#manipolazione linguistica
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i-libri-di-ale · 2 months ago
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La Propaganda di Guerra: Strumenti di Manipolazione e Controllo delle Masse
La propaganda di guerra è uno degli strumenti più potenti utilizzati dai governi e dai gruppi di potere per manipolare l’opinione pubblica e orientare il consenso a favore di conflitti armati. Nel corso della storia, la propaganda è stata essenziale per costruire supporto, giustificare azioni militari e demonizzare i nemici. Questo fenomeno, che ha radici profonde, continua ad avere un impatto…
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crazy-so-na-sega · 2 years ago
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L'IA pensa, e noi?
28 Gennaio 2023
Non è l’intelligenza artificiale che ha imparato a pensare come noi, siamo noi che abbiamo smesso di pensare come persone e la colpa maggiore, mi dispiace dirlo, l’abbiamo noi filosofi e, in qualche misura, scienziati e psicologi. Mi spiego. Per chi non sia stato chiuso in un rifugio antiatomico durante gli ultimi 6 mesi, una serie di nuovi algoritmi generativi, addestrati su enormi quantità di dati provenienti dagli esseri umani, ha sviluppato la capacità di produrre testi, suoni e immagini. Chiunque li abbia testati (fatelo, è gratis, provate) è rimasto sorpreso e meravigliato: l’impressione è che questi algoritmi siano in grado di cogliere la struttura del pensiero degli esseri umani e di declinarla in nuove combinazioni. ChatGPT, forse il più famoso, è in grado di scrivere poesie, rispondere a domande su qualsiasi argomento, scrivere testi e relazioni. Sembra proprio che ChatGPT sia come noi.
Sono stati scritti fiumi di parole sulle loro potenzialità e rischi – dal problema del diritto di autore fino agli effetti sul sistema scolastico. Non c’è dubbio che abbiano capacità finora impensate e che il loro impatto sarà profondo e irreversibile, ma la domanda è un’altra: siamo sicuri che il pensiero sia semplicemente la manipolazione di simboli e la produzione di contenuti?
È un fatto che, tra i testi prodotti da ChatGPT e quelli scritti dagli esseri umani, non ci siano differenze evidenti e questa somiglianza contiene una minaccia. Molti studiosi di varia estrazione temono il giorno in cui queste intelligenze artificiali saranno in grado di produrre contenuti analoghi a quelli che loro, in tanti anni, hanno imparato a produrre con fatica e sforzo. Non c’è speranza dunque? Siamo diventati obsoleti? Stiamo per essere superati dall’Intelligenza Artificiale in quello che pensavamo essere la nostra capacità più essenziale? Ovvero il pensiero?
Nella domanda si nasconde la risposta. Già il fatto di porsi questa domanda implica che il pensiero sia stato declassato a calcolo, operatività, ricombinazione. Ma è proprio così? In realtà, ci sono due modi di intendere il pensiero: come manipolazione dei simboli o come manifestazioni della realtà. Il primo modo è stato declinato in tanti modi, apparentemente moderni – dalla macchina di Turing ai giochi linguistici di Wittgenstein, dalla svolta linguistica all’intelligenza artificiale odierna. Si sposa con l’idea che la casa del pensiero sia il linguaggio e che quest’ultimo, in fondo, non sia altro che una continua ricombinazione di simboli; un’idea popolare che ha trovato ulteriore supporto nella teoria dell’informazione e nella genetica. Tutto è informazione, scriveva il fisico John Archibald Wheeler. L’informazione non è altro che una serie di simboli e il pensare è il loro ricombinarsi. Tutto questo è molto convincente (è quasi una versione operazionale dell’idealismo di Kant), ma lascia fuori qualcosa di fondamentale: la realtà.
La realtà è un termine scomodo, quasi fastidioso, per alcuni. Da Kant alle neuroscienze, ci sentiamo ripetere che non possiamo conoscere il mondo, ma solo le nostre rappresentazioni (che non sono mai del tutto affidabili). Anche autori recenti con un certo seguito nel mondo della scienza e della filosofia pop – da Donald Hoffman a Slavoj Žižek – non perdono occasione di metterci in guardia dal prendere sul serio la realtà.  E così il pensiero, un passo alla volta, si svuota di significato. Le parole sono sempre più simboli all’interno di un universo di simboli e sempre meno la manifestazione di qualcosa di reale.
Anche i social network prima e il metaverso poi ci portano in un mondo digitale sempre più staccato dalla realtà, dove digitare parole che producono altre parole, in un labirinto di simboli e di like autoreferenziali sembra essere l’unico obiettivo. In questo mondo di rappresentazioni digitali fini a se stesse, ChatGPT è come noi. Anzi, è meglio di noi. Non c’è partita. L’IA, come nel famoso racconto di Frederick Brown,  sta per diventare il dio della realtà fatta di soli simboli privi di significato. 
Al di là di questo entusiasmo per il pensiero ridotto a calcolo di nuove combinazioni, esiste un’altra grande intuizione sulla natura del pensiero secondo la quale noi non saremmo solo manipolatori di simboli, bensì momenti dell’esistenza. Ognuno di noi sarebbe un’occasione che ha la realtà per essere vera.
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In questa visione, la persona non è solo una calcolatrice, ma una unità dell’esistere. È una prospettiva oggi impopolare, abituati come siamo al gergo informatico e tecnologico (dove la computer science è, per dirla con Gramsci, egemonica). Il pensiero non è né un flusso di concetti né una sequenza di operazioni, ma è il punto in cui la realtà si manifesta. Il pensiero acquista significato se è illuminato dalla realtà; qualcosa che non si può ridurre ad algoritmo, ma che non è, per questo, meno vero. Il significato delle nostre parole non dipende dalla correttezza della loro grammatica, ma dalla realtà che attraverso di esse si manifesta nel linguaggio.
Questi due atteggiamenti corrispondono a modi di essere incompatibili e attraversano arte, scienza e filosofia. Il primo è interno al discorso, il secondo buca il livello dialogico per arrivare (o cercare di arrivare) alla realtà. Tra i due campi non c’è simpatia, anzi esplicito disprezzo. Bucare il livello dialogico e andare oltre non è facile. Se il mondo dell’informazione fosse una grande città che cresce progressivamente diventando sempre più estesa, il mondo esterno diventerebbe sempre più lontano e irraggiungibile. Molte persone non uscirebbero mai dalla città, trovando al suo interno tutto ciò che desiderano e non sentendo la necessità di raggiungerne i confini. E così i filosofi diventano filosofologi, i matematici platonisti e gli scienziati si muovono solo dentro i confini rassicuranti di paradigmi autoreferenziali. L’arte diventa sempre più manieristica e il pensiero sempre più un esercizio barocco di stile. Non lo vedete tutto intorno a voi? Lo ha detto bene un non-filosofo come Manuel Agnelli alla sua laurea ad Honorem alla IULM: l’arte è morta perché è diventata figlia di una cultura autoreferenziale del numero e del consenso. Non ci rendiamo conto della fame di valore e di significato che ognuno di noi insegue?
Filosofi e scienziati si sono trovati a condividere quello che sembra essere soltanto una deformazione professionale: troppo tempo sui loro codici, troppo poco tempo a contatto con il mondo. I loro “sacri” testi prendono il posto del mondo nella loro esistenza e la loro vita rimane prigioniera di una biblioteca labirintica dove, prima o poi, nasceranno minotauri digitali che li divoreranno. In quel mito, l’unione di potere e conoscenza, rappresentata dal re Minosse e dall’inventore Dedalo (combinazione oggi sintetizzata in figure quali quelle di Steve Jobs, Elon Musk o Mark Zuckerberg), creano un labirinto in cui si rimane intrappolati e chiusi. ChatGPT è il minotauro digitale: non è in grado di uscire dal livello digitale e deve essere nutrito con la carne e il sangue della nostra esistenza, non consegnandogli ogni anno dieci giovani tebani, ma fornendogli i nostri dati attraverso Internet, social network e cellulari. Ma possiamo ancora sperare in un Teseo che, con l’aiuto di Arianna, riuscirà e uscirne seguendo un filo che incarna il collegamento con la realtà esterna.
Quel filo corrisponde all’apertura verso la realtà che è l’essenza del pensiero umano, fuori dal labirinto delle parole, dei simboli e dell’informazione. Peccato che molti filosofi (Daniel Dennett o David Chalmers) o molti neuroscienziati (Anil Seth, Vittorio Gallese) corteggino una visione dell’uomo ridotto a costruzione priva di sostanza. Ma se non siamo altro che un miraggio, il gioco è facile per l’IA: fantasmi tra fantasmi. 
Come si è arrivati a questa abiura della nostra natura? Il linguaggio mette in moto concentrico tre sfere: la sfera della grammatica, la sfera dei concetti e la sfera ontologica. Nella prima quello che conta è la struttura dei simboli e come si concatenano tra di loro. Questo è il dominio dove oggi l’intelligenza artificiale (ChatGPT appunto) è signore e padrone. Poi vi è la sfera dei concetti che è un terreno ambiguo, per qualcuno reale e per altri no; una specie di purgatorio in attesa di essere eliminato. Infine c’è la realtà, dove tutto ciò che ha valore trova origine; ciò che noi cerchiamo nella nostra vita e che non sempre troviamo. 
L’IA odierna (quella di domani chissà) si ferma alla grammatica del linguaggio. Ma il valore si trova nella realtà in quanto realtà. L’IA non fa altro che costruire nuvole di bit privi di sangue, colore, sapore: «non è altro che un racconto raccontato da un idiota, che non significa nulla». Se l’IA scrivesse l’Amleto, parola per parola, non sarebbe altro che una combinazione di simboli. Polvere e non statua.
La domanda che dovremmo chiederci non è se Chat GPT pensa come noi, ma piuttosto che significa pensare. Crediamo veramente di non essere altro che illusioni digitali? Abbiamo davvero smarrito il filo di Arianna che collegava le nostre parole al mondo reale? Io mi ribello. Io sono reale e la mia realtà va oltre la cascata di cifre digitali verdi di Matrix. Noi siamo reali e questa realtà non è all’interno dei nostri simboli. Non siamo semplici calcolatrici. E pazienza se oggi la maggioranza pensa che sia così, lasciandosi incantare dalla prospettiva di barattare la realtà con un metaverso digitale.
Ritorniamo alla realtà e abbandoniamo i simboli. Torniamo alle cose e lasciamo le parole. Non è vero che le parole o le informazioni siano più importanti della vita e delle cose. ChatGPT riconosce, ma non vede; ascolta, ma non sente; manipola i simboli; ma non pensa. Per pensare bisogna essere reali, ma che cosa è il pensiero? Il pensiero è mondo.
@aitan /  aitan.tumblr.com
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lamilanomagazine · 9 months ago
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Sassari: tanti appuntamenti per il marzo della biblioteca comunale
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Sassari: tanti appuntamenti per il marzo della biblioteca comunale. Sarà un marzo ricco di incontri con l'autore quello che l'Amministrazione comunale di Sassari ha organizzato nella biblioteca comunale di piazza Tola. Tutti gli appuntamenti si svolgeranno nella sala conferenze e la partecipazione è gratuita con accesso libero. Si parte martedì 12 marzo alle 18 con "Sassaresi per sempre. Viaggio emozionale nel cuore di Sassari", a cura di Pier Bruno Cosso. Un libro scritto a più a mani in cui gli autori raccontano il loro sguardo sulla città di Sassari, descrivendo le sensazioni che si provano attraversandola e ascoltandola intimamente. Il 14 marzo alle 17:30, Paolo Deidda presenta il suo primo romanzo dal titolo "L'uomo senza tempo". Un libro sul ritorno alla terra nat��a, in cui il lettore - insieme al protagonista – sarà catapultato in un mondo fatto di antiche tradizioni, spiritualità, magia e alchimia. Il 19 marzo alle 18, Noemi Satta risponderà a domande come: "La cultura può essere uno strumento di cura? In che modo cura e cultura possono essere strumenti di rigenerazione di territori fragili?". Nel saggio "La cultura cura. Progettare nuovi centri culturali in tempi incerti", l'autrice illustra, attraverso casi concreti, come si possa rispondere alla sfida di creare spazi pubblici a base culturale, abilitando comunità e territori al cambiamento, imparando prospettive e pratiche del fare insieme. L'evento è inserito all'interno delle attività del Festival del giornalismo Liquida, di cui la biblioteca comunale è partner. Il 28 marzo sarà la volta di Giambernardo Piroddi con: "Gesù non amava i nemici. Quello che i vangeli greci raccontano e le traduzioni censurano". Attraverso l'analisi linguistica dei Vangeli, questo saggio si ripropone di andare oltre la manipolazione derivante dalle traduzioni, per riscoprire il Gesù che ci viene trasmesso dalle opere scritte in greco antico, tradotte infinite volte e tradite altrettante.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lilmarme · 11 months ago
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corallorosso · 3 years ago
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La sinistra diventa ‘blocco riformista’. O semplicemente si sposta a destra? di Gianluca Pinto Una enorme novità mai vista nel panorama italiano ci si presenta davanti agli occhi. Il Partito Democratico deve decidere se spostarsi al centro o meno. Un copione originalissimo e mai recitato. Avrei veramente bisogno di capire le delimitazioni geografiche di questo “centro”, dato che sono ormai trent’anni che quella che era la sinistra si continua a spostare al centro (perdendo volutamente, con costanza e lavoro certosino, i pezzi di sinistra). Ma questo centro avrà qualche delimitazione? Non riesco proprio a comprendere. Capiterà mai che dopo trent’anni di sgraziate mosse da sinistra verso questo mitico “centro” qualcuno si chieda se l’area del centro è infinita e onnicomprensiva, come la sostanza divina oppure se è in continua espansione (come l’universo e come la stupidità umana ma, come disse Albert Einstein “della prima non ne sono sicuro”) oppure se l’area di centro, magari, ha una dimensione più o meno definita e siamo già in un campo che è a destra del centro? Perché mi parrebbe di capire che ci sia una teoria per cui ci si possa spostare verso il centro in eterno. In questo dubbio amletico ci viene in soccorso la nuovissima tesi del “blocco riformista“, perché ci fa capire dove stia il problema, ossia non “in re”, ma nel “de re”. C’è una spinta affinché il Pd crei un blocco “riformista” (con Italia Viva, Calenda eccetera). Il punto è proprio nell’aggettivo “riformista”. Premetto, per chiarire, che non sto auspicando che il Pd si allei con il M5s o con IV e, in questo scritto, non sto intervenendo a favore di questa o quella forza politica. Sto solo facendo una riflessione sullo stato di salute delle definizioni politiche in Italia, che oggi come oggi, non mi paiono in buone condizioni. (...) Oggi il blocco riformista è un blocco che può tranquillamente fare riferimento a Confindustria (quelli del Job’s Act e altre allegre amenità per intenderci), che una volta poteva benissimo essere collocato in un blocco “conservatore”. Anche la “sinistra radicale” ha un riferimento che dire risibile è poco, perché è tragico. Oggi alcuni definiscono quella di Bersani (di cui ho gran rispetto) “sinistra radicale”. In questa definizione riconosco comunque la fantasia e la creatività. Grazie alla manipolazione linguistica dunque – e anche grazie all’oscuramento delle istanze di sinistra gestito dai media (non sto parlando solo delle piccole formazioni politiche, ma sopratutto delle istanze) – senza che ce ne siamo resi conto, ci troviamo a descrivere, con le stesse parole di prima, una politica rappresentativa totalmente diversa e spostata a destra. Guarda caso chi ci ha rimesso in tutto questo è proprio chi ha la necessità di un baluardo contro i soprusi del neo-liberismo. Il problema ora è: visto il deserto della rappresentanza a sinistra e il sovraffollamento presente dal centro verso destra, è chiaro che in quest’ultimo ambito le forze si debbano in qualche modo contraddistinguere. Come lo fanno? Andando in modo diverso verso il centro? Improbabile e controproducente data l’indefinibile ammucchiata padronale che costituisce il “centro”. Lo fanno, come vediamo, andando a destra. Il panorama è desolante e abbastanza inquietante visto che lo spazio, mentre a sinistra è chiaramente scomparso, a destra continua a dilatarsi.
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klimt7 · 5 years ago
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FEMMINICIDIO?
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Come negare l'evidenza di un problema drammatico.
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Le vogliamo sputtanare una volta per tutte, le FAKE NEWS con le quali ci sommerge la "libera" stampa della Destra ?
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Volete leggere l'ultima stronzata del quotidiano "Libero" ?
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No, i maschicidi non sono più dei femminicidi. È del tutto falso e fuorviante.
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Sono numeri reali che, però, non considerano il vero punto fondante di quel termine, ‘femminicidio’, che da gergo giornalistico si è trasformato in neologismo per rappresentare tutte quelle donne che vengono uccise dagli uomini.
Nel report citato da Libero, infatti, si citano omicidi random: dai tentativi di rapina finiti male, o camminando in strada, fino alle uccisioni ‘fuori dal bar’. Tutti gravi fatti di cronaca che hanno tolto la vita a uomini (e anche donne), ma che non possono rientrare in quella categoria linguistica. Come al solito si usa la mistificazione per distorcere la verità dei fatti.
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La negazione della realtà
Come è evidente è una libera interpretazione messa ad arte in prima pagina, per sminuire e minimizzare il significato di "femminicidio" che, per definizione e traslazione di genere, dovrebbe rispettare gli stessi canoni dei maschicidi. 
Insomma, quando si parla di questo tema, non si può essere superficiali: sommare i delitti ‘fuori dal bar’ alle uccisioni per gelosia e possessione è un sillogismo talmente facile da essere sbagliato.
Sottovalutare il problema non è la soluzione, così come negarlo.
 Mercoledì Libero ha titolato “Più maschicidi che femminicidi”, evocando la presunta evidenza dei fatti nelle statistiche.
Quali statistiche? I dati sono presenti nello studio Violenza domestica e di prossimità, i numeri oltre il genere a cura dell’Osservatorio Nazionale Sostegno delle Vittime, curato da Barbara Benedettelli, ex candidata di Fratelli d’Italia e tra i coniatori della parola “maschicidio”.
Il punto focale riportato sul quotidiano riguarderebbe il numero annuale di uccisioni di uomini e donne, in famiglia, fra amici, sul luogo di lavoro (ecco il significato di “prossimità”). Ci sarebbe una sostanziale parità: 120 a 120, palla al centro. Anzi, balla al centro.
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Per svelare la balla in questione non serve andare lontano, ci basta un dizionario. Femminicidio, “uccisione o violenza compiuta nei confronti di una donna , spec. quando il fatto di essere donna costituisce l’elemento scatenante dell’azione criminosa” (Zingarelli, 2016). Capite? Non è la rissa dopo il calcetto, non è nemmeno la coltellata del parente a cui non è andata una fetta di eredità e neanche la battuta di caccia tra amici finita male (certo, non per il cinghiale).
Il Femminicidio riguarda donne uccise per motivi passionali, per gelosia, per non aver adempiuto ai cosiddetti “doveri coniugali”, per non aver taciuto all’ennesimo schiaffo.
È vero sì che gli uomini muoiono di più, ma non si tratta assolutamente di “maschicidi”. Non sono di certo stati assassinati dalla ex o dalla convivente. Anche secondo i dati Eures del rapporto Femminicidio e violenza di genere in Italia dello scorso novembre, nel 2018 sono morte 142 donne per femminicidio, e l’85% dei casi sono registrati in famiglia ad opera di mariti, conviventi, fidanzati o ex. Perciò abbiamo avuto bisogno di una parola nuova, per denotare un abuso con radici più profonde, quelle che fanno credere a un uomo che la donna sia di sua proprietà. Femminicidio non è banalmente “omicidio di donna”. Fare informazione sorvolando su questo concetto, è grave. 
Le parole sono importanti, direbbe Nanni Moretti. Soprattutto se ci servono per battaglie giuste, aggiungo io.
Attenzione! Non si vuol negare che ci siano situazioni di abuso e manipolazione anche ai danni di uomini.
Ma se un uomo viene ucciso al bar in una rissa, questo non può essere calcolato nei "maschicidio". Se viene accoltellato, mentre spaccia non è un "maschicidio".
È un assassinio. punto.
Eccola l'informazione fuorviante di "Libero", che così facendo, finisce per negare che siamo di fronte ad una vera emergenza nazionale legata alla strage di donne abusate e uccise. Un'operazione di metodica disinformazione non estranea ad un altro giornalista notoriamente dalla parte delle donne: Vittorio Feltri.
Signore e signori, diciamolo chiaramente: questo è maschilismo. Lo stesso che ti fa pensare che la tua compagna non possa avere amici uomini, lo stesso che ti fa credere di avere potere sulle sue scelte riproduttive, o di poter controllare il suo conto in banca. Fa male a tutti. Sbarazziamocene una volta e per sempre. Insieme.
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love-nessuno · 5 years ago
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La manipolazione Linguistica - tecniche e strategie
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psicotecnica · 4 years ago
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Campo semiotico Semiotic Frame Il Campo Semiotico è uno strumento per indagare le rappresentazioni mentali Riguarda il modo in cui i singoli elementi della mia esperienza, che incontro nel mio interagire con il mondo esterno, trovano la loro collocazione nel mio universo interiore di segni e di significati Una chiave che va oltre lo stimolo che incontro nell'ambiente, ma che lo mette in relazione con l'insieme del mio mondo interiore Vedi su YouTube : https://youtu.be/UuR6jo7c1pg #semeiotica #linguistica #camposemiotico #semioticframe #euristica #euristiche #psicologiacognitiva #bias #fake #manipolazione #retorica #suggestione #epistemologia #pragmatica #semantica #sintattica #comunicazione #pubblicità #marketing #persuasione #brand #psicotecnica #psicologia #terapia #lezione #tutorial #perussia — view on Instagram https://ift.tt/2UMogJj
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sviluppobambini-blog · 5 years ago
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Lo sviluppo intellettivo bambino
Lo sviluppo intellettivo di una persona ha sicuramente una base genetica ma molto dipende anche dall’ambiente esterno. Molti sono stati gli studi che hanno messo in luce l’importanza della manualità correlata  allo sviluppo intellettivo, nonché allo sviluppo dell’intelligenza e, se consideriamo la storia, allo stesso sviluppo dell’intera civiltà.
Quindi è abbastanza ovvio che venga connesso lo sviluppo psichico del bambino connesso con lo studio dello sviluppo del movimento della mano.
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Pensate al bambino piccolo che con le mani afferra, stringe, accarezza, sono tutti modi con cui lui si mette in contatto con il mondo esterno, sperimenta e apprende informazioni fondamentali che gli consentono di raggiungere livelli elevati di consapevolezza di se e del mondo.
Persino lo sviluppo del carattere che viene considerato un fattore psichico, rimanda ad un aspetto abbastanza rudimentale, nel caso in cui non vi è la possibilità di esercitarsi proprio nell’ambiente.
Esiste dunque una stretta correlazione tra le nostre mani e lo sviluppo intellettivo.
Significa che il cervello ha bisogno delle mani e viceversa, sono queste che conducono concretamente le attività di manipolazione sugli oggetti, mandando informazioni essenziali che verranno elaborate e registrandone proprietà fisiche, inviamo importanti segnali non verbali, ci avvaloriamo del contatto interpersonale e di tutte le sue implicazioni associate; insomma le mani sono preziosi strumenti di mediazione fra la realtà percepita e l’idea di mondo.
Il pensiero pratico possiede dunque una sua specificità cognitiva. Per questo il bambino fin da piccolo deve essere libero di esplorare anche toccando con mano, tutto ciò che lo circonda. Toccare significa esplorare, conoscere ed aumentare la propria capacità intellettiva. Dare i giusti stimoli al bambino è fondamentale proprio per una crescita sana equilibrata.
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I teorici hanno stabilito che ogni uomo ha più intelligenze sviluppandone una che prevale sulle altre. Come per esempio, quella linguistica, matematica, intelligenza musicale e persino corporea che equivale alla capacità di risolvere problemi e trovare soluzioni, apprendere proprio attraverso il corpo e la manualità.
La questione principale rimane la capacità di mettere in pratica metodi educativi che consentano di apprendere attraverso il vedere e l’afferrare, sperimentare e manipolare, ideale per sviluppare l’intelligenza del bambino e dei ragazzi in generale. Per questo stimolare il vostro bambino è fondamentale soprattutto nei primi anni di vita.
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claudiaalessiacolucci · 8 years ago
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La lobby dei pompieri
I pompieri, lo diciamo subito, piacciono a tutti per via dell'etimo e della fissa assai maniacale che hanno in molti: i centrotavola. Son carini è vero ma un po' inquietanti soprattutto se si pensa che ci vuole un sacco per farli e poi non servono a una sega. Ma i nostri son sempre stati gente importante. Ricordo ancora il draghetto Grisù che urlava "DA GRANDE FARÒ IL POMPIERE!". Ed era molto di più di ciò che si potrebbe pensare: un cartone animato. Era il simbolo della ribellione, la nascita della teoria del gender. Ma non ci interessa. Io lo aspettavo tutte le sere e attendevo proprio quella gag che si ripeteva sempre e mentre lui urlava mi sentivo un fuoco dentro... Ma il picco massimo di notorietà, anche se i soliti più acuti avran già notato che ci sono tutti i capisaldi del lavaggio del cervello: manipolazione linguistica indottrinamento infantile (cose che anche la religione ci insegna), si è verificato con quella data che per rispetto non nominerò. Ma chi sono i pompieri? I pompieri sono un simbolo. I pompieri sono uno stile di vita, lo stile di vita passivoaggressivo, sì lui, sì di nuovo e sempre. Perché uno dice con un certo orgoglio "sai, faccio il pompiere, salvo vite". Certo. Ma ammettilo: senza gli incendi, senza le tragedie, cosa faresti, eh? Ne hai bisogno. Io non mi stupirei se si venisse a scoprire che molti pompieri mettono apposta i gatti sugli alberi per farne poi una trasmissione su sky. Il fuoco. Il male ha bisogno del bene. E il pompiere con la pompa in posizione pelvica urlando "VI SBRUZZO TUTTI!" spegne i fuochi e accende gli animi delle donne e dei gay: i dominatori dell'universo. Come se non bastasse, scendono dai pali e ricordano la lapdance. Sesso. I pompieri e il sesso: un legame indissolubile. Lap in inglese vuol dire grembo. Per capirci. Si torna di nuovo a Freud alla mamma alla donna. Tutto tutto deriva dalla donna e dal passivoagressivismo di cui è naturalmente dotata sfociante nel simbolo massimo "la morte in culla" e che essendo il tutto anche mondo il mondo è una donna. Il pompiere è una donna. Accende e spegne. Salva e protegge. Si sacrifica e muore. Il pompiere è l'amore.
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redazionefotopadova · 3 years ago
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La fotografia come forma d’arte (quarta parte)
 di Lorenzo Ranzato
I territori del “fotografico”: pittorialismo, documentarismo, concettualismo
Il riconoscimento della fotografia pittorialista come forma d’arte
La rapida carrellata storica che abbiamo compiuto, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sino alla chiusura della rivista Camera Work nel 1917, ci ha consentito di tracciare una panoramica del pittorialismo europeo e statunitense, ma soprattutto di conoscere metodi e stili di alcuni dei suoi più autorevoli rappresentanti, i cosiddetti artisti-fotografi. In questo modo, abbiamo potuto comprendere come il pittorialismo sia stato non solo “un’insieme piuttosto eterogeneo di idee su ciò che rende buona una fotografia d’arte”[i], ma sia diventato anche il primo vasto movimento fotografico internazionale, che si è guadagnato un proprio spazio di autonomia fra le arti maggiori.
A questo successo hanno contribuito senza dubbio le esperienze dei pittorialisti europei, ma un impulso determinante è stato dato dal movimento Photo-Secession (Edward Steichen, Clearence White, Käsebier, Frank Eugene, F. Holland Day e Alvin Langdon Coburn) e soprattutto dal loro più autorevole rappresentante, Alfred Stieglitz. Lo stanno a confermare le iniziative portate avanti dallo stesso Stieglitz, sia con la pubblicazione di Camera Work, sia con le diverse mostre realizzate, fra le quali spicca l’International Exhibition of Pictorial photography tenuta a Buffalo nel 1910, che segna il punto più alto dell’esperienza pittorialista europea e statunitense.
Negli anni successivi alla mostra di Buffalo il movimento Photo-Secession perde coesione, anche a causa dei modi autoritari di Stieglitz e - complice anche l’avvento della Prima Guerra Mondiale - conclude la sua parabola nel 1917, quando Stieglitz scioglie il movimento e chiude la rivista Camera Work.
 Purismo fotografico vs. pittorialismo
Il riconoscimento artistico della fotografia pittorialista rappresenta indubbiamente il più grande risultato ottenuto da Stieglitz e dal suo gruppo, ma all’interno di questo variegato movimento internazionale restano ancora molte questioni aperte, che ruotano prevalentemente attorno all’irrisolto rapporto fra pittura e fotografia, che ora bisognerà nuovamente affrontare.
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 Paul Strand, Astraction-porch shadows, Connecticut, 1916
 Dobbiamo fare riferimento ancora alla figura di Stieglitz che, attratto dal nuovo linguaggio fotografico di Paul Strand che incarna i nuovi principi della “fotografia pura”, pubblica le sue fotografie negli ultimi due numeri di Camera Work: nelle opere di Strand vede “una versione fotografica dell’astrazione pittorica” tipica dei dipinti di Picasso e che ora ritrova “nella sua prima passione, la fotografia”[ii]. Non dimentichiamo che sarà lo stesso Stieglitz a ospitare e a far conoscere le nuove tendenze dell’avanguardia artistica europea proprio a New York presso la Galleria 291, con mostre dedicate a Matisse, Cézanne, Picasso, Rodin.
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 Alfred Stieglitz, The Steerage, Il ponte di terza classe, 1907-1911
 Già da queste brevi considerazioni, possiamo intuire come nei primi decenni del Novecento si radicalizzi una nuova contrapposizione fra linguaggi fotografici che - come ci racconta Luigi Marra nel suo libro, più volte citato Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre) - sembrano apparentemente diversi: da un lato il purismo della cosiddetta “fotografia diretta” (straight photography), dall’altro il consolidato filone del pittorialismo fotografico, che in diversi modi continua a imitare la pittura impressionista.
Per rappresentare questo cambiamento di linguaggio inaugurato da Strand, si ricorre anche alla fotografia più emblematica di Stieglitz, La terza classe, considerata da molti critici il punto di passaggio “da uno stile pittorico a uno stile documentaristico”[iii]: è un unico scatto realizzato durante la traversata verso l’Europa, con una portatile Auto Graflex nel 1907, ma viene pubblicato su Camera Work solo nel 1911, quando Alfred è del tutto convinto che questa fotografia sia la sua prima opera modernista.
L’equivoco della contrapposizione tra pittorialismo fotografico e straight photography
In realtà, se seguiamo il ragionamento di Marra, il passaggio dal pittorialismo alle fotografia diretta (o purismo fotografico), considerato da molti critici come l’affrancamento della fotografia dalla pittura è una questione mal posta. In effetti, “sotto le apparenze di un rinnovamento linguistico capace di far emergere la tanto invocata specificità fotografica” sembrano emergere ancora forme di “un pittoricismo ben più potente e subdolo”[iv].
Ma dove sta l’equivoco?
Marra sostiene che ci troviamo di fronte a un evidente “errore metodologico”: “si è attribuita una categoria generale (il pittorialismo, cioè l’essere simile alla pittura) a una particolare interpretazione della pittura, l’Impressionismo appunto”, nella convinzione che la fotografia pittorialista sia stata un fenomeno circoscritto soltanto ai due o tre decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Questo “limite temporale ma soprattutto stilistico indurrebbe a credere che “la fotografia possa essere definita pittorica solo quando imita l’Impressionismo e non altre scuole” [v].
Seguendo l’interpretazione critica di David Bate, che abbiamo già brevemente illustrato nella prima puntata, appare del tutto evidente che il pittorialismo, assieme al documentarismo e al concettualismo, siano le tre categorie del fotografico[vi] “entro le quali racchiudere i comportamenti della fotografia nel tempo e fino alla contemporaneità”[vii], comportamenti che assumeranno di volta in volta una propria specificità linguistica e poetica.
Ne consegue che “il pittorialismo fotografico non è un fenomeno limitabile a un determinato periodo storico e a una particolare scuola”, ma si ripresenta ogni volta che “la fotografia segue la logica complessiva della pittura”[viii].
Possiamo dunque riconoscere nel linguaggio della straight photography nuove forme di pittorialismo fotografico, che ovviamente si distinguono dalle più tradizionali soluzioni proposte dal “pittorialismo storico”, ispirato dall’accademismo e basato sui metodi di manipolazione dell’immagine (due nomi per tutti: l’inglese Robinson e il francese Demachy).
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 Paul Strand, Vedute di New York, 1915 e 1916
 Sotto questo profilo, esemplare è l’opera di Paul Strand che, alla ricerca di un’autonomia della fotografia, rifiuta il linguaggio del pittorialismo storico e disprezza i cosiddetti “fotopittori”. Ma in questo modo ricade in una nuova forma di “pittorialismo forse inconsapevole ma potentissimo”[ix] che riprende le modalità stilistiche delle avanguardie e risente delle influenze del cubismo e dell’astrattismo. Quando afferma che lo specifico fotografico va identificato con “le forme degli oggetti, le tonalità di colore relative, le strutture e le linee”, in realtà sta descrivendo quello che costituisce “lo specifico trasversale di tutta la pittura”[x], peraltro ancora rintracciabile in molta fotografia contemporanea.
Tutto ciò vale anche per la fotografia di altri autori come ad esempio Clarence White, Coburn e Stieglitz, quando il loro linguaggio fotografico si allontana dal “gusto” impressionista e si avvicina a quello delle nuove correnti artistiche del primo Novecento.
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 Clarence White, Drop of rain, 1908
 Possiamo dunque concludere con Marra che con l’avvento della straight photography il filone pittorialista non si esaurisce, ma piuttosto si aggiorna, con “un passaggio di tutela dall’area impressionista a quella “neoplastica-costruttivista”[xi].
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 Alvin Langdon Coburn, Vortografia, 1917
 Peraltro, il concetto di neopittorialismo introdotto da Marra e anche da Bate, con sfumature diverse, per definire questi nuovi orientamenti fotografici, può diventare un’utile chiave interpretativa, per affinare il nostro “occhio critico”, ogni volta che andremo a indagare tipi di fotografia che in qualche modo fanno uso di linguaggi riconducibili a qualche tendenza pittorica, sia essa figurativa o astratta. Ciò vale ad esempio, per la fotografia astratta di Làslò Moholy-Nagy o per le composizioni alla maniera di Malevič o Modrian della newyorkese Florence Henri – commentate da Marra -, oppure in epoca più vicina a noi, per i tableaux del canadese Jeff Wall – che David Bate accosta a quelli ottocenteschi di Robinson – o infine per le grandi composizioni di David La Chappelle, dalla quali emerge prorompente lo scontro “tra artificio e natura”.
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              Alfred Stieglitz, Fofografie di Georgia O'Keeffe, 1917-1918
Oltre il pittoricismo: “l’arte del documento” e la fotografia concettuale
Per ricercare l’autonomia della fotografia dalla pittura dovremo esplorare altri territori del “fotografico”, dove si consumerà lo scontro dialettico tra pittoricità ed extrapittoricità[xii]. E le prime avvisaglie di un autentico sforzo antipittorialista potremmo rintracciarle in quel tipo di fotografia che “entra in relazione con le ricerche extrapittoriche sviluppate in area dadaista-surrealista”[xiii].
Ad ogni modo, come afferma Walter Benjamin, a incarnare la nuova forma d’arte dell’epoca moderna è il documento fotografico[xiv], che trova negli album fotografici della Parigi di Eugéne Atget l’esempio storico più significativo. Rilevanti esponenti della fotografia documentaristica saranno i fotografi della Farm Security Administration in America e August Sander ed Henri Cartier-Bresson in Europa, solo per fare alcuni nomi.
L’affrancamento definitivo dalla cultura del pittoricismo avverrà soltanto con l’affermazione della fotografia concettuale[xv], che nascerà sulla scia delle esperienze artistiche del concettualismo: performance, body art, land art, narrative art… Solo allora la fotografia potrà acquisire in modo completo quella specifica identità extrapittorica, che, come sappiamo, trova origine nella poetica del dadaismo e nella teoria del ready-made di Marcel Duchamp[xvi]. A titolo esemplificativo, seguendo le indicazioni di David Bate sul tema dell’assenza della presenza, possiamo ricordare Richard Long e Victor Burgin, o la sequenza Autoseppellimento di Keith Arnatt (1969); oppure, seguendo il racconto di Claudio Marra, l’opera di Francesca Woodman sul tema del corpo, o le opere narrative di Franco Vaccari e Duane Michals “maestro della narrazione pseudotriller di gusto cinematografico”, o ancora i lavori di Cindy Sherman, in bilico tra finzione e realtà, per arrivare alla fotografia italiana del “pensiero debole”, rappresentata da Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice e Guido Guidi.
Da questo punto in avanti, grazie anche ai nuovi scenari aperti dalla moda e dalla pubblicità - con la contaminazione fra ricerca artistica e industria culturale -, per il medium fotografico si schiudono nuovi orizzonti, che lo portano ad acquisire progressivamente una rilevante centralità in tutti i processi di produzione artistica contemporanea, sia nelle arti dello “spazio” (pittura, scultura, installazioni), sia nelle arti del “tempo” (video, media digitali e performance)”[xvii].
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 Fontana di Marcel Duchamp, fotografata da Alfred Stieglitz, 1917[xviii]
 Dunque, non ci resta che concludere condividendo la tesi di David Bate: riconoscere che è tramontato il tempo della fotografia come arte e pensare piuttosto di essere entrati nella nuova epoca dell’arte come fotografia.
[i]               David Bate, La fotografia d’arte, Einaudi, 2018, p.45.
[ii]                   Alfred Stieglitz, Camera Work-The Complete Photographs 1903-1917, Tachen, 2018, p.213.
[iii]              Juliet Hacking (a cura di), Fotografia la storia completa, Atlante, 2013, p.183.
[iv]             Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, 2012, p.120.
[v]              Ivi, p.121.
[vi]             David Bate, op. cit. p.9.
[vii]            Roberta Valtorta, “Dissimiglianza vs. somiglianza: un concetto in flashback”, in rivista di studi di fotografia rfs, n.8, 2018.
[viii]            Claudio Marra, op. cit. p.121.
[ix]             Ivi, p.125.
[x]              Ibid.
[xi]             Ivi, p.131.
[xii]            Ivi, p.120 e 122.
[xiii]            Ivi, p.131.
[xiv]           David Bate, op. cit. p.102. Per una conoscenza più approfondita del documento come forma d’arte, si consiglia la lettura di parte del cap. 3 “L’arte del documento”: pp. 83-112.
[xv]            Si veda al proposito la parte iniziale del cap. 4 “Il concettualismo e la fotografia d’arte”, in David Bate, op.cit., e in particolare le pagine dedicate al ready-made Fontana, di Duchamp: pp140-143.
[xvi]           Con il ready-made Duchamp attua una rivoluzione epocale, negando l’arte come attività manuale. In altri termini, l’artista non è più tale per l’abilità di manipolare la materia, ma per la capacità di creare nuovi significati.
[xvii]                David Bate, op.cit. p.3.
[xviii]               Anche in questo caso torniamo a incrociare l’onnipresente Alfred Stieglitz, quando nel 1917 Duchamp scandalizza l’ambiente artistico di New York, proponendo il ready-made Fontana, costituito da un orinale bianco firmato con lo pseudonimo “R. Matt”, che viene rifiutato alla mostra della Società degli artisti indipendenti, ma trova spazio in un’altra mostra organizzata dallo stesso Stieglitz che fotografa l’opera e l’importante riproduzione viene pubblicata sempre nel 1917 sul giornale dadaista The Blind Man. Fontana può essere considerata “un prototipo concettualista” (Bate, op. cit. p.141) ed è l’opera d’arte più dissacrante e influente del XX secolo: la geniale operazione dadaista, che postula il rifiuto dell’arte tradizionalmente intesa, consiste nell’estrapolare dal contesto un oggetto comune - in questo caso l’orinatoio -, che grazie a questa selezione eseguita dall’artista, diventa esso stesso opera d’arte.
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scrittimentali · 3 years ago
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Siamo davvero liberi?
La manipolazione linguistica “Un novizio chiese al priore: <<Padre, posso fumare mentre prego?>> e fu severamente redarguito. Un secondo novizio chiese allo stesso priore: <<Padre, posso pregare mentre fumo?>> e fu lodato per la sua devozione”. Al di là della sua veridicità, la citazione è un lampante esempio di manipolazione linguistica. La semplice scelta della collocazione delle parole, può…
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ilsignorm · 7 years ago
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Pickup artist con HuniePop
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In "HuniePop" sono uno Americano sfigatello e imbranato con le ragazze che ha l'incredibile fortuna di incontrare Kyu, una fata del sesso che mi insegnerà tutto quello che c'è da sapere sulla seduzione e mi trasformerà in un pickup artist, un "artista del rimorchio".
Nel mondo reale esistono intere comunità online di pickup artists e corsi appositi, tenuti non da fatine ma da loschi figuri della stessa risma dei motivatori e dei predicatori. Essi promettono l'apprendimento di raffinate tecniche che si basano su psicologia spicciola e teorie parascientifiche ormai sfatate come la programmazione neuro linguistica e che a volte sfociano nella manipolazione e nella molestia, nello stile del Don Giovanni mozartiano, disposto pure allo stupro.
"HuniePop" è la applicazione di questa mentalità machista e predatoria al videogioco.
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In "HuniePop" mi aggiro per la città, dalla mattina alla sera, alternandomi tra 12  ragazze (di cui 3 segrete) diverse per età, etnia e carattere. Ne scelgo una, ci parlo, pongo domande per conoscerla meglio, rispondo alle sue curiosità su di me (mentendo spudoratamente) e, se interrogato, ripeto ciò che mi ha raccontato su di lei. Poi, dopo una chiacchierata utile a guadagnare un po' di punti esperienza, posso finalmente chiedere alla ragazza di uscire.
Gli appuntamenti si risolvono in un gioco di "allineamento per 3" (una versione modificata della meccanica di "Candy Crush Saga" o "Bejeweled"): davanti a una griglia riempita di forme e simboli colorati, ho un numero limitato di mosse e un punteggio da raggiungere, punteggio ottenibile spostando un simbolo alla volta, verticalmente o orizzontalmente, per combinarlo con almeno due simboli dello stesso colore. Dopo ogni appunamento riuscito con una ragazza ottengo una sua foto , in pose sempre più sensuali ed esplicite, e dopo almeno quattro appuntamenti posso portarmela a letto e farci sesso attraverso un'altra partita a base di allineamenti per 3 (ma in una variante rapida e frustrante) e ottenere una immagine che la raffigura alla fine del rapporto, grondante di sperma.
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Gli appuntamenti-puzzle sono la parte del gioco più riuscita: sanno porre sfide difficili (ma la loro difficoltà diventa, nelle fasi avanzate, piuttosto esagerata e artificiosa) e sono sorretti da aggiunte interessanti alla formula. Per esempio, ci sono statistiche potenziabili con i punti esperienza guadagnati, oggetti utilizzabili per ottenere vari vantaggi e il fatto che, per ogni personaggio, ci sia un colore preferito, che dà più punti se combinato, e uno sfavorito, in quanto ogni colore è collegato a un particolare tratto o approccio: romanticismo (arancione), talento (blu), flirt (verde), sessualità (rosso) .
È un peccato che tutto ciò sia perso in mezzo a misoginia (le ragazze sono meri obiettivi e subiscono passive limitandosi ad aspettare che io le seduca) e a battute e situazioni sessiste e razziste (la fatina mi suggerisce di provarci con una ragazza madre ispanica sfruttando il suo "baby mama drama" e io le regalo cose come maracas e sombrero). E se all'inizio del gioco posso scegliere il sesso del mio personaggio, e interpretare quindi una ragazza omosessuale, questo serve unicamente a solleticare gli appassionati di lesbicate e cambia solo dettagli nei dialoghi.
Ma forse da "HuniePop" posso tirar fuori anche un messaggio positivo, perché tra tutte le ragazze incontrate nel gioco ce ne è una, Nikki , una artista appassionata di videogiochi, per cui la fatina del sesso mi suggerisce solo di "essere me stesso". Ed ecco, "HuniePop" e i maestri di seduzione insegnano, non volendo, che un ragazzo insicuro, timido, fisicamente non conforme ai canoni di bellezza (uno dei ragazzi, insomma, che frequenta i corsi per diventare pickup artist) può effettivamente cambiare, farsi coraggio e uscire di casa e imparare a comprendere e approcciare le ragazze. E che là fuori, tra tutte le persone che conoscerà, ce ne è una con cui non dovrà fingere: là fuori c'è Nikki.
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"HuniePop" è un'opera creata per Windows, Mac e Linux da HuniePot, dopo una riuscita campagna su Kickstarter, e distribuita da MangaGamer. Può essere acquistata dalla piattaforma di distribuzione digitale Steam [http://store.steampowered.com/app/339800/], in versione censurata, a 9,99 euri o, in versione integrale, sul sito di MangaGamer [http://www.mangagamer.com/detail.php?product_code=130], a 9,95 dollari, e sul suo sito ufficiale [http://www.huniepop.com/] a 10 dollari. Questo articolo è originariamente uscito sul blog di www.usedpanties.sexy.
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lilmarme · 1 year ago
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