#loggiato di san francesco
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morelin · 7 years ago
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Fabriano
La città di Fabriano (Ancona) è famosa in tutto il mondo per la fabbricazione della carta quindi, se avete intenzione di visitarla, la prima tappa non può essere altro che il Museo della Carta e della Filigrana che ha sede nell’ex convento di San Domenico. Qui potrete ripercorrere tutte le fasi della produzione della carta grazie alle dimostrazioni dei macchinari e dei mastri cartai.
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Interessante da vedere è anche il centro storico che ha conservato la sua struttura medievale raccogliendosi intorno alla Piazza del Comune: la facciata grigia appartiene al Palazzo del Podestà che è uno dei migliori esempi di architettura gotica civile delle Marche; di fronte si trova la fontana rotonda detta Sturinalto, il Palazzo Comunale del XIV secolo e lo spettacolare loggiato di San Francesco con le sue 19 arcate. In Piazza Umberto invece è possibile ammirare il portico in mattone rosso dell’ex ospedale di Santa Maria del Buon Gesù ed il Duomo di San Venanzio. Infine, in Piazza Garibaldi si trova il Portico dei Vasari, unico esempio rimasto della fiancheggiata di portici che caratterizzava la piazza. 
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heyitsararts · 4 years ago
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PALA DI SANTA LUCIA DEI MAGNOLI
Nome🍃: Pala di Santa Lucia dei Magnoli
Autore🍃: Domenico Veneziano
Data🍃: 1445
Materiale e tecnica🍃: tempera su tavola
Stile e descrizione🍃: L'opera è uno degli esempi più antichi di tabula quadrata et sine civoriis cioè di pala moderna senza gli scomparti e senza il fondo oro tipico dei polittici medievali. Nonostante ciò l'ambientazione, anche se possiamo parlare solo di una suggestione. L'edificio in cui è composta la scena è infatti trattato secondo le più avanzate conoscenze della prospettiva geometrica, con tre punti di fuga dove convergono tutte le linee orizzontali, comprese quelle del complesso pavimento intarsiato di marmi. Il dipinto si configura così come un perfetto equilibrio tra modernità e tradizione, suggerito anche dall'uso di arcate diverse: a sesto acuto in alto ed a tutto sesto nelle nicchie classicheggianti, tra le quali quella centrale inquadra perfettamente la Madonna in trono col Bambino, sebbene essi si trovino in realtà davanti al loggiato. La luce è un elemento fondamentale dell'opera, che si stende tenue sulle architetture e sui personaggi, entrando dall'alto, dal cortile scoperchiato dietro il quale si stende un giardino, come fanno intendere i rami di tre aranci sullo sfondo del cielo azzurro. In particolare si tratta di una luce chiara e diffusa ma inclinata , che ricorda fedelmente quella del mattino. La cornice originale, andata perduta, doveva sottolineare questo effetto "finestra". I santi presenti sono San Giovanni Battista e San Zanobi, protettori della città di Firenze e della sua diocesi, Santa Lucia, titolare della chiesa, e San Francesco.
Collocazione attuale🍃: uffizi, firenze
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freedomtripitaly · 5 years ago
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In una zona collinare ricca di vigneti, situato su un’altura che domina la vallata sottostante in cui scorre il torrente Parma, si erge una delle migliori architetture fortificate d’Italia: il Castello di Torrechiara. Affiancato dal borgo omonimo, frazione di Langhirano in provincia di Parma. Voluto dal conte di San Secondo, nonché condottiero al servizio dei Visconti e degli Sforza, Pier Maria Rossi, come strumento di difesa e controllo ma anche come dimora per sé e la sua amata Bianca Pellegrini da Arluno. Dal 1911 il Castello è monumento nazionale italiano. Breve descrizione del castello Venne costruito sulle rovine di un più antico fortilizio, tra il 1448 e il 1460. Il maniero è sito ad una quota di circa 280 m s.l.m. e dispone di un doppio fossato e originariamente due ponti levatoi. Altri elementi di difesa sono le quattro torri angolari e le tre cerchia di mura. La natura residenziale del maniero si evince invece dagli ambienti interni, curati da artisti come nel caso del ciclo di affreschi attribuito a Benedetto Bembo nella Camera d’Oro. La stanza prende il suo nome dalle foglie d’oro zecchino che un tempo ricoprivano le formelle alle pareti che presentano gli stemmi dei due amati. Le scene sono l’unico esempio di dipinti medievali incentrati sull’amore cortese tra due personaggi realmente esistiti. Le altre sale del castello sono altrettanto riccamente affrescate, alcune delle quali sono opera di Cesare Baglione, come ad esempio la sala del Giove, quella della Vittoria, del Velario e del Pergolato. Al primo piano anche il salone degli Acrobati ascritto anche a Giovan Antonio Paganino. I temi sono quelli naturalistici, fantastici e a grottesche. Ci sono poi il cortile loggiato, un porticato e l’oratorio di San Nicomede. Il castello di Torrechiara e il cinema IL maniero è stato utilizzato come set cinematografico di diverse produzioni tra cui “Ladyhawke”, film del 1985 diretto da Richard Donner con Rutger Hauer, Michelle Pfeiffer e Matthew Broderick. Nel film il castello è la casa del cattivissimo vescovo nonché lo sfondo di bellissime riprese in cui i protagonisti attraversano i prati verdi e le colline nei dintorni. Una curiosità rispetto al film riguarda appunto l’ambientazione. Francesizzato il nome de L’Aquila che nella pellicola diventa Aguillon, in realtà la maggior parte è stato girato in Italia. Oltre a Torrechiara, c’è Castell’Arquato sempre in Emilia-Romagna, Campo Imperatore e Rocca Calascio in Abbruzzo, Soncino in Lombardia, Misurina in Veneto. Inoltre l’interno di San Pietro a Tuscania (Viterbo) è stata ricostruita a Cinecittà. Ladyhawke narra la storia di un sortilegio e di un amore. Il un borgo del Medioevo francese, un malvagio vescovo si invaghisce di Isabeau, la fidanzata del capitano Navarre e colpisce la coppia con una maledizione. Di giorno lei si trasforma in un falco mentre lui di notte, diventa un lupo. Un ladro evaso dalle segrete, insieme ad un vecchio frate aiuteranno la coppia a rompere l’incantesimo. L’atmosfera magica del castello di Torrechiara compare però anche in altre pellicole, come ad esempio quella di Bertolucci del 1981, La tragedia di un uomo ridicolo o nella più recente serie televisiva del 2014, i Borgia di Tom Fontana. E poi, la miniserie televisiva La certosa di Parma di Cinzia Th Torrini e in televisione in una puntata del programma Ulisse – il piacere della scoperta nella puntata dedicata ai Castelli nel tempo. Castello di Torrechiara: la leggenda Come ogni costruzione storica e misteriosa che si rispetti, anche questo maniero ha la sua leggenda. Ovviamente legata ad una storia d’amore, sembra infatti che il fantasma del conte Pier Maria Rossi si aggiri per il castello, ritornando spesso sul Rio delle favole, la strada che conduce alla fortezza, pronunciando una frase, un motto, dedicato all’amata Bianca: “nunc et semper”, ora e sempre. Le stesse parole riportate anche nella Camera d’Oro. Il borgo di Torrechiara Il delizioso borgo di Torrechiara offre altri siti da visitare oltre il castello. Ci sono infatti la Badia di Santa Maria della Neve, luogo sacro, restaurato negli anni’70 che conserva un dipinto quattrocentesco attribuito al pittore Francesco Tacconi, parliamo della “Madonna col trono col Bambino”. Affreschi di varie epoche sulle pareti e un laboratorio apistico utilizzato dai monaci per la produzione di creme, unguenti e tisane. C’è poi la Chiesa di San Lorenzo, in origine in stile romanico, resa barocca nel XVIII secolo. Oltre alla visita a luoghi di interesse artistico, escursioni sulle colline, nelle cittadine intorno e itinerari lungo gli splendidi vigneti, dove regalarsi altri panorami incredibili ma anche una coccola culinaria: il prosciutto, il parmigiano reggiano e molto altro. Per organizzare bene un’eventuale gita in questi luoghi o un weekend insolito, vi segnaliamo l’orario. Castello Torrechiara orari Aprile, maggio, giugno, settembre, ottobre: feriali 8.10-13.50, domenica e festivi 10.00-19.00. Luglio e agosto: feriali 8.10-13.50, domenica e festivi 10.00-16.00. Dal 1 novembre, il castello osserverà i seguenti orari: feriale dalle 8.10 alle 13.50, domenica e festivi dalle 10.00 alle 16.00. La cassa chiude 30 minuti prima. La prima domenica del mese è gratuita come per gli altri siti grazie all’iniziativa ministeriale #iovadoalmuseo. Una fortificazione con finalità difensiva ma ricca anche dell’eleganza residenziale. Proprio Pier Maria Rossi scelse le parole “altiera et felice” per l’iscrizione del Castello di Torrechiara. https://ift.tt/37mNQZU Alla scoperta del Castello di Torrechiara in Emilia Romagna In una zona collinare ricca di vigneti, situato su un’altura che domina la vallata sottostante in cui scorre il torrente Parma, si erge una delle migliori architetture fortificate d’Italia: il Castello di Torrechiara. Affiancato dal borgo omonimo, frazione di Langhirano in provincia di Parma. Voluto dal conte di San Secondo, nonché condottiero al servizio dei Visconti e degli Sforza, Pier Maria Rossi, come strumento di difesa e controllo ma anche come dimora per sé e la sua amata Bianca Pellegrini da Arluno. Dal 1911 il Castello è monumento nazionale italiano. Breve descrizione del castello Venne costruito sulle rovine di un più antico fortilizio, tra il 1448 e il 1460. Il maniero è sito ad una quota di circa 280 m s.l.m. e dispone di un doppio fossato e originariamente due ponti levatoi. Altri elementi di difesa sono le quattro torri angolari e le tre cerchia di mura. La natura residenziale del maniero si evince invece dagli ambienti interni, curati da artisti come nel caso del ciclo di affreschi attribuito a Benedetto Bembo nella Camera d’Oro. La stanza prende il suo nome dalle foglie d’oro zecchino che un tempo ricoprivano le formelle alle pareti che presentano gli stemmi dei due amati. Le scene sono l’unico esempio di dipinti medievali incentrati sull’amore cortese tra due personaggi realmente esistiti. Le altre sale del castello sono altrettanto riccamente affrescate, alcune delle quali sono opera di Cesare Baglione, come ad esempio la sala del Giove, quella della Vittoria, del Velario e del Pergolato. Al primo piano anche il salone degli Acrobati ascritto anche a Giovan Antonio Paganino. I temi sono quelli naturalistici, fantastici e a grottesche. Ci sono poi il cortile loggiato, un porticato e l’oratorio di San Nicomede. Il castello di Torrechiara e il cinema IL maniero è stato utilizzato come set cinematografico di diverse produzioni tra cui “Ladyhawke”, film del 1985 diretto da Richard Donner con Rutger Hauer, Michelle Pfeiffer e Matthew Broderick. Nel film il castello è la casa del cattivissimo vescovo nonché lo sfondo di bellissime riprese in cui i protagonisti attraversano i prati verdi e le colline nei dintorni. Una curiosità rispetto al film riguarda appunto l’ambientazione. Francesizzato il nome de L’Aquila che nella pellicola diventa Aguillon, in realtà la maggior parte è stato girato in Italia. Oltre a Torrechiara, c’è Castell’Arquato sempre in Emilia-Romagna, Campo Imperatore e Rocca Calascio in Abbruzzo, Soncino in Lombardia, Misurina in Veneto. Inoltre l’interno di San Pietro a Tuscania (Viterbo) è stata ricostruita a Cinecittà. Ladyhawke narra la storia di un sortilegio e di un amore. Il un borgo del Medioevo francese, un malvagio vescovo si invaghisce di Isabeau, la fidanzata del capitano Navarre e colpisce la coppia con una maledizione. Di giorno lei si trasforma in un falco mentre lui di notte, diventa un lupo. Un ladro evaso dalle segrete, insieme ad un vecchio frate aiuteranno la coppia a rompere l’incantesimo. L’atmosfera magica del castello di Torrechiara compare però anche in altre pellicole, come ad esempio quella di Bertolucci del 1981, La tragedia di un uomo ridicolo o nella più recente serie televisiva del 2014, i Borgia di Tom Fontana. E poi, la miniserie televisiva La certosa di Parma di Cinzia Th Torrini e in televisione in una puntata del programma Ulisse – il piacere della scoperta nella puntata dedicata ai Castelli nel tempo. Castello di Torrechiara: la leggenda Come ogni costruzione storica e misteriosa che si rispetti, anche questo maniero ha la sua leggenda. Ovviamente legata ad una storia d’amore, sembra infatti che il fantasma del conte Pier Maria Rossi si aggiri per il castello, ritornando spesso sul Rio delle favole, la strada che conduce alla fortezza, pronunciando una frase, un motto, dedicato all’amata Bianca: “nunc et semper”, ora e sempre. Le stesse parole riportate anche nella Camera d’Oro. Il borgo di Torrechiara Il delizioso borgo di Torrechiara offre altri siti da visitare oltre il castello. Ci sono infatti la Badia di Santa Maria della Neve, luogo sacro, restaurato negli anni’70 che conserva un dipinto quattrocentesco attribuito al pittore Francesco Tacconi, parliamo della “Madonna col trono col Bambino”. Affreschi di varie epoche sulle pareti e un laboratorio apistico utilizzato dai monaci per la produzione di creme, unguenti e tisane. C’è poi la Chiesa di San Lorenzo, in origine in stile romanico, resa barocca nel XVIII secolo. Oltre alla visita a luoghi di interesse artistico, escursioni sulle colline, nelle cittadine intorno e itinerari lungo gli splendidi vigneti, dove regalarsi altri panorami incredibili ma anche una coccola culinaria: il prosciutto, il parmigiano reggiano e molto altro. Per organizzare bene un’eventuale gita in questi luoghi o un weekend insolito, vi segnaliamo l’orario. Castello Torrechiara orari Aprile, maggio, giugno, settembre, ottobre: feriali 8.10-13.50, domenica e festivi 10.00-19.00. Luglio e agosto: feriali 8.10-13.50, domenica e festivi 10.00-16.00. Dal 1 novembre, il castello osserverà i seguenti orari: feriale dalle 8.10 alle 13.50, domenica e festivi dalle 10.00 alle 16.00. La cassa chiude 30 minuti prima. La prima domenica del mese è gratuita come per gli altri siti grazie all’iniziativa ministeriale #iovadoalmuseo. Una fortificazione con finalità difensiva ma ricca anche dell’eleganza residenziale. Proprio Pier Maria Rossi scelse le parole “altiera et felice” per l’iscrizione del Castello di Torrechiara. Il Castello di Torrechiara è il posto ideale per trascorrere un weekend insolito e scoprire la magica leggenda che ispirò il celebre film LadyHawke.
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pettiveria · 4 years ago
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La Loggia dei Mercanti Ascoli Piceno - Marche - Italia 🇮🇹 Se state passeggiando in Piazza del Popolo e state per entrare nella chiesa di San Francesco dal suo portale laterale, avvicinatevi all’incrocio del Cardo (strada principale Nord-Sud) e del Decumano (Est-Ovest), le odierne Via del Trivio e Corso Mazzini: qui si eleva la Loggia dei Mercanti, una elegante costruzione terminata nel 1513. La potente Corporazione dei Mastri Lanai (o Lanari) ne commissiona la realizzazione per potervi esporre i propri manufatti. I lavori vengono seguiti dapprima da Bernardino da Carona poi da Francesco Rubei da Villagona. Per quanto riguarda il disegno, si sono fatti numerosi nomi (Cola dell’Amatrice, Benedetto da Maiano), ma quello che risulta evidente è lo stile bramantesco del loggiato che si sviluppa su cinque ariose arcate sorrette da colonne a loro volta poggianti su alti dadi. Tutto ciò contribuisce a creare un effetto armonioso e leggero. Murata sulla parete accanto al portale laterale della Chiesa di San Francesco, sotto la loggia, è ben visibile una lastra di travertino con le misure del materiale edile, stabilite nel 1568. L’ordinanza, firmata dal Governatore Giovan Battista Baiardi di Parma e dagli Anziani, si era resa necessaria perché i fornaciari facevano “lavori scarsi” e “di minor misura”. La multa era di dieci scudi! https://www.instagram.com/p/COr0WWyFra7_26bFrYtPhLgGV34EFD-Z6qCPD00/?igshid=18t4uowonl2qx
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pi3troscalisi · 4 years ago
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-Nome: Storie di San Francesco
-Artista: Giotto
-Data: 1292-1296
-Luogo: basilica superiore di Assisi, Assisi
-Materiale e tecnica: affresco
-Descrizione: Per Giotto invece lo spazio pittorico doveva ricreare un volume tridimensionale e giustificò l'interruzione tra le scene tramite una serie di colonne che simulano un loggiato, sviluppando un'idea già usata, ad esempio nei mosaici della cupola del battistero di Firenze.
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Il castello di Francavilla (seconda parte)
di Mirko Belfiore
Nel 1739, l’ultimo principe di Francavilla Michele IV Junior apportò le modifiche più tarde, facendo demolire delle botteghe addossate lungo il perimetro Nord e alcune colonne che reggevano un pergolato posizionato dinanzi al portone d’ingresso e commissionando, infine, quell’elegante balaustra che ancora oggi cinge il fossato.
Alla morte di questi nel 1782, il palazzo fu incamerato tra i beni del Regno demanio nonostante che il Principe avesse nominato erede il cugino di terzo grado Vincenzo, marchese di Latiano. Dopo una lunga vertenza con il Regio Fisco, Vincenzo ottenne solo i beni mobili presenti nel palazzo (arredamenti, libreria, mobili, gioielli e le attrezzature del teatro) e il titolo di Principe di Francavilla. L’edificio rimase inutilizzato e abbandonato a sé stesso fino al 1821 quando divenne proprietà del Comune, il quale si occupò di ripristinare gli spazi interni apportando modifiche che in parte privarono la struttura di molti degli elementi originari.
Oggi lo ritroviamo in tutta la sua magnificenza grazie ai recenti restauri che oltre a preservarne le forme di età moderna ne ha ripristinato il valore di massimo emblema della città, assieme alla Chiesa matrice. A tutto ciò si è aggiunta una posizione di primo piano nella nuova politica di valorizzazione turistica che vede lo stesso assumere il ruolo non solo di contenitore culturale (allestimento del MAFF, il Museo archeologico di Francavilla Fontana) ma anche come punto di partenza per la riscoperta della storia della città e del suo centro storico.
1 Castello-Residenza Imperiali, Francavilla Fontana (Foto Alessandro Rodia)
  Analizzandolo dal punto di vista architettonico, il complesso si sviluppa su tre piani distribuiti in maniera asimmetrica, con una stretta relazione fra le strutture murarie preesistenti e gli elementi ornamentali tipici del periodo Barocco.
Facciata sud con portale d’ingresso (Foto Vanessa Nacci)
  Tutta la linea esterna è scandita da due linee marcapiano che si sviluppano lungo i quattro lati della struttura e che sono conclusi in alto da una possente merlatura guelfa e in basso da una muraglia a scarpa. La decorazione a dentelli rinascimentali e quella ad archetti concorrono insieme alle incorniciature aggettanti delle finestre del primo piano a vivacizzare la facies di tutto il prospetto, sfumando il ricordo dell’antica fortezza quattro-cinquecentesca.
Ai quattro angoli dell’edificio si collocano quattro stemmi araldici riproducenti un’aquila con le ali spiegate, sormontati da una corona e sorretti da mascheroni tufacei diversi per ogni spigolo, testimoni della proprietà della famiglia Imperiale.
Araldo della famiglia Imperiali posto sull’angolo sud-est (Foto Vanessa Nacci)
  L’edificio è inserito in un ampio e profondo fossato che da una funzione difensiva si è evoluto in una piccola oasi floreale fatta realizzare fra il XVII e XVIII secolo e che al mutare delle stagioni si impreziosisce di un cromatismo unico.
La residenza nobiliare ha due varchi d’accesso: uno sul lato meridionale posto su via del Municipio e uno secondario sito sul lato settentrionale e prospiciente via Barbaro Forleo. L’ingresso principale si apre su un elegante slargo a forma ovoidale, preceduto da due possenti colonne barocche e che introduce il visitatore al ponte di pietra, sostituto dell’antico ponte levatoio in legno.
Portale d’ingresso lato sud, particolare (Foto Vanessa Nacci)
  Lo splendido portale che adorna il varco d’ingresso è racchiuso fra due colonne con capitelli compositi ed è ornato da un cornicione a tutto sesto fortemente aggettante che accoglie un raffinato encarpo con foglie d’alloro, due rosette e, in chiave di volta, lo stemma degli Imperiale.
Portale d’ingresso facciata nord, particolare (Foto Vanessa Nacci)
  Più sobrio ma non per questo meno raffinato è il portale sito sul lato opposto, introdotto sempre da due imponenti colonne barocche e sormontato da una balconata in ferro dal profilo a petto d’oca che secondo Fulgenzio Clavica e Regina Poso, ricalca in parte il disegno di Mauro Manieri per l’accesso del Seminario di Brindisi e per il palazzo Imperiale poi Filotico di Manduria.
Loggiato barocco facciata est (Foto Alessandro Rodia)
  La facciata orientale collocata su Corso Umberto I è contraddistinta da una splendida loggia seicentesca in pietra locale e da molti attribuita a Pietro Antonio Pugliese, maestro scalpellino di Nardò, cresciuto nella bottega di Francesco Antonio Zimbalo e autore, fra il 1614 e il 1615, del magnifico altare di San Francesco di Paola collocato nella Basilica di Santa Croce a Lecce. Il manufatto si inserisce in posizione rientrante rispetto alle parti aggettanti ed è composto da quattro arcate, le quali risultano scandite da coppie di semicolonne quadrate con arcate a tutto sesto a cui si aggiungono quattro timpani spezzati di forma triangolare e altrettante finestre.
Nella parte sommitale troviamo una ricca trabeazione recante bassorilievi riproducenti grappoli d’uva e foglie di vite, colture rilevanti per la produzione agricola dell’area, oggi come allora. A questa si unisce un’estesa decorazione con soggetti di natura zooformi e fitoformi che in maniera uniforme si dipana lungo tutta la superficie del loggiato: la foglia di palma sezionata verticalmente e racchiusa da caulicoli, il motivo dei viticci che si avvolgono sinuosi intorno al fusto delle colonne e le rosette che in maniera geometrica si dispongono lungo le arcate. Questi particolari sottolineano l’esperienza del Pugliese per un gusto tutto leccese che non può che risalire agli insegnamenti dello Zimbalo e del Riccardi. Infine, un’elegante balaustra composta da colonnine di gusto classico e pilastrini squadrati – uno dei quali, al centro, accoglie lo stemma degli Imperiale – poggia naturalmente su una fila di mensoloni robusti, di cui ritroviamo corrispondenze con i ballatoi di alcuni palazzi di Oria, Manduria e nella stessa Francavilla (Palazzo Giannuzzi-Carissimo).
Loggiato barocco facciata est, particolare (Foto Alessandro Rodia)
  Durante i lavori di ripristino sono stati riscoperti una serie di ambienti ormai dimenticati e posti sotto l’attuale piano di calpestio. Tramite un passaggio posto lungo il lato occidentale del fossato si può ancora accedere a quelli che erano gli antichi locali che ospitavano le stalle e le rispettive mangiatoie dei cavalli. Sempre a questo livello ma sul lato opposto un medesimo ingresso introduce ad altri locali, probabile luogo di stoccaggio per le derrate alimentari poi divenuti in tempi recenti carceri mandamentali. Qui si conservano mercanzie di vario genere, una fra tutte il sale proveniente dalle saline presenti a Torre Columena (nei pressi di Avetrana) e di proprietà della famiglia Imperiale.
Locali stalle con mangiatoie, lato ovest piano interrato (Foto Alessandro Rodia)
  Locali Magazzini, lato est piano interrato (Foto Alessandro Rodia)
  Per la prima parte:
Il castello di Francavilla Fontana (prima parte)
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fedeliirene · 4 years ago
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Convento di S. Maria delle Grazie
A poca distanza dall'antico borgo di Vinacciano,arroccato in cima al suo colle, una strada sterrata e in cattive condizioni si inerpica nel bosco, lasciandosi alle spalle gli oliveti e gli ultimi casolari di campagna.
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fonte : https://www.reportpistoia.com/.../71351-il-convento-di...
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Si percorrono curve e tornanti tra una vegetazione sempre più fitta, finchè d'improvviso il bosco sembra aprirsi, e fare da cornice, in una radura, a quel che resta dell'ex convento di Santa Maria delle Grazie, complesso religioso oggi in totale rovina, divenuto negli anni preda dell'incuria e del vandalismo, ma la cui storia secolare merita di essere raccontata e riportata alla luce. Le origini risalgono al 1468, quando i Padri Domenicani di Pistoia avviarono i lavori per la costruzione di un ospizio-romitorio nel territorio di Vinacciano.
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Nel 1784, per effetto delle riforme del vescovo giansenista Scipione de’ Ricci, i Domenicani furono allontanati dalla città e il convento di Santa Maria delle Grazie con le sue terre fu venduto a Francesco Maria Tolomei, prete dell'oratorio pistoiese di San Filippo Neri, membro di questa nobile e potente famiglia pistoiese, che eseguì importanti lavori di restauro e di ampliamento del complesso. Riacquistato dai frati nel 1928 al loro rientro a Pistoia, il convento fu destinato, negli anni Trenta e Quaranta, a luogo di soggiorno estivo dei giovani seminaristi dell’Ordine, per poi essere definitivamente ceduto ai privati negli anni Settanta e iniziare il suo lento ma inesorabile declino.
Oggi la struttura si presenta in uno stato di abbandono pressoché totale, con il tetto interamente crollato, porte e finestre divelte, muri scrostati, travi e pietre spezzate, con numerose zone dell'edificio ormai coperte da una fitta vegetazione.
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L'eremo consisteva in un oratorio ad aula unica con volta a botte e pareti ripartite da lesene, con accanto una abitazione a più ambienti, preceduti da un loggiato a otto arcate con colonne in pietra. L'altare maggiore, di cui resta solo l'intonaco, ospitava una preziosa immagine sacra della Vergine, oggetto di devozione popolare, che rendeva il convento mèta di pellegrinaggi locali, e che le fonti indicano come dipinta ad affresco da un ignoto artista tra il 1469 e il 1479, sotto il patrocinio del padre Cristoforo Boccacerasa da Viterbo.
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Purtroppo la preziosa opera è andata perduta, così come tutte le suppellettili e ogni altro materiale edilizio, a causa dall'incessante opera di ladri che nel corso degli anni hanno razziato e trafugato dall'ex convento tutto ciò che potesse essere smurato, sottratto e riutilizzato altrove, dagli scalini dell'ingresso in pietra serena alle decorazioni dell'oratorio, dalle pianelle in cotto agli infissi delle finestre.Lo stato di colpevole abbandono, l'incuria, le intemperie e soprattutto l'azione di continua “ripulitura” del convento ha ridotto quello che fino alla metà del secolo scorso era un importante centro di spiritualità della collina del Montalbano a un ammasso informe di rovine. 
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Operazioni di restauro e recupero appaiono difficili e costose; all'escursionista, all'appassionato di storia locale o al semplice curioso resta la vista, a tratti inquietante e un po' spettrale, ma sicuramente affascinante, dell'antico complesso che compare, selvaggio e inaspettato, in mezzo al bosco.
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rosaannaargento · 5 years ago
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BIAS 2020 SEMPRE PIÙ INTERNAZIONALE: da Sicilia e Sardegna al resto del mondo
Accanto ai ginepri e ai graniti, tra le vie strette del borgo di Porto Rotondo, dopo il successo del vernissage di Palermo presso il Loggiato di San Bartolomeo e in altre location siciliane di assoluto livello, anche la Sardegna ospita le opere dell’ottava tappa BIAS - Biennale Internazionale di Arte Sacra Contemporanea, partita da Venezia lo scorso giugno 2020 e giunta alla sua terza edizione. Col Patrocinio del consorzio di Porto Rotondo e di vari enti, promossa, tra gli altri, dalla Prm srl, dalla Fondazione Donà dalle Rose e da Wish. Le sculture e le installazioni rimarranno nel borgo fino a Novembre di quest'anno.
Arte sacra, ovvero spirituale, con una visione trasversale del mondo, della vita e di tutto ciò che è atto creativo.
L'installazione delle 20 opere di 5 artisti internazionali BIAS 2020 en plein air richiama l'arrivo della famiglia veneziana fondatrice di Porto Rotondo, nelle persone di Niccolò e Francoise Dona' delle Rose, e ricrea i punti d’incontro con la città veneta.
È ciò che spiega la stessa contessa Chiara Modica Donà dalle Rose, direttrice della BIAS: «la mostra Biennale matura sulle orme di quella di Venezia, che negli anni ha dato riconoscimenti storici ed è figlia del nostro secolo pur guardando all’artista da un punto di vista nazionalistico, con i padiglioni che richiamano i vari Paesi».
Per la sua terza edizione BIAS porta alla ribalta 100 artisti worldwide.
Cinque di essi espongono per l'appunto sulla darsena portorotondina, con la supervisione di Rosa Mundi, artista di cui si conoscono le opere ma non il volto.
Come specifica la contessa Chiara Dona' dalle Rose, direttrice BIAS e moglie del Conte Francesco Dona' dalle Rose: «Puntiamo i riflettori sardi sui fratelli Cristiano e Patrizio Alviti, rispettivamente scultore e pittore, meglio noti al grande pubblico come “ALVITIART”, le artiste Camilla Ancilotto e Margherita Grasselli, grandi promesse femminili nel panorama contemporaneo e ovviamente la celebre Rosa Mundi. Tutte personalità con esperienze importanti e che hanno perfettamente centrato il tema di quest'anno su Gioco e Tempo. Notevole è anche il legame delle opere che hanno prodotto con con Porto Rotondo, riuscendo a fondere la storia del luogo tra passato e presente. Il tutto inserito a pieno nella lunga tradizione di collezionismo e mecenatismo della famiglia Donà dalle Rose che perdura da seicento anni al fianco di artisti di ogni genere ed epoca».
Prossimi step? L' apertura di un Museo del Mare che possa raccontare al mondo la vera storia di Porto Rotondo e delle famiglie che l'hanno resa possibile.
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floweredalmond · 4 years ago
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Camera degli sposi, Andrea Mantegna, 1465-1474, affresco. Il tema generale è una celebrazione politico-dinastica dell'intera famiglia di Ludovico II Gonzaga, con l'occasione dell'elezione a cardinale del figlio Francesco. Mantegna studiò una decorazione che investiva tutte le pareti e le volte del soffitto, adeguandosi ai limiti architettonici dell'ambiente, ma al tempo stesso sfondando illusionisticamente le pareti con la pittura, come se ci si trovasse al centro di un loggiato o di un padiglione aperto verso l'esterno. Motivo di raccordo tra le scene sulle pareti è il finto zoccolo marmoreo che gira tutt'intorno nella fascia inferiore, sul quale poggiano i pilastri che suddividono le scene in tre aperture. La volta è affrescata suggerendo una forma sferoidale e presenta centralmente un oculo, da cui si sporgono personaggi e animali stagliati sul cielo azzurro. Attorno all'oculo alcuni costoloni dipinti dividono lo spazio in losanghe e pennacchi. I costoloni vanno a terminare in finti capitelli, a loro volta poggianti sui reali peducci delle volte, gli unici elementi a rilievo di tutta la decorazione, assieme alle cornici delle porte e al camino. Ciascun peduccio (esclusi solo quelli in angolo) appoggia in corrispondenza di uno dei pilastri dipinti. Il registro superiore delle pareti è occupato da dodici lunette, decorate da festoni e imprese dei Gonzaga. Alla base delle lunette, tra peduccio e peduccio, corrono figuratamente le aste che fanno da cursore ai tendaggi, che sono raffigurati come scostati per permettere la visione delle scene principali. Questi drappi, che realmente coprivano i muri delle stanze del castello, simulano il broccato o il cuoio impresso a oro e foderato d'azzurro, e sono abbassati sulle pareti sud ed est, mentre sono aperti sulla parete nord (la Corte) e ovest (l'Incontro). Il tema generale è la celebrazione politico-dinastico dell'intera famiglia Gonzaga, anche se decenni di studi non sono riusciti a chiarire univocamente un'interpretazione accettata da tutti gli studiosi. Probabilmente l'ideazione del complesso programma iconografico richiese varie consulenze, tra cui sicuramente quella del marchese stesso. Numerosissimi sono i ritratti, estremamente curati nella fisionomia e, talvolta, nella psicologia. Sebbene un'identificazione certa di ognuno di essi è impossibile a causa della mancanza di testimonianze, taluni sono tra le opere più intense di Mantegna in questo genere. La stanza collocata nel torrione nord-est del Castello di San Giorgio (Mantova).
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tmnotizie · 6 years ago
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PESARO – Il programma espositivo della Fondazione Pescheria – Centro Arti Visive di Pesaro, in collaborazione con Sistema Museo, prosegue con: Fabio Barile e Domingo Milella: Le forme del tempo. Un dialogo per immagini, seconda mostra di ricerca sulla fotografia contemporanea a cura di Alessandro Dandini de Sylva, che ha  inaugurato al pubblico sabato 2 marzo  e sarà visitabile fino al 9 giugno 2019.
L’oggetto del dialogo tra Fabio Barile e Domingo Milella è il senso del tempo. Entrambi utilizzano la fotografia per trasporlo, ridurlo e costruirne un’immagine. Le misure sono differenti: il primo riflette sul tempo geologico mentre il secondo sul tempo storico, ma ambedue compongono immagini che ne descrivono le forme.
Il lavoro di Domingo Milella, Indexing 2001/2016, racchiude le principali destinazioni di quindici anni di ricerca durante i quali l’autore ha raccolto immagini e segni di genti e culture svanite, abbastanza antiche da essere a noi straniere e spesso non decifrate. Il viaggio di Milella è cominciato nella periferia di Bari, la città in cui è cresciuto, ed è proseguito prima verso Oriente e poi verso Occidente segnando una mappa in cui l’uomo, spesso fisicamente assente, lascia comunque tracce della sua presenza.
Il lavoro di Fabio Barile, An Investigation of the laws observable in the composition, dissolution and restoration of land, consiste nell’analisi dei complessi e intricati elementi che caratterizzano il paesaggio in cui viviamo, attraverso evidenze geologiche, sperimentazioni con materiali fotografici e simulazioni di fenomeni. Il suo intento è di stabilire un dialogo con la storia profonda del nostro pianeta che, eroso, compresso e plasmato, nel corso di miliardi di anni di trasformazioni, ha generato l’illusoria stabilità del paesaggio cui siamo abituati oggi.
Lo spirito di viaggiatori nel tempo è la cifra e l’impronta della ricerca dei due autori. La giustapposizione delle loro fotografie negli spazi del Loggiato e dell’attigua Chiesa del Suffragio, si traduce in un percorso a ritroso che è una discesa nell’ignoto, un viaggio nel cuore dell’umano, dal tempo presente fino al tempo profondo.
In una famosa lettera indirizzata a un collega americano, Charles Darwin dichiarò che pensare all’evoluzione dell’occhio lo faceva rabbrividire. L’autore dell’Origine delle specie si serviva di questo strumento retorico quando introduceva i lettori al concetto di evoluzione; un processo naturale che supera la nostra immaginazione per la sua ampiezza, ubiquità e (nella maggior parte dei casi) estrema lentezza. Nessuno osservando un paesaggio in campagna può farsi un’idea dell’evoluzione in atto, proprio come nessuno, guardando il cielo pieno di stelle, può farsi un’idea delle dimensioni dell’intera galassia. È giusto dunque aspettarci qualche brivido.
In occasione della mostra Le forme del tempo, la Fondazione Pescheria Centro Arti Visive di Pesaro rinnova la felice collaborazione con la Fondazione Malaspina di Ascoli Piceno, già avviata per Qualsiasità, la prima mostra di ricerca fotografica curata da Alessandro Dandini de Sylva, nel 2017/18. L’obiettivo è di realizzare iniziative in comune e favorire la diffusione delle proprie attività e produzioni in istituzioni culturali nazionali e internazionali.
Il risultato di quest’ultima collaborazione sarà una pubblicazione che raccoglierà una selezione dei lavori esposti in Pescheria, insieme a due conversazioni con gli artisti, e sarà presentata alla Biblioteca San Giovanni di Pesaro alla presenza dei due autori e del curatore.
Domingo Milella (Bari, 1981) ha vissuto a Bari fino all’età di 18 anni. Dopo essersi trasferito a New York, ha studiato fotografia alla School of Visual Arts sotto la guida di Stephen Shore. I suoi lavori sono stati esposti alla galleria Brancolini Grimaldi di Londra, presso Tracy Williams a New York, al Foam Museum di Amsterdam, al MACRO di Roma, alla 54° Biennale di Venezia e a Les Rencontres de la Photographie di Arles. Le sue opere sono state inserite in importanti collezioni nazionali e internazionali tra cui la Margulies Collection di Miami e la Borusan Contemporary di Istanbul.
Tra le mostre personali si ricordano quelle presso Grimaldi Gavin (Londra, 2015), Tracy Williams Ltd (New York, 2014), Brancolini Grimaldi (Londra, 2012), e la mostra Orli Estremi di Qualche Età Sepolta curata da 3/3 presso Palazzo Coiro (Castelmezzano, 2011). Tra le collettive cui l’artista ha preso parte Italy Inside Out presso Palazzo della Regione (Milano, 2015), Esprit Mediterranéen presso la Pinacoteca di Bari (2011), Giovane fotografia di ricerca in Puglia presso la Fondazione Museo Pino Pascali (Bari, 2011), Egosistemi – Nature Becomes Art presso Palazzo Panichi (Pietrasanta, 2011). Nel 2014 pubblica con Steidl il suo primo libro, Domingo Millella, e nel 2015 è tra i curatori della mostra Tempo al Tempo presso Roman Road (Londra).
Fabio Barile (Barletta, 1980) ha studiato fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni. Nel 2007 è selezionato fra i quindici finalisti del concorso Atlante Italiano 007 e le sue immagini esposte al MAXXI di Roma. La sua prima personale, Diary n°0 – Things that do not Happen, è inclusa nel circuito del Festival Internazionale di Roma del 2009. Nello stesso anno, il progetto Among è incluso nelle collettive Tempi Osceni al Foto Festival di Atene e Moments de la photographie contemporaine italienne II al Centre d’Art Dominique Lang.
Dal 2010 entra a far parte dell’archivio fotografico Documentary Platform, A Visual Archive. Nel 2012 il dummy Soli Finti è selezionato per il Dummy Award del Photobook Festival ed esposto a Le Bal (Parigi). Nel 2015, il suo lavoro Homage to James Hutton è esposto al al MACRO di Roma come parte della collettiva principale del Festival Internazionale di Fotografia di Roma. Nel 2017 in seguito alla personale presso la galleria Matèria (Roma), espone parte del suo lavoro An investigation of the laws observable in the composition, dissolution and restoration of land all’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma, in dialogo con l’archivio fotografico. Le sue opere sono state inserite nelle collezioni della Fondazione MAST di Bologna e dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma.
Alessandro Dandini de Sylva (Roma, 1981) è artista e curatore. I suoi lavori sono stati esposti in istituzioni pubbliche e private tra cui la Flowers Gallery a Londra, la Humble Arts Foundation a New York, il Bund 33 Art Center a Shanghai, l’Istituto Italiano di Cultura a Parigi e Operativa Arte Contemporanea a Roma. È stato premiato con il Premio Shanghai, un programma di residenze per artisti emergenti italiani e cinesi, e con Les Promesses de l’Art, un programma di residenze per artisti italiani a Parigi, e selezionato come finalista per il Talent Prize e per il Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee.
Il suo primo libro d’artista, Paesaggi, è stato acquisito nella collezione dei libri d’artista della Tate Library. Dal 2011 al 2016 è stato curatore di FOTOGRAFIA Festival Internazionale di Roma. Tra il 2012 e il 2016 ha curato un ciclo di mostre dedicato alla fotografia sperimentale al MACRO Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Nel 2013 e nel 2014 è stato curatore ospite alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma e alla Fondazione Ermanno Casoli di Fabriano. Dal 2016 è direttore artistico alla Fondazione Malaspina a Ascoli Piceno e dal 2017 curatore ospite alla Fondazione Pescheria Centro Arti Visive di Pesaro. Il suo ultimo lavoro, Vuoti e bruciature, è stato presentato nel 2017 da Operativa Arte Contemporanea a Roma e poi esposto nel 2018 presso Limone a Londra e alla Fondazione Francesco Fabbri a Pieve di Soligo.
In collaborazione con Fondazione Malaspina, Doppelgaenger, Matéria Sponsor tecnico Cantine Offida
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qdmnotizie-blog · 6 years ago
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FABRIANO, 20 ottobre 2018 – Terza giornata di Salone internazionale dell’artigianato e Remake Festival. Tra workshop, eventi dedicati ai bambini in biblioteca e conferenze per discutere di come si organizzi un evento musicale e la tecnologia e l’innovazione nel mondo del cinema.
Diverse le location scelte per ospitare il complesso ed articolato programma: il Teatro Gentile da Fabriano (che ospiterà il live di Raphael Gualazzi la sera di sabato 20 ottobre, e che viaggia verso il sold out), l’Oratorio della Carità, la Biblioteca Multimediale R. Sassi, il Loggiato di San Francesco, il Palazzo del Podestà, l’Oratorio del Gonfalone, il Complesso Monumentale San Benedetto, il Mercato Coperto ed ovviamente lo spazio di coworking del complesso Le Conce. 
Un programma che partirà dalle ore 10, in centro storico con l’apertura dell’area espositiva e con i primi eventi che inizieranno alle 10.30.
Il programma da scaricare
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  A Concludere la giornata la musica con la musica di Raphael Gualazzi (che suonerà in trio all’interno del Teatro Gentile a partire dalle ore 21) .  Cambio di location e dalle ore 23 ecco Dj Mexican Guy e Larssen Industrie per un live dj-set all’interno dei giardini del poio.
  ©RIPRODUZIONE RISERVATA
FABRIANO / SALONE INTERNAZIONALE DELL’ARTIGIANATO E REMAKE FESTIVAL: TERZA GIORNATA FABRIANO, 20 ottobre 2018 - Terza giornata di Salone internazionale dell’artigianato e Remake Festival. Tra workshop, eventi dedicati ai bambini in biblioteca e conferenze per discutere di come si organizzi un evento musicale e la tecnologia e l’innovazione nel mondo del cinema.
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freedomtripitaly · 5 years ago
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L’incantevole Offida in provincia di Ascoli Piceno, tra le valli dei fiumi Tesino e Tronto. Parte del circuito dei Borghi Più Belli d’Italia nel 2008, non si fatica a capire i motivi del suo ingresso nell’esclusivo club: è sufficiente osservare la quiete bellezza che Offida emana, mentre si staglia da uno sperone roccioso solcato dal torrente Lama. Il centro storico di Offida è racchiuso da mura di cinta risalenti al XV secolo e dalla sua posizione privilegiata il paese offre vedute meravigliose: dai belvedere del borgo si possono ammirare il monte Ascensione, i Monti Sibillini ed il monte dei Fiori e nelle giornate limpide è possibile persino scorgere l’Adriatico, la Maiella ed il Gran Sasso. Colpito purtroppo nel 2016 da un tremendo terremoto, il paese è stato capace di riprendersi con forza ed offre oggi ai suoi visitatori meraviglie da vedere e da gustare. Cosa vedere a Offida Il fulcro del borgo di Offida è Piazza del Popolo, dall’originale forma triangolare, sulla quale si affacciano sia la Chiesa dell’Addolorata che il raffinato Palazzo Comunale, un capolavoro architettonico risalente al XI-XII secolo ed arricchito da un elegante loggiato. È proprio da lì che si accede allo spettacolare Teatro Serpente Aureo, un teatro all’italiana dalle suggestioni barocche realizzato nel 1820 su progetto dell’architetto Pietro Maggi. Il punto del teatro che più attira lo sguardo è la sua volta affrescata rappresentante Apollo circondato dalle Muse, opera di A. Allevi. Una curiosa leggenda dà inoltre il nome alla struttura: si narra infatti che un serpente d’oro attraversò la città di Offida in senso longitudinale, percorrendo quella la strada principale del paese che oggi viene appunto chiamata Corso Serpente Aureo. L’evento è raffigurato sul proscenio in un dipinto di Giovanni Battista Magini. Tra gli edifici di culto di Offida si trova la Collegiata di Santa Maria Assunta, costituita da una commistioni di stili greco, barocco, romano e lombardo: i suoi interni interni decorati da eleganti stucchi e volte a cassettoni custodiscono i resti di San Leonardo, santo patrono di Offida. È però la Chiesa di Santa Maria della Rocca il vero gioiello medievale della città, risalente al XIV e costruita a strapiombo su un’alta rupe. Mentre i panorami dai dintorni della chiesa sono a dir poco meravigliosi, l’edificio nasconde un tesoro inestimabile: la chiesa ingloba le rovine di quello che un tempo era un complesso comprendente un castello ed una chiesa, i resti della quale sono oggi visibili della cripta di Santa Maria della Rocca. Ricca di colonne e arcate, lo spazio ospita preziosi dipinti del Maestro di Offida (sec. XIV-XV), di Ugolino di Vanne da Milano e di Fra Marino Angeli da S. Vittoria. Altri edifici religiosi da vedere sono la Chiesa del Suffragio e della Morte, così chiamata perché nella nicchia conserva un finto scheletro in legno rappresentante la Morte, il Santuario del Beato Bernardo, l’ex Convento di Sant’Agostino e la Chiesa di San Marco con l’annesso Convento. La sede di quella che oggi è la caratteristica Enoteca Regionale delle Marche era un tempo il convento di S. Francesco, edificato nel XIII per volontà delle monache Clarisse, di cui oggi è possibile ammirare gli antichi ambienti, armoniosamente occupati dall’Enoteca. Offida è nota anche per le sue bellissime fontane dallo stile unico: tra queste sono da annoverare la Fontana Grande o della Dea Flora e la Fontana del Mietitore. Il gruppo scultoreo della Fontana delle Merlettaie, situata all’ingresso del paese, oltre che essere stupenda architettonicamente è anche iconica rappresentazione di una delle tradizioni artigianali più antiche e sentite di Offida ovvero l’arte del merletto a tombolo. Ancora oggi tra le vie del borgo è possibile cogliere le donne offidane concentrate nel complicato intreccio di fili che da vita a magnifici capolavori artistici. A questa antica disciplina è anche dedicato un museo: il Museo del Merletto a Tombolo, ospitato all’interno del Palazzo De Castellotti-Pagnanelli, dove oltre ad ammirare piccoli tesori artigianali si possono apprendere le principali tecniche di lavorazione. Quello del merletto non è l’unico museo che le sale del Palazzo De Castellotti-Pagnanelli ospita. In questo edificio, fulcro di elevata importanza culturale, si trovano anche il Museo delle Tradizioni Popolari, che ricostruisce antiche botteghe artigianali e attrezzi agricoli, ed il Museo Archeologico che espone invece importanti ritrovamenti effettuati nel XIX secolo dall’archeologo Guglielmo Allevi. Tra le gallerie da non perdere anche quella dedicata ad Sergiacomi, scultore della Fontana delle Merlettaie, che ad Offida visse ed operò. Il Carnevale di Offida Tra gli eventi paesani, quello di maggiore vivacità è senza dubbio il Carnevale di Offida, un tripudio di colori e vive tradizioni davvero indimenticabile. All’interno dell’evento che coinvolge l’intera popolazione, particolarmente originali sono le due manifestazioni del «Lu Bov Fint» e quella dei Vlurd. Durante la prima, gli abitanti del paese inseguono la sagoma di un bue per le vie di Offida, mentre durante la seconda centinaia di partecipanti mascherati sfilano per il paese portando sulle spalle fiaccole incandescenti, per gettarle poi in un grande falò a suggellare la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima. Cosa mangiare a Offida Offida tenta la gola con delizie dolci e salate di ogni sorta alle quali è impossibile resistere. Tra le più caratteristiche i chichì ripieni, ovvero gustosissime focacce farcite con tonno, carciofini, alici e peperoni, ed i funghetti, dolci preparati con farina, zucchero, acqua e semi di anice. Tra i prodotti tipici di Offida ci sono anche il coniglio in salsa ed i taccù, grossi tagliolini cucinati in brodo con soffritto di cipolla e pancetta oppure con sugo di pomodoro. Di derivazione contadina e tremendamente deliziosi sono anche i maccheroncini della trebbiatura ed il pollo ncipp nciapp, ovvero spezzatino rosolato in padella, con aglio e rosmarino. Numerosi sono poi i rinomati vini locali come l’Offida DOC, il Percorino, il Falerio o il Terre di Offida. I piatti di Offida uniti a quelli caratteristici della cucina marchigiana in generale rendono queste zone d’Italia una tentazione unica per gli amanti dei tour enogastronomici di qualità. https://ift.tt/2uijB7E Cosa fare e cosa vedere nel bellissimo borgo di Offida L’incantevole Offida in provincia di Ascoli Piceno, tra le valli dei fiumi Tesino e Tronto. Parte del circuito dei Borghi Più Belli d’Italia nel 2008, non si fatica a capire i motivi del suo ingresso nell’esclusivo club: è sufficiente osservare la quiete bellezza che Offida emana, mentre si staglia da uno sperone roccioso solcato dal torrente Lama. Il centro storico di Offida è racchiuso da mura di cinta risalenti al XV secolo e dalla sua posizione privilegiata il paese offre vedute meravigliose: dai belvedere del borgo si possono ammirare il monte Ascensione, i Monti Sibillini ed il monte dei Fiori e nelle giornate limpide è possibile persino scorgere l’Adriatico, la Maiella ed il Gran Sasso. Colpito purtroppo nel 2016 da un tremendo terremoto, il paese è stato capace di riprendersi con forza ed offre oggi ai suoi visitatori meraviglie da vedere e da gustare. Cosa vedere a Offida Il fulcro del borgo di Offida è Piazza del Popolo, dall’originale forma triangolare, sulla quale si affacciano sia la Chiesa dell’Addolorata che il raffinato Palazzo Comunale, un capolavoro architettonico risalente al XI-XII secolo ed arricchito da un elegante loggiato. È proprio da lì che si accede allo spettacolare Teatro Serpente Aureo, un teatro all’italiana dalle suggestioni barocche realizzato nel 1820 su progetto dell’architetto Pietro Maggi. Il punto del teatro che più attira lo sguardo è la sua volta affrescata rappresentante Apollo circondato dalle Muse, opera di A. Allevi. Una curiosa leggenda dà inoltre il nome alla struttura: si narra infatti che un serpente d’oro attraversò la città di Offida in senso longitudinale, percorrendo quella la strada principale del paese che oggi viene appunto chiamata Corso Serpente Aureo. L’evento è raffigurato sul proscenio in un dipinto di Giovanni Battista Magini. Tra gli edifici di culto di Offida si trova la Collegiata di Santa Maria Assunta, costituita da una commistioni di stili greco, barocco, romano e lombardo: i suoi interni interni decorati da eleganti stucchi e volte a cassettoni custodiscono i resti di San Leonardo, santo patrono di Offida. È però la Chiesa di Santa Maria della Rocca il vero gioiello medievale della città, risalente al XIV e costruita a strapiombo su un’alta rupe. Mentre i panorami dai dintorni della chiesa sono a dir poco meravigliosi, l’edificio nasconde un tesoro inestimabile: la chiesa ingloba le rovine di quello che un tempo era un complesso comprendente un castello ed una chiesa, i resti della quale sono oggi visibili della cripta di Santa Maria della Rocca. Ricca di colonne e arcate, lo spazio ospita preziosi dipinti del Maestro di Offida (sec. XIV-XV), di Ugolino di Vanne da Milano e di Fra Marino Angeli da S. Vittoria. Altri edifici religiosi da vedere sono la Chiesa del Suffragio e della Morte, così chiamata perché nella nicchia conserva un finto scheletro in legno rappresentante la Morte, il Santuario del Beato Bernardo, l’ex Convento di Sant’Agostino e la Chiesa di San Marco con l’annesso Convento. La sede di quella che oggi è la caratteristica Enoteca Regionale delle Marche era un tempo il convento di S. Francesco, edificato nel XIII per volontà delle monache Clarisse, di cui oggi è possibile ammirare gli antichi ambienti, armoniosamente occupati dall’Enoteca. Offida è nota anche per le sue bellissime fontane dallo stile unico: tra queste sono da annoverare la Fontana Grande o della Dea Flora e la Fontana del Mietitore. Il gruppo scultoreo della Fontana delle Merlettaie, situata all’ingresso del paese, oltre che essere stupenda architettonicamente è anche iconica rappresentazione di una delle tradizioni artigianali più antiche e sentite di Offida ovvero l’arte del merletto a tombolo. Ancora oggi tra le vie del borgo è possibile cogliere le donne offidane concentrate nel complicato intreccio di fili che da vita a magnifici capolavori artistici. A questa antica disciplina è anche dedicato un museo: il Museo del Merletto a Tombolo, ospitato all’interno del Palazzo De Castellotti-Pagnanelli, dove oltre ad ammirare piccoli tesori artigianali si possono apprendere le principali tecniche di lavorazione. Quello del merletto non è l’unico museo che le sale del Palazzo De Castellotti-Pagnanelli ospita. In questo edificio, fulcro di elevata importanza culturale, si trovano anche il Museo delle Tradizioni Popolari, che ricostruisce antiche botteghe artigianali e attrezzi agricoli, ed il Museo Archeologico che espone invece importanti ritrovamenti effettuati nel XIX secolo dall’archeologo Guglielmo Allevi. Tra le gallerie da non perdere anche quella dedicata ad Sergiacomi, scultore della Fontana delle Merlettaie, che ad Offida visse ed operò. Il Carnevale di Offida Tra gli eventi paesani, quello di maggiore vivacità è senza dubbio il Carnevale di Offida, un tripudio di colori e vive tradizioni davvero indimenticabile. All’interno dell’evento che coinvolge l’intera popolazione, particolarmente originali sono le due manifestazioni del «Lu Bov Fint» e quella dei Vlurd. Durante la prima, gli abitanti del paese inseguono la sagoma di un bue per le vie di Offida, mentre durante la seconda centinaia di partecipanti mascherati sfilano per il paese portando sulle spalle fiaccole incandescenti, per gettarle poi in un grande falò a suggellare la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima. Cosa mangiare a Offida Offida tenta la gola con delizie dolci e salate di ogni sorta alle quali è impossibile resistere. Tra le più caratteristiche i chichì ripieni, ovvero gustosissime focacce farcite con tonno, carciofini, alici e peperoni, ed i funghetti, dolci preparati con farina, zucchero, acqua e semi di anice. Tra i prodotti tipici di Offida ci sono anche il coniglio in salsa ed i taccù, grossi tagliolini cucinati in brodo con soffritto di cipolla e pancetta oppure con sugo di pomodoro. Di derivazione contadina e tremendamente deliziosi sono anche i maccheroncini della trebbiatura ed il pollo ncipp nciapp, ovvero spezzatino rosolato in padella, con aglio e rosmarino. Numerosi sono poi i rinomati vini locali come l’Offida DOC, il Percorino, il Falerio o il Terre di Offida. I piatti di Offida uniti a quelli caratteristici della cucina marchigiana in generale rendono queste zone d’Italia una tentazione unica per gli amanti dei tour enogastronomici di qualità. Quello di Offida è uno dei borghi più belli delle Marche, ricco di edifici storici come il Teatro del Serpente Aureo e di edifici religiosi da visitare.
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    Le Isole Borromee con Isola dei Pescatori
Isola Bella, Isola Madre e altri isolotti
il regno dei Borromeo
    Le Isole Borromee con in primo piano l’ Isola dei Pescatori e dietro Isola Madre
      Isola dei Pescatori, è parte delle Isole Borromee, anche se non più di proprietà della nobile e importante famiglia, è l’unica ad essere abitata, avendo questa caratteristica è anche una delle più belle, perché viva e carica di storia comune, di vita giornaliera scandita, una volta, dalle gesta dei pescatori, oggi rimasti in pochi.
I Borromeo di origine toscana, furono nel lontano fine 1300, esiliati dall’Italia Centrale e stabilitisi nell’alto novarese, intorno alle sponde del Lago Maggiore, ricrearono la fortuna della famiglia, con il nuovo Stato Borromeo, acquistando terreni, avviando le costruzioni di ville, giardini e della splendida Rocca di Angera.
Le Isole Borromee, composte da tre isole, l’ Isola dei Pescatori, Isola Bella, Isola Madre, un’Isolino quello di San Giovanni e dallo Scoglio della Malghera, chiamato anche l’Isolino degli Innamorati per la sua piccola e romantica spiaggia, situato dietro a Isola Bella e completamente disabitato, raggiungibile solo in barca.
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  L’arcipelago delle Isole Borromee e l’ Isola dei Pescatori
    Isola dei Pescatori il nome deriva dall’attività degli abitanti, è la più piccola delle Isole Borromee, ha una superficie di 100 metri di larghezza per 350 di lunghezza, ed il suo “vero” nome, è Isola Superiore, situata nella parte nord dell’arcipelago, sopra a Isola Bella.
Anticamente sull’ Isola dei Pescatori vivevano circa 300 famiglie e tutte dedite alla pesca, oggi ne risiedono stabilmente 50 a portare avanti, quella che è la tradizione lavorativa del posto, rifornendo i ristoranti di buon pesce di lago, per la preparazione dei gustosissimi piatti tradizionali.
Isola dei Pescatori nell’arcipelago delle Isole Borromee
L’isola è caratterizzata da un piccolo borgo, fatto di strette stradine con le casette aventi balconi stretti e lunghi, usati una volta, per essiccare il pescato e dalla Chiesa di San Vittore, che spunta tra i tetti di colore rosso.
Merita una visita, la Chiesa di San Vittore, risalente all’anno mille venne ricostruita nel corso del ‘600 e del ‘700.
All’interno della chiesa si trovano affreschi cinquecenteschi e l’altare con i busti rappresentanti quattro vescovi, Sant’Ambrogio, San Gaudenzio, San Francesco di Sales e San Carlo Borromeo.
Visitata per otto mesi all’anno, da turisti provenienti da tutto il mondo, l’ Isola dei Pescatori è considerata la più visitata delle Isole Borromee, caratteristico è il suo mercatino di antiquariato, il piccolo cimitero dietro la chiesa, dove sono seppelliti i pescatori, abitanti dell’isola, con le loro lapidi, che portano ognuna il modellino di una barca.
I ristorantini, che offrono pesce fresco, nei vari piatti della tradizione del lago e le feste, tra le quali citiamo la festa di Ferragosto, caratterizzata da una processione di barche illuminate che omaggiano la statua di Santa Maria Assunta, mentre fa il giro dell’isola, Carnevale, dove si allestisce una lunga tavolata e gli isolani si riuniscono per mangiare un’ottima polenta e bere un buon bicchiere di vino e la sera della vigilia dell’Epifania, quando tutti i bambini sono impegnati a svegliare la Befana con la “carga vegia“, correndo per tutta l’isola trascinandosi dietro, legati ad una corda, lattine, marmitte, coperchi e tutto ciò che rotolando produce rumore.
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  Isola Madre
    La più grande delle Isole Borromee, di proprietà della famiglia Borromeo, a cui si deve la sua bellezza.
Intorno al 1500 iniziò la trasformazione dell’isola, con la costruzione della residenza privata della famiglia, larga 220 metri e lunga 330, è occupata da alcune costruzioni e soprattutto dal giardino botanico.
    Palazzo Borromeo residenza sull’Isola Madre
    Gli ambienti del Palazzo, furono allestiti a partire dal 1978, con arredi provenienti dalle varie dimore della famiglia Borromeo, offrono numerose opere d’arte, quali arazzi, mobili e quadri, al suo interno si ripropone, anche con l’ausilio di manichini vestiti con i costumi dei secoli passati, lo stile di vita dell’epoca.
La pianta del palazzo è a forma di L, vi si accede attraverso due approdi, situati rispettivamente sulla sponda settentrionale e su quella meridionale, da quest’ultimo si arriva al piazzale detto “della Cappella”, da dove risalendo una scala, che porta al livello superiore, si arriva all’ingresso principale dell’edificio.
Mentre da quello a nord, varcato un cancello, si trova una gradinata che consente di attraversare l’intera isola e di giungere al piazzale dove si affaccia il palazzo.
Il piano terra, caratterizzato, come il primo piano, da un loggiato ad archi, affiancati da aperture quadrate.
Isola Madre con Palazzo Borromeo e i Giardini
Le sale del piano terreno presentano una copertura a botte, a ombrello e a padiglione, una scala collega con il primo piano, dove gli ambienti hanno i soffitti a cassettone o con travi di legno.
La sala posta a sud-est è decorata a tromp-d’oeil, con pergolati, fiori e piante rampicanti, una delle sale più importanti è il Salone di Ricevimento che reca alle pareti quadri di soggetto biblico di Stefano Danedi, detto il Montalto, Ercole Procaccini il Giovane e Giovan Battista Costa, la Sala delle Stagioni è dominata da un’imponente arazzo, la Sala delle Bambole conserva un’importante collezione di bambole ottocentesche, provenienti dalla Francia e dalla Germania, insieme ad una bellissima e singolare collezione, quella di marionette e teatrini risalenti ai secoli XVII, XVIII e XIX.
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  I giardini dell’isola
    I giardini che attorniano il Palazzo Borromeo, definiti dallo scrittore francese Gustave Flaubert “Un Paradiso Terreste”, sorgono su un’area di circa 8 ettari, fu progettato su un precedente frutteto, poi uliveto e infine agrumeto, che rimase produttivo sino alla fine del settecento.
Ospita, essenze vegetali rare ed esotiche, originarie da ogni parte del mondo, il clima mita ha permesso l’insediamento di una flora sorprendente e difficilmente reperibile in altri luoghi, come aceri, banani, camelie, eucalipti, palme, fra le quali si aggirano multicolori pavoni, pappagalli e fagiani.
Famosa è la “scala dei morti“, arricchita con un’importante collezione di Wisteria o più comunemente glicine.
    Isola Bella
    Anche questa di proprietà della famiglia Borromeo, fa parte dell’arcipelago, subito sotto l’ Isola dei Pescatori, con tra le due, lo Scoglio della Malghera o Isolino degli Innamorati.
L’isola, quasi di fronte a Stresa, non è molto grande, misura 320 metri di lunghezza e 180 di larghezza, in gran parte occupata dal giardino all’italiana del palazzo Borromeo, che occupa la costa dell’isolotto.
Lo Scoglio della Malghera o isolino degli innamorati e sullo sfondo Isola dei Pescatori
Come l’Isola Madre, la sua storia è legata ai terreni acquistati dai Borromeo, dopo l’esilio dalla Toscana e l’insediamento nell’alto novarese.
Qui Carlo III Borromeo, iniziò la costruzione del Palazzo, per la moglie Isabella d’Adda ma il completamento avvenne per opera dei figli, il Cardinale Gilberto III e Vitaliano VI.
L’isola venne ristrutturata con le sembianze di una fantastica nave, il Palazzo era la prua e la parte dei giardini a terrazze, su quello che viene identificato come anfiteatro o castello, la poppa.
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  Il Palazzo dell’Isola Bella
    La villa divenne luogo di feste sontuose e rappresentazioni teatrali, per la nobiltà europea, furono illustri ospiti, da Napoleone con la moglie Giuseppina di Beauharnais, la principessa del Galles, Carolina Amalia di Brunswick, Stendhal, famoso fu anche l’incontro a Isola Bella, fra Mussolini, Pierre Laval e MacDonald, per la Conferenza di Stresa, indetta per far durare l’ordine politico a favore dell’Anschluss tedesco, stabilendo i gli “accordi di Stresa”.
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La sala dove si tenne la Conferenza di Stresa
La Sala delle Medaglie
La Sala degli Arazzi
L’imponente facciata del Palazzo, è lunga circa 80 metri, con al centro il salone d’onore, che si sviluppa come una sporgenza curvilinea, occupando in altezza la bellezza di due piani.
L’estensione verso il centro dell’isola, parte perpendicolarmente a questa porzione e assume la forma di una T.
Le sale principali sono tutte poste al primo dei quattro piani, che si diramano attorno al Salone, con copertura a cupola e decorazioni, ultimate tra il 1948 e il 1959, mentre nella parte inferiore si trovano le grotte, ambienti artificiali, accessibili tramite una scala elicoidale del ‘600 e decorate da rievocazioni di ambienti marini e ricoperti di pietre e conchiglie di una infinita varietà di tipi, in una delle grotte è custodita una piroga preistorica, ritrovata ad Angera a fine Ottocento.
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Isola Bella ideata come una nave il Palazzo come prua e i Giardini a poppa
Facciata del Palazzo Borromeo Isola Bella
Una delle sale delle Grotte di Palazzo Borromeo
La Sala delle Colonne, la Sala della Musica, la Sala delle Medaglie, dove sono conservate dieci medaglie in legno dorato rappresentanti gli avvenimenti più importanti della vita di San Carlo Borromeo, insieme alla Galleria degli Arazzi, con i sei preziosi arazzi fiamminghi del ‘500, sono le sale al piano nobile, deputate al ricevimento e rappresentanza.
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  I Giardini
    Oltre al sontuoso Palazzo, colpiscono i meravigliosi Giardini all’italiana, che formano la poppa di un’immaginaria nave, composti da dieci terrazzamenti sovrapposti a forma piramidale, con statue, fontane, essenze arboree rare, piante esotiche, magnolie e camelie profumatissime.
L’anfiteatro dei Giardini di Palazzo Borromeo
La parte più in alto dei giardini, è chiamata “anfiteatro”, dove si tenevano le rappresentazioni e sormontata dal liocorno, stemma della casata Borromeo.
Il Lago Maggiore, uno stralcio della storia, cultura e arte italiana, uno dei nostri beni, a volte dato per scontato ma che merita una conoscenza più approfondita e una visita con occhio diverso, dal solito giro al lago o un pic-nic sulle sue sponde, in una bella giornata di sole.
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  Isola dei Pescatori Isola Bella Isola Madre le Isole Borromee Le Isole Borromee con Isola dei Pescatori Isola Bella, Isola Madre e altri isolotti il regno dei Borromeo…
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freedomtripitaly · 5 years ago
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L’incantevole borgo di Campli è un piccolo gioiello d’Abruzzo, situato in provincia di Teramo. È uno di quei luoghi dove le tradizioni secolari sono parte integrante della vita degli abitanti, poco più di 7000 anime, e nel quale il tempo sembra scorrere a ritmi piacevolmente rallentati. Uno scrigno di arte e storia, arroccato sulle colline Teramane a circa 30 chilometri dall’Adriatico. Le origini di questo insediamento si perdono in tempi antichi. Come testimoniano i reperti archeologici rinvenuti in quest’area, il territorio di Campli era abitato sin dal VIII secolo a.C.: gli scavi effettuati nella necropoli della vicina Campovalano hanno riportato infatti alla luce centinaia di tombe appartenenti ad un arco temporale che va dall’età del bronzo alla conquista romana. È solo nel Medioevo però che Campli acquisisce importanza e prestigio, fino a vivere il suo momento di massimo splendore, fermento artistico e vivacità politica tra il XVI ed il XVIII secolo quando a governare la città è la famiglia Farnese. Oggi Campli si offre ai suoi visitatori orgogliosa delle sue bellezze e consapevole del suo fascino. Fiera inoltre di essersi rialzata con incredibile forza dal devastante terremoto che nel 2009 ha colpito la regione Abruzzo. Cosa vedere a Campli Campli è facilmente raggiungibile in auto ed il modo migliore per godere delle sue atmosfere è quello di perdersi senza fretta tra le sue vie, passeggiando a piedi e scovando ogni scorcio del borgo abruzzese. È proprio camminando lungo Corso Umberto I, il lungo viale che taglia in due la città, che i più attenti e curiosi potranno scoprire un piccolo tesoro celato all’interno di un cortile. Si tratta della Casa del Medico e dello Speziale, un idilliaco palazzo che ha nei secoli cambiato più volte la sua funzione passando da essere un edificio religioso, adibito tra le altre cose a luogo di accoglienza e cura dei neonati non voluti dalle famiglie, a prestigiosa residenza nobiliare. Le ambientazioni dei suoi cortili e del suo loggiato sono decisamente da non perdere, per un bagno di quiete e relax. Proseguendo poi verso la piazza principale del paese, Piazza Vittorio Emanuele ci si ritrova circondati da due dei luoghi di interesse principali di Campi. Sulla destra si erge la Chiesa di Santa Maria in Platea, un sito carico di spiritualità e custode di importanti opere artistiche. La cattedrale prende il suo nome dalla statua in essa alloggiata, ritraente una Madonna col Bambino che rivolge lo sguardo alla piazza della città, ed ha saputo resistere alle scosse sismiche che l’hanno colpita anni fa. Sulla sinistra di Piazza Vittorio Emanuele svetta invece il Palazzo del Parlamento, chiamato anche Palazzo Farnese, uno dei palazzi civici più antichi di tutto l’Abruzzo, ed oggi sede del Municipio cittadino. Nella parte nord del paese sorgono uno accanto all’altro la Chiesa di San Francesco e l’importante Museo Archeologico di Campli. La Chiesa San Francesco è stata edificata nel 1227 ma ha purtroppo subito ingenti danni a seguito del terremoto, ed è rimasta per lungo tempo chiusa ed ammirabile solo dall’esterno. Il Museo Archeologico invece ha sede negli ambienti dell’antico convento di San Francesco e raccoglie i numerosissimi reperti archeologici rinvenuti nell’area di Campli e dintorni, molti dei quali provenienti da Campovalano. Campli tra spiritualità e usanze antiche Una delle particolarità di Campli è il suo forte legame con il mondo spirituale e proprio dietro Palazzo Farnese si nasconde un luogo legato a doppio filo con la sentita religiosità degli abitanti del borgo: la Scala Santa. Costruita XVIII secolo, la celebre Scala si trova a ridosso della Chiesa di San Paolo, ed è una scalinata di 28 gradini in legno di quercia intrisa di religiosità e misticismo. Secondo un’usanza in vigore fin dal 1772, i fedeli che la percorrono in ginocchio raccolti in silenziosa preghiera e passano attraverso i dipinti che ricoprono le pareti laterali della gradinata, rievocazioni della Passioni di Cristo, vedono perdonati tutti i loro peccati. Un’Indulgenza Plenaria insomma, di espiazione e rinascita, che precede la scalinata per la discesa, percorribile in piedi accompagnati invece da affreschi rappresentanti simbolicamente la Resurrezione. Un rituale imperdibile, da mettere in atto in prima persona o semplicemente da osservare con rispetto. Eventi e sagre a Campli: buon cibo e genuinità La regione Abruzzo è sinonimo anche di buon cibo e tradizioni gastronomiche d’eccellenza. Il ricco palinsesto di sagre paesane di Campli è spesso legato alla sue migliori offerte culinarie, e tra le vie del paese genuinità e socialità si uniscono in un calendario di manifestazioni popolari dal fascino autentico. Imperdibile se si passa da Campli nel mese di agosto è la Sagra delle Porchetta Italica: un vero concorso tra i produttori di questo squisito prodotto di carne suina, durante il quale gli estimatori dei panini caldi farciti di succulenta carne alla brace vivono momenti paradisiaci per le papille gustative. Il tutto accompagnato da concerti, parate e intrattenimento di vario genere. L’estate di Campli è fatta anche di Festa della Pizza e di Sagra del Tartufo di Campovalano, altri due cavalli di battaglia del menù di ricette tradizionali: tra le bancarelle delle fiere paesane o comodamente seduti nei numerosi ristoranti della zona, non fatevi scappare nemmeno un assaggio delle altre specialità camplesi, come il timballo teramano, le acciughe sottolio cotte nell’aceto, i calcioni, la frittata di basilico o la pasta al sugo di lepre. E per deliziare anche l’udito, Campli è palcoscenico di interessanti momenti musicali come il Campli Music Festival o altri eventi dedicati ai più svariati generi e gusti, che colorano la bella stagione del borgo abruzzese. https://ift.tt/2O3cXZN Cosa a vedere nel bellissimo borgo di Campli L’incantevole borgo di Campli è un piccolo gioiello d’Abruzzo, situato in provincia di Teramo. È uno di quei luoghi dove le tradizioni secolari sono parte integrante della vita degli abitanti, poco più di 7000 anime, e nel quale il tempo sembra scorrere a ritmi piacevolmente rallentati. Uno scrigno di arte e storia, arroccato sulle colline Teramane a circa 30 chilometri dall’Adriatico. Le origini di questo insediamento si perdono in tempi antichi. Come testimoniano i reperti archeologici rinvenuti in quest’area, il territorio di Campli era abitato sin dal VIII secolo a.C.: gli scavi effettuati nella necropoli della vicina Campovalano hanno riportato infatti alla luce centinaia di tombe appartenenti ad un arco temporale che va dall’età del bronzo alla conquista romana. È solo nel Medioevo però che Campli acquisisce importanza e prestigio, fino a vivere il suo momento di massimo splendore, fermento artistico e vivacità politica tra il XVI ed il XVIII secolo quando a governare la città è la famiglia Farnese. Oggi Campli si offre ai suoi visitatori orgogliosa delle sue bellezze e consapevole del suo fascino. Fiera inoltre di essersi rialzata con incredibile forza dal devastante terremoto che nel 2009 ha colpito la regione Abruzzo. Cosa vedere a Campli Campli è facilmente raggiungibile in auto ed il modo migliore per godere delle sue atmosfere è quello di perdersi senza fretta tra le sue vie, passeggiando a piedi e scovando ogni scorcio del borgo abruzzese. È proprio camminando lungo Corso Umberto I, il lungo viale che taglia in due la città, che i più attenti e curiosi potranno scoprire un piccolo tesoro celato all’interno di un cortile. Si tratta della Casa del Medico e dello Speziale, un idilliaco palazzo che ha nei secoli cambiato più volte la sua funzione passando da essere un edificio religioso, adibito tra le altre cose a luogo di accoglienza e cura dei neonati non voluti dalle famiglie, a prestigiosa residenza nobiliare. Le ambientazioni dei suoi cortili e del suo loggiato sono decisamente da non perdere, per un bagno di quiete e relax. Proseguendo poi verso la piazza principale del paese, Piazza Vittorio Emanuele ci si ritrova circondati da due dei luoghi di interesse principali di Campi. Sulla destra si erge la Chiesa di Santa Maria in Platea, un sito carico di spiritualità e custode di importanti opere artistiche. La cattedrale prende il suo nome dalla statua in essa alloggiata, ritraente una Madonna col Bambino che rivolge lo sguardo alla piazza della città, ed ha saputo resistere alle scosse sismiche che l’hanno colpita anni fa. Sulla sinistra di Piazza Vittorio Emanuele svetta invece il Palazzo del Parlamento, chiamato anche Palazzo Farnese, uno dei palazzi civici più antichi di tutto l’Abruzzo, ed oggi sede del Municipio cittadino. Nella parte nord del paese sorgono uno accanto all’altro la Chiesa di San Francesco e l’importante Museo Archeologico di Campli. La Chiesa San Francesco è stata edificata nel 1227 ma ha purtroppo subito ingenti danni a seguito del terremoto, ed è rimasta per lungo tempo chiusa ed ammirabile solo dall’esterno. Il Museo Archeologico invece ha sede negli ambienti dell’antico convento di San Francesco e raccoglie i numerosissimi reperti archeologici rinvenuti nell’area di Campli e dintorni, molti dei quali provenienti da Campovalano. Campli tra spiritualità e usanze antiche Una delle particolarità di Campli è il suo forte legame con il mondo spirituale e proprio dietro Palazzo Farnese si nasconde un luogo legato a doppio filo con la sentita religiosità degli abitanti del borgo: la Scala Santa. Costruita XVIII secolo, la celebre Scala si trova a ridosso della Chiesa di San Paolo, ed è una scalinata di 28 gradini in legno di quercia intrisa di religiosità e misticismo. Secondo un’usanza in vigore fin dal 1772, i fedeli che la percorrono in ginocchio raccolti in silenziosa preghiera e passano attraverso i dipinti che ricoprono le pareti laterali della gradinata, rievocazioni della Passioni di Cristo, vedono perdonati tutti i loro peccati. Un’Indulgenza Plenaria insomma, di espiazione e rinascita, che precede la scalinata per la discesa, percorribile in piedi accompagnati invece da affreschi rappresentanti simbolicamente la Resurrezione. Un rituale imperdibile, da mettere in atto in prima persona o semplicemente da osservare con rispetto. Eventi e sagre a Campli: buon cibo e genuinità La regione Abruzzo è sinonimo anche di buon cibo e tradizioni gastronomiche d’eccellenza. Il ricco palinsesto di sagre paesane di Campli è spesso legato alla sue migliori offerte culinarie, e tra le vie del paese genuinità e socialità si uniscono in un calendario di manifestazioni popolari dal fascino autentico. Imperdibile se si passa da Campli nel mese di agosto è la Sagra delle Porchetta Italica: un vero concorso tra i produttori di questo squisito prodotto di carne suina, durante il quale gli estimatori dei panini caldi farciti di succulenta carne alla brace vivono momenti paradisiaci per le papille gustative. Il tutto accompagnato da concerti, parate e intrattenimento di vario genere. L’estate di Campli è fatta anche di Festa della Pizza e di Sagra del Tartufo di Campovalano, altri due cavalli di battaglia del menù di ricette tradizionali: tra le bancarelle delle fiere paesane o comodamente seduti nei numerosi ristoranti della zona, non fatevi scappare nemmeno un assaggio delle altre specialità camplesi, come il timballo teramano, le acciughe sottolio cotte nell’aceto, i calcioni, la frittata di basilico o la pasta al sugo di lepre. E per deliziare anche l’udito, Campli è palcoscenico di interessanti momenti musicali come il Campli Music Festival o altri eventi dedicati ai più svariati generi e gusti, che colorano la bella stagione del borgo abruzzese. Campli è un bellissimo borgo dell’Abruzzo che, nonostante il terremoto del 2009, conserva la sua bellezza nei palazzi d’epoca e nei monumenti.
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freedomtripitaly · 6 years ago
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Nel cuore dell’Umbria si trova uno dei borghi medievali più antichi e ben conservati della regione, definita “la città grigia” per il colore uniforme dei blocchi di calcare con cui è costruita oppure “la città dei matti” a causa dell’indole imprevedibile e scanzonata dei suoi abitanti. Si tratta di Gubbio, una città piena di storia, insidiata già dall’età del Bronzo. Nonostante fosse stata feudo di diverse signorie, per poi passare alla Chiesa e in seguito alla Repubblica Cisalpina, fino ad essere annessa al Regno d’Italia, la cittadina è riuscita a conservare nei secoli il suo aspetto medievale, come si può notare dalla struttura delle strade e dalla fisionomia degli edifici. Al contrario di altre località umbre, visitare Gubbio è molto comodo essendo una cittadina piuttosto piccola e ben collegata, che richiede solo brevi spostamenti. Proprio per questo si può esplorare il borgo anche in mezza giornata, seppur non approfonditamente. Ecco quindi 10 cose da vedere a Gubbio con qualche curiosità e cenno storico. Cosa vedere a Gubbio: il centro del borgo Se ti stai chiedendo cosa vedere a Gubbio in mezza giornata ti consigliamo di iniziare la visita partendo da Piazza 40 Martiri, uno dei maggiori luoghi di interesse nonché il punto d’ingresso della città. Questa piazza prende il nome dai 40 cittadini fucilati dai tedeschi nel 1944, ai quali è anche dedicato un mausoleo. All’interno dello spiazzo sono presenti alcuni monumenti rappresentativi. La chiesa di San Francesco è sicuramente tra i più significativi monumenti di Gubbio. L’inizio della sua costruzione risale al XIII secolo, ma l’opera fu completata molto dopo come si può notare dalla mescolanza dello stile romantico a quello gotico. La chiesa è l’unica della città ad avere una struttura con una navata centrale e due navate laterali all’altezza delle quali si situa la volta, sostenuta da pilastri ottagonali. Prima della costruzione dell’opera, il sito era residenza degli Spadalonga, una famiglia che ospitò il santo quando lasciò la casa del padre per iniziare il cammino di penitenza e predicazione. Le Logge dei Tiratori invece è una costruzione formata da due piani: un lungo porticato al primo piano e un loggiato sul secondo. Questo locale coperto, costruito nel Seicento, serviva a “tirare” le stoffe, ossia stendere i tessuti fino a fargli raggiungere le dimensioni desiderate. Un’altra cosa da vedere a Gubbio è il Palazzo dei Consoli, che si trova di fronte a Piazza Grande e al Palazzo Pretorio. Tutto il complesso, risalente al 1321, fu ideato per essere un centro politico e storico della città. L’antico palazzo fu destinato ad ospitare le principali magistrature ed istituti del Comune di Gubbio e, dal 1909, le sue sale ospitano le collezioni del Museo Civico. Palazzo Pretorio, che si presenta come un’incompiuta architettura gotica, è un altro dei monumenti da visitare a Gubbio. Nonostante i lavori non ultimati, il palazzo non manca di valori architettonici notevoli come le grandi sale trecentesche. Attualmente è sede del Municipio e ospita la Biblioteca e l’Archivio. Tra le cose da fare a Gubbio quasi d’obbligo è la visita alla Fontana dei Matti. Secondo la tradizione, chi compie tre giri correndo intorno ad essa può fregiarsi del titolo di “matto”. La Patente da Matto infatti è un gadget molto popolare tra i negozi della città, ma è possibile anche ottenerne una ufficiale, a patto che sia un eugubino doc a richiederla per te. A Gubbio da vedere assolutamente vi è il Palazzo Ducale, commissionato da Federico da Montefeltro, duca di Urbino. Questo è l’unico esempio di architettura rinascimentale in una città prettamente medievale. Le sale interne ospitano un’interessante raccolta di opere pittoriche che narrano le principali fasi evolutive della pittura eugurbina tra il XIII e XVIII secolo. Dopo aver visitato il Palazzo Ducale non si può tralasciare una capatina al Duomo, una cattedrale che si presenta in pieno stile gotico. Un edificio che traspira simbolismo già dalla facciata e ospita al suo interno affreschi trecenteschi e opere di spicco come l’Immacolata Concezione di Virgilio Nucci. Cosa vedere nei dintorni di Gubbio Appena fuori dal centro storico sorge uno dei simboli del glorioso passato del borgo: il Teatro Romano. Costruito tra il 55 e il 27 a.C, il monumento poteva contenere circa 15.000 spettatori, mentre ad oggi è una cornice perfetta per le rappresentazioni teatrali all’aperto durante il periodo estivo. Per chi si chiede cosa fare di memorabile a Gubbio il consiglio è quello di prendere la funivia che porta dal centro della città sul Monte Ingino. In una piccola “gabbia” si sale per 500 metri sospesi nel vuoto per arrivare alla Basilica di Sant’Ubaldo, dove vengono conservati i 3 ceri simbolo della città su cui vengono montate le statue di Sant’Ubaldo, San Giorgio e Sant’Antonio. Durante la festa del patrono, il 15 maggio i ceri vengono portati di corsa dal Palazzo dei Consoli fino alla basilica, passando per le strade della città. https://ift.tt/2T6U0Xw Cosa fare a Gubbio in mezza giornata Nel cuore dell’Umbria si trova uno dei borghi medievali più antichi e ben conservati della regione, definita “la città grigia” per il colore uniforme dei blocchi di calcare con cui è costruita oppure “la città dei matti” a causa dell’indole imprevedibile e scanzonata dei suoi abitanti. Si tratta di Gubbio, una città piena di storia, insidiata già dall’età del Bronzo. Nonostante fosse stata feudo di diverse signorie, per poi passare alla Chiesa e in seguito alla Repubblica Cisalpina, fino ad essere annessa al Regno d’Italia, la cittadina è riuscita a conservare nei secoli il suo aspetto medievale, come si può notare dalla struttura delle strade e dalla fisionomia degli edifici. Al contrario di altre località umbre, visitare Gubbio è molto comodo essendo una cittadina piuttosto piccola e ben collegata, che richiede solo brevi spostamenti. Proprio per questo si può esplorare il borgo anche in mezza giornata, seppur non approfonditamente. Ecco quindi 10 cose da vedere a Gubbio con qualche curiosità e cenno storico. Cosa vedere a Gubbio: il centro del borgo Se ti stai chiedendo cosa vedere a Gubbio in mezza giornata ti consigliamo di iniziare la visita partendo da Piazza 40 Martiri, uno dei maggiori luoghi di interesse nonché il punto d’ingresso della città. Questa piazza prende il nome dai 40 cittadini fucilati dai tedeschi nel 1944, ai quali è anche dedicato un mausoleo. All’interno dello spiazzo sono presenti alcuni monumenti rappresentativi. La chiesa di San Francesco è sicuramente tra i più significativi monumenti di Gubbio. L’inizio della sua costruzione risale al XIII secolo, ma l’opera fu completata molto dopo come si può notare dalla mescolanza dello stile romantico a quello gotico. La chiesa è l’unica della città ad avere una struttura con una navata centrale e due navate laterali all’altezza delle quali si situa la volta, sostenuta da pilastri ottagonali. Prima della costruzione dell’opera, il sito era residenza degli Spadalonga, una famiglia che ospitò il santo quando lasciò la casa del padre per iniziare il cammino di penitenza e predicazione. Le Logge dei Tiratori invece è una costruzione formata da due piani: un lungo porticato al primo piano e un loggiato sul secondo. Questo locale coperto, costruito nel Seicento, serviva a “tirare” le stoffe, ossia stendere i tessuti fino a fargli raggiungere le dimensioni desiderate. Un’altra cosa da vedere a Gubbio è il Palazzo dei Consoli, che si trova di fronte a Piazza Grande e al Palazzo Pretorio. Tutto il complesso, risalente al 1321, fu ideato per essere un centro politico e storico della città. L’antico palazzo fu destinato ad ospitare le principali magistrature ed istituti del Comune di Gubbio e, dal 1909, le sue sale ospitano le collezioni del Museo Civico. Palazzo Pretorio, che si presenta come un’incompiuta architettura gotica, è un altro dei monumenti da visitare a Gubbio. Nonostante i lavori non ultimati, il palazzo non manca di valori architettonici notevoli come le grandi sale trecentesche. Attualmente è sede del Municipio e ospita la Biblioteca e l’Archivio. Tra le cose da fare a Gubbio quasi d’obbligo è la visita alla Fontana dei Matti. Secondo la tradizione, chi compie tre giri correndo intorno ad essa può fregiarsi del titolo di “matto”. La Patente da Matto infatti è un gadget molto popolare tra i negozi della città, ma è possibile anche ottenerne una ufficiale, a patto che sia un eugubino doc a richiederla per te. A Gubbio da vedere assolutamente vi è il Palazzo Ducale, commissionato da Federico da Montefeltro, duca di Urbino. Questo è l’unico esempio di architettura rinascimentale in una città prettamente medievale. Le sale interne ospitano un’interessante raccolta di opere pittoriche che narrano le principali fasi evolutive della pittura eugurbina tra il XIII e XVIII secolo. Dopo aver visitato il Palazzo Ducale non si può tralasciare una capatina al Duomo, una cattedrale che si presenta in pieno stile gotico. Un edificio che traspira simbolismo già dalla facciata e ospita al suo interno affreschi trecenteschi e opere di spicco come l’Immacolata Concezione di Virgilio Nucci. Cosa vedere nei dintorni di Gubbio Appena fuori dal centro storico sorge uno dei simboli del glorioso passato del borgo: il Teatro Romano. Costruito tra il 55 e il 27 a.C, il monumento poteva contenere circa 15.000 spettatori, mentre ad oggi è una cornice perfetta per le rappresentazioni teatrali all’aperto durante il periodo estivo. Per chi si chiede cosa fare di memorabile a Gubbio il consiglio è quello di prendere la funivia che porta dal centro della città sul Monte Ingino. In una piccola “gabbia” si sale per 500 metri sospesi nel vuoto per arrivare alla Basilica di Sant’Ubaldo, dove vengono conservati i 3 ceri simbolo della città su cui vengono montate le statue di Sant’Ubaldo, San Giorgio e Sant’Antonio. Durante la festa del patrono, il 15 maggio i ceri vengono portati di corsa dal Palazzo dei Consoli fino alla basilica, passando per le strade della città. Gubbio è un borgo medievale nel cuore dell’Umbria, ricco di storia ma piccolo e facile da visitare. Si comincia dal centro del borgo, per poi visitare anche i dintorni.
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qdmnotizie-blog · 6 years ago
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Arti e mestieri nell’era digitale
  FABRIANO, 12 ottobre 2018 – La città della carta marcia verso la prima edizione del Salone internazionale dell’Artigianto e del Remake Festival. Dal 18 al 21 ottobre lavoro ed arte a braccetto legati dal filo rosso dell’artigianato.
Una coppia di eventi proposti dall’Assessorato alle Attività Produttive, Artigianato e Lavoro,   in programma a Fabriano dal 18 al 21 ottobre 2018. Eventi da declinare in una veste  ricreativa ed espositiva, ed in una lavorativa, al fine di fornire ai giovani i nuovi strumenti e le conoscenze necessarie ad affrontare l’artigianato nel futuro ed agli imprenditori nuove occasioni di business, di confronto e di formazione.
Il Remake Festival è nato all’interno di FaCe the Work, un progetto di innovazione sociale rivolto ai giovani 16-35 anni dell’area montana della Provincia di Ancona, vuole essere infatti un evento poliedrico e multidisciplinare con il quale riscoprire quelle potenzialità artistiche e lavorative storicamente appartenenti e profondamente radicate nella tradizione locale.
Quattro giornate di incontri, convegni, seminari, spettacoli dal vivo, laboratori, mostre e dimostrazioni pratiche, con un unico protagonista: l’artigianato, in tutte le sue forme e declinazioni. Convinto e deciso il supporto ed il sostegno di Cna e Confartigianato.
Previste convenzioni (hotel, b&b e ristoranti) per espositori e visitatori che parteciperanno alla manifestazione. Prevista anche una scontistica speciale nei negozi del centro che decideranno di partecipare in questa forma al salone dell’artigianato e del Remake Festival.
Il programma
Manifestazione che parte dal taglio del nastro dello spazio di coworking Chiamato “F-Hub”. Situato nei locali delle ex conce, 400 mq messi a disposizione dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana. A partire dalle ore 18 del 18 ottobre subito incontri tra innovazione, start up ed artigianato creativo.  Tutti gli eventi saranno gratuiti.
Diverse le location scelte per ospitare il complesso ed articolato programma: il Teatro Gentile da Fabriano (che ospiterà il live di Raphael Gualazzi la sera di sabato 20 ottobre, e che viaggia verso il sold out), l’Oratorio della Carità, la Biblioteca Multimediale R. Sassi, il Loggiato di San Francesco, il Palazzo del Podestà, l’Oratorio del Gonfalone, il Complesso Monumentale San Benedetto, il Mercato Coperto ed ovviamente lo spazio di coworking del complesso Le Conce
Il programma da scaricare
Questo il programma in formato .jpeg da salvare e consultare.
    Per tutti i laboratori (gratuiti ed evidenziati in rosso nelle immagini da scaricare qua sopra) possibile iscriversi attraverso eventi online (piattaforma Eventribe e tramite Facebook) e con l’iscrizione presso l’ex URP in Piazza del Comune  tutti i giorni della manifestazione dalle ore 10 alle ore 18.
  ©RIPRODUZIONE RISERVATA
FABRIANO / SALONE INTERNAZIONALE DELL’ARTIGIANATO E REMAKE FESTIVAL: “OBBIETTIVO CREATIVITÀ” Arti e mestieri nell'era digitale FABRIANO, 12 ottobre 2018 – La città della carta marcia verso la…
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