#marcello fama
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telefonamitra20anni · 11 months ago
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La dolce vita: Il punto più alto il punto più fragile.
Oui, Je suis content! È il 1960, Marcello vive uno dei momenti più belli della sua vita di attore e di uomo, inizia cosi, la sua "dolce vita". Tutto scorre veloce, il successo gli piomba addosso e d'improvviso, si ritrova ad essere riconosciuto come il latin lover di fama mondiale, l'attore simbolo italiano da mettere in vetrina. In questo vortice di successo, l'uomo viveva il punto più alto e il punto più fragile della sua vita, Marcello riscopre le sue più tangibili inettitudini e debolezze, ritrovandosi per un momento smarrito, in uno status di felicità incosciente. Vive lo spericolato viaggio di una crisi personale che mette alla prova, la conoscenza il perdono e l'accettazione del suo essere uomo virtuoso, inetto, umano, fragile. Lui, fino ad allora, sentiva di essere in qualche modo sbagliato. Eppure, quella dolce vita la accoglie, complice in causa Federico, che riscopre amico, confidente, complice, anima affine. Fino a quel momento, Marcello non sapeva che nome dare alla filia, alla felice libertà di sentirsi se stesso, senza quel retrogusto amaro del senso di colpa. Federico lo guida, lo ascolta e lo comprende. Gli dice che guardarsi come dentro uno specchio può far certamente paura ma, può essere capace di raccontarti bellezza. Marcello lo ascolta, cresce, evolve, si conosce. È il 1960 e per lui, è un nuovo battesimo. Dal punto più alto lui, ha capito che tanto valeva essere, e che il giusto rifugio dal punto più fragile sarebbe stata la cura della comprensione. Da quel momento tutto ha avuto un sapore diverso, sebbene un uomo non possa conoscersi mai abbastanza, Marcello ha capito di essere solo un uomo libero alla ricerca di se stesso, con la giusta cinica comprensione, con il piu adeguato spirito critico che lo contraddistingueva.
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carmenvicinanza · 8 months ago
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Anouk Aimée
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Anouk Aimée, è stata la meravigliosa attrice che ha recitato in film di culto come La dolce vita e 8½ di Federico Fellini e Un uomo, una donna di Claude Lelouch.
Candidata all’Oscar e ai premi BAFTA, ha vinto il Premio come miglior attrice al Festival di Cannes nel 1980, il Premio César onorario 2002 e l’Orso d’oro alla carriera al Festival di Berlino, nel 2003.
Nata a Parigi il 27 aprile 1932 col nome di Nicole Françoise Florence Dreyfus, era figlia di Henry Murray, nome d’arte di Henri Dreyfus, attore francese di origine ebraica, e di Geneviève Sorya, nata Geneviève Durand. Ha ricevuto un’educazione tradizionale nella recitazione come nella danza tra Parigi e il Sussex inglese.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, per schivare la deportazione antiebraica nazista, venne mandata in campagna dove si faceva chiamare Françoise Durand (il cognome della madre).
Ha debuttato sul set a soli 15 anni, nel 1947, in La fleur de l’âge, nello stesso anno, il ruolo di Anouk in La maison sous la mer, ha portato il suo nome d’arte, a cui l’anno successivo Jacques Prévert, suggerì di aggiungere “Aimée” (amata), perché, era amata da tutti.
Importante protagonista della Nouvelle Vague, il film che le ha dato gran fama è stato La dolce vita, del 1960, in cui interpretava Maddalena, la donna che accompagnava il cronista interpretato da Marcello Mastroianni nelle sue notti tormentate in giro per Roma.
La consacrazione internazionale è giunta nel 1966 con Un uomo, una donna di Claude Lelouch, che ha vinto l’Oscar e il Festival di Cannes e che le è valso il Golden Globe per la migliore attrice.
Chiamata e apprezzata sugli schermi di tutto il mondo, ha girato circa settanta film con registi come Federico Fellini, Claude Lelouch, Jacques Demy, Sydney Lumet, George Cukor, Julien Duvivier, Vittorio De Sica, Dino Risi, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Robert Altman e molti altri ancora.
Ha lavorato anche molto in televisione e a teatro.
La sua ultima interpretazione è stata nel 2019, sempre nel ruolo di Anne, in I migliori anni della nostra vita, terzo episodio del grande successo di Un uomo, una donna di Lelouch.
Si è spenta a Parigi, il 18 giugno 2024.
Anouk Aimée è stata un’attrice contenuta, scura, misteriosa, dal naturale fascino ed eleganza, magnetica, magistrale, una colonna portante della cinematografia mondiale.
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chez-mimich · 7 months ago
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NJ2024 IN THE WORLD: METACRONACHE DA UN FESTIVAL (parte I)
Come ogni anno, da ventun anni a questa parte, anche quest’anno tra maggio e giugno, la cometa di Novara Jazz è passata sulla città lasciando una scia luminosa, che si vede più da lontano che dalla città stessa. Gli echi della stampa nazionale e della stampa specialistica internazionale hanno raccontato e analizzato a lungo il Festival novarese che è certamente molto più apprezzato fuori città che nella città stessa. Novara non è una città che brilla per entusiasmo e, ancora meno, sa separare il grano dal loglio. E così mentre la stampa locale, (tranne questa testata con cui collaboro), non andava oltre l’informazione basica per non turbare troppo o annoiare il “nuares”, tutto accartocciato sulle sue rassicuranti certezze culturali spesso di mediocre livello, l’altra stampa, quella di cui si diceva, dedicava a Novara Jazz 2024, la dovuta attenzione. Marcello Lorrai, in un dettagliato pezzo su “Il Manifesto”, racconta di uno spettatore tanto d’eccezione, quanto affezionato frequentatore di NJ, ovvero Maurizio Cattelan, artista di fama planetaria, che viene descritto come uno spettatore “curiosissimo, che si informa sui protagonisti dei concerti, commenta e chiacchiera con gli appassionati che seguono il festival”. Il "Corriere della Sera", con un articolo a firma Luca Castelli, ha ampiamente illustrato il programma del Festival novarese e così altri quotidiani nazionali. Ma ciò che è stato scritto sulla stampa specializzata ed internazionale è ancora più lusinghiero per la città. (continua)
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agrpress-blog · 8 months ago
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Addio ad Anouk Aimée, icona del cinema francese e italiano Anouk Aimée, celebre attrice francese, ... #AnoukAimée #Cinemafrancese #federicofellini #ladolcevita #marcellomastroianni #nouvellevague https://agrpress.it/addio-ad-anouk-aimee-icona-del-cinema-francese-e-italiano/?feed_id=5845&_unique_id=66718cd8d57ed
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giancarlonicoli · 8 months ago
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25 mag 2024 14:00
"QUANDO MI CHIAMANO 'MARIANGELA' MI ARRABBIO E RISPONDO: 'IO SONO PLINIO FERNANDO'" - L'ATTORE 76ENNE CHE HA INTERPRETATO LA FIGLIA DI UGO FANTOZZI: "SEMBRA CHE LA GENTE NON RIESCA A SEPARARE L’ATTORE DAL PERSONAGGIO. QUANDO FECI IL PROVINO PER FANTOZZI E MI DISSERO CHE DOVEVO INTERPRETARE UNA DONNA CI RIMASI DI SASSO, MIO PADRE MI DISSE..." - LA CHICCA: "IO SONO INNAMORATO DI TUTTE LE DONNE. MI PIACE CORTEGGIARE" - VIDEO -
Estratto dell’articolo di Giacomo Galanti per www.repubblica.it
L’appuntamento è in un bar di piazza Bologna a Roma, il quartiere dove vive da sempre. “Qua mi conoscono tutti, sono come il sindaco”, scherza Plinio Fernando, l’attore che ha prestato il volto a una delle maschere più famose del cinema italiano: Mariangela Fantozzi.
E anche chi non è del posto lo riconosce al primo sguardo. Tanti i giovani che si fermano e chiedono: “Ma è proprio lui?”, “Sei la figlia di Fantozzi?”. Selfie e sorrisi, Fernando non si sottrae con un'educazione e una gentilezza d’altri tempi. […]
Be’, il ruolo di Mariangela Fantozzi le ha regalato una fama imperitura.
Per carità, è vero ma c’è anche il risvolto della medaglia. Con Mariangela Fantozzi sono rimasto imprigionato nel tempo. Il cinema l��ho abbandonato nel 1994 e ho fatto tanto altro, soprattutto come scultore. Ma sembra che la gente non riesca a separare l’attore dal personaggio.
Insomma, quando le dicono “ciao Mariangela” non le fa piacere.
Mi arrabbio da morire e rispondo subito: “Io sono Plinio Fernando”.
Dal mondo di Fantozzi è impossibile liberarsi?
In un certo senso è così, ma vale per tutti noi che abbiamo fatto quell’avventura. Prenda per esempio Milena Vukotic. Parliamo di un’attrice straordinaria e di una gran signora. Non so quanti film abbia fatto e quanti spettacoli a teatro, ma anche all’ultimo David di Donatello hanno cercato di ricordarla solo per Fantozzi con il conduttore che ripeteva “Pinaaaaa”.
Vukotic ha vinto il David alla carriera.
Se lo merita tutto, ma la cerimonia non mi è piaciuta.
Si sente ancora con Vukotic?
Certo, ci facciamo lunghe telefonate. Parliamo in francese, a entrambi piace tanto il francese. […]
Quando ha capito che la recitazione era la sua strada?
Non è che lo capisco, mi piaceva il cinema. Ammiravo i grandi attori come Marcello Mastroianni. Così mi sono iscritto all'Accademia di recitazione Stanislavskij al teatro Anfitrione e non avevo nemmeno 30 anni.
Ecco l’esordio a teatro.
Faccio due commedie: Allegro... con cadavere e Pupi e pupe della malavita. In uno comandavo un plotone d’esecuzione, nell’altro facevo il gangster.
Poi arriva il momento che le cambia la vita, il provino per il primo Fantozzi.
Nel mondo del teatro iniziavo a farmi conoscere e una persona mi dice che Luciano Salce faceva dei provini nella sede della Rizzoli in via Monte Zebio. Così vado e mi prendono. Ma quando mi dicono che devo fare la figlia di Fantozzi ci rimango di sasso. Pensare di interpretare una donna mi suonava strano, ero un po’ riluttante.
Perché ha detto sì?
Ne ho parlato subito con mio padre: “Vogliono che faccia una donna”. E papà mi ha detto: “Il lavoro è lavoro”. Così mi sono convinto. E poi nella storia del cinema ci sono state grande interpretazioni di uomini che impersonano donne.
Come è stato l’incontro con Paolo Villaggio, suo padre nella finzione?
Era un vero professionista e un grande attore.
Avevate rapporti fuori dal set?
No, il nostro era un rapporto molto superficiale legato al lavoro. Però sempre di grande stima. Ma è stato così un po’ con tutti gli altri attori. Si stava sul set sempre in maniera piacevole, poi basta. Come ho già detto, sono rimasto in rapporti solo con Milena Vukotic.
Ha preso parte a otto film di Fantozzi. C’è stato qualche momento in cui avrebbe voluto mollare?
Credo di aver smesso nel momento giusto. Poi talvolta era impegnativo fare tutte quelle riprese, soprattutto quando dovevo interpretare il doppio ruolo di Mariangela e della nipote Uga. […]
Negli anni d’oro era difficile passare inosservato.
Le racconto una storia. All’inizio degli anni ‘90 ero a Rimini in vacanza, amo molto la Romagna dove andavo spesso d’estate. Una sera ero a ballare e mi riconoscono. Iniziano a seguirmi, ma erano decine e decine di persone. Mi è toccato scappare fino all’albergo dove il direttore ha dovuto chiudere le porte e minacciare di chiamare la polizia.
Poi c’è stato Neri Parenti.
Con Neri ho avuto un rapporto più stretto, c’è stato più affiatamento quasi come con un fratello maggiore. […]
Le piacerebbe tornare al cinema?
Il mio tempo ormai è passato, ma se mi offrissero un ruolo comico interessante potrei prenderlo in considerazione.
A un reality ha mai pensato?
Ai reality non credo, non parteciperei mai.
In tv non si vede mai.
Ma cosa dovrei andare a dire? Alla fine mi chiedono sempre le stesse cose. Poi le devo dire la verità, la diretta mi mette ansia.
Come trascorre la sua vita oggi?
Una vita semplice. Giro per il quartiere, mi piace cucinare: me la cavo bene con le lasagne al forno e i risotti. Poi adoro giocare a scacchi. E mi tocca fare ginnastica posturale per la schiena.
Lei è molto riservato, della sua vita privata si sa poco. È innamorato?
Guardi, io sono innamorato di tutte le donne. Sono un tipo galante, mi piace corteggiare.
C’è qualche donna in particolare?
Terrò sempre nella mente il ricordo di una ragazza. Ma parliamo di tanti anni fa.
Ha qualche rimpianto?
Direi di no. Forse mi sarebbe piaciuto fare un film con Brigitte Bardot, a proposito di donne.
Cosa le manca?
pierfrancesco villaggio plinio fernando plinio fernando paolo villaggio anna mazzamauro PAOLO VILLAGGIO plinio fernando le vacanze di fantozzi plinio fernando (3)
Facile, mi manca la giovinezza.
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true-trauma · 9 months ago
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I tuoi messaggi colmi d’odio io manco li leggo
rido in silenzio e penso che stai perdendo del tempo
qui la tua faccia si fa blu come ‘sta 20 euro
scoppi di rabbia, io lo so, non riesci a farne a meno
questo asfalto è il tuo red carpet, senza gente muori
fuori da ‘sti riflettori non fai più rumore
qui tutto scoppia in un istante, bolla di sapone
e tu, ingenua, ti credi eterna, non sei una religione
ti accendi la tua Rothmans con sguardo di ghiaccio
alla fermata del tram dallo sguardo distratto
appena avverti qualcosa, tu ti giri di scatto
e pensi: “adesso si va in scena, il mondo è un grande palco”
okay, sei pronta al grande salto, il popolo ti acclama
senti gli applausi e vedi fiori, la tele ti inquadra
la gente a casa si chiede: “sì, ma chi sta in quella bara?”
Sente gli applausi e vede i fiori, la tele li inquadra
non preoccuparti, te lo spiego, questa è fama, baby
e campa bene soltanto chi casca sempre in piedi
solidità e stabilità, ovvero buone radici
buone basi, buone piante, i nostri stessi eredi;
quello che posti lo so già che è una grande stronzata,
lo guardo solo per farmi una bella risata
da queste parti non importa un fico di chi sei
di cosa fai, da dove vieni, oh, ma chi ti credi;
il mondo è pieno di Sophia Loren dei poveri,
di finti Marcello Mastroianni in abiti fake Coveri
che chiudono gli occhi e sognano i soldi di Montgomery
e poi bruciano d’invidia e distruggon tutto là fuori:
mezze seghe, rimarrete sempre scarsi
che per brillare alla luce la spegnete sempre agli altri,
poi fuggite dal guaio con la coda, codardi
e tu puoi fuggire dal guaio, tanto tornerà a trovarti,
prima – o poi qualcuno se ne accorge
di quanto siete falsi quando vi trovate moglie
prima il sesso, dopo un figlio, tutto in ordine
e se le cose non vanno, dopo è delitto di Cogne;
c’è l’occasione di arricchirsi, e ciascuno la coglie
perché la crisi morde e fa male, croco, Lacoste
io già ti vedo vantarti con ‘sta faccia da stronzo
ché hai letto il libro della vita, il mio è rimasto intonso;
com’è che non ti accorgi che tra noi, qua lo schiavo sei tu
lobotomizzato, ormai non sogni più
io sogno un disco e dopo il tour, ma poi sparisce e “puff”
all’alba d’un – dannato Lunedì blu
solution: semi di kush;
ogni giorno io mi sveglio con la faccia del panda dei Bushwaka
e in testa un ritmo che mi canta: “boomboomshakalaka”,
annata magra iniziata, io proseguo sulla mia strada
e se va male, prepara la bara;
para - dà faccia bianca: bamba
chi è come me - ricerca un po’ di grazia
come in “para bailar la bamba”
anche se troppa stanca
tra milioni e depressione, kalazh
anche se grana manca e serotonina cala;
se non si è grandi, niente
guai a farsi vedere
mostrarsi forti, invece
mostrando morti in tele
comporre ragnatele
per le vittime illuse
comporre cantilene
quattro stronzate in croce;
io non mi do mai pace perché aspiro sempre al meglio
ma non per spiattellarlo, zio, per vivermelo dentro
gioco solo col mio ego, uno a zero, palla al centro
qui la sfida è ancora aperta e il risultato incerto;
è il moderno mito della caverna
il personaggio avrà la meglio
è la fame di fama che tiene la mente sveglia
la fama a tutti i costi, quella fama che ti disorienta.
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micro961 · 1 year ago
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Classica Orchestra Afrobeat - Circles
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Il quarto album di inediti dell’ensemble diretto da Marco Zanotti
Un modello di vita più cooperativo, sostenibile, spirituale, ispirato e basato sulla circolarità e l’up-cycle.
 L'istrionico ensemble da camera di 14 elementi diretto da Marco Zanotti esce col suo quarto album di inediti pubblicato dalla label Brutture Moderne con la produzione artistica firmata da Andrea Scardovi. La Classica Orchestra Afrobeat in questo 2023 post-pandemico muove verso il concetto di circolarità con una nuova produzione intitolata “Circles”. Ospite d'onore dell'album è la regina della musica maliana Rokia Traoré, una delle più importanti artiste africane contemporanee che firma insieme a Zanotti il brano “Ka munu munu” (tradotto significa tutto gira).
«Se “Polyphonie”, il precedente disco uscito nel 2017, raccontava dei silenzi e dei canti della foresta, di una coralità delicata ed ecologica, con “Circles” ci ritroviamo in uno spazio-tempo se vogliamo distopico, un futuro nel quale le cose evidentemente non sono andate a finire bene, eppure (o forse per questo) siamo tornati ad un modello di vita più essenziale, cooperativo e sostenibile. Lo sguardo si distoglie dalla dimensione materiale e consumistica per volgersi verso l'alto, verso una dimensione più organica, spirituale, circolare. Dal legno come elemento centrale di “Polyphonie” siamo passati al metallo della mbira, del gong e degli ottoni, materiali sapientemente forgiati dall’uomo nell’antichità e riutilizzati nel futuro grazie all’up-cycling». Classica Orchestra Afrobeat
Per gli spettacoli live, Giovanna Caputi ha creato degli abiti di scena utilizzando stoffa grezza, corde ed elementi di recupero, mentre Marcello Detti ha realizzato una serie di gioielli con pezzi di vecchi strumenti musicali in ottone, inventando nuove geometrie circolari. E poi, sempre negli spettacoli dal vivo, troviamo l’orchestra accompagnata dalla Mutoids Waste Company, il collettivo nato in Inghilterra negli anni ’80 e residente da molti anni a Santarcangelo di Romagna, in quello spazio comunitario chiamato Mutonia. La foto di copertina dell'album è stata realizzata da Luca Perugini: un incredibile scatto effettuato dal basso verso l'alto di una torre di raffreddamento in disuso, alla ex-Sarom di Ravenna, mentre è di Thomas Cicognani la foto del retro di copertina.
Album Track by track La Classica Orchestra Afrobeat è un ensemble composto da 14 musicisti di estrazione mista classica, barocca e popolare. Diretta da Marco Zanotti, crea nei suoi lavori di composizione o arrangiamento un territorio di confine che mescola le sonorità e le peculiarità espressive degli strumenti della tradizione colta europea come archi, legni e clavicembalo con le percussioni, i canti e le poliritmie africane. Il disco d'esordio Shrine on you, Fela goes classical, risale al 2011, pubblicato dalla neonata etichetta indipendente Brutture Moderne. È un sentito omaggio a Fela Kuti, il più grande genio musicale nonchè ribelle politico africano della storia recente (Zanotti nello stesso anno traduce e cura l'edizione italiana della sua biografa, pubblicata da Arcana). L'album e l'idea della Classica Orchestra Afrobeat riscuotono sin da subito critiche entusiastiche, grazie ad una rilettura originale che diventa ponte di dialogo tra culture apparentemente distanti. All'album partecipano Seun Kuti e Oghene Kologbo e numerose sono le rassegne e i teatri che ospitano questo repertorio, scelto nel 2014 come evento di punta del Festival di Radio3 “RadioEuropa” e invitato nel 2013 (prima band italiana di sempre) allo storico Glastonbury Festival in Inghilterra.
Regard sur le passe, il secondo album uscito nel 2014, è una suite musicale in tre movimenti dal carattere spiccatamente barocco, che racconta l'epica dell'ultimo imperatore d'Africa, Samori Touré. Ospiti in scena in veste di cantante solista e narratore sono rispettivamente Sekouba Bambino e Baba Sissoko, due griot di fama internazionale, il primo considerato la “voce d'oro” dell'Africa Occidentale, il secondo ambasciatore della musica del Mali in tutto il mondo.
Il terzo lavoro risale al 2017 e si intitola Polyphonie: un concept-album di brani originali dedicato e ispirato alla foresta e al canto dei pigmei. Uno spettacolo dalla forte valenza ecologica, concepito e realizzato insieme al cantante camerunense Njamy Sitson. Tra le esibizioni più recenti della band quelle all’Auditorium Parco della Musica di Roma, al Teatro Verdi di Sassari, all’Orto Botanico di Padova, all’Auditorium Manzoni di Bologna, alla Rocca di Fano e un concerto-trekking per Ravenna Festival nel Parco del Casentino. Dopo l'anticipazione a maggio con l’uscita del nuovo singolo L’origine del mondo, alle porte dell’autunno 2023 esce il quarto disco di inediti dal titolo Circles per la label Brutture Moderne.
Etichetta: Brutture Moderne
LINK SOCIAL
https://classicafrobeat.com/ https://www.instagram.com/classicafrobeat/ https://www.facebook.com/classicafrobeat
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lospeakerscorner · 2 years ago
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Plácido in volo
Ultimo evento di Un’Estate da RE: protagonisti Plácido Domingo,  Il Volo, Daria Rybak e l’Orchestra Filarmonica “Giuseppe Verdi” di Salerno diretta dal Maestro Marcello Rota CASERTA – Il gruppo italiano di fama mondiale Il Volo e la giovane soprano Daria Rybakc si esibiranno come ospiti ne La notte delle stelle, il concerto di Plácido Domingo che giovedì 3 agosto, alle ore 21, chiuderà l’VIII…
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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I migliori film italiani degli anni '60: un'epoca d'oro del cinema italiano
Gli anni '60 rappresentano un'epoca d'oro per il cinema italiano, durante la quale furono prodotti alcuni dei film più significativi e influenti della storia del paese. Questo decennio segnò un periodo di grande creatività e innovazione nel panorama cinematografico italiano, con registi, attori e sceneggiatori che portarono avanti nuove idee e approcci artistici. In questo articolo, esploreremo alcuni dei migliori film italiani degli anni '60 che hanno lasciato un'impronta indelebile nella cinematografia mondiale. Quali sono i migliori film italiani degli anni '60? Uno dei film più celebri e influenti di questo periodo è "La dolce vita" (1960), diretto da Federico Fellini. Il film racconta la storia di un giornalista che si muove nella società romana degli anni '60, esplorando i temi della celebrità, dell'alienazione e dell'immoralità. "La dolce vita" è considerato un capolavoro del cinema italiano e ha vinto la Palma d'Oro al Festival di Cannes nel 1960. L'avventura di Michelangelo Antonioni Un altro film che ha segnato gli anni '60 è "L'avventura" (1960) di Michelangelo Antonioni. Il film, appartenente alla trilogia dell'incomunicabilità dell'autore, segue la scomparsa di una donna durante una gita in barca e le conseguenti riflessioni sul senso di vuoto e di incomunicabilità nell'epoca moderna. "L'avventura" è considerato uno dei film più importanti del cinema italiano e ha ricevuto una nomination al Festival di Cannes nel 1960. Il maestro Fellini Nel 1963, uscì "8½" di Federico Fellini, un film sperimentale che esplora la mente di un regista alle prese con la crisi creativa. Il film mescola la realtà e l'immaginazione, offrendo uno sguardo unico sul mondo del cinema e sulla psicologia umana. "8½" ha vinto due Premi Oscar, incluso quello per il Miglior Film Straniero, e ha consolidato ulteriormente la reputazione di Fellini come uno dei più grandi registi del cinema mondiale. Spaghetti Western Un altro film iconico degli anni '60 è "Il buono, il brutto, il cattivo" (1966) di Sergio Leone. Questo spaghetti western, interpretato da Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef, è diventato un classico del genere e ha influenzato in modo significativo il cinema di tutto il mondo. La colonna sonora di Ennio Morricone e le immagini iconiche del film hanno reso "Il buono, il brutto, il cattivo" un'opera indimenticabile. Ridere... all'italiana La commedia italiana degli anni '60 ha visto anche l'emergere di talenti come Pietro Germi, con il suo film "Divorzio all'italiana" (1961), una satira sociale sulla legge del divorzio in Italia. Il film, interpretato da Marcello Mastroianni, ha vinto l'Oscar al Miglior Film Straniero e ha contribuito a rendere Germi un regista di fama internazionale. Altri importanti film italiani degli anni '60 Altri film italiani significativi degli anni '60 includono "Rocco e i suoi fratelli" (1960) di Luchino Visconti, "Il Gattopardo" (1963) di Luchino Visconti, "L'eclisse" (1962) di Michelangelo Antonioni e "Il sorpasso" (1962) di Dino Risi. Gli anni '60 sono stati un periodo di grande fermento e creatività nel cinema italiano. I registi italiani hanno sfidato le convenzioni e hanno raccontato storie complesse e profonde che hanno lasciato un'impronta duratura nella storia del cinema. Questi film hanno influenzato generazioni di registi successivi e hanno contribuito a forgiare l'immagine del cinema italiano come una delle più importanti e innovative industrie cinematografiche al mondo. Mentre il cinema italiano ha continuato a prosperare in decenni successivi, gli anni '60 rimangono un periodo d'oro in cui il talento italiano ha raggiunto il suo apice. Questi film sono testimoni di una creatività e di una maestria che continueranno a ispirare e a incantare gli spettatori di tutto il mondo ancora per molti anni a venire. Foto di Gerd Altmann da Pixabay Read the full article
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tutorart75 · 2 years ago
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Marcello Dudovich
#MarcelloDudovich #illustratoreitaliano nato a #Trieste nel #1878. Precursore del #futurismo #italiano da cui prenderanno spunto molti #artisti. #graficoitaliano #studiografico #grafica #studiograficoprato #graficoprato #graficomilano #designermilano
MARCELLO DUDOVICH GRAFICO ITALIANO Marcello Dudovich designer del ventesimo secolo. Nasce a Trieste nel 1878 e dopo aver frequentato svogliatamente le scuole nel 1897 viene “spedito” a Milano per imparare il mestiere di litografo. Nessuno si sarebbe immaginato che quel bizzarro giovanotto di Marcello Dudovich sarebbe diventato un cartellonista di fama. Nato 21/03/1878 (Trieste, Friuli Venezia…
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telefonamitra20anni · 2 years ago
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La verità nascosta.
C'è sempre stato un filo invisibile nel raccontarsi. Tra pellicola e vita c'era il gioco della verità. La "verità nascosta" di Marcello. Basta prestare un po' di attenzione, osservare, per capire che di verità ce n'era molta, pezzi di vita raccontati con l'alibi dell'attore. Era una verità solo per pochi. Per chi ha creduto di conoscerlo, e per chi impara a farlo, Marcello a modo suo, ha "concesso" il lusso involontario di stupirsene. In ogni suo film c'è qualcosa che gli permetteva di raccontarsi, di farlo per davvero. "L'ipotetico bugiardo" abile della bugia bianca, giocava con noi, al grande bluff della verità. Era il suo personaggio a raccontarci la sua storia, ma era lui che, inevitabilmente, ne conosceva già il grande spoiler. Le pagine erano già scritte, ma il puzzle lo riordinavi tu. Forse è questo il segreto della sua immortalità? La misura eterna di quella vacuità, sempre pronta da far riempire allo spettatore, con i richiami alla vita vera. La sua. Un telefono, un treno, una città, un mestiere, la figura femminile amica di un'amante, l'amore vacuo, l'amore ragionato, appassionato, sentito, l'amore liberato, il suo stesso nome. una sensata retrospettiva; Quelle frasi da grande schermo, ben dette ma ragionate, poiché sosteneva che nel teatro, come nel cinema la parola ha un peso, e chissà quanto peso quelle stesse parole, pronunciate per servilismo d'attore, hanno avuto nella vita, perché come pronunciate suonavano così vere. Al contrario della sua fama, della verità se ne faceva strumento. Da quei mille volti, la verità era veicolo, voglia comunicativa che lasciasse intendere, solo per chi avrebbe prestato cuore, occhi e orecchie per farlo. La verità, spesso non ha natura di omogeneità; Certe verità disuniscono, e anche noi disgiungiamo spesso dalle nostre. Marcello, aveva voglia di raccontare ogni tipo di verità, anche quella più disomogenea, più cinica, più distante dalla verità stessa, ma non per questo, più libera.
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elcinelateleymickyandonie · 4 years ago
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GINA LOLLOBRIGIDA α:4 de julio de 1927
Gina Lollobrigida, nacida como Luigia o Luigina Lollobrigida (Subiaco, Lacio, 4 de julio de 1927) es una actriz italiana de cine y televisión, reconocida con diversos galardones como cinco premios David de Donatello (dos de ellos honoríficos) y un Globo de Oro. Eterna rival de Sophia Loren, alcanzó tal fama que sería llamada en Italia «La Lollo». Según sus propias declaraciones, se hizo actriz por una serie de casualidades; su vocación inicial era la de la dedicación a las artes plásticas, y de hecho sigue trabajando la escultura y la fotografía. Ya en su adolescencia Gina trabajó como modelo en algunos desfiles de ropa, y participó con éxito en diversos concursos de belleza. Ya por esta época, empezaba a aparecer en filmes en Italia. En el año 1947 logró la tercera posición en el concurso de Miss Italia. El concurso fue ganado por Lucia Bosè y el segundo puesto recayó en Gianna Maria Canale, mientras que otra futura actriz, Eleonora Rossi Drago, fue descalificada porque estaba casada y era madre, condiciones que chocaban con el reglamento del concurso. Otra de las participantes fue Silvana Mangano. Este evento fue muy importante para la carrera de Gina Lollobrigida ya que le dio un renombre que le abriría las puertas del éxito. Se rumoreó que, tras verla en un film italiano, el excéntrico millonario Howard Hughes voló desde Hollywood en 1947 para verla, pero tal visita no hizo que ella se trasladara a los Estados Unidos: Gina permaneció en Italia, y en 1949 se casó con un médico esloveno llamado Milko Škofič. Con él tendría un hijo: Andrea Milko1 (Milko Škofič Jr.), pero la pareja terminó divorciándose en 1971. En 1950 Gina accedió a viajar a Hollywood contratada por Hughes, quien la acomodó en el hotel Town House de Wilshire Boulevard. Pero ella entonces hablaba muy poco inglés, y al cabo de seis semanas regresó a su casa por sentirse «vigilada permanentemente» por él. En estos años, trabajó en filmes italianos de directores como Luigi Zampa y Alberto Lattuada. Pero si atrajo la atención de los productores de Hollywood fue gracias a éxitos más taquilleros como Pan, amor y fantasía de Luigi Comencini (junto a Vittorio de Sica), por el cual fue nominada al premio BAFTA, y Fanfan la Tulipe (1952), de Christian-Jacque (junto a Gerard Philipe). El debut de Gina Lollobrigida en la industria estadounidense fue inmejorable: con un papel relevante en La burla del diablo (Beat the Devil, 1953), filme de John Huston rodado en Italia, donde compartió cartel con Humphrey Bogart y Jennifer Jones. Luego protagonizó la coproducción franco-italiana El gran juego de Robert Siodmak, y Crossed Swords con Errol Flynn, y fue alternando trabajos entre Hollywood e Italia. A medida que su fama iba creciendo, Lollobrigida ganaba más seguidores para ser considerada «la mujer más bella del mundo». Esta expresión recayó en ella por doble razón: era el título de una película en la que representó el papel principal, La mujer más guapa del mundo (La donna più bella del mondo, 1955), de Robert Z. Leonard, donde se codeó con Vittorio Gassman. El filme trata de la vida de la vedette, soprano y actriz cinematográfica Lina Cavalieri. Con este trabajo, Gina ganó el nuevo premio David de Donatello, instituido ese mismo año por la Academia de Cine italiana. Por posteriores filmes ganaría otros dos, aparte de dos honoríficos. 
FILMOGRAFIA
1997 XXL Gaby Berrebi 1995 Las cien y una noches L'actrice d'un jour 1984 Falcon Crest - Temporada 4 Episodios 7 - 8 - 9 - 10 - 11 Francesca Gioberti 1973 No encontré rosas para mi madre Netty 1972 El Hombre de Río Malo Alicia 1968 Buona sera, señora Campbell Carla Campbell 1968 Cerveza para todos Maria 1967 Cervantes Giulia 1964 La mujer de paja Maria Marcello 1963 Venus imperial Paulette Bonaparte 1961 Cuando llegue Septiembre Lisa Helena Fellini 1959 Cuando hierve la sangre Carla Vesari 1959 Salomón y la reina de Saba Sheba 1956 La mujer más guapa del mundo Lina Cavalieri 1956 Trapecio Lola 1953 La burla del diablo Maria Dannreuther 1951 A Tale of Five Cities Maria Severini 1951 Fanfan, el invencible Adeline 1949 Cuori senza frontiere Donata Sebastian
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de-la-mancha · 6 years ago
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Canetei seu sorriso numa linha
E a folha toda se apaixonou
Escrevi em mil metáforas
Só pra falar de você de novo
Cada vez que eu tivesse que explicar alguma
Aprendi que delícia
É o nome do gosto que seu nome
Deixa na minha boca
Sempre que eu te chamo
E quando debrucei minha esperança no seu sorriso
Eu descobri o pra sempre
Tudo isso começou na saída de uma festa
Quando sofri um acidente
Que mudou minha vida
Eu bati meus olhos em você
Desse dia em diante
Descobri que entre nós
Não existe "entre" e que
Quando você me encara, eu fico
Igual seu guarda roupas
Uma bagunça só
Antes me perguntava: Quantas galáxias
Já não morreram no vácuo que você me deixa
Depois entendi que, tinha que
Aprender te paquerar por satélites
Porque você mora no mundo da lua
Descobri que seus olhos eram um sol
Enquanto reparava numa
Constelação em suas pintas
E nessas liguei cada uma
Fazendo um céu no seu corpo
Só pra me sentir um astronauta
Cada vez que eu me joguei nos seus braços
Com você aprendi que amor
Tem que fazer salivar
Tem que ser aquele folheto de pizzaria
Que entra por de baixo de sua porta
Te espera em casa e
Te deixa cheia das vontades
Aprendi que amor é tirar o fôlego sem sufocar
É quando seu primeiro último beijo
Se repete em todo bom dia
É saber que o palmo é a distancia do paraíso
Quando se esta na frente de quem se gosta, e
Até eu te encontrar
O amor nem pensava em vir quando enfim
Um brilho no olhar
E um sonho em par
Pra mim, amar é assim
Talvez nosso erro foi ter ensaiado
Ao invés de ter vivido
As linhas da música que
Eu queria ter escrito pra você
Era pra gente ter sido mágica
Fomos apenas truque
E nosso amor virou
Feijão no pote de sorvete
O meio ponto que faltou
Pra gente passar de ano juntos
E fez com que meu coração em pedaços
Percebesse que seus cacos de vidro
Só refletiam selfies suas
Quando você foi embora
Descobri que o espaço que você abriu
No meu guarda roupas era menor do que
O buraco que sobrou no meu peito
Quando você tirou suas coisas de lá
De vez em quando
Passava nas mãos o creme
Que você deixou em casa
Que costumava passar depois do banho
Só pra ter a sensação que eu
Tinha acabado de te tocar
Devo dizer que escrevi seu nome
De canetinha na minha mão
Só pra ver se uma cigana via você
Na minha linha do destino
Desenhei corações nos mapas astrais
Só pra dizer que a culpa era das estrelas
Mas no fim, aprendi que
Amarração de amor é mão dada
O resto é só propaganda enganosa
Contigo aprendi que sotaque é a forma
Que a geografia encontrou pra ser sexy
E que gemido nada mais é que a
Tradução em vogais de uma historia
Que o tesão escreve pelo corpo
Meu bem
Me deixa ser a cura pra sua insônia
Me chama de sono e me pega
Faz meu sorriso se vestir com sua risada
E me afoga com desejos só
Pra justificar o boca a boca
Vamos ser a causa justa da solidão
Transformar o Instagram num
Álbum de casamento
E num teste de farmácia
Ver o substantivo positivo
Virar um nome próprio
Hoje de manhã fotografei nossa felicidade
Ela é a cara dos nossos filhos e
Até eu te encontrar
O amor nem pensava em vir, quando enfim
Um brilho no olhar
Um sonho em par
Pra mim, amar é assim
Com você longe, descobri
Que amor é ficar encarando
O telefone depois de uma briga
É entender que a diferença
Entre uma masmorra e uma fortaleza
É só a existência de uma porta
É quando se aprende
Que não existem apostas numa relação
Porque em todo jogo de bem me quer
Uma flor acaba mutilada
Me perdoa, por minhas frases
Às vezes parecerem a calçada da fama
Onde desfilam minhas famosas desculpas
E te peço, que se você for pôr
Palavras na minha boca
É bom que sua língua venha junto
E que o fim do nosso orgasmo
Seja o único desmancha prazeres entre a gente
Por mais que a vida fechou
Nossas portas em algum momento
Eu continuo endereçando sorrisos
Para sua caixa de correio
Meu bem, sempre fomos o
Último casal a deixar a pista
A esperança é quem apaga a luz
Do salão depois de varrê-lo
Daqui, as luzes ainda estão acessas
E por tudo que a gente viveu
Acho que a gente ainda merece uma dança
Fica aqui meu convite
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miguelmarias · 2 years ago
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Yo nunca pienso en Fellini
Yo nunca pienso en Fellini. Como tampoco en Kubrick ni en varios otros cineastas mundialmente considerados como "grandes", para algunos, incluso, de los más importantes o innovadores. No es que yo les niegue categoría ilustre, y en general tienden a gustarme, algunas mucho, la mayoría de sus películas. Es, simplemente, que no necesitaría —para poner ejemplos aún, para mí, mayores— a Orson Welles ni a S. M. Eisenstein para ser un empedernido cinéfilo, y sí a otros, incluso habitualmente o como promedio de sus filmografías quizás menos sobresalientes. Su fama o prestigio, sus premios o su supuesta trascendencia histórica me son francamente indiferentes, o al menos secundarios.
Cuando a uno le gusta mucho algo —y pueden apasionarle a uno muchas y muy diversas cosas, de la música a la pintura pasando por la literatura, además del cine—, es normal que sienta mayor afinidad por unos artistas que por otros, que comprenda mejor su modo de pensar o comparta su estética o su estrategia narrativa, que entienda o no su evolución, que nos crezcan o nos desilusionen a partir de un momento dado, lo que generalmente se debe a razones que ignoramos, que tal vez podamos intuir, pero que no lograremos saber con seguridad ni siquiera si lográsemos interrogarles, porque nada garantiza que nos dijesen la verdad, suponiendo que ellos mismos la supiesen. También pueden intrigarnos, despertar nuestra curiosidad o decepcionarla tras unos inicios muy prometedores.
Comprendo que se considere poco científico decir si una película nos resulta, es o cae simpática, indiferente o antipática, pero creo que ocultar ese dato, en absoluto irrelevante, supone una insinceridad, cuando no algo peor, una trampa. Y como no creo que el arte sea una ciencia, ni tampoco, al menos cuando es parcialmente o tentativamente artístico —que es el que de verdad me interesa e importa—, que el cine sea precisamente el producto de una actividad científica o industrial, no veo razón alguna que sustente la idea de que deba ejercerse por todo el mundo una supuesta "crítica científica" que suelen certificar como tal (y acaso leer, que no practicar) sus meros partidarios.
Valga esta advertencia para explicar que, no siéndome Fellini un autor cinematográfico —cosa que indudablemente fue siempre, y muy consciente y hasta deliberada y ostentosamente a partir de cierto momento— particularmente simpático o afín, y a veces resultarme, por el contrario, insuperablemente antipático —contaría entre las películas por las que menos afecto siento y cuya visión me provoca mayor impaciencia, ganas de desertar, fatiga y claustrofobia Otto e mezzo, Satyricon y La città delle donne —, en otros casos, como en el de Ginger e Fred, que es una de las últimas que realizó, me sucede, afortunadamente para mí, lo contrario, y más todavía que en casi todas las otras que prefiero de las suyas, como E la nave va.
Ginger e Fred me es enormemente simpática, la encuentro a la vez muy divertida, muy certeramente crítica y fundadamente melancólica, una sátira que no es cruel, sino sensible y generosa no solo para con sus personajes principales, venidos a menos, olvidados, envejecidos y todavía algo ilusos, pero que se resisten, siquiera por un rato, a sumirse en la depresión. Sobre todo la más equilibrada Ginger (Giulietta Masina), pero también, en el fondo, el más quejumbroso, decaído y solitario Fred (Marcello Mastroianni).
Los dos, a diferencia de la televisión berlusconiana (modelo hoy dominante en todos los países en que he visto algo de su programación televisiva) que les ha convocado como "viejas glorias" en un desfile caótico de variopintos personajes exóticos, estrafalarios o patéticos (un almirante senil, unos enanos de circo, varios imitadores o "dobles" de celebridades... a los que Fellini mira con cariño, dignidad, respeto y comprensión, aunque sean simples comparsas en la economía narrativa de la película) meramente para explotarlos como espectáculo y así rellenar el tiempo de un disparatado programa de Fin de Año, tan chapucero como hipócritamente sensiblero. Son personas, y no, como tantos personajes de Fellini post-La dolce vita, meras caricaturas casi monstruosas.
No se crea —alguna vez se ha insinuado— que en sus últimas películas Fellini empezase a chochear, y que se entregase a un cierto sentimentalismo nostálgico y reblandecido, que se considera típico del que, por envejecer y perder facultades y agilidad física y mental, no se siente a gusto en un mundo que ya no reconoce como el suyo, que está dejando de ser el que conocía y al que, mal que bien, estaba acostumbrado.
Su ironía, su capacidad para la caricatura —no hay que olvidar que era un magnífico dibujante, y muy propenso a acentuar y exagerar los rasgos más notables o reveladores de los que así "retrataba"—, su energía para criticar y rechazar lo que todavía le indignaba no son rasgos de envejecimiento y pasividad, sino de un espíritu aún despierto y con sentido crítico.
Lo que sí se encuentra, muy probablemente, en Ginger e Fred, es un espíritu de reunión, de reencuentro de Fellini y Masina con Mastroianni, si se quiere un poco navideño, y de homenaje de Fellini a su mujer. Eso hace que el director, tan egocéntrico otras veces, tan narcisista en las ocasiones en que más me incomoda, vuelva a la modestia muy poco aparatosa de sus primeras películas, más o menos las que van desde Lo Sceicco Bianco, pasando por I Vitelloni, La Strada, Il Bidone, hasta Le Notti di Cabiria. Cierto que sigue utilizando a Mastroianni como una especie de “alter ego” mejorado, lo cual no es precisamente un signo de modestia, aunque quizá se trate de una muy disculpable idealización.
Aclaro que he visto con paciencia crecientemente exasperada Otto e mezzo nada menos que nueve veces, lo que dudo hayan hecho muchos de sus fans, y que desde la primera (la vi cuando ya venía precedida de su al parecer eterna fama) me resultó escandalosamente decepcionante, un bluff monumental (de los muchos que ha habido, y cada año son más), una estafa intelectual y visualmente muy fea. Juicio que sucesivas revisiones íntegras sumamente esforzadas —la última hace unos seis meses— no han variado un ápice, sino que han acrecentado mi estupor e indignación.
Conste que no digo nunca que sea una película malísima, simplemente la encuentro detestable. Me parece deliberadamente confusa y efectista, y su fondo me resulta repulsivamente quejica y autocomplaciente. Lo no significa que yo vaya a emprender una inútil campaña contra su reputación. Envidio a quienes la disfrutan, yo la padezco en un ya abandonado intento de comprender no la película —que es de una obviedad insistente y reiterativa—, sino a sus fervorosos admiradores.
Tampoco veo que tenga la más mínima relación con el cine de la Nouvelle Vague y las diversas (y más bien efímeras) tentativas de "nuevos cines" que se expandieron hasta 1970 aproximadamente por todo el mundo. Fellini me parece un cineasta tradicional europeo, inicialmente "popular" y luego con ambiciones de "culto", que desbarra, se traiciona a sí mismo y se pierde cuando trata de aggiornarse, cambiando su estilo por postizas y nada brillantes imitaciones de ciertos efectismos plásticos y estructurales totalmente ajenos a su modo de hacer y entender el cine, sin duda por temor a quedarse anticuado, como les sucedió también a algunos otros europeos y hasta a varios americanos. Unos copiaban (mezclándolos a veces incoherentemente) al Resnais de L'Année dernière à Marienbad (nunca el de Hiroshima mon amour o Muriel), otros a Antonioni (sólo el de la "trilogía" y luego Blowup, nunca el de Il grido), otros À bout de souffle, otros, detalles de Jules et Jim, otros al Richard Lester (!) de The Knack, o Petulia, en general con resultados desastrosos.
Para mí ha sido siempre un enigma indescifrable la cantidad de directores de cine (empezando por Truffaut, a quien no le pega nada, y que hizo la muy opuesta, aunque para mí muy insincera y mitificadora La Nuit américaine) que se han declarado fanáticos admiradores de Otto e mezzo, que yo encuentro una película indicada para disuadir del deseo de ser director de cine, en especial si se padece un caos mental y vital como el de su protagonista (y, encima, casi todos los restantes personajes). Claro que ninguno de esos directores lo ha justificado de modo mínimamente coherente —¿quizá aspiran a ser compadecidos?—, lo mismo que los turiferarios de la película no han logrado nunca convencerme ni siquiera de que de veras les gusta mucho, y menos aún de que encuentran para ello buenas razones no imaginarias o alucinatorias. Como mucho, me creo que le hayan hallado algo de interés, tipo "confesión íntima de un artista en crisis", lo cual me parece de un interés muy relativo y no demasiado original. Prefiero, quitando o limando lo confesional, Mia madre de Nanni Moretti, Le Mépris de Jean-Luc Godard, Tout va bien de Godard & Gorin, Sullivan's Travels de Preston Sturges, Fake y Filming Othello de Orson Welles o Two Weeks in Another Town y The Bad and the Beautiful de Vincente Minnelli, entre otras.
Lo que la Nouvelle Vague hace, en algunas de las primeras películas de algunos directores (ni a quince llegarán), y a mi modo de ver, se trata de su aportación más profunda y fundamental, es introducir en el cine la "primera persona", cosa que ni Griffith ni Chaplin ni Murnau ni Stroheim ni Eisenstein ni Renoir ni Welles habían hecho. Pero que sea el cineasta quien interpela a los espectadores, tanto a través de algún personaje como oblicua o incluso directamente (a través de los movimientos de cámara, los encuadres, una voz en off o su propia voz, su caligrafía, alusiones a sus gustos o admiraciones, etc.) no es lo mismo que convertir sus películas en episodios autobiográficos más o menos ficcionalizados o exagerados,  para hablar exclusivamente de uno mismo, que es lo que Fellini tiende a hacer desde Otto e mezzo, unas veces de modo más discreto (Roma), otras de manera más interesante y poética (en grado decreciente, Giulietta degli Spiriti, Amarcord, La Voce della Luna), donde mejor lo logra, a mi juicio, es en la más modesta y personal, y menos egocéntrica, I clowns.
Y ese narcisismo desborda gran parte de su filmografía, incluso en películas aparentemente narradas en tercera persona y con personajes menos relacionables con el propio Federico Fellini, pero que suelen ser más bien títeres que personas, caricaturas más que retratos, en planos obesos y recargados. Son a menudo películas que calificaría de elefantiásicas y sudorosas. No sé yo si la "modernidad" —concepto siempre borroso y muy poco precisamente definido en términos cinematográficos— está ya muy anticuada, lo mismo que lo "posmoderno", que en buena medida son fads y a veces camelos culturales, a mi entender hoy de muy escasa utilidad y dudosa pertinencia para un discurso sobre el cine que ha dejado de existir en la práctica, fuera del terreno académico, pero en cualquier caso me parece que, si nos atenemos a Rossellini o Bresson como ejemplos totémicos hacia 1945 —pero ¿por qué diablos no precedentes como Mizoguchi desde 1936, Renoir incluso antes, desde los primeros 30, Ophuls también desde esas mismas fechas, Dreyer desde Vampyr...?—, Fellini no tiene nada que ver con ningún concepto de modernidad, y particularmente no a partir de la impostura que representa Otto e mezzo.
Para mí, Fellini es un epígono del neorrealismo, del cual no todo ni a lo largo de todas las filmografías puede considerarse "cine moderno", mientras que para mí son, en cambio, piezas capitales del trayecto a la "modernidad" autores como Bergman —en particular hacia Till glädje, Sommarlek, Sommaren med Monika— o Jean Cocteau, Jean Rouch o Jacques Tati (y no Jean Grémillon ni Boris Barnet, porque por entonces nadie les prestaba atención o eran ignorados). Coqueteos tardíos e impostados con una suerte de expresionismo extemporáneo, lo mismo que pretendidos detalles oníricos o surreales que más huelen a René Clair que a Buñuel o Jean Epstein, no me parecen ni siquiera signos de modernidad, aparte de no ser esenciales, sino epidérmicos, si acaso tentativas un poco desesperadas de mantenerse "de actualidad". Suponiendo que la cuestión de la modernidad y la posible adscripción a ella de Fellini tenga alguna importancia, que para mí no tiene ninguna, la vería más bien en Le notti di Cabiria o en La dolce vita —que desciende de Rossellini a través de Antonioni—que en Otto e mezzo. De hecho, lo que encuentro mero maquillaje y gesticulación en esta película se interioriza e integra con éxito notable en la curiosamente menospreciada Giulietta degli Spiriti, que para mí es —tal vez subconscientemente— una inversión de la película precedente (color frente a blanco y negro, mujer frente a hombre, interioridad frente a externalidad, intimismo frente a espectáculo, retrato frente a pista de circo).
Yo no hablo en términos de que todos se equivocan y yo tengo razón. Simplemente, para mí carece de toda base la presentación de Otto e mezzo como paradigma de cualquier concepto de "modernidad", que, por otra parte, me parece en sí un rasgo accidental y transitorio, no un ideal o una meta por alcanzar. À bout de souffle, Hiroshima mon amour, Les 400 Coups, Tirez sur le pianiste, Jules et Jim pudieron ser o parecer, entre 1959 y quizá 1969, muestras de modernidad; hoy para mí son cine clásico de alrededor de los 60, que no es idéntico al de los 50, como este no lo era al de los 40, 30, 20 o 10.
Es curioso lo rápidamente que lo rupturista, vanguardista, experimental se ve absorbido y asimilado por el curso general o mainstream del cine, que son las permanentes transformaciones del clasicismo. No me parecen alardes de modernidad ni Citizen Kane ni Ivan Groznií-Boiardskií zágovor, que retoman barrocamente en combinación heteróclita elementos formales olvidados del cine de los años veinte y elementos narrativos de amplia tradición en la literatura, ni para mí consiste en que hagan montaje cut más a menudo, o muevan la cámara más "arbitrariamente", o empleen (como mucho cine previo) una dirección/interpretación de los actores no naturalista.
Para mí, el factor básico es que aporten algo verdaderamente nuevo, y eso es, creo yo, la expresión en primera persona del director, cosa que para mí se da sólo muy relativamente en Fellini en Otto e mezzo, porque en realidad no se dirige, creo yo, a nadie, sino que se limita a mirarse en el espejo (deformante, para colmo).
Por lo demás, debo decir que no tengo afición alguna a poner etiquetas y pegárselas a los cineastas o escritores para meterlos a empujones en unas casillas que tampoco me interesan. Y esto es algo de lo que no hago proselitismo: pese a las muchas veces que he visto Otto e mezzo y lo que me gustan otras (la mayoría) de las películas de Fellini, nunca voy a tomarlo por uno de los "grandes" (la segunda fila no es mal lugar, creo yo) cineastas de la Historia, ni un innovador en nada, ni un confesor sincero y torturado de sus sufrimientos del parto artístico. Para mí, le pasa algo semejante a James Joyce, gran poeta, en mi opinión, muy buen cuentista y hasta muy buen novelista inicialmente, pero que se me hunde con el Ulysses y Finnegan's Wake, que considero imposturas pseudovanguardistas pretenciosas e insoportables. Escribir mil veces “moocow” (en español, "múvaca") y cosas parecidas se me antoja una tomadura de pelo sin gracia. No lo puedo evitar y, por tanto, nunca voy a decir lo que no pienso por mucho que el mundo entero diga lo contrario. Como, además, muchos lo dicen sin fundamento ni conocimiento, simplemente por ser "consensual" y aceptable, no "heterodoxo", son valoraciones que me importan un comino.
No veo por lado alguno una vertiente "barroca" de la "modernidad" ni veo modernidad en ningún manierismo. El neorrealismo también se mueve, y ya se lo censuraron a Rossellini desde L’Amore (con Fellini en guión y en pantalla), Stromboli, Europa 51, Viaggio in Italia, e inventaron variantes burlonas para Castellani, Comencini o Emmer, que para mí continúan el neorrealismo y hasta anuncian el cinema nuovo de los 60. Por tanto, Fellini puede ser (lo mismo que Germi) neorrealista (¡pero de 1965!) en Giulietta (es un poco su Europa 51, con respecto a sus parejas/actrices respectivas), y si se quiere, lo es más aún en I clowns o en Ginger e Fred, con las diferencias que va provocando la evolución del medio y de los tiempos.
Pese a la influencia (superficial y pésima, por suerte no muy duradera) de Otto e mezzo en muchos cineastas (sobre todo checos, polacos, húngaros y similares; no la veo en el conjunto del cine mundial, ni siquiera en el italiano; grotesca y dañina en Mickey One de Penn) no creo que se pueda considerar Otto e mezzo como representativo o significativo, salvo como fenómeno sociológico y cultural (y menos que La dolce vita).
Yo creo que Fellini es un caso individual muy particular y más bien marginal, de talento notable, pero poco autocrítico y, por tanto, más bien incontrolado o mal administrado, cuyo repentino barroquismo hecho añicos en Otto e mezzo no veo que influyera gran cosa ni en admiradores confesos (o más bien proclamados) como Bergman o Woody Allen, ni que cambiara ni dos milímetros el curso general del cine, aunque puede que hundiera del todo en la nada a Z. Brynich, Gideon Bachmann, Lina Wertmüller, Brunello Rondi o Tinto Brass, y a algunos copistas poco afortunados (Sorrentino, Benigni, Virzì), cuyos remedos son patentes como tales y ridículos como emulación.
Ya advertí desde el comienzo que no pretendo destronar de ningún trono a Fellini (que debe estar entre mis 150 o 200 directores favoritos de la historia del cine), simplemente a mí no me entrará nunca entre los 60 o 70 que prefiero, y cuyo lugar no está nunca determinado por supuestas clasificaciones estéticas ni por consideraciones históricas. Los lugares de Barnet, Donskoí, Mizoguchi, Naruse, Tanaka Kinuyô, Ozu, Shimizu, Shimazu, Goshô, Buñuel, Borzage, Pialat, Eustache, Godard, Kinoshita, Solntseva, Straub, Resnais, Dwan, Rouch, Raízman, Stahl, Wellman, Matarazzo, Kurosawa, Minnelli, Sirk, Ghatak, Dutt, S. Ray, J. Tourneur, N. Ray, Mankiewicz, Jacques Becker, Fuller, Griffith, Lubitsch, Ford, Renoir, Ophuls, Preminger, Stroheim, Lumière, Chaplin, Keaton, Walsh, Hitchcock, McCarey, Capra, Marker, Rossellini, Vertov, Cherd Songsri, Aparna Sen, Pagnol, Guitry, La Cava, Ruth Ann Baldwin, Tod Browning, Richard Fleischer, Grémillon, Dovzhenko, Cottafavi y compañía no me los dicta nadie.
Como a veces se toma por una exageración mi impulso de fuga precipitada (aunque todas las he visto enteras) por mi reacción de alergia/intolerancia no solo intelectual y estética, sino física hacia Otto e mezzo, Satyricon y La città delle donne (por cierto, todas ellas, a mi entender, de lo más misógino que he visto), en las que encuentro instintivamente una sobresaturación de elementos, rasgos y tendencias que existen en menor grado o más livianamente en varias otras películas de Fellini (por ejemplo, en Amarcord o Il Casanova di Federico Fellini, que, sin embargo, me gustan mucho a pesar de esos elementos).
No es algo deliberado ni previsible, no recuerdo que me haya pasado con otras películas, ni de Fellini ni de nadie. Con una de ellas, escapé a media película desde la mitad de la fila en un festival, no recuerdo si era Valladolid, pese a lo mucho que me molestaba tener que incomodar a los sentados en mi fila, pero, la verdad, no podía soportarlo. Igual que descubrí hacia 1965 una secreta afinidad entre el primer Godard y Nicholas Ray mediante una reacción física que se mantuvo durante años, porque corría literalmente por la calle —suelo caminar rápido, no voy por ahí a la carrera— al salir de À bout de souffle, Alphaville, Vivre sa vie, Pierrot le fou, Bande à part, Le Mépris, Les Carabiniers, Le Petit Soldat, Une femme est une femme, Masculin Féminin, 2 ou 3 choses que je sais d'elle y Made in USA, por un lado, y Party Girl, Rebel Without a Cause, The Savage Innocents, The True Story of Jesse James, The Lusty Men, On Dangerous Ground, Run for Cover, In a Lonely Place, Johnny Guitar, Hot Blood, They Live by Night, Bigger Than Life y Wind Across the Everglades por otro (La Chinoise y Week End, como King of Kings y 55 Days at Peking no tuvieron lo que hiciera falta para provocarme esa reacción), pues es algo parecido (aunque opuesto), para lo que carezco de explicación, lo que me sucede con tres filmes de Fellini. Unos me repelen, otros me conmueven. En ambos casos, es seguramente una reacción aún juvenil (digamos que hasta los 20 o 25 años), ahora me emocionan más Renoir y Ford. Creo que son restos de los perdidos instintos animales. Me pasa con las personas, nada más verlas me caen bien o mal, lo cual me irritaba por parecerme un prejuicio injustificado, que trataba de combatir, pero con el tiempo me he ido dando cuenta de que esa primera reacción, completada por si eran o no de fiar y según en qué cuestiones o temas, al final era acertada.
Cuando hablo de influencia de Rossellini en Antonioni y de ambos en Fellini (y la hay en todas direcciones hasta 1955 o así) no me refiero a la de un maestro sobre sus discípulos, sino a la que puede existir entre compañeros, colegas y amigos de más o menos la misma edad (tanto física como cinematográfica). Rossellini era de 1906, Antonioni de 1912 y Fellini de 1920. Entre Rossellini y Fellini había una distancia de 14 años de edad física, pero de bastantes menos cinematográfica y hasta como directores. Entre Rossellini y Antonioni había solo seis años. Por otra parte, Fellini realiza una larga y variopinta labor como guionista, no siempre acreditado, y varias veces trabaja con Rossellini. Y Antonioni es uno de los guionistas de Lo Sceicco Bianco. Luego tendrían sus piques o rivalidades personales, artísticas y políticas, pero inicialmente Rossellini, el mayor y el que empezó antes, tuvo una cierta influencia en Antonioni y Fellini, lo que no significa que Fellini no la tenga a su vez en varias obras de Rossellini (en Antonioni no lo aseguraría). Lo mismo que la tiene más o menos en todos Zavattini. Desde un origen aproximadamente común, luego cada uno va cambiando y se van diferenciando, pero yo diría que Fellini hasta Otto e mezzo y Antonioni hasta Blowup siguen avanzando por los senderos trazados en el período neorrealista (incluso en La dolce vita e II deserto rosso), cada cual a su aire. Unas me gustan más y otras menos, pero entre Angst/La Paura, Il grido y Le notti di Cabiria yo veo que sigue habiendo relación, incluso se podrían ver como obras paralelas.
Para explicar por qué me gustan mucho unas películas de Fellini y otras nada, me temo que necesitaría un libro, y tengo muy claro que, si aún escribo alguno más, que lo dudo, no va a ser sobre Fellini.
Por si así logro aclarar algo, diría que mis Fellini preferidos son: 1. Le notti di Cabiria(1957), 2. Ginger e Fred(1985/6), 3. E la nave va(1983), 4. Fellini I Clowns(1970), 5. Il Bidone(1955), 6. La dolce vita(1960), 7. Giulietta degli Spiriti(1965), 8. La Strada(1954).
Me gustan mucho también, pero un poco menos: 9. Il Casanova di Federico Fellini(1976), 10. Amarcord(1973), 11. I Vitelloni(1953), 12. Lo Sceicco Bianco(1952), 13. Toby Dammit(en Histoires extraordinaires, 1968). 
Aún me gustan, pero ya no tanto, al menos no totalmente logradas: 14. La Voce della Luna(1990), 15.  Fellini Roma(1972), 16. Intervista(1987), 17. Prova d'orchestra(1978), 18. Agenzia matrimoniale(en Amore in città, 1953), 19. Luci del varietà(codirigida por Alberto Lattuada, 1950).
Y ya no me gustan nada solamente: 20. Fellini Otto e mezzo(1963), 21. Le tentazioni del Dottore Antonio(en Boccaccio '70, 1962), 22. A Director's Notebook(1969), 23. Fellini Satyricon(1969), 24. La città delle donne(1980).
Como se ve, un caos cronológico, aunque sí veo significativo (no sé si por deseo suyo o de productores/distribuidores) la proliferación de su apellido a partir de Otto e mezzo. Tampoco me aclara nada ni la presencia o ausencia de determinados actores (Mastroianni está en varias de las mejores y en dos de las para mí peores) o guionistas: Bernardino Zapponi y Brunello Rondi serían sospechosos si no estuviesen por todas partes, y en Otto e mezzo, acompañados por Ennio Flaiano y Tullio Pinelli.
Como dije, no sé yo si debo hablar de Fellini.
Miguel Marías
En “Rondas, fanfarrias y melancolías: aproximaciones a la obra de Federico Fellini”. Editado por la Universidad de Lima. 2020.
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kim0071 · 3 years ago
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Te escrevi mil metáforas,
Só pra falar de você de novo cada vez que tivesse que explicar alguma.
Aprendi que delícia
É o nome do gosto que seu nome deixou na minha boca sempre que eu te chamava, e quando debrucei minha esperança no seus olhos, eu descobri o pra sempre.
Tudo isso começou na saída de uma festa
Quando sofri um acidente
Que mudou minha vida
Meu te amo bateu no seu
Desse dia em diante, descobri que
Entre “nós” não existe “entre” e que quando você me encarava eu ficava igual seu guarda roupas, uma bagunça só.
Descobri que seus olhos eram um sol
Enquanto eu reparava numa constelação em suas pintas, e nessas liguei cada uma fazendo um céu no seu corpo, só pra me sentir astronauta cada vez que me joguei nos seus braços.
Com você aprendi que amor é tirar o fôlego sem sufocar
É quando seu primeiro último beijo, se repete em todo bom dia, é saber que o palmo é a distância do paraíso quando se está na frente de quem se gosta.
Talvez nosso erro foi ter ensaiado ao invés de ter vivido
As linhas da música que eu queria ter escrito pra você.
Era pra gente ter sido mágica
Fomos apenas um truque
E nosso amor virou feijão no pote de sorvete.
O meio ponto que faltou pra gente passar de anos juntas, e fez com que meu coração em pedaços percebesse que o seu se recuperaria fácil.
Quando você foi embora, descobri que o espaço que você abriu no meu guarda roupas era menor do que o buraco que sobrou no meu peito, quando você tirou suas coisas de lá.
De vez em quando, passava nas mãos o creme que você usava, que costumava passar depois do banho, só pra ter a sensação que eu tinha acabado de te tocar.
Devo dizer que escrevi seu nome de canetinha na minha mão, só pra ver se uma cigana via você na minha linha do destino.
Desenhei corações nos mapas astrais, só pra dizer que a culpa era das estrelas, mas no fim, aprendi que amarração de amor é mão dada, o resto é só propaganda enganosa.
Contigo aprendi que um gemido nada mais é que a tradução em vogais de uma história que, o tesão escreveu pelo corpo.
Meu bem,
Me deixa ser a cura pra sua insônia
Me chama de sono e me pega
Faz meu sorriso se vestir com sua risada
E me afoga com desejos só
Pra justificar o boca a boca.
Vamos ser a causa justa da solidão
Transformar o Instagram num álbum de casamento.
Com você longe, descobri que
Amor é ficar encarando o telefone depois de uma briga.
É entender que a diferença entra uma masmorra e uma fortaleza é só a existência de uma porta.
É quando se aprende que não existem apostas numa relação, porque em todo jogo de bem me quer, uma flor acaba mutilada.
Me perdoa por minhas frases,
As vezes parecem a calçada da fama, onde desfilam famosas desculpas, e te peço, que se você for pôr palavras na minha boca, é bom que sua língua venha junto. E que o fim do nosso orgasmo seja o único desmancha prazeres entre a gente.
Por mais que a vida fechou nossas portas em algum momento, eu continuo endereçando sorrisos para sua caixa da correio.
Meu bem, sempre fomos o melhor casal da pista de dança. A esperança é quem apaga a luz do salão depois de varrê-lo, daqui, as luzes ainda estão acesas, e por tudo que a gente viveu, acho que a gente ainda merece uma última dança.
Fica aqui o meu convite.
- Ajami Marcello Gugu (com algumas alterações)
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jacopocioni · 3 years ago
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Famiglia Machiavelli
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Un rappresentante di questa famiglia raggiunse la carica di Cancelliere della Repubblica Fiorentina. La famiglia Machiavelli proveniva dalla Val di Pesa, dove avevano terre, castelli e chiese. Un ramo popolare di questa famiglia, si inurbò in Firenze nel quartiere di Oltrarno alla metà del XIII secolo. Il capo stipite da cui discendevano era un certo Buoninsegna di Agnolo Machiavelli, vissuto al tempo di Dante. Mercante e uomo politico, era nato forse nel 1250 iscritto come il padre all’Arte di Calimala. Nel 1261 iniziò la collaborazione con la Compagnia mercantile dei Bardi legandosi anche con matrimoni. Buoninsegna, associava l’attività di mercante, con il prestito di denaro, da restituire con interessi altissimi considerati usurari, guadagnandosi la fama di usuraio anche se non lo era. I Machiavelli furono molto abili nei commerci e si annoverano fra coloro che ebbero cariche politiche. Nelle Magistrature ci furono dodici Gonfalonieri e cinquantaquattro Priori. Essendo Guelfi, dopo la sconfitta di Montaperti andarono in esilio, poi dopo la morte di Manfredi nella Battaglia di Benevento, rientrarono in Firenze riprendendo il possesso dei loro averi, per non lasciarla più. Bernardo figlio di Buoninsegna divenne dottore in legge, non esercitò la professione di Giudice. Quel poco che fece lo riservò a parenti e amici, facendosi pagare le sue prestazioni in vettovaglie, vivendo una modesta vita. Sposò Bartolomea de Nelli, da questo matrimonio nacquero: Primavera nel 1465, Margherita nel 1468, Niccolò nel 1469, e Totto nel 1475, divenuto in seguito ecclesiastico. Niccolò iniziò a studiare la grammatica nel 1476, l’abaco nel 1480, il latino nel 1481 da Ser Paolo Sasso da Ronciglione, professore di grammatica dello Studio fiorentino. Queste notizie si rilevano da un Libro di Ricordi tenuto da Bernardo, che copre un lasso di tempo dal 1474 al 1487. Dopo la morte del Magnifico Niccolò, si avvicinò a Giuliano de Medici, dedicandogli un capitolo pastorale in terza rima: “Poscia che a l’ombra”, e una canzone a ballo: “Se avessi l’arco e l’ale”. Dopo la cacciata dei Medici, si unì alla nobiltà che appoggiava il Savonarola, per poi tradirlo per salvare i propri interessi. Dopo il supplizio del frate nel maggio 1494, venne designato e in seguito nominato Segretario alla seconda Cancelleria, e dal successivo giugno Segretario dei Dieci. Si pensa che fosse appoggiato nelle nomine da Marcello Virgilio primo Cancelliere dal febbraio 1494. Niccolò era stato allievo del Virgilio anche ad un corso di greco tenuto allo Studio. Nel luglio del 1499, ebbe il primo incarico diplomatico, in missione a Forlì dalla Contessa Caterina Sforza.
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Nel millecinquecento in compagnia di Francesco della Casa, va in Francia dal Re Luigi XII, per ricevere aiuti nella guerra contro Pisa. Al ritorno dalla missione in terra francese sposa Marietta Corsini. Dal matrimonio nacquero: Primerana 1501, Bernardo 1503, Lodovico 1504, Guido 1512, Piero 1514, e Bartolomea detta “Baccina”1520. Con il Gonfaloniere Pier Soderini di cui era coadiutore, si recò come ambasciatore da Cesare Borgia che aveva conquistato il Ducato di Urbino. Andò in missione a Roma per il conclave dal quale uscì eletto Giulio II. Negli anni seguenti venne mandato molte volte in Francia. In Firenze si legò a Pier Soderini diventato nel 1502 Gonfaloniere perpetuo.
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Durante il suo governo il Soderini, su suggerimento di Nicolò, riformò l’Erario cittadino e l’Ordinamento Giudiziario, l’istituzione della Corte d’Appello detta della “Quarantia” e del Tribunale della Ruota. Istituì la milizia cittadina stanziale chiamata “dell’Ordinanza” formata solamente da cittadini fiorentini dai 18 ai 40 anni. Il Machiavelli era contrario all’ingaggio delle Compagnie di Ventura, che a suo dire non combattevano con il dovuto spirito ed erano sempre pronte a passare da chi li pagava meglio. Portò a termine vittoriosamente la guerra contro la ribelle Pisa. Il Machiavelli era contrario alla debole politica del Gonfaloniere contestandolo duramente, tanto che quando il Soderini morì lo bollò con questi salaci versi: “La notte che morì Pier Soderini l’anima andò dell’inferno alla bocca; ma Pluto le gridò: Anima sciocca! Che inferno! Vanne al Limbo con i bambini!" Con il ritorno dei Medici, Nicolò viene sollevato dai suoi incarichi presso la Cancelleria, ed esiliato per un anno a Sant’Andrea in Percussina presso San Casciano Val di Pesa nelle sue terre, dove passa il tempo scrivendo e giocando a zecchinetta alla Locanda della Posta con l’oste ed un beccaio, come ricorderà in seguito con parole sue “ingaglioffendosi”. Rientrato a Firenze, è accusato di essere stato a conoscenza di un complotto per rovesciare i Medici, ordito da dei nobili fra i quali Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, come lui frequentatori del cenacolo degli Orti Oricellari. Il Machiavelli se la cava con qualche tratto di corda al Bargello, mentre i due sfortunati giovani vengono condannati a morte con il taglio della testa. La sentenza viene eseguita il 23. Febbraio 1513.
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Durante l’esilio forzato nuovamente in Percussina scrive due opere che avranno fama in tutto il mondo: i “Discorsi sopra la deca di Tito Livio”, e “il Principe” che dedicherà ai Medici. Rientrerà in Firenze nel 1516, accolto con sospetto e freddezza. Riprenderà a frequentare gli Orti Oricellari, sorvegliato dalla polizia medicea. I Medici sospettano che in quegli incontri non si parli solamente di letteratura e filosofia, ma si cerchi di riportare in vita la Repubblica. Negli ultimi anni della sua vita il Machiavelli scrive un'opera teatrale diventata famosa: “la Mandragola”, seguita “dall’Arcidiavolo”, “la Vita di Castruccio Castracani”, “l’Arte della Guerra”, e le “Storie fiorentine di cronaca cittadina”. Viene a mancare il 27 giugno del 1527, evitando di assistere all’assedio di Firenze e la gloriosa fine dell’epopea della Repubblica Fiorentina.
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Uno dei figli di Nicolò; Piero, fece regolari studi, ma non seguì le orme del padre e non entrò in politica. Fu soldato in un esercito che nel 1531 andò a combattere i Turchi. Quando Cosimo de Medici arriva al potere, Piero è al suo servizio come Generale Commissario nelle battaglie sul mare della flotta Toscana contro gli Ottomani. In seguito è nominato Cavaliere di Santo Stefano e Luogotenente di Cosimo sul mare. Viene incaricato di andare per mare a Civitavecchia, a ritirare una colonna regalata dal Papa Pio IV. Sembra una gita di piacere, ma durate la navigazione verso Pisa, la nave dell’Ammiraglio deve difendersi vittoriosamente dall’assalto dei Turchi. Piero a differenza del padre che conobbe l’esilio, venne incarcerato alle Stinche. Questa storia è narrata da suo fratello Guido. Piero, nelle terre di famiglia a San Casciano, aveva fatto scavare una buca. Non si conosce il motivo per il quale era stata fatta. Purtroppo, vi cadde dentro morendo affogato (per la pioggia si era riempita d’acqua) un beccaio. Accusato di aver procurato la morte dell’uomo, venne incarcerato. Dopo qualche tempo venne liberato dal Duca Alessandro in occasione del proprio matrimonio con la figlia dell’Imperatore Carlo V.
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Alberto Chiarugi Read the full article
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