#lingua pura
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Lo sapevate che, prego è un calco dal tedesco?
Che frustare deriva dall'arabo?
Che pure brindisi deriva dal tedesco?
E che la formula cin cin, invece, dal cinese?
La lingua è un organismo. È un essere vivente, un serpente che striscia o un grillo che salta, qualcosa che passa di bocca in orecchio e poi di nuovo in bocca e in un altro orecchio. Non esiste una lingua, esistono i suoni che formano e caratterizzano una lingua. Ecco perché dico che non ha senso sentirsi indispettiti dagli inglesismi che si accumulano nell'italiano contemporaneo. Abbiamo milioni di parole che vengono dal greco antico, altri dal latino che, amici miei, è stato soppiantato dal volgare e ora è morta, e chissà quante altre milioni di parole abbiamo che derivano dalla meravigliosa mescolanza di popolazioni vicine e lontane.
Il napoletano vive di parole francesi e spagnole perché per decenni siamo stati sotto la loro occupazione.
Una lingua pura non esiste tanto quanto una razza pura perché siamo esseri che si sono spostati e mescolati per millenni.
E, come ho già scritto una volta qui, non è un caso che nel Cristianesimo si parli de "la Parola di Dio". Perché la realtà è che la Parola è Dio.
Pensateci: attraverso la Parola, possiamo spiegare le lacrime, la risata, il dolore, la frustrazione, l'amore. Come si fa? Eppure si fa. Io parlo e tu mi capisci. Possiamo descrivere le cose e permettere agli altri di visualizzare ciò che stiamo descrivendo. Possiamo trasmettere la conoscenza.
Senza la Parola, cosa saremmo? Niente.
Prima della tecnologia e di internet abbiamo creato qualcosa di meravigliosamente unico, quasi come fosse un Frankestein, un mezzo mostro fatto di pezzi messi assieme come fosse un puzzle, di cui abbiamo dimenticato l'esistenza perché lo teniamo nella bocca costantemente. È la creazione più basilare ma enorme che abbiamo mai partorito come esseri umani.
Questo figlio, però, è adulto. Vive da solo ormai da millenni e non lo può fermare più nessun genitore, nessun creatore. Fategli fare quello che vuole, anche se sembrano le scelte sbagliate. Sa il fatto suo.
Su una cosa, però, potete sempre contare: ci ama così tanto che morirà assieme a noi.
#parola#parola di dio#pensieri diurni#lingua#lingua pura#italiano#inglesismi#filologia#lingue e culture#dovrei taggare 3 persone ma credo si sentano messe in causa anche senza tag eheh :)
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do u guys have like . cats tongues like the chocolate i was going 2 make a post but got sidetracked by the implications it might entail
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SONO UNA DONNA CHE................
♡ Sostiene la vita, come la vita sostiene me.
♡ Non ha troppi peli sulla lingua e garbatamente ti dice le cose in faccia.
♡ Sparlare dietro sia un gesto di pura vigliaccheria e questo non mi è mai piaciuto, preferisco essere odiata che bestemmiata.
♡ Le giornate si compongono di parole, mille e mille ancora, sono fatta così.
♡ AMA la vita e per questo ho rispetto di chi la AMA altrettanto come me…♡
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Desejo... Sinto de tudo enquanto me perco e, ainda assim, me entrego.
Alucinação silenciosa aquece o corpo frio
Quente sensação vívida em vida perdida
Plenas marcas que exprimem verdade nua
Alega ser crua em toda pele em brasas.
Dentre as perdições a tua marca me exala
Troca íntima das carnes em toque tocado
Dos lábios a lingua a se encontrar e perder
Razão, lógica, certeza e todo medo em dor.
Vai estar, mas não vai estar, não mais verá
Haverá de não existir em realidade real
O sentir coexistir em teu corpo inexistente
Essência inerente a se envolver em outro.
De cima a baixo percorre, arrepia e acorda
Torna, continua, vai devagar e se repete
Outra vez esquece em calor que aquece
Prova e aprova, quer em você, isso, te ter.
Prossegue em continuidade mais quente
Em prazer marcado por desejo, em vontade
Morde em pequenas malícias e tanto incita
Excita em movimento estatístico, molhado.
Encosta em semblante esquecido nisso
Aquilo que pulsa em tal momento ardente
Em lábios molhados e em tons de vermelho
Em beijo beijado, em devaneio tão agradavel.
Beija em verdade tão improvável, me beija
Toca em essência pura com os teus lábios
Me encontra perdido no teu beijo molhado
Me beija quente, me incita em tua vontade.
Me beija assim, em verdade nua e tão crua
Marca teus lábios no meu e exala o teu eu
Marca e beija em alma perdida, esquecida
Me beija com sinceridade, em sonho e realidade
#espalhepoesias#lardepoetas#liberdadeliteraria#mentesexpostas#clubepoetico#poecitas#carteldapoesia#mardeescritos#lardepoesias#liberdadepoetica#poetaslivres#autorias#novospoetas#meustextos#pequenosescritores#pequenosautores#apenasumtoque
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ritornare piccoli
Correvo in pantaloncini corti con le ginocchia gibollate a comprarmi la Frizzy Pazzy al bar, la polverina che frizzava sulla lingua, veniva dall'America dove si chiamava Pop Rocks, non sapevamo nemmeno dov'era l'America ma sapevamo che l'America era il progresso. Tutto quel che arrivava, che succedeva, che si vendeva nel mondo era giusto, pura ἀλήθεια, disvelamento, manifestazione della verità. Quella leggerezza, quel non portarsi sulle spalle il pessimistico giudizio dell'esperienza, era la vita più vera: vorrei riviverla. Fare epochè, mettere nel cassetto come un vestito frusto tutti gli anni vissuti da grande: ritornare piccolo. Mi metto subito al lavoro.
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—— 𝐝𝐢 𝐩𝐚𝐧𝐧𝐚 & 𝐝𝐢 𝐢𝐧𝐜𝐞𝐧𝐬𝐨.
—— levi ackermann x reader.
# uso della lingua italiana perché .. why not?
fem!reader, fluff, a little bit of smut. reader is younger than levi.
levi ha trent'anni, un'ossessione per il pulito e la pazienza infinita per tollerare hange zoe, i piani strampalati di erwin e, dulcis in fundo, i - non più — mocciosi della squadra, ora più alti e barbuti rispetto a qualche anno fa.
è una giornata semplice, di quelle dove è piacevole uscire, mangiare un boccone e fingere che la città non possa essere presa d'assalto. è uno di quei giorni dove levi si lascia sprofondare goffamente sulla sedia in legno, il capo piegato all'indietro e la cravatta allentata, gli occhi socchiusi: i ragazzi devono essere usciti, oggi c'è riposo per tutti, persino per eren, martire di hange. forse sono tutti fuori, nessuno è ai dormitori, eppure .. un profumo delizioso invade le narici di ackerman, il quale corruccia la fronte li dove si vanno a formare poche rughe; chi è il matto che sta cucinando? e che cos'è questo fastidioso odore d'incenso che si fonde alla fragranza di vaniglia e dolciumi?
si tira su, le gambe snelle lo trascinano fino la stanza opposta, le finestre sono spalancate ed il sole picchia sul legno antico del pavimento, se solo non fosse così cosciente della sua essenza, levi potrebbe pensare di star sognando. passo dopo passo, silenzioso come solo un sicario saprebbe essere, s'introduce nella cucina e si poggia contro lo stipite della porta. avrebbe dovuto immaginarlo, avrebbe dovuto sospettarlo, che proprio Lei fosse rimasta nei paraggi dei dormitori. Lei, lei che non ha un nome, perché levi detesta pronunciarlo, detesta il modo in cui le vocali danno aria alla bocca e le consonanti invece s'arrotolano dalla lingua al palato, pruriginosa, tremendamente bella, spigolosa e morbida tutto assieme e soprattutto giovane, pura. è stato erwin ad accorgersene per primo, durante una spedizione, quando colti di sorpresa dal corazzato il cavallo di Lei è stato maciullato da un gigante di livello speciale e si è ritrovata a colpire con la testa un masso; levi ackerman è un uomo con la testa sulle spalle, lo sa di dover sacrificare i suoi compagni e persino sé stesso, ma Lei, Lei no, un fiore ancora in procinto di sbocciare, troppo giovane per avere le ginocchia sbucciate in quel terriccio. era corso indietro a riprenderla, rischiando di mandare a puttane l'intera spedizione sotto lo sguardo incredulo dei cadetti. levi si era giustificato appena, strafottente: "non possiamo perdere altri cadetti capaci" ed aveva chiuso il discorso, consapevole che erwin non c'avesse creduto neanche un attimo.
"cosa stai facendo?" la voce dura risuona nella cucina e Lei sobbalza, si tiene al bancone malandato ma perfettamente pulito, ha i capelli legati ai lati da un nastro bianco, i fianchi appena più larghi dello standard delle giovani donne del paese ed occhi grandi, pallida come se fosse malata ma sorridente.
“non l’avevo vista, capitano levi. sto preparando una torta, i rifornimenti in città questa volta sono stati appena più generosi ed ho pensato di cucinare il dessert per tutti noi. ”
e levi schiocca la lingua, non sorride ma fa un accenno e piuttosto si avvicina, passo dopo passo pare di varcare qualcosa di insormontabile, un confine che non dovrebbe essere neanche guardato da lontano, perché se eren yeager ha in mente di guardare cosa c’è oltre le mura, levi invece si tortura affinché non guardi oltre sé stesso ed il suo autocontrollo.
e c’è Lei, ancora, che fissa il capitano con un’espressione imbarazzata, le gambe di gelatina nel pensarsi stupida di fronte ad un uomo così affascinante e di pugno.
“ sei fin troppo generosa coi tuoi compagni, sei sempre così? “ non dovrebbero essere neanche affari suoi, ma come si può non farle domande?
“ uh — ” e Lei arrossisce, l’incenso pizzica il naso di entrambi e la giovane è fin troppo svelta nel correre a spegnerlo con un soffio, poi prosegue: “ sono felice qui, ci sono tutte le persone a cui voglio bene.. e mi piace renderle felici. ”
dolcezza di ragazza, ha le guance rosse ed il capitano Levi vorrebbe affondare i denti dove non è concesso, lambirne la pelle e stringerla ossessivamente, custodire quella grazia di donnina in una campana di vetro. il solo pensiero gli fa stringere i pantaloni.
“ vorresti rendere felice anche me? ” levi non ci pensa neanche, pronuncia quella frase così, con tono beffardo, le mani in tasca e la schiena dritta, una provocazione che forse Lei non coglie, perché sbatte le palpebre alcuni secondi prima di comprendere.
“ ..sì, certo che vorrei, lei è il capitano Levi e — ”
“ taci. ”
si avventa su di lei con il cuore in procinto di esplodere, l’irruente foga di chi per anni ha trattenuto quel fastidioso sentimento, qualcosa di paragonabile ad un pizzicotto che viene dato sempre sullo stesso punto e che poi diventa insopportabile come la punta del coltello che sfrega sulla ferita ricoperta di sale. levi è più alto di lei, le stringe i fianchi, affonda le dita tra le scapole ed il fondoschiena, una mano si chiude attorno la nuca di Lei.
tutto così sbagliato, tutto così inconcepibile, inammissibile, per il Capitano.
ma per Lei, per gli occhi immensi e quella bocca al sapore di panna e vaniglia, il capitano andrebbe persino all’inferno.
e Lei non se ne lamenta, anzi, ansima, si stringe al corpo del maggiore e pronuncia frasi sconnesse: non lasciarmi, ti ho aspettato tanto, ma allora mi vuoi anche tu? anche tu?
sì, sì che anche levi la vuole, l’ha sempre voluta, la ragazzina dai capelli lunghi che non sapeva usare il movimento tridimensionale, la stessa che cucina torte alla panna e sbatte con la tempia contro un masso durante la spedizione, la stessa che risponde a tono ma non comprende subito un doppio senso.
Lei, che ora giace a gambe aperte sul tavolo e le iridi si riempiono di lacrime, gli dona quell’involucro prezioso che per anni ha preservato per donarlo a qualcuno che avrebbe amato davvero, Lei che ora ficca le unghie tra le clavicole di quell’uomo che da sempre le tormenta i sogni, i giorni, contamina i suoi respiri, ed ora che Levi è sul suo corpo può osservarlo dal basso, può scoprire la meraviglia del suo respiro affannoso, il profumo della sua pelle e gli addominali scolpiti e lisci, le braccia forti ma mai violente con lei, la mascella contratta e dentro di sé c’è il mondo.
sotto di loro, il tavolo si sporca di liquidi, gocce di sperma e sangue, sono ingordi e si aggrovigliano, si divorano a vicenda e Levi ammette di star amando. la ama, la ama terribilmente, potrebbe morire per amore di quella ragazzina dai capelli lunghi, gli stessi che s’appiccicano sul suo seno e contro il petto di Levi.
il loro apice arriva come una lingua di fuoco, levi gode, Lei piange un po’, perché fa male, ed allora lui le bacia la bocca soffice con la tenerezza di chi ha ricevuto troppe frustate dalla vita.
levi si accascia sui suoi seni tondi, li bacia, bacia le clavicole, il collo, il mento, la bocca, prende aria ma è insaziabile di quel viso di caramella salata, le lacrime vengono rigettate dalle ciglia.
“ ti ho fatto male, non è vero? ” la sua voce è calda, il mondo pare essersi fermato e non è più mattina, sarà forse pomeriggio, dove il soffice sole diventa arancio ed illumina i loro corpi bagnati.
Lei tira su col naso, una vita di pugni e lavoro non l’hanno mai resa arida, solo diffidente, e oggi invece si sente di aver trovato casa, di essere piena d’amore.
“ fa sempre tanto male? così? ” chiede Lei, il pugno chiuso asciuga le lacrime da uno zigomo e ritorna a guardare il capitano, intento ora ad accarezzarle quelle guance irritate con occhi buoni, con la preoccupazione di averle fatto male. vorrebbe insegnarle tutto.
“ no, bambina, ti insegno io. ti piacerà di più, lo prometto. ”
Lei annuisce, lo stringe forte, la panna montata nel vassoio pare divenire liquida e l’incenso è del tutto consumato sul bancone grande.
levi non indossa più una maschera, il bambino fragile dentro di sé è inondato d’amore, è pieno di quella donnina e forse soffrire ne è valsa la pena, perché adesso è in paradiso.
#attack on titan#aot#aot x reader#aot x y/n#aot x you#levi ackerman#levi x reader#levi x you#levi x y/n#levi ackerman smut#levi smut
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C’è un ragazzo che ormai da un paio d’anni si rifà vivo a fasi alterne dicendo sempre qualcosa di sbagliato. Non so spiegarlo, si è creata quella situazione di finto-conflitto a priori in cui siam chiamati tutti e due a mostrare chi ce l’ha più grosso ogni volta che interagiamo. La genesi di questa conoscenza è stata abbastanza particolare - in sintesi io piacevo al suo amico e lui ci ha comunque provato con me. Il sul goffo tentativo di provarci, che ora si è ridotto a semplice automatismo e pura ostinazione, si è però tradotto nell’essere arrogante, nel cercare di elaborare la battuta sempre più sagace, la risposta sempre più sarcastica, forse perché erroneamente convinto che a me piaccia un approccio di quel tipo. Ad ogni modo il punto è un altro: ogni volta che mi scrive, a causa di questo atteggiamento che ormai ha deciso di dover assumere, dice sempre qualcosa di sbagliato, si prende più confidenza di quanta ne abbia mai dato, supera confini che non ti sogneresti di superare con uno sconosciuto, arrivando a formulare affermazioni che oltre a essere umanamente antipatiche generano in me l’onesta reazione del: ma che cazzo vuoi?
Sono certa che chi mi legge ha compreso a grandi linee il tipo di personaggio o di atteggiamento, ad ogni modo se doveste pensare che dunque io lo mandi a fanculo sareste in errore, perché in realtà con queste persone tendo sempre a lasciar correre. E non perché sia un animo placido, ma perché mi rendo drammaticamente conto che quell’atteggiamento deriva da un’insicurezza di fondo - ché se cominciassi a prendere di petto queste persone sarebbe come sparare sulla croce rossa, non ne vale la pena, empatizzo anche. Il risultato è che però queste persone continuano a sparare minchiate, a superare i limiti, a toccare dei punti francamente sensibili senza averne il diritto o la confidenza ed io mi devo mordere la lingua ed incassare il colpo solo perché forse voglio convincermi di essere la brava persona che non sono.
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E baciami, con l'intensità di quella prima volta e con la paura che sia l'ultima, lotta con la mia lingua, succhia le labbra, come se mi stessi perdendo, come a voler dare ossigeno....baciami con frenesia, con forza, con sporca voglia, con pura innocenza e sincera indecenza......baciami da togliermi il fiato e dammi respiro....il tuo....perché altro non voglio che annegare ed annaspare in un semplice bacio.....che tutto racchiude....♠️🔥
❤️🖤❤️😘
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Pensieri di https://www.tumblr.com/self-less
Penetrare
e adesso come te lo spiego che significa anche altro!?
Quella storia del dare nomi ad ogni cosa, ad ogni azione, perché non vi sia fraintendimento, non regge. Ti parlo per esperienza esperita: se in una mente s'è formato un pensiero, potrebbe diventare, se non condiviso immediatamente, la chiave di lettura di ciò che arriva dall'esterno, sia esso gradito o meno .. e già le interpretazioni personali sono, di per sé, possibili fraintendimenti.
Detto ciò, è questione di scegliere bene con chi elevare il verbo penetrare a significati più alti di una pura e semplice esperienza sessuale che per profonda che sia ...magari chiamiamo "scopata", e rimane li finché non finisce nei "rifiuti".
Si, magari è un appello ad usare bene la Lingua (rieccoci) non la lingua per baciare ecc, quella italiana, l'idioma nel quale ti esprimi, ma vabbè devo ancora capire che non tutto si può spiegare.
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Nell’inizio del 1200 la Sicilia è un regno ricco e parte di un impero che andava da Tunisi fino alla Danimarca Palermo era una capitale potente in cui Federico II aveva instaurato una corte forte nelle armi ed evoluta nella cultura, una cultura che non era formata solo dalla quella araba arrivata con i conquistatori nord africani sconfitti dal conte Ruggero ed ora erano sudditi di Federico, e neanche quella provenzale o francese discesa con i Normanni e con le popolazioni lombarde e piemontesi che li avevano seguiti. Era una cultura somma di queste due culture apparentemente opposte ed arricchite da quella bizantina ed ebrea. La stessa lingua, che di quella cultura era la forza, era una lingua unione ed evoluzione di tutti i popoli dell’isola a cui i guerrieri normanni avevano concesso di vivere e di pregare secondo la loro origine. L’amministrazione del regno infatti teneva conto di tutte le diversità che lo costituivano. Così ad esempio, vi erano notai Arabi, notai Ebrei e notai Latini che certificavano e regolavano la vita amministrativa dei privati e dello stato. Tra questi, vi era anche il notaio Jacopo da Lentini, il cui nome appare non solo nel registro notarile dell’epoca, ma anche in importanti atti amministrativi del regno. Essendo parte della forza amministrativa del regno, notar Jacopo era coinvolto anche nella gestione militare ricoprendo l’incarico di comandante della fortezza di Mazzarino. Per questo motivo i suoi contatti con la corte erano assidui e continui. Federico, contrariamente a molti nobili europei, aveva avuto una educazione multiculturale, con insegnanti arabi e latini. Per questo parlava diverse lingue, scriveva libri sull’uccellagione, poesie e ballate che a quel tempo avevano una grande importanza. Le poesie potevano essere imparate facilmente da qualsiasi suddito che non avesse istruzione ed erano uno strumento per veicolare sia le grandi gesta dei cavalieri, che l’amore o la protesta del popolo, la sua rabbia o le sue istanze politiche. Le ballate guidavano le danze dando ritmo ed eleganza ai movimenti di uomini e donne accompagnati dai pochi strumenti musicali di allora. I menestrelli ed i giullari componevano poemi e ballate d’amore secondo la cultura d’origine e l’esperienza dei singoli, spesso in modo ripetitivo e volgare o erudito ed ironico a seconda dei gusti di chi li ospitava. Molti di questi componimenti si concentravano sulla donna, che per i menestrelli e poeti arabi era una conquista, una preda da mostrare o un premio per le battaglie fatte per conquistarla. Per i menestrelli provenzali la donna era una madonna, una nobile dama degna del cavalier che la serviva. Per i poeti siciliani e per Jacopo da Lentini in particolare, la donna è la perfezione che l’uomo non ha; la donna è chi può dare nello stesso tempo la vita e la morte, è la compagna senza di cui il Paradiso stesso non può essere tale. Versi assoluti non per l’amore fine a se stesso, ma per la donna che si ama, versi per un sentimento dominante giustificati dal fatto che per Jacopo la donna è quanto manca all’uomo per aver pace, armonia e la pura bellezza. Jacopo anticipa la Beatrice di quel Dante che considerava i poeti siciliani dei maestri nell’arte del poetare e dell’amare (tutto ciò che gli italiani fanno in poesia, si può dire siciliano). Jacopo è anche il lato oscuro dell’amore, nell’impossibilità di essere amato per quanto si ama, nel dolore che nasce dalla difficoltà di poter rivelare e mostrare quanto di immenso si prova. Il sentimento è una tempesta che nessuno vede, è una forza invisibile impalpabile che attrae come quella di una calamita e a cui nessuno può sottrarsi, è un destino che non arriva mai a compimento. Per poter meglio dire quello che prova Jacopo crea una nuova forma di poesia, rivoluzionaria per quel tempo: il sonetto. Il sonetto forse non è altro che una ballata minore che si apre e che racconta con due quartine di versi e giudica e riassume con due terzine di versi finali. Le rime, vicine ed immediate battono un tempo che la metrica incalza facendo diventare il tutto efficiente ed elegante. Dante, Petrarca avrebbero usato il sonetto con tocchi e forme celestiali, Shakespeare avrebbe fatto raggiungere al sonetto vette ineguagliabili, Trilussa lo avrebbe trasformato in uno ironico schiaffo alla sua società di allora a dimostrare la straordinarietà di un mezzo che ha affascinato e aiutato migliaia di poeti a creare il loro cammino poetico. Noi conosciamo le opere di Jacopo grazie alla traduzione che ne fecero i poeti toscani nell’ italiano della loro epoca. I versi di Jacopo erano però scritti nel siciliano della corte di Federico, un siciliano evoluto che nella traduzione in italiano perde forza e freschezza. Ad esempio, nel tradure i poemi siciliani, i poeti toscani hanno dovuto inventare la famosa “rima siciliana” una rima che in italiano non lo è ma che lo sarebbe stata se fosse stata scritta in siciliano. Malgrado questa limitazione, le poesie di Jacopo ci raccontano l’eleganza di un tempo e la modernità di un sentimento dove l’amore non è un ideale ma una persona, dove i propri sentimenti sono l’eco della vita e, nello stesso tempo, una forza che ci innalza e ci abbatte, ci salva, ci distrugge, ci domina e che non riusciamo mai a saziare per come vorremmo o dovremmo. Questo era Jacopo da Lentini, notaio, burocrate, castellano e poeta, ai tempi del grande Federico Stupor Mundi.
In the early 1200s Sicily was a rich kingdom and part of an empire that ranged from Tunis to Denmark. Palermo was a powerful capital in which Frederick II had established a court strong in arms and evolved in culture, a culture that was not formed only by the Arab culture which arrived with the North African conquerors defeated by Count Roger and were now subjects of Frederick, nor the Provençal or French descent with the Normans and with the Lombard and Piedmontese populations who had followed them. It was a sum culture of these two apparently opposite cultures and enriched by the Byzantine and Jewish one. The language itself, which was the strength of that culture, was a language of union and evolution of all the peoples of the island to whom the Norman warriors had allowed to live and pray according to their origins. In fact, the administration of the kingdom took into account all the differences that made it up. Thus, for example, there were Arab notaries, Jewish notaries and Latin notaries who certified and regulated the administrative life of individuals and the state. Among these, there was also the notary Jacopo da Lentini, whose name appears not only in the notarial register of the time, but also in important administrative deeds of the kingdom. Being part of the administrative force of the kingdom, notar Jacopo was also involved in military management, holding the position of commander of the fortress of Mazarin. For this reason his contacts with the court were assiduous and continuous. Federico, contrary to many European nobles, had had a multicultural education, with Arab and Latin teachers. For this he spoke several languages, wrote books on fowling, poems and ballads that were of great importance at that time. Poems could be easily learned by any subject who had no education and were a tool to convey both the great deeds of the knights, and the love or protest of the people, their anger or their political demands. The ballads led the dances giving rhythm and elegance to the movements of men and women accompanied by the few musical instruments of the time. The minstrels and jesters composed love poems and ballads according to the culture of origin and the experience of the individuals, often in a repetitive and vulgar or erudite and ironic way according to the tastes of their hosts. Many of these poems focused on the woman, who for Arab minstrels and poets was a conquest, a prey to be displayed or a prize for the battles waged to conquer her. For Provençal minstrels, the woman was a madonna, a noble lady worthy of the cavalier who served her. For Sicilian poets and for Jacopo da Lentini in particular, woman is the perfection that man does not have; the woman is who can give life and death at the same time, she is the companion without whom Paradise itself cannot be such. Absolute verses not for love as an end in itself, but for the woman who loves herself, verses for a dominant feeling justified by the fact that for Jacopo the woman is what she is missing from the man to have peace, harmony and pure beauty. Jacopo anticipates the Beatrice of that Dante who considered Sicilian poets masters in the art of poetry and love (everything that Italians do in poetry can be said to be Sicilian). Jacopo is also the dark side of love, in the impossibility of being loved as much as he loves himself, in the pain that arises from the difficulty of being able to reveal and show how immense one feels. Feeling is a storm that no one sees, it's an impalpable invisible force that attracts like a magnet and that no one can escape, it's a destiny that never comes to fruition. In order to better express what he feels, Jacopo creates a new form of poetry, revolutionary for that time: the sonnet. The sonnet is perhaps nothing more than a minor ballad that opens and tells with two quatrains of lines and judges and summarizes with two tercets of final lines. The rhymes, close and immediate, beat a tempo that the metric presses, making everything efficient and elegant. Dante, Petrarca would have used the sonnet with celestial touches and forms, Shakespeare would have made the sonnet reach unparalleled heights, Trilussa would have transformed it into an ironic slap on his society at the time to demonstrate the extraordinary nature of a medium that has fascinated and helped thousands of poets to create their own poetic path. We know Jacopo's works thanks to the translation that the Tuscan poets made of them into the Italian of their time. However, Jacopo's verses were written in the Sicilian of Federico's court, an evolved Sicilian that loses strength and freshness in the Italian translation. For example, in translating Sicilian poems, the Tuscan poets had to invent the famous "Sicilian rhyme", a rhyme that is not a rhyme in Italian but would have been if it had been written in Sicilian. Despite this limitation, Jacopo's poems tell us about the elegance of the past and the modernity of a feeling where love is not an ideal but a person, where one's feelings are the echo of life and, at the same time, a force that lifts us up and knocks us down, saves us, destroys us, dominates us and that we can never satiate as we would like or should. This was Jacopo da Lentini, notary, bureaucrat, castellan and poet, at the time of the great Federico Stupor Mundi.
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Eu penso nesse poematumblr o tempo todo (por um motivo especifico que irei explicar daqui a pouco, espere) mas nunca sei como compartilhar esse meu pensamento pois tenho medo de parecer uma paródia de mim mesmo. Mas não é nada disso. A esse ponto todo mundo ja leu ele em algum momento e uma pessoa acabou de colocar ele no meu dash (mais uma vez) entao eu vou falar o que eu penso e é uma coisa que qualquer pessoa poderia ter pensado e nao tem nada a ver com nada especifico sobre MIM. Certo? Entao, poema né... isso nao é nem sobre ele ser bom ou ruim, eu só penso (muito constantemente) nele pela forma que ele vai criando uma situação bonita ou poetica ou legal... pra terminar do jeito que termina (warm leftovers) -- o que teoricamente tambem é todas essas coisas, Se voce nao for falante de portugues brasileiro. Porque em portugues essa metafora ja é comum (a "surpresa" do significado final é tipo uma antisurpresa, porque voce ja ouviu isso um bilhao de vezes) e além disso nao tem nada de particularmente poetico sobre ser marmita de casal -- que é quase palavra por palavra o que se diz no poema. (Só que talvez na metafora seja vc marmitando o casal? E tudo bem que leftover nao é exatamente marmita mas tipo os sentidos sao proximos o suficiente pra nao dar pra ler sem fazer a associação.) A culpa, claro, nem tem como ser da pessoa que escreveu; mas, por uma questao puramente linguistica, eu sou completamente incapaz de ler o poema inteiro e me conectar com ele da forma que outros (anglofonos) conseguiriam. O tempo todo as pessoas falam de como é legal ler coisas (normalmente online normalmente fanfic) escritas em ingles por pessoas cuja lingua nativa nao é ingles porque mesmo no ingles elas usam imagens ou metaforas ou construcoes ou etc unicas desse outro background linguistico, mas ninguem fala do contrário (ler uma coisa em ingles sem ter ingles como sua lingua nativa e encontrar uma metafora imagem construcao etc que é tao basica/boba na sua lingua nativa que fica praticamente impossivel reconhecer, de forma imediata/como reação pessoal, o seu valor artistico/poetico. Por pura coincidência). O que de novo nao é culpa de ninguem. Mas é uma coisa curiosa que eu sempre tenho vontade de discutir -- só é triste que o unico exemplo que eu tenha pra dar disso (alem daquelas prints de gringos dizendo que brasileiros sao muito criativos por dizer coisas como [tweet traduzido pelo google tradutor:] she is too much sand for your little truck, que é tipo a inversao dessa coisa mas nao é a coisa em si) é esse poema, que por muito tempo me deixou envergonhado demais para postar, temendo parecer uma paródia de mim mesmo...
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Stanno in fondo, nell'ultimo banco, vicini vicini. Iniziano già alla prima ora e vanno avanti con costanza per tutta la mattina. Intanto sono alti. E larghi. In prima la partenza era già buona, me li sono persi di vista un attimo con i vari lockdown, poi in terza di colpo il loro organismo ha deciso di ingranare tutte le altre dodici marce. Adesso sono due pezzi di armadio che opportunamente schierati tra i pali della porta non lascerebbero passare nemmeno una pallina da golf. O forse no, perché son distratti. Non li ho mai visti prendere un appunto della mia materia. Nonostante provenienza, lingua d'origine e pure caratteri totalmente diversi, questi due sono amici che più amici non si può. Sarà il fatto stesso di respirare l'aria pura che si respira sopra il metro e novanta, o l'essere accomunati nella vita dallo sguardo reverenziale dei primini che si fanno carta da parati al loro incedere, chissà.
Da quest'anno, poi, hanno anche inziato a condividere la passione per lo studio. Non delle mie materie, questo mai. Lo studio di un piano alimentare calibrato sulle loro esigenze sportive. Che Macho Man e Mister Muscolo non siano soltanto ragazzoni creciutelli, ma che sotto a quelle magliette a maniche corte fieramente esibite con -3 gradi ci sia del lavoro di palestra, è evidente. Palese. Anche il fatto di aver abbandonato gli outfit da maranza e di venire a scuola con la tuta come Danny Zuko quando prova tutti gli sport per cercare di far colpo su Sandy. So che sono attenti a rispettare il loro severo ma costante regime dietetico, perché lo rispettano nelle mie ore. Arrivo al mattino e trovo Macho Man alle prese con i fiocchi d'avena, la frutta secca e gli spicchi di mandarino. Ho lezione alla terza ora e vedo Mister Muscolo estrarre uno yogurt greco e una banana. Faccio assistenza tra la quarta e la quinta ora e vedo comparire un tupperware con l'insalata di riso venere, avocado e gamberetti che impestano l'aria per un sacco di tempo.
Io sono abituata a gente che cerca di mangiarmi di soppiatto davanti e di lato. Conosco il crepitio dei pacchetti di patatine, riconosco al volo l'odore del panino al tonno e percepisco il sentore di cotoletta sprigionarsi da certi involucri d'argento abbandonati sul termosifone. Ma qui siamo alla follia. Complice due ore di potenziamento, sono rimasta immersa tra gli stessi tardoadolescenti per quattro ore consecutive e ho visto, cadenzati, apparire un uovo sodo, una mela, un tramezzino con le fette di tacchino magro, un quadretto di cioccolato fondente, sei gherigli di noci, otto quadretti di tofu. Non fanno dieta loro. Mettono su massa. E ogni tanto a me parte lo sclero della professoressa, spesso causato dalla fame atavica che mi prende alle 13 dopo aver consumato tutte le mie energie a spiegare la Restaurazione, senza peraltro aver bruciato una sola caloria, perché ho scoperto che l'unica parte del corpo che la scuola mette sotto sforzo, oltre al cervello ma neanche sempre, è il fegato, che nel mio caso è grosso come un'anguria.
"Voi due, là in fondo, la finite?!" urlo facendo levare in volo uno stormo di operai che stavano lavorando in cortile. "Ma prof..." inizia Macho Man facendo finta di non masticare. Inutile, ha la bocca sporca di briciole. "Io faccio finta di non vedere fino a un certo punto, capisco gli orari, i pullman, capisco che mangiate quando potete, quando saltate l'intervallo! Ma quello lì che cos'è?" chiedo mentre vedo scomparire una vaschetta nello zaino.
"Bresaola, prof. Devo mettere su massa!" risponde Mister Muscolo che sta spazzolando le briciole di gallette di riso.
"Ragazzi, ma voi la massa la dovete mettere nel cervello! Ma come pensate di arrivare all'esame?" e inizio a giocarmi la perfida carta del terrorismo psicologico.
"Prof, ma ci sono tutti gli orari da seguire, il dietologo ha detto di essere rigorosi!" prova a difendersi l'indifendibile bicipite ambulante.
"Io è una vita che vi dico di essere rigorosi! Di farvi un piano di studio, di non arrivare sempre all'ultimo, di fare i compiti un po' per volta! Com'è che a lui date retta e a me no? Cos'ha lui più di me?" piagnucolo come nelle peggiori soap.
"Ma prof, lui ci ha spiegato che bisogna avere rigore e disciplina perché il nostro corpo è un tempio!" mi spiega ispirato Macho Man, e nel parlare scuote i riccioloni neri che immagino si leghi quando si allena.
"Ah, ma certo, il cervello lasciamolo stare, tanto il vostro corpo è un tempio! E quando arriva il giorno dell'esame nel tempio cosa ci fate?!"
"Eh, prof. Preghiamo".
Io me le vado a cercare.
@Portami il diario.
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NON TEMERE DI SBOCCIARE
Da quando sei al mondo, c’è sempre qualcuno che ti dice cosa fare e chi ascoltare.
Ognuno si aspetta qualcosa da te
Ognuno proietta su di te le sue ambizioni frustrate, i suoi nodi irrisolti, i suoi conflitti.
I genitori litigano e tua madre ti dice che tuo babbo è un idiota.
La nonna ti dice di ascoltare il babbo perché la mamma è una stronza.
Tuo fratello ti dice di ascoltare i Metallica, che almeno sfoghi la rabbia.
Solo il gatto si fa i cazzi suoi.
E a scuola -e poi al lavoro- la musica non cambia: tutti sono intenti a indottrinarti, a portarti dalla loro parte, nessuno che fa gratuitamente qualcosa per te.
Ma soprattutto tu sei confuso
Non sai cosa vuoi dalla tua vita, non sai nemmeno più chi sei e se ti piace la pizza o il gelato.
Ti sei perso dentro questo vortice di richiami e non sai più chi ascoltare, ma, molto peggio, non hai mai ascoltato te stesso, non conosci il suono della tua voce interiore, che è coperta e sepolta da mille voci interne di altri.
Allora incontri qualcuno: uno/a diverso.
Uno che parla un’altra lingua, che non mistifica la realtà, che non vuole nulla da te, e che emana bellezza e armonia e non solo nevrosi come tutti gli altri .
E grazie a quell’incontro, che l’universo ti manda per salvarti, improvvisamente inizi a ricordare.
Che quello che volevi non era questo lavoro, questa vita, sentirti cosi pressato e contrito per tutto il tempo.
Improvvisamente ricordi che hai sempre sentito dentro di te, in fondo, che c’era qualcosa che non tornava.
Tutti parlavano “per il tuo bene”ma nessuno di loro stava bene.
E tu,nemmeno stavi bene.
Si inizia allora ad alzare la sottile brezza della rabbia che poi diventa feroce, ripensando a quello che ti sei fatto solo per ottenere un po’ di considerazioni.
Realizzi che anche quella poca considerazione era falsa.
E a quel punto,solo a quel punto se hai davvero molta forza e se cerchi altri come te, puoi iniziare a sbocciare.
E avrai paura - in quel momento- più di ogni altro perché sbocciare significa abbandonare, significa dire NO, significa dire Si, significa dire addio, significa osare come mai, significa salire in cima alla montagna più alta, da solo, senza scuse, senza poter dare la colpa ai sabotatori.
In quel momento non azzardarti a mollare, non farti fregare da chi ti dice “sei pazzo”, non ce la farai, guarda che tutti pensano che sei strano’, “tua mamma ne soffrirà”…
Non azzardarti a dare credito a questa voci, sono i tuoi lati ombra che ti vogliono inchiodare ad una vita mediocre e non vissuta.
Punta alla grandezza
Punta alla meraviglia
Punta ad andartene con le tasche vuote
Punta a sfinirti e non a preservarti
Punta all’impossibile, al divino , alla neve pura e al sole del deserto.
Punta tutto su di te e non aver paura di sbocciare .
_Claudia Crispolti_
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Se non è il mare, è il suo nome in una lingua senza labbra, senza luogo, senza altra parola che questa: mare.
Se non è il mare, è la sua idea di fuoco, impenetrabile, pura; e io, ardente, affogo in lei.
Pedro Salinas
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[...] che poi è una anoressia dell’io, la tua, quella pura assenza di tutto che poi si fa vizio, fumo, canna, vino sballo e ironia, e paura di darsi, quello E. non è dare l’anima ma refrigerarla per conservarla, per cosa e chi?
se non ci fai nulla, io credo, per la morte.
Che poi ti affascina. Quando me lo succhiavi, lo facevi per morire, non per dare.
Era il canto sotterraneo del tuo desiderio universale di morte.
Eros e morte, il potere della vita nella tua gola che poi è disagio alla fine nel tuo caso, o forse nel caso di tutti, perchè alla fine è quello per non volere dare altro, è bocca per non darla, è bisessualità per paura della violenza, perchè alla fine Erika, sei impaurita, sei terrorizzata dalla tua fragilità, sei sensibile e lo sai, e uccidi la tua intelligenza, mieti quello che sei con l’ironia, l’assenza, il sarcasmo, ti umili ti dichiari non interessante, dici che non sei niente, e ti difendi con una maschera “del cazzo”, e ti fai un ennessimo tatuaggio, sulle gambe e sulle braccia sul monte di venere, poi ti siedi allo specchio ti fotografi a gambe aperte la figa coperta dalla gonna, ma conta il simbolo prima del segno, anche se coperta, quello è - e quello fotografi - e il corpo segnato da mille colori, la posizione sgraziata che dicono questo, sono un bambino e puzzo, mi odi perchè puzzo e puzzo perchè ti odio, ed è tutta una finzione una maschera, odi solo essere una persona perchè le persone sono fragili e tu sei fragile e ogni fragilità incide l'anima, lascia una cicatrice che non si vede, e quindi tu la abbellisci, la rovesci offendendo il nemico con un tatuaggio alla mahori, tiri fuori la lingua come i guerrieri Inca per incutere paura, ma è tutto così infantile.
Alla fine sei solo te. E quello non puoi difenderlo.
E neanche io posso difendermi, E.
Mentre lei , lei che non sei te, quando si siede vicino a me e si adagia lentamente e mi chiede l’anima indietro, vuole qualcosa di vero e reale - anche se io sono più impaurito di un serpente freddo, onestamente, e lei si ciba degli spiriti interiori: il suo corpo diventa calore, luce emette quella luce che dà la vita, una luce che ha nelle paure il senso delle cose, ma che ingoia paure e corpi e sensazioni dentro il suo spirito per trasformarlo in altro, per dargli vita, per cibare la vita, per essere vita.
Ecco io e te Erika, non siamo questo.
E questo ci spaventa. Ma tu lo sai.
e fingi di non saperlo e allora un' altra foto che non vuol dire niente, se non swag e paura, tatuaggi e ritrazione, e "andate tutti a fare in kulo perchè io so io e voi non siete un cazzo", e vuoto a perdere.
Non sto insultando te, ma me. Questo vuoto a perdere è il presente, questa paura oggi, e l’oggi del cazzo. Questo vuoto è la vita. che non conta un cazzo, ma la viviamo lo stesso.
E tu?
Metti una corona sulla testa, una sul mio cazzo, le tue perfette labbra, la perfetta pelle di alabastro bionda, e mi succhi. E più lo fai più ci svuotiamo di senso anima e futuro.
Tu succhi, io muoio. Amen.
@atomicabionda
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Ma che cazzo di vita infelice sto facendo?
Ero lì, al sole, con i mei occhi nei suoi. Spostavo i suoi capelli biondi dalla bocca. Guardavo le sue labbra e il suo sorriso. Non ci potevo credere. La abbracciavo e sentivo il suo corpo vicino al mio. Una sensazione meravigliosa. Di gioia assoluta, quasi estasi. Era lì, sorrideva a me, sentivo le sue labbra morbide sulle mie, la mia lingua che cercava la sua. E non me ne fregava niente. Che ci vedessero, che pensassero quel che volevano. Dentro di me e dentro di lei scorreva la vita più pura. L’amore che può muovere tutto, che da senso a tutto. Avrei voluto che quel momento non finisse mai.
Poi, devi salutarla, torni a casa. La realtà ti colpisce come un pugno in faccia. Lo sai che non avrai mai il coraggio. È cosi deprimente. Solo la speranza e l’ansia di rivederla ti tiene in piedi. E la paura di perderla, che ci ripensi, ti terrorizza.
Ma quel bacio, quel momento, è ciò per cui vale la pena. È l’essenza. È il tutto.
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