, qualcuno di loro lo avevo conosciuto. Molti di loro mi sono diventati amici una volta che avessero riconosciuto la loro follia, il loro delirio che gli aveva fatto scambiare gli omicidi alle spalle per atti che avrebbero reso migliore l’umanità.
Ps. Purtroppo ci sono stati dei casi in cui sono state le forze dell’ordine ad assassinare, né più né meno. E’ stato il caso di Anna Maria Mantini, una nappista che aveva 22 anni quando la squadra antiterrorismo la intercettò e la uccise mentre stava rientrando nel suo appartamento romano a Tor di Quinto.
GIAMPIERO MUGHINI
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