#lettere a un giovane poeta
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... ami la Sua solitudine, porti con sé il dolore che Le causa con un lamento dal suono dolce. Perché quelli che Le stanno vicini, Le sono lontani... Con loro cerchi di avere una condivisione semplice e leale, una condivisione che non deve farsi necessaria nel caso in cui Lei stesso continuasse a cambiare... ma creda in un amore che viene preservato per Lei come un’eredità, e abbia fede che in questo amore ci siano una forza e una benedizione da cui non deve uscire, se vuole andare lontano!
Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta, Worpswede nei pressi di Brema (per il momento), 16 luglio 1903
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Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera. Non cercare ora le risposte che non possono esserti date, poiché non saresti capace di convivere con esse. E il punto è vivere ogni cosa. Vivi le domande ora. Forse, così, un giorno lontano, a poco a poco, senza accorgertene, ti troverai a vivere la risposta.
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A lock of the hair of Lucrezia Borgia in the Ambrosian Library in Milan, Italy
«Pinacoteca Ambrosiana, Milano.
In una piccola teca è conservato un tesoro.
Un garbuglio di sottili fili gialli che formano un intreccio ad anello verso l’estremità. Niente di che all'apparenza, forse solo una reliquia; e invece se vai a fondo scopri che dietro c'è un mondo. Una storia d'amore bellissima quanto proibita, tra un dotto umanista e una ragazza tormentata. Per viverla bisogna spostarci un po' più ad est, e tornare indietro nel tempo, tanti e tanti anni fa.
Ferrara 1502. Quel giorno, alla corte ducale, erano attesi giovani poeti e letterati.
Per il ragazzo era un'occasione d'oro. Poteva finalmente mettersi in mostra e farsi notare dalla duchessa. Se tutto fosse andato come sperava, avrebbe avuto anche l'occasione di entrare nella sua cerchia ristretta di letterati. Lei amava gli artisti, e ovviamente far parte del suo "circolo" era garanzia di fama e ricchezza. Così giunse il suo momento. Il ragazzo entrò in sala e la vide. Conosceva la duchessa solo per sentito dire, e che fosse molto bella lo sapeva già, gliel'avevano ripetuto un milione di volte. Quello che lo sbalordì e lo lasciò senza parole fu che fosse così bella. Il poeta ci mise un po' di tempo a presentarsi, letteralmente folgorato dal bagliore della giovane duchessa. I suoi capelli biondi splendevano, illuminati dai raggi del sole che filtravano dalle grandi vetrate del palazzo. Già quei capelli, come si può dimenticarli? Non ci riuscì, e continuò a pensare a lei anche le ore successive all'incontro. Anche i giorni dopo. Anche le settimane dopo.
La duchessa era il suo pensiero fisso. Si invaghì così tanto da giungere a cambiare la struttura della sua prima opera che stava per uscire in quel periodo. La modificò sulla base di quel suo nuovo invaghimento. Un uomo che apriva il suo cuore verso l'amore più sincero e appassionato. E quando l'opera, chiamata "Gli Asolani", uscì, il poeta ne regalò subito una copia alla duchessa, che rimase positivamente colpita. Cominciarono a frequentarsi sempre più spesso, i due innamorati clandestini, e intrapresero una relazione platonica ma appassionata.
Poi però arrivò la peste e il poeta fu costretto a scappare dalla città. Lei rimase. Non poteva la duchessa abbandonare il suo popolo decimato. E tanto platonicamente quanto si erano frequentati di persona, così iniziarono un rapporto epistolare a distanza fatto di bellissime lettere d'amore. Lui però aveva ancora quel pensiero fisso: i capelli di lei, e glielo scrisse. Alla fine lei non mancò di compiere un gesto fortemente simbolico: si tagliò una ciocca dei suoi amati capelli e la inviò insieme a una lettera. Quando lui la ricevette, la tenne stretta a se, e la volle conservare per sempre all'interno di uno scrigno, che ormai era il più prezioso di tutti i tesori che possedeva. Quello che conteneva le lettere d'amore della duchessa.
I due non si rividero mai più ma continuarono a scriversi ancora per sedici anni. Poi lei morì giovanissima e lui divenne Cardinale. Uomo di chiesa e personaggio di spicco dell'Umanesimo italiano, famoso ancora oggi con il nome di Pietro Bembo.
Come quella ciocca di capelli sia giunta a Milano, non lo sa nessuno. Ma forse un motivo c'è.
Se la guardi all’interno della piccola teca, noti che è ancora perfettamente conservata, liscia e fresca come se fosse stata appena recisa.
Ecco, pare che in alcune notti, se osservi bene attraverso le finestre della Pinacoteca Ambrosiana, scorgi un bagliore. Una luce intensa che proviene dalla stanza dove è conservata la bionda treccia. Dicono che sia proprio la duchessa, che arriva e legge le lettere del suo amato Pietro Bembo, non prima di aver pettinato la propria ciocca di capelli.
Poi se ne va, svanisce in un educato silenzio, ma felice perché si è sentita amata. Lei, la discussa e tormentata duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia»
Roberto Colombo
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4 aprile 1951
Nasce a Roma Francesco De Gregori, il Principe dei cantautori. Molti di noi sono cresciuti con la sua musica che, fatto rarissimo, si è trasmessa anche alle generazioni più giovani.
Era un frequentatore del Folkstudio, locale capitolino dove capitava di veder suonare gente come Bob Dylan, ovviamente ancora ben lontani dalla notorietà.
Il primo a portare in scena le canzoni di Francesco sarebbe stato il fratello Luigi, cui è spettato l’onore di presentare al piccolo pubblico presente Buonanotte Nina.
Il successo insperato spinge Luigi a fare pressioni sul fratello perché vinca le sue titubanze e si esibisca in pubblico.
Più che la musica Francesco respira sin da piccolo l’aria della cultura.
Con il padre bibliotecario e la mamma insegnante di lettere il giovane De Gregori sembra più intenzionato alla lettura e alla scrittura che alla musica. Poi il colpo di genio: fonde le due cose al ritmo del folk e del rock e diventa unico.
L’incontro con la chitarra avvenne solo all’età di quindici anni e sembra che la prima canzone eseguita (con discreto successo) fosse Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano.
Eppure la carriera musicale non era la prima scelta di Francesco De Gregori che tentò prima la sorte come attore partecipando a un casting per un film di Fellini.
Le doti non erano male ma l’aspetto estetico non era quello ricercato. L’appuntamento con il grande schermo è solo rimandato al 2003, quando partecipa al primo film da regista di Franco Battiato, Perdutoamor.
È spesso definito cantautore e poeta, sebbene egli preferisca essere identificato semplicemente come "artista".
È inoltre uno tra gli artisti con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, con sei Targhe Tenco e un Premio Le parole della musica.
Nel 2022 è diventato protagonista di un grande tour italiano con il suo amico Antonello Venditti, l’artista con cui aveva iniziato la carriera.
Buon compleanno Francesco ❤️
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L'amore è qualcosa di difficile ed è più difficile di altre cose perché negli altri conflitti la natura stessa ordina agli uomini di raccogliersi, di tenersi saldamente con tutte le forze, mentre nell’avanzare dell'amore l'impulso è di donarsi totalmente.
Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta
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riprendo in mano le lettere a un giovane poeta alla ricerca disperata di un appiglio come se fossero la bibbia (un po' é così)
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Una ciocca di capelli biondi racchiusi in una teca, una reliquia ? No una storia d’amore❤️
Una storia, una storia d’amore tanto bella quanto proibita, tra un dotto umanista e una ragazza potente e tormentata.
Siamo a Ferrara nel 1502.
Siamo nella corte del duca Alfonso d’Este, straordinario mecenate delle arti e della cultura, che, come di consueto, attendeva l’arrivo di numerosi giovani poeti e letterati di talento da accogliere nella sua corte.
E fu proprio lì, fra tanta poesia e magnificenza, che due giovani si videro per la prima volta.
Il giovane poeta conosceva la duchessa solo per sentito dire e gli era stato riferito più volte del fascino che esercitava, eppure non appena la vide, rimase folgorato dalla sua bellezza.
I suoi lunghi e lucenti capelli biondi, illuminati dai raggi del sole, riflettevano la luce che entrava dalle grandi vetrate del palazzo, donandole un’aurea quasi celestiale.
Come poter dimenticare una visione così?
Con la scusa della dedica di un’opera iniziò una relazione platonica come poche e molto appassionata che li legò per anni.
La storia da platonica diventò epistolare a causa della peste che li separò.
Intense lettere d’amore, le quali, ancora oggi, vengono considerate come le più belle mai raccolte.
Insieme a una di esse, la giovane duchessa, inviò anche una ciocca dei suoi adorati capelli, gli stessi capelli che lui amava accarezzare nei loro incontri furtivi e che ora, quasi come una promessa d’amore che supera il tempo e soprattutto la distanza, può continuare ad accarezzare per sentirla vicina in attesa del loro prossimo abbraccio.
Il destino avverso non li fece più incontrare.
La duchessa, chiamata Lucrezia Borgia, nonché figlia illegittima del Papa Alessandro VI, morì giovanissima, lasciando però dietro di sé una fama che la rese immortale e che la farà ricordare sempre come una donna di potere leggendaria e controversa.
Lui, invece, dopo la morte di lei, divenne Cardinale, delineandosi in pochissimo tempo non solo come personaggio di spicco dell’umanesimo italiano, ma anche come grande uomo di Chiesa, noto con il nome di Pietro Bembo.
La bellezza e il fascino di questa reliquia, forse, stanno proprio nel suo mistero che l’ha resa un grande tesoro ancora incredibilmente intatto nonostante il tempo, come intatto, fino alla fine, è stato il grande amore che ha vissuto.
È conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, la ciocca di capelli all’interno di una piccola teca adornata da cristalli, perle, rubini e smeraldi.
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Friedrich Nietzsche in compagnia della madre Franziska (1892)
2 aprile 1888: Friedrich Nietzsche era un viaggiatore un po’ distratto. Doveva arrivare a Torino, eppure si ritrovò a Sampierdarena, non lontano da Genova; aveva sbagliato treno, ecco tutto…ma un piccolo mistero rimane ancora oggi, visto che la sua valigia lo stesso giorno s’imbarcò educatamente sul vagone per il Piemonte.
Tre giorni dopo, comunque, il professore ritentò l’impresa sulla linea Alessandria-Asti-Torino e, questa volta, giunse a destinazione: gli apparve una città ammantata di luce purissima, dai viali silenziosi e splendidamente lastricati.
Proprio dietro Palazzo Carignano, l’edicolante Davide Fino vide il forestiero, tutto contento con la valigia in mano, e cercò di vendergli una guida turistica; si ritrovò, invece, ad affittargli una stanza nella sua stessa casa, all’ultimo piano di Via Carlo Alberto n.6, dove oggi si trova la lapide che ricorda il soggiorno torinese del filosofo.
Nietzsche rimase due mesi in città; in estate partì per la Svizzera e poi, a settembre, tornò qui per un soggiorno più lungo, che si rivelò fatale.
La targa che ricorda il soggiorno torinese del filosofo tedesco in via Carlo Alberto 6
Dodici anni prima, poco più che trentenne, la salute malferma lo aveva costretto a congedarsi dall’università di Basilea, dove insegnava lingua e letteratura greca; fu l’inizio di un’intensa attività di scrittura e peregrinazioni sempre più sofferte, in un “Gran Tour” europeo di cui rimane solamente un taccuino insignificante, con appuntati i prezzi di frutta e verdura.
Eppure, Torino gli apparve splendida:“…è l’unica città che mi piaccia. Un qualcosa di calmo e di superstite lusinga i miei istinti. Percorro con estasi queste vie dignitose…Un paradiso per i piedi, anche per gli occhi…Non avrei mai creduto che una città, grazie alla luce, potesse diventare cosi bella”.
Diverse lettere, indirizzate alla madre, al musicista Peter Gast e al teologo Overbeck, mostrano l’entusiasmo per Torino che, persa la corona da capitale, rimaneva comunque vivacissima: cinque quotidiani, venti giornali scientifici e quattordici letterari, oltre a numerose biblioteche internazionali.
A questa effervescenza culturale, però, Nietzsche prendeva raramente parte. Preferiva passeggiate solitarie lungo i viali di Corso Casale; pensava, forse, a Richard Wagner, il celebre compositore con cui si era interrotto, misteriosamente, il sodalizio spirituale; o pensava ancora a Lou Salomé, l’affascinante russa che avrebbe anche sposato se questa non avesse ammaliato, prima il suo migliore amico, Paul Rée, poi un giovane poeta, Reiner Maria Rilke, e successivamente persino Sigmund Freud.
Conduceva una vita riservata: di amici forse solo Carlo Clausen, editore tedesco che portò in Italia le dottrine orientali, quando erano ancora sconosciute.
Curiosamente, gli avvenimenti che lo interessavano di più erano gli stessi che entusiasmavano quella borghesia da lui tanto criticata: pare che alla fine dell’estate, trascorsa tra le montagne di Sils Maria, desiderasse tornare a Torino proprio per assistere, insieme ad oltre 70.000 persone, al matrimonio fra il duca Amedeo di Savoia e la principessa Letizia Bonaparte.
Curioso, per un personaggio ritenuto da tutti anticonformista; ma Nietzsche non era mai stato un “bohémien” ed, anzi, aveva sempre tenuto tantissimo a titoli, blasoni e frequentazioni altolocate.
Arrivò l’autunno: monotono, ma prolifico. C’era la sua scrivania, dove scrisse “Ecce Homo”, e c’era il pianoforte, che condivideva con Irene, la figlia dei suoi affittuari.
Poi, giorno dopo giorno, la sua grafia divenne sempre più nervosa e illeggibile; mentre nel suo cestino i coniugi Fino trovavano banconote stracciate, dalla vicina posta centrale, il filosofo cominciò a spedire biglietti in cui si considerava l’incarnazione di Vittorio Emanuele II, dell’architetto Antonelli o di altre celebrità dell’epoca; firmava le lettere come “il Crocifisso” o “l’Anticristo”.
Cominciò a confondere le notizie che apparivano sui giornali con quelle della sua vita quotidiana: vaneggiò che i sovrani d’Italia sarebbero andati a trovarlo nella sua stanza e poi, quando su “La Gazzetta Piemontese” apparve la notizia che uno spagnolo, accusato di omicidio, veniva condannato a morte, pensò di essere il carcerato stesso.
Il 3 gennaio 1889 avvenne la fine, forse un episodio più leggendario che veritiero.
Vedendo un vetturino che frustava a sangue un cavallo, Nietszche abbracciò e baciò l’animale, cadendo a terra e urlando di essere il nuovo Dioniso.
Lasciò Torino con la papalina di Davide Fino sulla testa, come pegno di un futuro incontro che mai avvenne. Morì il 25 agosto 1900 a Weimar, prigioniero della pazzia, presto trasformato in un mito.
I suoi scritti, rimaneggiati dalla sorella Elisabeth, conobbero un enorme successo e colpirono negli anni successivi Adolf Hitler.
Si convinse di essere l’ubermensch invocato dal filosofo per una nuova era. E, cosa ancor più folle, tanti lo seguirono. Ma non era il superuomo; era, anzi l’ultimo uomo, il peggior nichilista che avrebbe distrutto il mondo. L’ubermensch vagheggiato dal filosofo era diverso; il suo oltreuomo, avendo scoperto che Dio era morto, con la Filosofia del Martello avrebbe distrutto quei valori in cui l’Occidente faceva ancora finta di credere, libero di creare, come un fanciullo, nuovi valori.
“Ma chi sono i pazzi?”
-Fonte: Nietzsche a Torino
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L'uomo e il suo pensiero raramente coincidono...(cit)
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Questa storia mi piace sempre. Una bella storia d'amore, di proibito ma certo, di distanza riempita di lettere. L'amore della vita, oltre ogni condizione.
Pinacoteca Ambrosiana, Milano.
In una piccola teca è conservato un tesoro.
Un garbuglio di sottili fili gialli che formano un intreccio ad anello verso l’estremità. Niente di che all’apparenza, forse solo una reliquia; e invece se vai a fondo scopri che dietro c’è un mondo. Una storia d’amore bellissima quanto proibita, tra un dotto umanista e una ragazza tormentata. Per viverla bisogna spostarci un po’ più ad est, e tornare indietro nel tempo, tanti e tanti anni fa.
Ferrara 1502. Quel giorno, alla corte ducale, erano attesi giovani poeti e letterati.
Per il ragazzo era un’occasione d’oro. Poteva finalmente mettersi in mostra e farsi notare dalla duchessa. Se tutto fosse andato come sperava, avrebbe avuto anche l’occasione di entrare nella sua cerchia ristretta di letterati. Lei amava gli artisti, e ovviamente far parte del suo “circolo” era garanzia di fama e ricchezza. Così giunse il suo momento. Il ragazzo entrò in sala e la vide. Conosceva la duchessa solo per sentito dire, e che fosse molto bella lo sapeva già, gliel’avevano ripetuto un milione di volte. Quello che lo sbalordì e lo lasciò senza parole fu che fosse così bella. Il poeta ci mise un po’ di tempo a presentarsi, letteralmente folgorato dal bagliore della giovane duchessa. I suoi capelli biondi splendevano, illuminati dai raggi del sole che filtravano dalle grandi vetrate del palazzo. Già quei capelli, come si può dimenticarli? Non ci riuscì, e continuò a pensare a lei anche le ore successive all’incontro. Anche i giorni dopo. Anche le settimane dopo.
La duchessa era il suo pensiero fisso. Si invaghì così tanto da giungere a cambiare la struttura della sua prima opera che stava per uscire in quel periodo. La modificò sulla base di quel suo nuovo invaghimento. Un uomo che apriva il suo cuore verso l’amore più sincero e appassionato. E quando l’opera, chiamata “gli Asolani”, uscì, il poeta ne regalò subito una copia alla duchessa, che rimase positivamente colpita. Cominciarono a frequentarsi sempre più spesso, i due innamorati clandestini, e intrapresero una relazione platonica ma appassionata.
Poi però arrivò la peste e il poeta fu costretto a scappare dalla città. Lei rimase. Non poteva la duchessa abbandonare il suo popolo decimato. E tanto platonicamente quanto si erano frequentati di persona, così iniziarono un rapporto epistolare a distanza fatto di bellissime lettere d’amore. Lui però aveva ancora quel pensiero fisso: i capelli di lei, e glielo scrisse. Alla fine lei non mancò di compiere un gesto fortemente simbolico: si tagliò una ciocca dei suoi amati capelli e la inviò insieme a una lettera. Quando lui la ricevette, la tenne stretta a se, e la volle conservare per sempre all’interno di uno scrigno, che ormai era il più prezioso di tutti i tesori che possedeva. Quello che conteneva le lettere d’amore della duchessa.
I due non si rividero mai più ma continuarono a scriversi ancora per sedici anni. Poi lei morì giovanissima e lui divenne Cardinale. Uomo di chiesa e personaggio di spicco dell’umanesimo italiano, famoso ancora oggi con il nome di Pietro Bembo.
Come quella ciocca di capelli sia giunta a Milano, non lo sa nessuno. Ma forse un motivo c’è.
Se la guardi all’interno della piccola teca, noti che è ancora perfettamente conservata, liscia e fresca come se fosse stata appena recisa.
Ecco, pare che in alcune notti, se osservi bene attraverso le finestre della Pinacoteca Ambrosiana, scorgi un bagliore. Una luce intensa che proviene dalla stanza dove è conservata la bionda treccia. Dicono che sia proprio la duchessa, che arriva e legge le lettere del suo amato Pietro Bembo, non prima di aver pettinato la propria ciocca di capelli.
Poi se ne va, svanisce in un educato silenzio, ma felice perché si è sentita amata. Lei, la discussa e tormentata duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia.
Roberto Colombo
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«Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima di essere accaduto»
(Rainer M. Rilke, Lettere a un giovane poeta)
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… in fondo, e proprio nelle cose più profonde e importanti, noi siamo anonimamente soli, e affinché uno possa consigliare o aiutare un altro, molto deve succedere, molto deve riuscire, un’intera costellazione di cose deve avverarsi affinché vada bene una volta.
Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta, Viareggio nei pressi di Pisa (Italia), 5 aprile 1903
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Mariela Lugo presidente del As Apey insieme ad Alicia Antonia Muñoz Verri presentano il libro " Miopia" del giovane poeta di grande talento Miguel Alejandro Navarro Petit del Venezuela scomparso prematuramente. Pubblicazione di Elisa Mascia da San Giuliano di Puglia -Campobasso
Foto cortesia Mariela Lugo presidentedelAs Pey ASSOCIAZIONE POETI E SCRITTORI DI YARITAGUA ha inviato i dati biografici e la copertina del libro “Miopia” del giovane poeta venezuelano MIGUEL ALEJANDRO NAVARRO PETIT scomparso prematuramente. MIGUEL ALEJANDRO NAVARRO PETIT. San Felipe, Yaracuy, Venezuela (2001). È un giovane innamorato delle lettere, della letteratura venezuelana e anchedelle…
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Lettere a un giovane poeta
Non abbiamo motivo di diffidare del nostro mondo, poiché esso non è contro di noi. Se vi sono orrori, allora sono i nostri orrori, se vi sono abissi, allora quegli abissi ci appartengono, se vi sono pericoli, allora dobbiamo cercare di amarli. E se solo organizziamo la nostra vita secondo quel principio, che ci ingiunge di attenerci sempre al difficile, allora ciò che adesso ci appare ancora…
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poema sul nuovo millennio
I suoi adepti, fuori,
a rotolarsi nel fango come porci, presto, molto presto
come un ambiente underground diventa un parco giochi
o un parco giochi che diventa
l’imitazione di un Paradiso. I suini
della performance, lui siede a capotavola:
noi, sulla luna, ci siamo già stati.
L’era dell’imitazioni, sfogliando la Settimana Enigmistica,
cercare soluzioni in mille amori,
c’è un bagno chimico alla fine della via che odora
d’estate. Dietro alla scritta Made In Vietnam c’è una
storia di venti stupri americani, io sono un agnello multiforme -
innumerevoli sono i tentativi di trasformazione,
sono troppo presto performante. Ho tredici anni di buchi
sulle mani, stigmate di sonno, mia madre che mi chiede
di tenermi in salvo. Stai attento, dice, credo che la sua bocca
sia un unico pixel, scavallo il palcoscenico dove un
politico di destra si erge a figura mitica, lo chiamavano Sansone -
si è rasato tutti i capelli per l’esecuzione di un impresario.
Si è fatto bello per la disfatta del mondo, suona ad un campanello,
lui è uno che conta. Mio nonno sostiene che il nero
edifica il divenire, perciò con nostalgia bacia la foto di vent’anni fa:
lui e il suo stemma del MSI tatuato a ricamo sulla divisa militare:
mi dice che sono troppo giovane per capire, sono troppo
dispari.
Gli spiriti dei deviati in un classico numero in serie
cinque cifre prima del precipizio, io sarei incatenato ad un letto
d’ospedale: grido il nome di mamma, il nome di Cristo, sono il figlio
cannibale di una nazione silenziosa. L’esercito di improvvisati
nazionalisti che pasteggiano con tacchino e lepre, i fucili ancora
a riposo. Dietro il nero, dietro le casacche, corpulenti strascichi demoniaci
il tempo di un tesseramento e il tenore di uno schiavo sessuale,
mi ricordo di uno di loro rimasto a bocca spalancata e una virgola
di sperma appena prima della ciglia del suo occhio celeste.
Dietro il nero, c’è una tenda che porta ad un giardino di memorie
appese, fotografie di vecchie madri chine a costruire una nazione,
la repubblica ancora giovane prima di inciampare sulle sue stesse
scarpe sfoderate, ero ancora troppo giovane, sono ancora troppo
dispari.
La Bibbia di me stesso resa universale, le mie mani che tendono verso
la fine delle sue carezze,
sono oltre le colonne, sono oltre la scuola elementare, voglio
che mi racconti della volta in cui ti hanno arrestato, perché
eri così giovane, così giovane, troppo dispari,
che fine ha fatto il labirinto? Sei troppo arrabbiato con me,
la danza degli oggetti diventa scema, il poeta senza laurea crepa,
il dottore mi apre la pancia, ci trova i resti di un disordine camerata.
Io te l’ho detto, lo ribadisco, rimarrò dispari
con questo disturbo da troppe lettere
che mi si inceppa in gola, i miei termini arcaici e la proprietà
unica dimora privata - di linguaggio
che mi porta su Marte: sulla luna ci siamo già stati, eravamo
ancora americani, eravamo ancora nazisti travestiti
da pace, eravamo ancora rivoluzionari con la divisa della Nato,
venti minuti l’uno addosso all’altro, era estate e d’altronde
non potevamo essere altro. Amarti il mattino quando
nessuno ci vede: tende chiuse, luci spente, il sole
non è il sole nel cosmo del tuo pube
reso cieco dalle scorse
venti ore di marijuana e coca zero. Il film senza spettatori,
i padri che aspettano di ridere senza riferimenti colti alle disfatte dei
figli, ora sei gay di default, sopra alle isole sconosciute della mia pancia
aspetti un figlio che chiameremo Pier Vittorio, avremmo una
pensione come ce la meritiamo, e una serie tv sui vizi del Papa
da consumare come due clandestini. Meglio fingere
di credere, che credere e poi fingere di stare bene,
io con la dolcezza di un papavero, estraggo oppio per tornare a dormire,
tu con le mie carezze, i tuoi capelli margherita, cadono a fiotti.
E’ la malattia o la primavera?
E’ un sollievo temporaneo, almeno, tane come fossimo ai domiciliari,
io latitante nei tuoi sogni di porpora, fingere di credere, fingere di
credere, il figlio di un eroinomane
e il figlio di un democristiano, ti accarezzo le palpebre perché
so che non hai paura del buio. Hai paura di Dio, sai che se non
credi è peggio, da bambino volevi fare il prete poi
la religione ti ha fatto violentare, schiavo nell’abisso del nulla,
ci sei già dentro a piè pari, ne amplifichi il bisogno.
Il liquido che aveva santità, me lo ha detto
un Angelo, nessun altro,
è urina lasciata scorrere nella gola,
mi aumenta il fetore. Così ti
lascio andare, come farebbe qualsiasi altro padrone benevolo,
come farebbe qualsiasi altro difettato senza speranza, sterile
amante dispari, come una trave di tempio al mare,
io soggetto, oggetto, forma, essenza
io mi ricordo di quella volta in cui assaggiai il sapore dell’estate
da solo
fu l’ultima, non ci voglio tornare più. Ora
il mare sa di lamponi salati, mi piace, ora il vento
sa di cenere, mi piace, ora tu di spalle di fronte alla libreria enorme
del tuo salotto,
io sto qui e immagino casa,
bene,
io sto qui e mi piace, e ora a quale autore ti impicchi
poeta?
In quale casa? Sopra quale libreria? La poesia
ti ha salvato la vita, Poeta, ora cosa ne sarà del resto
della tua esistenza? Vivrai da Martire,
bruciato a vita, bruciato vivo, un cammello senza testa e con
le mani: sei ricoperto di sabbia. Stai invecchiando, Poeta,
cosa ne sarà della tua poesia?
I vertici del tuo respiro chiusi dall’asma, le salme dei
tuoi antenati esposte a raffineria, domani succede
che fanno le primarie e io mi sparo, mi sparo in bocca,
vorrei che lo facessi tu in estrema divinazione da assenzio, ma
hai scelto la via sporca della sobrietà, ora non c’è nulla in te
che mi ricorda mio padre.
Mi rassicura ma mi uccide, mi protegge ma mi espone quando i miei
occhi indagano dettagli confusi. Io ero
dietro il nero,
io ero dietro il nero il nipote più
dispari, la mia è la mano di un diavolo qualunque, tu volevi
una ragione, una sola ragione, penso di avertela data.
Il Messia ha scordato le chiavi di casa, ma non ha
mai scordato il nome di sua madre. Tipo il richiamo degli
uomini, tipo il libro sulla droga, tipo quella foto a vent’anni dove assomigli
ad un agnello.
Hai terminato la mutazione. Tu, almeno, ce l’hai fatta, Poeta.
La vita con te come due bracconieri dell’insonnia, trascinare
anima e corpo alle porte del Paradiso, noi nudi e distratti dalla stagione
peggiore. Mi fermo e ti dico: non so se ce la faccio ad andare oltre.
Noi dentro le porte del Paradiso, qui è pieno di Santi tristi e
Eroi di guerra con le mani sporche di interiora,
assomiglia ad una terra di promesse,
io e te non siamo fatti per questo.
I morti si amano come figli,
il tuo viso scavato dal freddo, il mio reso rosso dalla ricerca di dimora,
una volta al mese scavando morti casalinghe, senza uscire di casa,
arrestati per atti indecenti o per possesso di bocca. Io
detengo la voce addomesticata dalla campagna, tu hai
una penna affilata che usi come bisturi, siamo l’uno davanti all’altro
su un altare-sala operatoria-scrivania-letto
ad aprirci i costati, si voti per eleggere il Segretario!
Punto di ritorno e via del ripristino, la domenica le case
si svuotano per dare una pista da ballo ai topi,
e il tuo naso da ratto
e i miei capelli da pulce,
bugiardi performanti cadaveri
un giorno saremo un poema.
Per oggi, solo una penna
che si lascia rotolare nel fango del nuovo millennio.
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«Pinacoteca Ambrosiana, Milano.
In una piccola teca è conservato un tesoro.
Un garbuglio di sottili fili gialli che formano un intreccio ad anello verso l’estremità. Niente di che all'apparenza, forse solo una reliquia; e invece se vai a fondo scopri che dietro c'è un mondo. Una storia d'amore bellissima quanto proibita, tra un dotto umanista e una ragazza tormentata. Per viverla bisogna spostarci un po' più ad est, e tornare indietro nel tempo, tanti e tanti anni fa.
Ferrara 1502. Quel giorno, alla corte ducale, erano attesi giovani poeti e letterati.
Per il ragazzo era un'occasione d'oro. Poteva finalmente mettersi in mostra e farsi notare dalla duchessa. Se tutto fosse andato come sperava, avrebbe avuto anche l'occasione di entrare nella sua cerchia ristretta di letterati. Lei amava gli artisti, e ovviamente far parte del suo "circolo" era garanzia di fama e ricchezza. Così giunse il suo momento. Il ragazzo entrò in sala e la vide. Conosceva la duchessa solo per sentito dire, e che fosse molto bella lo sapeva già, gliel'avevano ripetuto un milione di volte. Quello che lo sbalordì e lo lasciò senza parole fu che fosse così bella. Il poeta ci mise un po' di tempo a presentarsi, letteralmente folgorato dal bagliore della giovane duchessa. I suoi capelli biondi splendevano, illuminati dai raggi del sole che filtravano dalle grandi vetrate del palazzo. Già quei capelli, come si può dimenticarli? Non ci riuscì, e continuò a pensare a lei anche le ore successive all'incontro. Anche i giorni dopo. Anche le settimane dopo.
La duchessa era il suo pensiero fisso. Si invaghì così tanto da giungere a cambiare la struttura della sua prima opera che stava per uscire in quel periodo. La modificò sulla base di quel suo nuovo invaghimento. Un uomo che apriva il suo cuore verso l'amore più sincero e appassionato. E quando l'opera, chiamata "Gli Asolani", uscì, il poeta ne regalò subito una copia alla duchessa, che rimase positivamente colpita. Cominciarono a frequentarsi sempre più spesso, i due innamorati clandestini, e intrapresero una relazione platonica ma appassionata.
Poi però arrivò la peste e il poeta fu costretto a scappare dalla città. Lei rimase. Non poteva la duchessa abbandonare il suo popolo decimato. E tanto platonicamente quanto si erano frequentati di persona, così iniziarono un rapporto epistolare a distanza fatto di bellissime lettere d'amore. Lui però aveva ancora quel pensiero fisso: i capelli di lei, e glielo scrisse. Alla fine lei non mancò di compiere un gesto fortemente simbolico: si tagliò una ciocca dei suoi amati capelli e la inviò insieme a una lettera. Quando lui la ricevette, la tenne stretta a se, e la volle conservare per sempre all'interno di uno scrigno, che ormai era il più prezioso di tutti i tesori che possedeva. Quello che conteneva le lettere d'amore della duchessa.
I due non si rividero mai più ma continuarono a scriversi ancora per sedici anni. Poi lei morì giovanissima e lui divenne Cardinale. Uomo di chiesa e personaggio di spicco dell'Umanesimo italiano, famoso ancora oggi con il nome di Pietro Bembo.
Come quella ciocca di capelli sia giunta a Milano, non lo sa nessuno. Ma forse un motivo c'è.
Se la guardi all’interno della piccola teca, noti che è ancora perfettamente conservata, liscia e fresca come se fosse stata appena recisa.
Ecco, pare che in alcune notti, se osservi bene attraverso le finestre della Pinacoteca Ambrosiana, scorgi un bagliore. Una luce intensa che proviene dalla stanza dove è conservata la bionda treccia. Dicono che sia proprio la duchessa, che arriva e legge le lettere del suo amato Pietro Bembo, non prima di aver pettinato la propria ciocca di capelli.
Poi se ne va, svanisce in un educato silenzio, ma felice perché si è sentita amata. Lei, la discussa e tormentata duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia»
(Roberto Colombo, Alberto Angela UnOfficial Page Fan Italia)
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Ama la tua solitudine e cerca di cantare con il dolore che ti causa. Per chi ti sta vicino è lontano e questo dimostra che lo spazio intorno a te inizia a crescere vasto. Sii felice della tua crescita, in cui ovviamente non puoi portare nessuno con te, e sii gentile con chi resta indietro; sii sicuro di te e sereno davanti a loro e non tormentarli con i tuoi dubbi e non spaventarli con la tua fede o la tua gioia, cosa che loro non farebbero essere in grado di comprendere. Cerca un sentimento semplice e vero di ciò che hai in comune con loro, che non deve necessariamente cambiare quando cambi tu stesso ancora e ancora; quando li vedi, ama la vita in una forma che non è tua e sii indulgente verso chi sta crescendo vecchi, che temono la solitudine di cui ti fidi e non ti aspetti alcuna comprensione; ma credi in un amore che ti viene conservato come un'eredità, e abbiate fede che in questo amore c'è una forza e una benedizione così grande da poter viaggiare fino a dove vuoi senza doverne uscire. ~Rainer Maria Rilke
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(Arte: Dipinto di Andrew Wyeth)
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