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per ogni "non fa niente"
c'è un livido in più
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Livido - Il singolo “Giungla”
Il singolo dell’artista estratto dall’EP “Lividi e Ferite” sugli stores digitali e nelle radio
“Giungla”, singolo dell’eclettico artista Livido estratto dall’EP “Lividi e ferite”, è sui principali stores digitali e dal 15 settembre nelle radio in promozione nazionale. "Giungla" è un brano che richiama lo spirito combattivo, che cerca di rimettere ordine alle idee e di avere il controllo anche in un momento caotico e in un ambiente ostile come può essere quello di una giungla, corrispondente sia al confusionario stato emotivo dell'essere umano, sia all'ambiente che lo circonda e che quindi lo può mettere in difficoltà. Nel brano si passa dal sentirsi un essere indifeso e confuso alla figura di un cacciatore, che imbraccia il suo "fucile”, una chiara analogia delle sue capacità e del suo coraggio nel superare gli ostacoli. Il senso del tempo nella giungla, così come quando ci si perde nei propri pensieri, tende a perdere di significato e la testa si ritrova a combattere contro sé stessa per sopravvivere, dal testo infatti: “Tic tac/tempo balla tip tap/Regalo qualche chicca/voce distorta che poi mi clippa/Tic tac/testa balla il tip tap/Ora si è dipinta/La tinta da sola si è respinta”.
A volte tendiamo a voler fare le cose guidati dall'impeto e questo, così come nella giungla, può farci cadere in una trappola, ecco il senso della barra: "Il tempo passa di un tratto per dire di non strafare/eppure sfugge di scatto e come una trappola appare/Ora è un tempo problematico/Non veste un abito/Sembra apatico/come queste gocce quanto spazio no/aspetta un attimo/L’uscita all’albero/dove”.
Dopo un periodo in cui tutto sembra andare male e in cui l'unica risposta sembra l'apatia, risollevarsi e avere la forza di andare avanti significa riuscire a trovare l'unica uscita. In tutto questo chi è rimasto a criticare il tuo comportamento e il tuo modo di essere, si è accorto tardi che in realtà si trattava del percorso giusto e ora che sono loro a sentirsi persi, non sanno come uscirne, perché purtroppo la loro fede ha sempre abbracciato un falso Dio; in particolare si gioca con il fatto che con "vita retta" si intenda una vita giusta e corretta, quando questi invece percorrono una via storta, convinti che sia il sentiero giusto: “Sotto un pensiero colto/animo contorto/Fa vita retta perché il tuo Dio è storto/La gente giudica/Ma quanto giudica/Sei diverso e ti ripudia e poi si illumina/Non capiscono sé stessi perché sono persi/sono persi/sono persi”.
Storia dell’artista Il mio interesse per la musica si è concretizzato effettivamente tra il 2017 e il 2018, nonostante mi sia interfacciato a questo mondo già anni prima, seguendo le lezioni di chitarra classica e successivamente passando ad un approccio che preferiva la chitarra acustica, guidato da un ottimo maestro che mi ha invitato per la prima volta a cantare in pubblico. Tornando al periodo citato inizialmente, ho cominciato a creare i miei primi beats, con una tale passione che non avevo mai provato per nessun’altra cosa e sono stato spinto da questa a visionare centinaia di video formativi, dedicando molto del mio tempo a dare forma alle emozioni e ai sentimenti che provavo, consapevole che quella dedizione era necessaria per comprendere il più possibile il programma con cui avevo a che fare e con il genere musicale a cui mi sentivo di appartenere. Quindi nasco come beatmaker, con l'esigenza mentale e direi addirittura fisica di fare musica, di creare, di dare vita a qualcosa di mio, che fosse condivisibile con gli altri. Con il tempo, seguendo i consigli di tanti artisti, più conosciuti e no, ho cercato di alzare sempre di più l'asticella e ancora continuo a farlo, con lo scopo di conferire ai miei brani maggiore qualità e migliore impatto emotivo. Ad accompagnare la musica poi ci sono state le parole e con esse il vero e proprio concetto di ritmo, di metrica e di flow, un macro-mondo che raccoglie nel tecnicismo una delle più belle espressioni individuali dell'arte musicale, a mio parere. Sono stato rapito dall'insieme di queste due cose, dalla musica e dal testo, due aspetti strettamente legati per il mio modo di vedere il tutto e vicendevolmente influenzabili l'uno dall'altro. Vorrei concludere dicendo che la mia musica rappresenta uno strumento per sopravvivere, per vivere e condividere, nient'altro. Una compagna a cui dedicare anima e corpo, per tutto ciò che mi ha dato e che mi sta dando. L'EP “Lividi e Ferite” è solo il primo passo di una lunga serie.
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Quanto sono carini i lividi post sesso
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Quanto mi era mancato fare regia RAGA HA DETTO CHE SIAMO STATE BRAVE
#'non ho scritto niente' IS THIS VALIDATION???? IS THIS DOING GOOD????#HO UN LIVIDO SULLA GAMBA COME BOTTINO PER LA SCENA
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Lo lascio: è deciso, ormai
"E tu perché non parli… una parola sospenderebbe il mio rancore"
(da “Luna diamante” Mina-Fossati)
È ufficiale: m'ha proprio rotto le palle. Mi controlla, non mi fa respirare. Poi, 'il Signore' vuole essere servito e riverito. Dentro casa non m'aiuta mai. E comunque non siamo fatti per stare insieme. Forse nessuno lo è, in un matrimonio. Perché noi tutti abbiamo ciascuno la propria visione diversa della vita, siamo in disaccordo su ciò che vorremmo fare, chi frequentare. Quello che piace a me non piace a lui e viceversa. Mi esaspera. Sempre.
Mi provoca, mi stuzzica i nervi. Oddio: non lo sopporto più, non lo sopportooooo! Cazzo! È un continuo logorio, con lui. Una ininterrotta tensione psicologica: non lo reggo proprio più. Mi sono assolutamente rotta il cazzo: e bastaaaa, mannaggia la puttanaaaaa! Non mi sente mai, se gli dico le cose: s'incazza e smadonna. Cafone. Non vuole 'le briglie', come dice lui. Ma allora che cazzo m'hai sposata a fare? Ai figli penso io, alla casa io, le bollette io, la spesa io e vaffanculooooo, ‘sto stronzo del cazzo…
Eccolo che torna dal lavoro. Sono le nove passate. Sono incazzata nera e pronta a litigare, stavolta di brutto. Spero che i bambini in cameretta non ci sentano. Per fortuna la loro camera è distante dalla cucina e sicuro adesso guardano i cartoni in tv. Mentre sto facendo quello che devo fare, gli volto le spalle per non dargli una padellata in testa. Non subito, almeno. Lui allora mi viene dietro, mi afferra una chiappa e me la pizzica. Mi fa un cazzo di male: domani ci sarà il livido. Io sto per infilargli un coltello molto affilato nel fegato, ma il porco lesto mi infila una mano nelle mutande, si insinua nel solco e già mi tremano le gambe. Mi conosce come il suo cazzo, 'sto bastardo.
Subito a seguire, senza riguardi infila il suo dito medio tutto su per il mio culo! Che figlio di puttana: dovrei girarmi incazzata e sputargli in faccia… Ma il cornuto sa che sono una vera mignotta, che mi piace farmi scopare e dare il culo. Che a tradimento e nei momenti meno adatti me la gusto ancora di più. Dovrei divincolarmi. Ma invece allargo di più le gambe: mi inarco, alzo le chiappe e lo agevolo. Non posso farne a meno. Sfila il dito e se lo passa al naso, aspirando. Cazzo mi fai: il tassello? Sono una forma di pecorino? Un'anguria? Non riesco a formulare una frase che lui mi tira a sé, mi blocca le braccia, mi toglie la camicetta…
"cazzo fai? Sei scemo? Ci sono i figli, di là…"
"zitta, troiazza: andiamo in camera, che ti devo scopare. Devo sborrarti dentro. Mi urge svuotarmi e per farlo io voglio solo te…"
"mavaffanculo: chi cazzo pensi di essere? Non mi puoi trattare così… oooooh….. ma mi senti?"
Intanto cammino anch'io a passo svelto verso la camera. Chiusa la porta a chiave, non mi fa dire una parola: preme la mia testa verso il basso, mi fa inginocchiare, si sbottona la patta e mi ficca l'uccello in bocca. Lo succhio avida, perché non ne posso più dalla voglia. Devo farlo sborrare una prima volta e quindi lo faccio arrivare fino in fondo. Voglio ingoiarlo, devo sentire il sapore del suo glande mentre si strofina sulla lingua e poi giù, in gola. Lo pompo. Sempre più veloce. Lo desidero: è mio marito. Me lo scopo da anni con gran gusto. Ne pretendo il seme e adoro il suo sapore.
Ricordo le prime volte che me lo buttava a forza in bocca, mi veniva da vomitare. Ero solo una ragazzetta in difficoltà, alle prime armi. Ma lui:
“Non mi frega una mazza se non ci riesci. Spalanca bene la tua boccuccia di rosa, rilassa la gola, pompami e non farmi sentire i denti. Devi imparare a succhiarmelo e prendermelo tutto fino in fondo, perché sai quanta mia sborra dovrai ingoiare se ci sposiamo…”
Più lo odio, più sono sul punto di lasciarlo e più provo piacere quando non considera affatto che abbia messo il broncio, che sia incazzata nera con lui e che stia sfaccendando per casa. Mi prende, mi gira come una trottola, mi sfila gli slip e mi schiaffa il suo cazzone dritto nella fica o - molto meglio quando lo fa - nel culo. Mmmmmh... Protesto solo perché devo farlo formalmente. Ma dentro di me godo come una pazza. Lo adoro. Quanto mi piace essere sfondata! Occasionalmente, se magari mi gira da troia, lo faccio restare senza fiato, quando con sua gran sorpresa scopre che non porto le mutande: m'alza la gonna, infila la mano e trova direttamente il pelo e le labbra o lo sfintere indifeso. Impazzisce e diventa un toro infoiato.
"sei una vera e bellissima puttana, ti adoro! Non mi resistere, sai?"
"ma che dici: ho le occhiaie, i capelli di stoppa e puzzo di fritto e di sudore come una capra…"
"non fa nulla: così nature e un po’ dimessa mi piaci ancora di più. Mi fai arrapare e non finirei mai di scoparti e incularti… amo l'odore del tuo solco tra le natiche quando l'allarghi per fartelo leccare e poi penetrare. Che vera zoccola sei!"
"e allora dai, cazzo di impotente col pisello moscio. Su: fottimi. Che aspetti?"
Quando vuole il culo, che è il più delle volte, me lo spacca letteralmente. Mi fa molto male. Ma più mi fa soffrire, più io divarico le chiappe per accoglierlo tutto: amo servirlo, farlo godere. Sentirlo sborrare è il paradiso, per la mia mente. Sento che è quello il momento in cui mi desidera intensamente. E questa cosa per me è una vera droga dell'anima. Gli perdono tutto, quando viene dentro di me.
Ormai capisco quando sta per venire e allora, con miracoli di contorsionismo, allungo il braccio sotto il ventre e attraverso le mie gambe gli accarezzo dolcemente le palle, gliele tengo mentre mi sfonda e gliele strizzo un po’. Poi con la mano a coppa sui suoi coglioni sento bene le contrazioni di quando mi eiacula nello sfintere e mi allargo, mi apro, controspingo e sono tutta solo per lui.
Lo faccio svuotare completamente e riposare dentro di me. A lungo quanto vuole. Allora mi si adagia sopra a peso morto. Mi sovrasta e mi ricopre tutta; fatico a respirare: lui è alto 1,90 per un quintale di maschio puro. Mentre io sono 1,55 e porto la taglia quaranta! Ma sono roba sua e del mio corpo, della mia anima può fare ciò che vuole. Mi piace, adoro sentirmi impotente e immobilizzata sotto a un uomo. Se è mio marito è meglio.
Stiamo lì, io e lui. Io a godere col suo cazzo ben piantato dentro di me a pulsare. È sudato fradicio. Me lo leccherei dappertutto. Mentre riposa, lui con la sua mano sotto al mio bacino intanto mi accarezza e sgrilletta la fregna, le sue labbra mi percorrono la schiena e baciano tutto il mio collo; m'assapora. Mi lecca. È tenerissimo. Gli piaccio, è evidente. Vengo, al solo pensiero di lui dentro di me, anche immobile. Mi pizzica forte i capezzoli, mi fa i lividi sulle zinne, 'sto testa di gran cazzo.
“Ahiaaaaa…. In culo a quella vera troia di tua madre, perché lo sai che batte, vero? Stronzooo: mi fai maleee! (Continua, ti prego: magari accarezzami le mammelle a lungo, un po’ di dolcezza, eccheccazzo!)"
Mi mordicchia l'orecchio, poi di nuovo mi lecca tutto il collo, ci soffia sopra delicatamente e mi fa il solletico. Gioca. Cerca l'intimità, con me. Rido di gioia. È il mio uomo. Per questa volta magari non lo lascio. Apre bocca d'improvviso, penso che mi confermerà che mi ama, che non può vivere senza di me e invece mi dice: “che cazzo m'hai preparato per cena, troia?” e allora mi viene proprio voglia di tagliargli l'uccello di netto! Una sera di queste lo faccio, vedi tu…
RDA
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Livido da vaschetta di gelato e tulipani meravigliosi ricevuti oggi a lavoro.
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Ho un debole per quelle persone
che sanno di essere fortunate
che ne hanno passate
di tutti i colori.
e perciò vivono colorate.
Che non hanno bisogno
di nascondere gli altri
per sentirsi giganti.
Che portano dentro
nascosto da qualche parte
un dolore che non passa mai.
Qualcosa che le ha cambiate per sempre
ma non per questo si sentono più grandi
ma non per questo si sentono migliori.
Ho un debole per quelle persone
che spente le luci, rimangono accese.
Che chiuso un amore, rimangono vive.
Che sciolto il trucco, rimangono vere.
Ho un debole per le persone
attente a toccare.
Che una carezza quando incontra un livido si fa ricordo.
Ho un debole per quelle persone
che hanno lottato
e in silenzio hanno vinto.
Che dal giorno in cui sono uscite
dal loro buio
soffrono di felicità ossessiva compulsiva.
Che non hanno mai rinunciato
alla loro dolcezza.
Che non si sono piegate alla rabbia
quando la rabbia era l’unico modo
per farsi ascoltare.
Ho un debole per quelle persone
che sanno che insistere
significa violentare.
Che rispettano un “no, grazie”
senza aggiungere altro.
Che dev’esserci un motivo
per entrare nella vita di una persona
e quel motivo dev’essere chiaro.
Sempre.
Che essere gentili
non vuol dire essere stupidi.
Che conoscono il peso delle parole
e non te le scagliano contro
per difendersi.
Che rispettano la solitudine.
Perché sanno che una persona
custodisce lì, tutto ciò che non si può raccontare.
Tutto ciò che non vuol essere trovato.
Ho un debole per quelle persone
che quando camminano per strada
e incrociano il tuo sguardo
per un istante sorridono.
Le adoro.
Mi mandano letteralmente
fuori di cuore.
(Andrew Faber - da “Cento secondi in una vita")
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Suna opened the door and a heavy sigh escaped his lips.
It was raining and the chill of the night carried a light smell of dump leaves and dirt from the plants Suna kept outside, next the doormat of his apartment... it mixed with the unmistakable iron scent.
“What the fuck do you want?” His voice was quiet but sharp, cutting through the silence. It was past midnight. Maybe even later...
The low chuckle that followed was too soft to match the sight in front of him -Osamu, bruised and bloodied, drenched in rain. And Suna hated it, because it made him feel a familiar warmth inside his guts way too easily.
“Just wanted to check on ya, sleep-deprived ass.”
Immediately Suna shut the door. He nearly slammed it on Osamu's fingers, but the hand caught the frame just in time.
“Osamu,” Suna grumbled frustrated as he shoved the door opened. "Osamu,” he called him again, his voice stern.
But the brown haired twin stepped inside the apartment anyway. A hand with bloodied knuckles on the door and the other sliding on Suna's waist.
“Osamu...”
His voice was too weak and the thump of the closing door covered it. Feet shifted until Suna's back was pressed against the wall. Osamu's body caged him, incredibly warm despite the dampness of his clothes.
“I missed ya...” Osamu's lips found the soft skin of his neck, murmuring against him.
Suna's hands gripped Osamu's shoulders tightly, unsure if he wanted to push him away or pull him closer.
“You're drunk... and beaten up.”
The retort fell on deaf ears.
And Suna gasped softly as Osamu's lips started to trail wet kisses down his neck. Suna's body trembled under the slow and deliberate touch.
“Lemme stay tonight.”
Suna shook his head at his pleading.
“No-”
“I'll be gone in the mornin'-”
“Exactly.”
His tone was harsh, made up from self-defence.
But Osamu always knew how to make his knees weak.
“Then I'll make ya breakfast...”
Osamu's hands squeezed gently Suna's waist, bringing their bodies flush together.
“Just lemme-”
“I hate you.”
Suna's words came out in a breathless murmur.
“I love ya too, Rin.”
In the morning, Suna woke up to an empty bed and tangled sheets.
The lingering cologne on the pillow beside him was already fading.
From the kitchen, the smell of breakfast drifted in.
But the apartment remained silent.
Suna could hear only his heartbeat stop for the common disappointment.
It was always the same.
Osamu made him lick his bloody bruises clean...
Just to leave him with only one for himself, right above the pulsing point of his neck.
[PS. This is inspired by the lyrics sentence “Ma te lo dico subito tu non venire qui se poi cerchi solo un brivido, lasci solo un livido” from Rubini.]
#fanfiction writer#writercommunity#writerscorner#character analysis#haikyuu!!#haikyu#haikyū!!#haikyuu#hq#hq fanfic#emotional hurt#hurt/comfort#suggestive#toxic relationship#stay toxic#toxic love#toxic yaoi#toxic people#fwb#osasuna#sunaosa#snos#suna rintarou#suna rintarō#suna rintaro#osamu miya#miya osamu#osamu has anger issues and fights in pubs#suna is so done with him but eh#it's osamu
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Drago, volpe, corvo - cap. I
For @danmei-december, Set Gold, day 2, Lan Xichen (I'm late so what)
If this keeps going beyond the first chapters I'll probably translate it to English.
Titolo: Drago, volpe, corvo - cap. I: caduta
Rating: pg 13ish
Personaggi: Meng Yao, Lan Xichen, Wen assortiti
Genere: AU, fantasy, avventura, animali mitologici. In sostanza mi serviva una scusa per scrivere la mia versione di dragon!chen e fox!yao
Wordcount: 2718
Lan Xichen, un drago celeste in fuga dal Clan Wen, allo stremo delle forze cerca rifugio nella foresta. Meng Yao, che assiste alla sua fuga, decide di aiutarlo.
"Del resto, gli Wen si aspettavano di trovare un drago, non una volpe."
Con un ringraziamento a @yukidelleran per il confronto e il betaggio!
Capitolo I - caduta
Uno strato di nubi basse offuscava la luce del sole, ancora alto sopra l’orizzonte del grigio cielo invernale. Il vento aveva l’odore asciutto e pungente che precede una nevicata.
Meng Yao si arrampicò su una roccia che sporgeva dal limitare del bosco. Da lì, lo sguardo spaziava sulla valle sottostante e sui tetti già mezzi ricoperti di bianco della cittadina di Yunping. Il cielo a est si era fatto livido e una cortina grigia oscurava l’orizzonte. Presto, avrebbe iniziato a nevicare anche lì.
Chiedendosi se sarebbe riuscito a rientrare a casa prima di venire sorpreso dalla neve, Meng Yao fece per ridiscendere verso il folto degli alberi, quando il vento gli portò un distinto odore di bruciato. Si voltò di scatto - forse veniva dal centro abitato, pensò, ma non vide nulla al di fuori dell’ordinario sopra i tetti di Yunping. Allora, il suo sguardo ansioso spaziò sulla distesa di alberi attorno a lui, senza però notare nulla che potesse allarmarlo ulteriormente, fino a che non lo scorse: un guizzo di fumo, uno sbuffo bianco contro il grigio delle nubi.
Meng Yao aguzzò la vista, ma l’aveva perso. No, eccolo, era ricomparso, era… non era fumo. Si contorceva fuori e dentro le nuvole, e andava facendosi sempre più vicino e più grande. Era inseguito da quelle che sembravano fiamme, fiamme nel cielo…
Meng Yao sentì il pelo rizzarglisi sulla schiena.
Fiamme con le ali - fenici dalle piume scarlatte, avvolte da lingue di fuoco, che guizzavano intorno alla sagoma sinuosa di un drago dei cieli. Il suo corpo era dello stesso colore delle nuvole, ricoperto di scaglie opache che non riflettevano la luce del sole. Pur nella disperazione della sua fuga, il drago fendeva il cielo con eleganza tale che pareva dare forma al vento.
Le fenici lo circondavano e lo ghermivano con becchi e artigli. Di nuovo, l’odore acre di carne bruciata e sangue raggiunse il naso di Meng Yao.
Nonostante la velocità del volo del drago, questo non riusciva mai a distanziare a sufficienza i suoi inseguitori. Cercava di allontanarli con gli artigli, ma tra le zampe anteriori sembrava stringere qualcosa, ed era chiaro che la sua priorità era quella di seminarli. Le fenici - sei, ne contò Meng Yao - però, non demordevano.
Stavano perdendo altitudine e, per un istante, Meng Yao li vide piombare su Yunping, ma il drago si risollevò all’ultimo, riguadagnando quel poco di altezza che gli consentì di non rovinare tra le case, per puntare poi diritto verso il bosco.
Una delle fenici, troppo intraprendente, gli calò sulla fronte e cercò di beccargli gli occhi, ma il drago si liberò di lei con uno schiocco di fauci. Dal cielo iniziarono a piovere cenere e piume scarlatte, che si disfacevano in sbuffi di fumo.
Il drago e i suoi inseguitori sfrecciarono sopra la testa di Meng Yao, facendo stormire i rami degli alberi alle sue spalle e arruffandogli la coda. Qualche istante dopo, si udì lo schianto, la confusione di rami spezzati e lo stridere delle fenici.
La volpe si voltò. Un attimo dopo, sparì nel sottobosco.
❄️❄️❄️
Per un po’, le fenici rimasero a osservare la devastazione provocata dall’impatto, volando in cerchio come uno stormo di avvoltoi. Il drago si era schiantato sulla foresta, lasciando dietro di sé una scia di tronchi divelti, che si assottigliava fino a sparire nel fitto degli alberi. Della bestia, però, non c’era alcuna traccia.
Si appollaiarono sui rami ancora interi di un alto pino, scrutando le ombre al di sotto delle chiome. Ora che non erano avvolte dalle fiamme, il loro piumaggio era di un color mogano scuro, screziato di riflessi dorati. Erano una vista lugubre, con i colli sottili arcuati e le lunghe code che si allungavano tra le sagome dei rami spezzati, scuri contro il cielo sempre più plumbeo.
“Tu, tu e tu,” stridette il capo, indicando col becco i tre sotto di lui. “Setacciate il sottobosco. Quando lo trovate, lanciate un segnale in aria.”
Le tre fenici prescelte calarono a terra. A toccare il suolo, però, non furono i tre uccelli dal piumaggio scarlatto, ma tre uomini dalle lunghe vesti color rosso porpora, con un motivo di soli dorati lungo gli orli. I loro lunghi capelli corvini erano trattenuti sulla nuca da fermagli alti e dorati, appuntiti come lingue di fiamma. Ai loro fianchi pendevano i foderi di spade lunghe, anch’essi decorati d’oro.
Con fare deciso, iniziarono a perlustrare la confusione di corteccia e fronde, muovendosi con attenzione per non rimanere impigliati nei moncherini dei rami che sporgevano ovunque.
“Ancora niente?” La voce risuonò arrogante nel bosco muto, ancora frastornato dallo schianto. L’uomo più massiccio dei tre si guardò attorno con disprezzo. Sarebbe stato praticamente impossibile trovare tracce del drago in quel disastro.
“Qua!” Gli altri due compagni richiamarono la sua attenzione e lui si mosse per raggiungerli, prendendo a male parole le ramaglie del sottobosco che intralciavano i suoi passi e suscitando la reazione irritata degli altri.
“Wen SuZhang, chiudi quel becco! Ci sentirà arrivare.”
Wen SuZhang non badò al richiamo, osservando con una smorfia di derisione il ritrovamento. Era una scaglia perlacea, grande come una mano, insozzata di fango e sangue.
“E se anche fosse? Non andrà tanto lontano, conciato com’è.”
I tre si rimisero a frugare, finché non si imbatterono in un lembo di terra ancora imbiancata di neve intonsa. In bella vista, in mezzo all’erba secca, c’erano delle inconfondibili orme di stivali, imperlate di sangue ancora rosso.
Con un ghigno soddisfatto, Wen SuZhang e gli altri le seguirono a passo svelto, utilizzando la spada per sfalciare le fronde e i rampicanti secchi che gli impedivano l’avanzata.
Dopo poco tempo, raggiunsero un piccolo torrente. I bordi erano ghiacciati ma, al centro, la corrente fuggiva veloce su un fondo di ciottoli scuri. Le orme finivano sulla sponda. Bastò una ricognizione veloce per capire che non riprendevano nelle immediate vicinanze, sulla riva opposta.
“Maledetti i Lan e la loro ossessione con le acque gelide,” ringhiò Wen SuZhang, rifiutandosi di entrare in acqua e bagnarsi i piedi.
Gli altri due, che avevano perlustrato quel tratto di torrente al suo posto, scrollarono le spalle.
“Dovrà uscirne, prima o poi,” commentò uno dei due. “Noi seguiremo la corrente, tu esplora a monte. Il primo che lo trova lanci un segnale.”
Wen SuZhang grugnì un assenso e si voltò dall’altra parte. Se avesse trovato il drago, avrebbe potuto benissimo affrontarlo da solo. Sicuramente anche il fuggitivo avrebbe dovuto mantenere la sua forma umana per continuare a nascondersi nel folto del bosco e, ferito com’era, non aveva dubbi che avrebbe avuto la meglio su di lui.
Riprese le sembianze di fenice, Wen SuZhang spiccò il volo. Sopra il corso del torrente gli alberi si aprivano, lasciando spazio sufficiente alle sue ali. In quella forma, sarebbe stato più efficiente nella perlustrazione e, soprattutto, avrebbe evitato di insudiciarsi ulteriormente le vesti nel sozzume del sottobosco. Fosse stato per lui, avrebbe appiccato fuoco a tutto per dare bella ripulita a quel posto e per stanare il drago, come già avevano fatto una volta.
Volava basso, completamente concentrato a scrutare gli argini del torrente sotto di lui per localizzare le orme del drago - doveva pur uscire da quel rigagnolo presto o tardi! - perciò si avvide solo all’ultimo momento dell’improvviso guizzo nel sottobosco al suo fianco.
Intuì appena, con la coda dell’occhio, la sagoma fulva che gli balzò addosso, mandandolo a schiantarsi contro la sponda ghiacciata del torrente. Sentì una fitta lancinante al collo e il sapore improvviso del sangue che gli riempiva la gola. Istintivamente, avvampò di fiamme, ma non ebbe nemmeno la soddisfazione di sentire un lamento di dolore da parte del nemico, prima che tutto diventasse definitivamente nero.
❄️❄️❄️
Meng Yao soffocò un guaito, ritraendosi dalla fenice avvolta dalle fiamme. Affondò il muso nell’acqua gelida del torrente e si forbì il naso, mentre osservava il fuoco finire l’opera che lui aveva iniziato. Non sapeva se era più sgradevole l’odore del suo stesso pelo appena strinato che gli riempiva le narici o il sapore del sangue del maledetto Wen che aveva ancora sulla lingua.
In ogni caso, era uno di meno, considerò mentre osservava le fiamme spegnersi, tramutandosi lentamente in una pila di ceneri fumanti.
Si davano tante arie, questi Wen, e agivano sempre come se tutto fosse loro, ma anche la loro arroganza, alla fin fine, si riduceva a un mucchietto di polvere.
Le ceneri erano ancora calde quando Meng Yao ci affondò le zampe. Incurante del fastidio, si dedicò a scavare di buona lena, spargendo tutto quello che restava della fenice nel torrente alle sue spalle, lasciando che venisse trascinato via dalla corrente.
Risorgi dal fango, se ci riesci, pensò Meng Yao, calpestando gli ultimi resti nella fanghiglia che si era creata sulla riva, dove il fuoco aveva sciolto il ghiaccio.
Finito il lavoro, la volpe drizzò orecchie e naso, sempre sull’attenti, ma il bosco era tranquillo. Quando aveva lasciato la scia di impronte nella neve, aveva scommesso sul fatto che si sarebbero divisi al torrente. Quanto avrebbero perseverato gli altri due nella loro ricerca a valle, prima di ritornare indietro?
Avrebbero senz’altro notato i segni di colluttazione sulla sponda del torrente, ma, con un po’ di lavoro, Meng Yao poteva trasformare quei segni nelle tracce dell’inseguito che usciva dal torrente. Del resto, gli Wen si aspettavano di trovare un drago, non una volpe.
❄️❄️❄️
Lan Xichen riaprì gli occhi. Sapeva di aver perso conoscenza per qualche tempo, ma non capiva per quanto a lungo.
La luce si era offuscata, complice il tramonto ormai prossimo e la neve che aveva iniziato a scendere. Sotto di lui, il terreno era duro e gelato. Lentamente, cominciò a muovere le membra intirizzite per alzarsi in piedi, puntellandosi contro la parete rocciosa che gli aveva dato rifugio fino a quel momento.
Come si mosse, venne attraversato da fitte di dolore. Le sue vesti candide erano stracciate in più punti, annerite da bruciature, lerciume e sangue, ma era ancora vivo e, soprattutto, ancora libero.
Non si era allontanato poi tanto dal luogo in cui aveva terminato la sua caduta, era strano che gli Wen non l’avessero ancora trovato. Forse, con il calare della notte, avrebbe avuto una possibilità di allontanarsi e far perdere le sue tracce…
Un fruscio dietro di lui, e Lan Xichen si voltò di scatto in quella direzione, la fedele spada Shuoyue in mano, tutti i muscoli tesi.
Quando si rese conto di chi aveva causato il rumore, però, la sua espressione si ammorbidì. Gli occhi scuri di una volpe lo sbirciavano dal sottobosco, le orecchie ritte sopra il muso fulvo.
“Vai via, piccolo amico,” disse, con voce rauca ma gentile. “Non è posto per te.”
La volpe sembrò capire, perché abbassò le orecchie ai lati della testa e scomparve.
L’istante dopo, dall’altra parte, provenne un improvviso tramestio di foglie, e due voci maschili spezzarono il silenzio della nevicata.
“Maledizione a questa neve, finirà col coprire tutte le tracce. Quei due faranno meglio a trovarli in fretta, sia il drago che Wen SuZhang.”
“Quel SuZhang fa sempre di testa sua.”
“Meglio che mi porti la testa del Lan, o sarà la sua a cadere.”
Lan Xichen si appiattì contro la parete. A giudicare dai rumori, i due Wen stavano venendo proprio verso di lui, forse attirati dal riparo offerto dalla roccia.
Lan Xichen fu loro addosso prima che potessero rendersi conto della sua presenza.
La lama di Shuoyue balenò e si conficcò nel petto del primo Wen, che cadde riverso con un rantolo soffocato. Prima che Lan Xichen potesse ritrarla per affrontare il secondo, però, questo lo attaccò con furia.
Per un soffio, Shuoyue sviò l’affondo del nemico, ma Lan Xichen subì il contraccolpo, barcollando all’indietro. Solo l’impatto con la parete di roccia alle sue spalle gli impedì di cadere ma, ora, non aveva più spazio di manovra. Fece appena in tempo a rendersene conto che si ritrovò la punta della lama del guerriero Wen a un soffio dalla gola.
“Dimmi dove hai nascosto quello che hai rubato, e ti concederò una morte rapida,” gli ringhiò quello in faccia.
Lan Xichen deglutì, fissando di rimando il nemico da sotto le ciocche di capelli che gli si erano incollati al volto. Poteva prendersi la sua vita, ma non quello che aveva portato in salvo da Gusu.
“Non posso rubare ciò che già appartiene al mio clan.”
“Quello che ancora non avete capito,” sibilò l’altro, premendo la lama contro la gola di Lan Xichen, che avvertì distintamente il metallo graffiargli la pelle, “è che se gli Wen decidono che qualcosa è di loro proprietà, questa lo diventa.”
“Dovrai impegnarti a cercarla, allora,” rispose Xichen, gelido come la nevicata.
Il viso del guerriero Wen si contrasse in una smorfia di rabbia. L'istante dopo, i suoi occhi si dilatarono improvvisamente.
Lan Xichen sentì il rumore soffice di una lama che affondava nella carne e l’odore del sangue che sgorgava, accompagnato da un rantolo e da un’improvvisa sensazione di bagnato sulle vesti. Solo quando il guerriero Wen si afflosciò di fronte a lui, si rese conto che non era stata la sua gola ad essere tagliata.
Al posto del suo nemico comparve un ragazzo snello, di bassa statura, avvolto in una veste color sabbia. Il nuovo venuto osservò il guerriero rantolare qualche istante ancora e poi rimanere immobile ai suoi piedi. Allora sollevò gli occhi su Lan Xichen e si produsse in un profondo inchino, le mani che ancora stringevano il pugnale sanguinante unite di fronte a sé.
“Vi chiedo umilmente perdono per avervi sporcato le vesti con il sangue del vostro nemico.”
Lan Xichen sbatté le palpebre, colto alla sprovvista. Istintivamente, allungò una mano per sfiorare il gomito del giovane e bloccarlo.
“Come potrei fartene una colpa?” Lan Xichen lanciò un’occhiata ai suoi vestiti, ora quasi completamente scarlatti. “Se non fosse stato per te, sarei ricoperto nel mio, di sangue.”
Rialzando lo sguardo, incontrò quello del suo salvatore. Aveva due grandi occhi neri, che lo scrutavano intenti. Si rese conto di aver già visto quello sguardo, ma mentre cercava di capire dove, venne colto da un giramento di testa.
Fu l’altro, ora, ad afferrarlo per i gomiti per non fargli perdere l’equilibrio e guidarlo mentre appoggiava la schiena alla parete.
“E’ tutto a posto, devo solo recuperare le forze,” ma la sua voce risuonò debole alle sue stesse orecchie.
Il ragazzo si voltò a guardare il bosco attorno a loro, e Lan Xichen ebbe l’impressione che fiutasse il vento.
“Con tutto il rispetto, penso che dovremmo andare via da qui al più presto,” disse, tornando a rivolgersi al drago con il capo chino ma con una certa urgenza della voce. “Se vorrete seguirmi, conosco un posto sicuro; non è lontano.”
Lan Xichen annuì, rendendosi conto di stare usando Shuoyue per puntellarsi e rimanere in equilibrio. Un’improvvisa debolezza gli aveva pervaso tutto il corpo e gli rendeva difficile anche soltanto tenere gli occhi aperti.
“Dovremmo prima liberarci di questi due corpi. Sarebbe saggio bruciarli, ma il fumo e il fuoco attirerebbero l’attenzione degli Wen rimasti. Li nasconderò, se avrete la pazienza di attendermi. La neve coprirà le nostre impronte,” stava dicendo il suo salvatore, e Lan Xichen lo sentiva affaccendarsi là attorno, impegnato a rovistare nei cespugli, forse per trovare un nascondiglio consono.
Quando l’altro giovane gli passò davanti per andare a prendere uno dei due corpi, Xichen si allungò per sfiorargli una manica e richiamare la sua attenzione.
“Ascoltami, c’è… c’è una cosa…” ma le parole gli vennero meno tra le labbra. Ebbe appena la consapevolezza di un braccio che gli circondava la vita, prima di ripiombare nell’incoscienza.
❄️❄️❄️
Lan Xichen si risvegliò qualche tempo dopo, avvolto dal buio e dal tepore.
Nonostante non riuscisse a vedere nulla, ebbe la netta impressione di trovarsi in un posto molto angusto. La sensazione, però, non era spiacevole, anzi, gli dava un senso di sicurezza.
Su di sé sentiva il peso confortante delle coperte e avvertiva distintamente qualcosa di caldo premuto contro il suo fianco. Allungò una mano, con cautela - tutti i suoi sensi erano offuscati dal dolore e dalla stanchezza - fino a che le sue dita non sfiorarono una folta pelliccia. Ne seguirono il contorno tracciando un cerchio, indovinando il contorno aguzzo di un paio di orecchie abbassate.La volpe del bosco, pensò Lan Xichen nel dormiveglia. Rasserenato da quella conclusione, si riaddormentò, cullato dal buio e dal tepore.
#danmeidecember24#fanfiction#mdzs#xiyao#meng yao#jinguangyao#fox!yao#dragon!chen#to be translated perhaps
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Capito perché dico che sembra un serial killer in quella scena
🤝🏼
#cioè non è che è un video tale che dici vabbè me lo guardo mentre balla mentre che cazzo ne do#*so#perché sono innamorato e lui è tanto bello e simpatico e divertente (occhi a cuoricino)#no#un video che gli ha fatto lui mentre dormiva (o meglio mentre era in coma) tutto livido e pestato malissimo a 🤏🏼 dalla morte#ok simone#un professtag#blancatag
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La morte di un amore è come la morte d’una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Perfino se l’hai attesa, causata, voluta per autodifesa o buonsenso o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido. Mutilato. Ti sembra d’essere rimasto con un occhio solo, un orecchio solo, un polmone solo, un braccio solo, una gamba sola, il cervello dimezzato, e non fai che invocare la met�� perduta di te stesso: colui o colei con cui ti sentivi intero. Nel farlo non ricordi nemmeno le sue colpe, i tormenti che ti inflisse, le sofferenze che ti impose. Il rimpianto ti consegna la memoria d’una persona pregevole anzi straordinaria, d’un tesoro unico al mondo, né serve a nulla dirsi che ciò è un’offesa alla logica, un insulto all’intelligenza, un masochismo. (In amore la logica non serve, l’intelligenza non giova e il masochismo raggiunge vette da psichiatria.) Poi, un po' per volta, ti passa. Magari senza che tu sia consapevole lo strazio si smorza, si dissolve, il vuoto diminuisce e il rifiuto di rassegnarti ad esso scompare. Ti rendi finalmente conto che l’oggetto del tuo amore morto non era né una persona pregevole anzi straordinaria, né un tesoro unico al mondo, lo sostituisci con un’altra metà o supposta metà di te stesso e per un certo periodo recuperi la tua interezza. Però sull��anima rimane uno sfregio che la imbruttisce, un livido nero che la deturpa e ti accorgi di non essere più quello o quella che eri prima del lutto. La tua energia si è infiacchita, la tua curiosità si è affievolita e la tua fiducia nel futuro s’è spenta perché hai scoperto d’aver sprecato un pezzo d’esistenza che nessuno ti rimborserà. Ecco perché, anche se un amore langue senza rimedio, lo curi e ti sforzi di guarirlo. Ecco perchè, anche se in stato di coma boccheggia, cerchi di rinviare l’istante in cui esalerà l’ultimo respiro: lo trattieni e in silenzio lo supplichi di vivere ancora un giorno, un’ora, un minuto. Ecco infine perché, anche quando smette di respirare, esiti a seppellirlo o addirittura tenti di resuscitarlo.
Oriana Fallaci
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Il livido a forma del suo pollice sul braccio che mi fa ripensare alle peggiori scene immaginabili mentre mi sta sopra 🫠
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"Il dolore è abbastanza vivo da strappare uno spazio alla poesia, dove ogni livido è un verso e le rime sono gemiti che fanno eco luna all'altra."
L'estate che sciolse ogni cosa — Tiffany McDaniel
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Non guardare
quel livido
né la ferita
sul mio cuore.
Non guardare le rughe che iniziano a scavarsi
attorno ai miei occhi,
né i capelli bianchi
che crescono sulla mia testa.
Soltanto
la mia anima…
la mia anima,
l'erba del marzo nuovo.
maram al- masri
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Mi sento padre
Credo di essere diventato padre prima, intendo prima di diventarlo biologicamente.
Ho vissuto un prologo o, per usare un neologismo moderno, un prequel.
Sono convinto che divenni padre di me stesso il giorno in cui, sempre biologicamente, non fui più figlio di un uomo.
Quando mio padre morì rimasi orfano di una figura paterna che, nonostante i suoi umani limiti, era nel mio immaginario qualcosa di più grande e rassicurante. Ne avevo maledettamente bisogno, ma il destino me lo portò via.
Così dopo un percorso con uno davvero bravo divenni "papà" di me stesso. Non avevo alternative, meglio dire non avevo nessuno.
Nonni morti da tempo e zii, quelli a portata di mano e in vita, ostici ed egoisti da sempre.
Poi divenni padre. Non solo biologicamente, ma qualcosa si squarciò in me. Mille motivi per sentirsi padre.
Quando divenni padre per la seconda volta lo squarcio con i "mille" motivi raddoppiarono
Mi sento padre ogni volta che sento ridere i miei figli,
quando percepisco la loro forza d'animo,
quando mi abbracciano per rassicurarmi,
quando li abbraccio per dare loro forza,
quando mi rendo conto di come i miei figli siano migliori di me,
quando ripenso al fatto che appena nati mi vennero affidati, tra le mie mani che inaspettatamente divennero ferme e solide. Io che credevo che avrei tremato per tutto il tempo.
Mi sento padre quando mi raccontano i loro pensieri, i loro desideri,
quando uscendo di casa, dalla strada, si girano per vedere se sono alla finestra per salutarli ancora. E io ci sono.
Mi sento padre ogni volta che li sprono a lottare per i loro obiettivi,
lo sono di più quando mi scopro a nascondere le lacrime per i loro traguardi raggiunti.
Mi sento padre quando discutiamo,
quando li ascolto e do loro ragione,
quando gli esprimo il mio punto di vista e loro annuiscono,
quando mi spiegano e io capisco che quello in errore sono io.
Mi sento padre ogni volta che loro si sentono miei figli,
quando mi permettono di lenire i graffi metaforici che la vita gli lascia sulla pelle,
ogni volta che predico il rispetto per il prossimo,
a non fare mai del male a nessuno.
Così capita spesso che loro, abbracciandomi con le lunghe braccia, mi fanno sentire figlio a mia volta. Per qualche istante.
Mi sono sentito orgogliosamente padre, in passato, quando durante le competizioni sportive a cui i miei figli partecipavano, dagli spalti, non ero tra i padri che istigavano i figli a "colpire duro" per vincere sull'avversario.
Oppure quando ho rinunciato ai miei desideri, alle mie passioni, per proteggerli per stare loro vicino. Concedendo il mio cuore solo a loro.
Mi sento padre ogni giorno che mi appare una nuova ruga, un capello bianco, un fardello in più sulle spalle che la vita mi lascia "generosamente". Per ogni livido sulla pelle, per ogni ferita nell'anima, per ogni sussulto del cuore strozzato sul nascere.
Sono un padre nel momento che lotto per il benessere della mia famiglia,
quando cado miseramente per un mio errore,
quando mi rialzo stoicamente, con la determinazione di chi non vuole deludere i propri figli.
Mi sarei già lasciato andare da tanto se non fossi padre.
Sono un padre perché soffro, gioisco, li sento, li ascolto e cerco di essere un punto di riferimento per loro,
per poi accorgermi che essi sono per me un punto di riferimento.
Mi sento padre quando mi prendo cura di una madre anziana e ammalata, come se fosse mia figlia. Lei che mi cerca e mi chiede sicurezza. Come una bimba.
Sono un padre fragile, quando ogni sera goccia dopo goccia cerco di chiudere la giornata.
Quest'anno mi faccio gli auguri, per il padre che sono e per come sopravvivo in questo importante ruolo.
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