#la città fantasma
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I Miei Libri del 2024
Il libro è una cosa: lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, ma se lo apri e leggi diventa un mondo - Leonardo Sciascia
Giulio Giudorizzi - i Miti Delle Stelle
Jamie Ford - Sulla Via Dell'Incenso
Jonas Jonasson - Tre Amici Quasi Geniali Verso La Fine Del Mondo
Oscar Wilde - Il Fantasma Di Canterville e Altri Racconti
Julian Barnes - Elizabeth Finch
Luciano Canfora - Convertire Casaubon
Will Ferguson - Felicità©
William Dalrymple / Anna Anand - Koh-I-Nur
Hervé Clerc - A Dio Per La Parete Nord
Stefano Mancuso - Fitopolis, La Città Vivente
Sam Kean - La Brigata Dei Bastardi
Henry James - La Cifra Del Tappeto
Giorgo De Santillana / Hertha Von Dechend - Il Mulino Di Amleto
Rebecca Struthers - Memorie Di Un'Orologiaia
Alexander Lernet-Holenia - Due Sicilie
Daniel Mason - La Foresta Del Nord
Peskè Marty - Qui Il Sentiero Si Perde
Alexandre Dumas Figlio - La Signora Delle Camelie
Lauretta Colonnelli - La Vita Segreta Dei Colori
Fred Vargas - Sulla Pietra
Giorgio Pestelli - Il Genio Di Beethoven
Richard Osman - L'Uomo Che Morì Due Volte
Adam Thirlwell - Il Futuro Futuro
Stefano Bizzotto - Storia Del Mondo In 12 Partite Di Calcio
Edwin A. Abbott - Flatlandia
Shirley Jackson - L'Incubo Di Hill House
Ferdia Lennon - Eroi Senza Gloria
William Gaddis - Le Perizie
Michael Young - L'Avvento Della Meritocrazia
Eric Fouassier - Le Notti Della Morte Blu
Laurent Binet - Prospettive
A.K. Blakemore - L'Insaziabile
Tommaso Giartosio - Autobiogrammatica
Alessandro Baricco - Castelli Di Rabbia
Rosa Montero - Il Pericolo Di Essere Sana Di Mente
Beatrice Del Bo - Arsenico e Altri Veleni
Jenny Erpenbeck - Kairos
Il totale è 37 come nel 2023, le pagine sono aumentate, e per il secondo anno consecutivo supero il mio obiettivo personale delle 10 mila, sono arrivato a 11 750. Ho letto anche più di un classico per trimestre, tra cui anche dei saggi, e l'anno prossimo l'obiettivo è leggere un libro di un autore dell'età classica a trimestre.
Sulla qualità dei titoli, ammetto che dopo anni di ricerca e di perfezionamento delle fonti ne sbaglio pochissimi: alcuni rimarranno nel tempo, come L'Insaziabile, l'ultimo di Erpeneck (vincitrice dell'International Booker Price del 2024, un libro drammaticamente potentissimo), Lennon, Marty, Thirlwell. Libri del tutto particolari, tra l'autobiografia, il racconto e il saggio sono quello di Montero e Giartosio. Se devo notare una differenza, ho letto meno autori e autrici italiane, e una cosa che dovrei iniziare a fare è rileggere dei volumi di qualche anno fa, tipo una decina, e scoprire l'effetto che fa.
Chiunque voglia, può rebloggare, commentare e aggiungere i suoi libri o quelli che gli sono piaciuti di più, per diffondere autori, case editrici, idee.
Il libro è una delle possibilità di felicità che abbiamo noi uomini - Jorge Luis Borges
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La storia della Musica!!!!
Tre giorni di pace e musica. Tre giorni che hanno fatto la storia. Si celebra oggi il 51esimo anniversario del più grande evento di libertà, umanità e lotta pacifica: il Festival di Woodstock. Più che un concerto un pellegrinaggio, una fiera di arte e musica, una comunità, un modo di vivere che ha cambiato per sempre il concetto di libertà. Sul palco, a Bethel (una piccola città rurale nello stato di New York) si sono alternati per tre giornate alcuni tra i più grandi musicisti della storia. Musicisti che provenivano da influenze, scuole musicali e storie differenti ma che avevano in comune ciò che più contava in quei favolosi anni ’60: la controcultura.
Si passava dal rock psichedelico di Jimi Hendrix (che, pur di essere l’ultimo a esibirsi, salì sul palco alle 9 di lunedì mattina per un concerto di due ore, culminato nella provocatoria versione distorta dell’inno nazionale statunitense) e dei Grateful Dead ai suoni latini dei Santana (che regalarono un memorabile set, impreziosito dallo storico assolo di batteria del più giovane musicista in scena: Michael Shrieve) passando per il rock britannico di Joe Cocker (che regalò in scaletta le splendide cover di Just Like a Woman di Dylan e With a Little Help from my Friends dei Beatles) e degli Who all’apice della loro carriera (celebre l’invasione di palco dell’attivista Habbie Hoffman, durante il loro concerto, quasi quanto il lungo assolo di Pete Townshend durante My Generation, con lancio di chitarra finale).
C’era poi il folk, con una splendida Joan Baez su tutti, che suonò nonostante fosse al sesto mese di gravidanza, genere tipicamente statunitense che si alternava a suoni più esotici e orientali, come il sitar di Ravi Shankar. Impossibile dimenticare infine l’intensa performance della regina del soul Janis Joplin, la doppia esibizione (acustica ed elettrica) di Crosby, Stills, Nash e del “fantasma” di Neil Young, che rifiutò di farsi riprendere dalle telecamere e il divertente show dei Creedence Clearwater Revival.
1969, il ‘Moon day’ in musica..
Concerti che rimarranno nella memoria di chiunque ami la musica come simbolo di cambiamento, pace e libertà. D’impatto i presenti come pesanti furono le assenze di John Lennon, che si rifiutò di esibirsi per il mancato invito di Yoko Ono, Bob Dylan, padrone di casa (lui che all’epoca viveva proprio a Woodstock) assente per la malattia del figlio, i Rolling Stones, ancora scossi per la morte di Brian Jones e i Doors, alle prese con una serie infinita di problemi legali.
Il vero protagonista dell’evento fu però il pubblico, la “vera star” secondo l’organizzatore Michael Lang, eterogeneo quasi quanto i generi musicali. Da tutta America arrivarono studenti liceali e universitari, hippie, veterani del Vietnam, filosofi, operai e impiegati. Nessuna differenziazione di razza, etnia o colore della pelle: tutti uniti dalla voglia di stare insieme in libertà con il fango a livellare ogni diversità e i capelli lunghi come simbolo di ribellione. Un sogno che oggi sembra lontano anni luce, nelle ideologie come nell'organizzazione.
Da quel 1969 si è provato a più riprese a riproporre Woodstock, con scarsi risultati culminati nell'annullamento del concerto in programma per questo cinquantesimo anniversario, organizzato proprio da Lang e non andato in porto tra una defezione e l��altra, forse perché indigesto ai grandi organizzatori di eventi musicali mondiali. Forse, a conti fatti, meglio così: quell'atmosfera irripetibile era frutto di una spontaneità organizzativa di altri tempi, una magia fuori da ogni schema il cui risultato sensazionale, iconico e significativo fu chiaro solo anni dopo anche agli stessi partecipanti.
Vanni Paleari
PhWoodstock, 1969
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“yellow and shadow” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Quella mattina, il sole si stagliava nel cielo senza nuvole come un faro implacabile, illuminando ogni angolo della città con la sua luce accecante. Era una di quelle giornate in cui l'aria stessa sembrava pulsare di calore, avvolgendo la città in una morsa soffocante.
Tra le vie trafficate e i marciapiedi gremiti, c'era un ragazzo che avanzava con passo misurato. Indossava una felpa grigio chiaro e un piumino giallo che brillava al sole come un faro di luce in mezzo al caos della città. Il suo nome era Carlo, e in quel momento, il suo unico obiettivo era sfuggire al calore implacabile.
Costeggiando una parete del colore del suo piumino, Carlo avanzava senza uno scopo preciso, lasciando che i suoi pensieri vagassero liberamente come nuvole alla deriva. Non c'era fretta nei suoi passi, solo una calma apparente che celava un tumulto interiore.
Ad un certo punto, si fermò di fronte a un vecchio bar, le finestre appannate dalla condensa e la vernice sbiadita dal tempo. Mentre contemplava il panorama desolato, sentì qualcuno chiamare il suo nome. Si voltò e vide un vecchio amico, un fantasma del passato che tornava a tormentarlo con ricordi sepolti.
Senza scambiare una parola, i due si guardarono negli occhi per un istante, il peso del tempo e delle scelte sbagliate pesando sulle loro spalle. Poi, con un cenno impercettibile del capo, si separarono, ognuno tornando al proprio cammino solitario.
Carlo riprese il suo vagabondare tra le strade affollate, lasciandosi alle spalle il passato e abbracciando l'incertezza del futuro. In quel momento, non c'era spazio per rimpianti o rimorsi, solo la consapevolezza fugace di essere vivo e di camminare lungo il confine sottile tra il giallo e l'ombra.
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🎅🏻YULE GOAT🎅🏻 – Quando Babbo Natale aveva corna e zoccoli…🐏
Da sempre Natale evoca gioia e buoni sentimenti, incarnati nel volto bonario di Babbo Natale, ma vi sorprenderà sapere che non è stato sempre così.
Prima della Coca Cola, prima ancora di San Nicola, divenuto poi Santa Claus, a Korvatunturi, una regione nel nord della Finlandia, caratterizzata da fitte foreste di pini, montagne e laghi ghiacciati, c’era Joulupukki…
Joulupukki, conosciuto più comunemente come Yule Goat, non è altro che il tradizionale caprone dalle enormi corna ritorte della mitologia scandinava. Per la cultura nordica, quindi, Babbo Natale è in realtà un caprone, o meglio ancora, un uomo-capra.
Nell’iconografia cristiana il capro viene spesso identificato come figura satanica. C’è da dire che, anche nella tradizione nordica, conserva parte delle sue caratteristiche “maligne”. Le origini del mito sono molto più antiche di quello che si crede.
Si pensa che la figura dello Joulupukki discenda dai caproni che trascinavano il carro di Thor; ogni sera il dio norreno li uccideva col suo martello per poi cibarsene, e la mattina successiva li riportava in vita. Lo Joulupukki, in antichità, è quindi considerato uno strumento in grado di regalare gioie terrene.
Da qualche parte nel mito, forse grazie a contaminazioni culturali, avvenne poi il salto evolutivo. I caproni sacrificati dal dio Thor assunsero sembianze antropomorfe: un vecchio barbuto con corna di capro, spesso raffigurato come un gigante che usa un albero come bastone, alle cui corna sono appesi esseri umani.
Nella tradizione lo Joulupukki vaga di notte, bussando alle porte delle case in cui ci sono bambini, dispensando doni per coloro che si sono comportati bene e frustando a sangue e portando via dentro un sacco i bambini disubbidienti.
Con il passare del tempo, Yule Goat ha perso le corna, ha lasciato dietro di sé il suo passato oscuro, prediligendo la forma umana, quella del vecchio barbuto vestito di rosso.
Nelle raffigurazioni più antiche la capra natalizia è però sopravvissuta, tornando a essere un mezzo di trasporto. O relegata nella spaventosa figura del Krampus, bestia dalle lunghe corna, pelosa e simile a una capra.
Si ringrazia "I Misteri Delle Città Fantasma..." su Facebook.
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Attesa
C'è una bellezza disarmante nei tuoi occhi Ed in tutti i loro piccoli dettagli Ogni lacrima, ogni luccichio Mi fa innamorare follemente di te Ancora più di prima. I sentimenti vivono da così tanto in me Che a volte mi domando con un filo di voce Quanto di tutto questo potrò tenere ancora nascosto nel mio cuore, Quanto della tua anima potrò forse un giorno Stringere tra le mie braccia vuote. Eppure non oso avvicinarmi Ti amo e non ti dico niente, Ti amo e mi tradisce solo lo sguardo, Ma tu non sai, tu non mi vedrai mai Poiché non sono io colei che vive nei tuoi occhi. Allora disperata cerco invano il coraggio, La notte resto sveglia straziandomi la pelle, tormentandomi il cuore Ti scrivo poesie con inchiostro sbiadito Confessandoti segreti che mai ti potranno raggiungere.
Ma nel buio soffocante non si sente altro che la mia attesa Le parole non dette mi deridono guardandomi dalle pagine, Mi chiedono aspre cosa io stia aspettando Tra i singhiozzi rispondo piano che sei tu, Tu che sarai sempre il miracolo mai arrivato. La realtà mi colpisce violenta, D'improvviso sono le parole a smettere di essere Nella desolazione strappo e brucio le mie insulse poesie d'amore, Le fiamme mangiano viva la mia codardia E di me non vi è più traccia. Ma ora è giorno, Vago lenta per la città affollata, tutti guardano ma nessuno mi vede, Sono il fantasma della persona che ero In silenzio urlo il tuo nome sperando che finalmente mi ascolti Mentre tu giaci con lei e le baci il collo, mentre tu le accarezzi il volto, Mentre tu ami chi ha saputo dirtelo ad alta voce.
#poesia originale#my poetry#poem#poetry#original poem#poems on tumblr#poesie#pensieri#scrittura#poesie su tumblr
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“Cos’era successo in questi dieci anni perché tutt’a un tratto ci fossero tante cose da dire, tante cose e così urgenti che non si poteva aspettare a dirle? Ovunque andassi, qualcuno mi veniva incontro parlando al telefono e qualcuno mi seguiva parlando al telefono. Quando presi un taxi, l’autista era al telefono. Per uno che spesso passava molti giorni di seguito senza parlare con qualcuno, fui costretto a domandarmi cos’era crollato nella gente, di ciò che prima le teneva insieme, per rendere l’incessante chiacchiericcio telefonico preferibile a una passeggiata sotto la sorveglianza di nessuno, a un momento di solitudine che permetteva di assimilare le strade attraverso i propri sensi corporei e di pensare la miriade di pensieri che ispirano le attività di una città. Per me, faceva sembrare comiche le strade e ridicole le persone. Eppure sembrava anche un’autentica tragedia. Sradicare l’esperienza della separazione doveva avere inevitabilmente un effetto drammatico. Quali saranno le conseguenze? Tu sai che puoi raggiungere l’altra persona in ogni momento, e se non puoi diventi impaziente, impaziente e irritato come un piccolo, stupido dio. Sapevo bene che il silenzio di fondo era stato abolito da un pezzo nei ristoranti, negli ascensori e nei campi da baseball, ma che l’immensa solitudine degli esseri umani dovesse produrre questo sconfinato desiderio di essere ascoltati, unito al disinteresse per chi ascolta le tue conversazioni…”
-Philip Roth, “Il fantasma esce di scena”
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Un bel giorno - il più bel giorno dell’anno, la vigilia di Natale - il vecchio Scrooge se ne stava seduto come sempre occupatissimo nel suo ufficio contabile. Era una giornata gelida, tetra, di un freddo pungente, per di più nebbiosa, e si sentiva la gente andare su e giù per le strade battendosi le mani sul petto e pestando i piedi sul selciato per tentare di scaldarsi. Gli orologi della città avevano da poco suonato le tre, ma faceva già buio: per tutto il giorno c'era stata poca luce e le candele brillavano alle finestre degli uffici vicini come macchie rossastre sopra la densa aria scura. La nebbia si infilava in ogni fessura e buco di serratura, ed era così fitta che benché quel vicolo fosse uno dei più angusti, le case di fronte si distinguevano appena come fantasmi. A vedere la sudicia nube che era calata sulla città oscurando ogni cosa, si sarebbe detto che la Natura avesse preso casa lì vicino e si fosse messa a fermentare birra su larga scala.
Canto di Natale - Il fantasma di Marley
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Craco, Matera
Craco è una meta imperdibile per chi vuole scoprire un angolo di Italia ancora poco conosciuto e ricco di fascino. Un luogo dove storia, natura e mistero si fondono in un'esperienza unica.
Craco, un gioiello nascosto della Basilicata, è una città che incanta e affascina per la sua storia e per il suo fascino un po' spettrale. Conosciuta in tutto il mondo come una delle più suggestive città fantasma d'Italia, offre uno spettacolo unico: case abbandonate, stradine deserte e un'atmosfera che sembra uscita da un film.
Perché Craco è diventata una città fantasma?
Le cause principali dell'abbandono di Craco sono state i frequenti smottamenti e le frane che hanno reso il centro storico pericolante. A partire dagli anni '60, gli abitanti furono costretti a trasferirsi in un nuovo centro abitato, più a valle. Questo esodo ha lasciato un vuoto enorme, trasformando Craco in una sorta di città museo, sospesa nel tempo.
Cosa rende Craco così speciale?
La posizione: Arroccata su una collina, offre un panorama mozzafiato sui calanchi circostanti. L'architettura: Le case, i palazzi, le chiese e la torre normanna raccontano una storia millenaria e testimoniano l'ingegno degli antichi costruttori. L'atmosfera: L'atmosfera che si respira a Craco è unica: un mix di malinconia, mistero e bellezza che lascia un segno indelebile nel cuore di chi la visita. Il cinema: Craco è stata spesso scelta come set cinematografico, contribuendo a farla conoscere in tutto il mondo.
Cosa vedere a Craco?
Il centro storico: Un labirinto di vicoli, piazze e case abbandonate, dove il tempo sembra essersi fermato. La torre normanna: Un'imponente costruzione che domina il paesaggio circostante. Il Museo Emozionale di Craco: Ospitato nel Convento di San Pietro, offre un'esperienza immersiva nella storia della città. I calanchi: Le caratteristiche formazioni geologiche che circondano Craco offrono un paesaggio unico e suggestivo.
Perché visitare Craco?
Per un viaggio nel tempo: Craco è un luogo fuori dal tempo, dove è possibile rivivere atmosfere e sensazioni del passato. Per gli amanti della fotografia: Le rovine di Craco offrono innumerevoli spunti per scatti indimenticabili. Per chi cerca un'esperienza autentica: Lontana dai circuiti turistici più battuti, Craco offre un'esperienza di viaggio più autentica e coinvolgente.
Curiosità:
Craco è stata inserita nella lista dei monumenti da salvaguardare della World Monuments Fund. La città è stata utilizzata come set per numerosi film, tra cui "Cristo si è fermato ad Eboli". Ogni anno, a Craco si tiene una manifestazione dedicata alla rievocazione della vita contadina.
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Berlino: reprise
Tornare è stato ancora uno strappo, ma mi è piaciuto comunque. Non è come prima, ma è ancora giusto, in un modo che mi fa quasi tenerezza: come il fruttivendolo turco di Wedding dove una volta ho comprato le castagne che mi vede passare e mi saluta stupito, come l’impressione di esistere ed essere in un posto che forse non capisco fino in fondo, ma col quale vibro ad una frequenza comune. Mi fa tenerezza non usare il navigatore nonostante la mia scarsa memoria e le mie pessime abilità di orientamento. Mi fa tenerezza pure lanciarmi fuori dal vagone della metro all’ultimo momento, perché ero soprappensiero - queste cose non mi succedono in Italia, dove sono spesso fin troppo consapevole di me e di ciò che mi circonda. Poi forse la realizzazione più grande, in questo marasma di riflessioni ed impressioni principalmente zuccherose, è legata al fatto che in questa città ho fatto la turista da una posizione privilegiata, ossia quella di qualcuno che ha comunque uno scopo, che partecipa seppure in una misura strana alla vita economica e sociale della collettività. Domani alle 10:30 ho il mio primo appuntamento per la firma di un contratto. Arrivo qui che non so spiccicare una parola della lingua locale, ma non c’è niente di disperato in me mentre mi aggiro per le strade, acquisto nei negozi, mangio tutta sola nei ristoranti. A torto o a ragione, sento di avere uno spazietto mio qui, una mia ragion d’essere - mia come di questa nuova e coerente versione di me, col cappotto lunghissimo di cashmere verde ed i capelli rosso fuoco, lo sguardo gentile e sicuro. Non posso dire di essermi sentita spesso così legittimata ad essere, altrove.
Gli ultimi due giorni, a dirla tutta, hanno avuto un che di cinematografico, con l’aereo quasi perso a Roma, il girovagare in aeroporto, una volta arrivata, il nuovo ingresso in questa casa ancora un po’ meno mia ma sempre senza segreti. Le foto di Valerio recuperate la sera prima della partenza, a casa degli zii alla Garbatella, e appese alle pareti della mia nuova stanzetta qui a Rigaer Strasse. Tutto il mio caos, il ritorno in ufficio ed istantaneamente in azione, e poi i passanti: chissà cosa vedono, chissà se per loro ha senso quanto ne ha quello che vedo io, per me. Ha tutto senso, se non fosse che Valerio è ancora un fantasma, sono ancora convinta che tutto questo finirà e ci sentiremo ancora, magari ci abbracceremo nel suo lettino reclinabile. Ovviamente no: non è questo un sogno, lui è morto davvero, adesso sono nella nuova normalità. Vorrei dire che mi manca, ma non so nemmeno più bene cosa dovrebbe significare. Berlino, comunque, riesce ancora ad incantarmi benissimo.
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LA CHIMERA_ALICE RORHWACHER
“C’è chi l’amore lo fa per noia e c’è chi se lo sceglie per professione, Bocca di rosa né l’uno né l’altro, lei lo faceva per passione…” Nulla di meglio di questo celeberrimo verso di Fabrizio De André per definire la figura di Arthur, tombarolo rabdomantico per passione, magnifico protagonista di un film incantevole, quale è “La Chimera” di Alice Rorhwacher. Arthur soprannominato l’inglese dai “tombaroli” (quelli veri) della Tuscia, ha il potere, quasi magico, di “sentire” la presenza di tombe nel sottosuolo, forse perché guidato anche dal desiderio di raggiungere quel regno dei morti dove vive l’anima (e magari il corpo) di Beniamina, suo perduto amore. L’inglese ha la sua base nella casa-rudere di una anziana e carismatica insegnante di canto, Flora (interpretata da Isabella Rossellini) alle cui dipendenze, un po’ come domestica e un po’ come allieva, c’è Italia (Carol Duarte) che sembra essere l’unica persona capace di tenere il sognante Arthur ancorato a questa terra. Ma se i “tombaroli” hanno come unico scopo il lucro, Arthur sembra essere partecipe più del mondo dei morti che di quello dei vivi e al momento di vendere la testa di una statua ad una cinica trafficante di reperti, preferisce buttare il prezioso pezzo nelle acque di un lago, proprio per sottrarlo alla cupidigia dei trafficanti. Ma la scoperta più importante di tutte, non sarà quella di un corredo funebre, di una pittura murale o di un gruppo statuario, bensì quella che gli permetterà di ritrovare il filo che lo ricondurrà all’amata Beniamina che sembra attenderlo nel regno dei morti. Il cinema di Alice Rorwacher è principalmente un cinema dalle immagini “volutamente sporche”, poco curate, giocate addirittura su tre supporti diversi di pellicola (16 millimetri, super 16 mm e 35 mm). Sono proprio queste immagini che ambientano alla perfezione il film negli anni Ottanta con grande realismo, senza ricorrere ai trucchetti da quattro soldi, come è accaduto di vedere di recente col finto neorealismo della Cortellesi. La differenza è tutta nel fatto che Alice Rorhwacher sa fare il cinema e sa “di cinema”: c’è in lei la forte traccia poetica di Pasolini e infatti Arthur è un “accattone” che vive in una baracca di lamiera e legno, appoggiata alle mura antiche di una città italiana (presumibilmente Tarquinia) che è parte di quella “grande bellezza” sorrentiniana, trattata però con un quid di realismo che la rende ancora più credibile. Ma si sentono anche gli echi di certi personaggi felliniani: è sufficiente per questo osservare le sequenze della sfilata carnascialesca che attraversa il paese o la stessa insegnante-matrona Flora. E poi, soprattutto, tenetevi forte, un altro “fantasma”, oltre a quello di Beniamina, aleggia in tutto il film: è lo spirito sapiente del Maestro Andrej Tarkovskij. La campagna dell’Italia centrale, la cultura antica del Paese, le sue vestigia e Arthur stesso, che è un “matto” come lo fu Domenico, e allo stesso tempo incarna il ricercatore-romantico che in “Nostalghia��� era il critico musicale Pavel Sasnowskj. Come Arthur nelle tombe etrusche, anche lui con una candela in mano attraversa la piscina di Bagno Vignoni in una della più poetiche scene della storia del cinema. Bravissima Alice! Di questo cinema dal respiro universale e profondo ha bisogno l’Italia e se lo merita ! Da non perdere, nessun alibi è accettabile.
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[✎ TESTO ♫ ITA] RPWP - RM⠸ ❛Around the World in a Day❜⠸ 24.05.2024
[✎ TESTO ♫ ITA] by RM
✈ ❛ Around the World in a Day ❜ 🌍
~ Il giro del mondo in un giorno~
__ 24. 05. 24 | Twitter __
SCRITTA & PRODOTTA da: RM, gimjonny, Jclef, JNKYRD, Moses Sumney, No Identity, San Yawn, 은희영, 김아일
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Mi guardo intorno Dico loro che amo tutte le tue/vostre falsità Solo il tempo potrà sistemare le cose (Se è giusto o sbagliato, te/ve lo dirò poi, oh, e adesso qual è il problema?) Solo il tempo potrà sistemare le cose (È giusto, è sbagliato, lascia che te/ve lo dica ormai l'ho superata) Mi guardo intorno Dico loro che amo tutte le tue/vostre falsità Solo il tempo potrà sistemare le cose (È giusto, è sbagliato, puoi dirmelo? È giusto, è sbagliato, puoi dirmi che è vero?) Solo il tempo potrà sistemare le cose Ti dico che è vero
Pəm pəm pəm-pəm
Che abbia inizio la parata
Se è come immaginato
Potrà dircelo solo il tempo
Pəm pəm pəm-pəm
Trascorriamo la notte
Se è come l'avevano immaginato
Potrà dircelo solo il tempo
Mmh mmh mh-mh
Mettiamo fine a questa farsa
Se è come immaginato
Potrà dircelo solo il tempo
Oh oh oh-oh
Ciò che è sbagliato è giusto
Ma è come ce l'eravamo immaginato
E ora marciamo
Vedo amore per tutta la città
Vedo amore tutto intorno, girando e rigirando
Vedo amore in qualsiasi momento
Vedo amore ovunque io vada
Mi guardo attorno, giro qui e là, questa è la mia vita
Sfigati al colmo, tra la folla, che mi leccano il culo
E, sì, questa è proprio una lettera per te/voi
Farò finta [di non conoscervi], proprio così, tipo 'E tu saresti?'
Qui e là, nel locale ballando come, 'Al diavolo [tutto il resto]!'
Però, a volte, ne sento la mancanza.. delle nostre chiacchierate
Tu mi hai cercato spesso, io non l'ho fatto mai
Riesco a mala pena a dormire, il tuo fantasma/ricordo [in agguato] nell'armadio
Se vuoi il mio male e delle lacrime
Prendi, ecco il malloppo, è un loop, merda!
E allora riavvolgo, lo faccio ogni volta, io
Continuerò a correre finché tutto l'odio e l'amore smetteranno di contare
Non mi importa, voglio soltanto ballare meglio
Sono stufo marcio di tutti voi, trendsetter virtuali
So di non esser figo, ma non mi fermo mai, fino al cazzo d'esaurimento
Non c'è nulla di garbato nel mio stato d'animo
Rutterò a piena voce
Preferirei tutto andasse in fumo
Al settimo cielo o con i piedi a terra con te/voi, lasciamoci andare
Se dovessi riaddormentarmi, colpitemi
Non mi sento poi così bene, ho solo delusioni
Il panorama è più bello quando ci si perde
Sono solo un oggetto smarrito che spera d'esser ritrovato
Una volta persi, non sembriamo più così patetici
E solo allora mostriamo un sorriso ed alziamo il dito medio
Già, tutto il passato ed il presente
No grazie, li lascio a te/voi
Non lavoro in modo convenzionale ed è così che mi piace, dannazione
Questa è roba da paura, cazzo
Mi guardo intorno
Dico loro che amo tutte le tue/vostre falsità
Solo il tempo potrà sistemare le cose
(Se è giusto o sbagliato, te/ve lo dirò poi,
oh, e adesso qual è il problema?)
Solo il tempo potrà sistemare le cose
(È giusto, è sbagliato, lascia che te/ve lo dica
ormai l'ho superata)
Mi guardo intorno
Dico loro che amo tutte le tue/vostre falsità
Solo il tempo potrà sistemare le cose
(È giusto, è sbagliato, puoi dirmelo?
È giusto, è sbagliato, puoi dirmi che è vero?)
Solo il tempo potrà sistemare le cose
Ti dico che è vero
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS | eng: © BTS_Trans⠸
#Seoul_ItalyBTS#TradITA#ITA#Testo#BTS#RM#김남준#KimNamjoon#Namjoon#RightPlaceWrongPerson#AroundTheWorldInADay#Traduzione#240524#MosesSumney#Youtube
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Ma lei mi manca. So bene che è lei a mancarmi, non lo stupido fantasma di un desiderio irreale.
Mi accompagna ovunque con la sua assenza...
Devo ragionarci sopra per rendermi conto che, quando tra poco mi sveglierò, aprirò gli occhi su un'altra stanza, situata in una città diversa e lei non ci sarà. Ma il giorno non viene. Finché l'oscurità mi accoglie (e così sarà per sempre), lei è, nei miei pensieri, nel cuore di questo pensiero che porto in me, nel cuore tenero e dolente di questo pensiero che in verità non è il mio, ma il suo, un pensiero nel quale lei mi prende con sé, mi protegge, mi ama come io la amo, nel nulla assopito della notte.
Philippe Forest, da "Per tutta la notte"
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Un volume dalla mole importante ma che si lascia divorare. La penna di Dicker disegna in modo geniale personaggi, luoghi e dinamiche, scava a fondo nei cuori e nella terra della piccola città di Aurora, rendendola allo stesso tempo inferno e paradiso.
L’origine del male e dell’amore è battuto a macchina, nero su bianco, e il dolore macchia la cornice delle pagine perseguitando come un fantasma le vite narrate.
Il caso Harry Quebert è un libro nel libro, un manuale per scrittori, un libro d’amore e un thriller capace di rivelarsi in modo brillante solamente alla fine, mantenendo viva, fino all’ultima pagina, la curiosità nel lettore.
Un libro che, se solo si potesse, si leggerebbe tutto d’un fiato in un sol giorno.
☆☆☆☆☆
#lettureconsigliate#lettura#citazioni#leggere#book blog#bookblr#joel dicker#la verità sul caso Harry Quebert
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Fotografie Come eravamo A chi ha vissuto l'adolescenza negli anni 70/80 Noi che..... i pattini avevano quattro ruote e si allungavano quando il piede cresceva. Noi che mettevamo le carte da gioco con le mollette ai raggi della bicicletta. Noi che chi lasciava la scia più lunga nella frenata con la bici era il più forte. Noi che passavamo ore a cercare i buchi nella camera d'aria mettendola in una bacinella. Noi che ci sentivamo ingegneri quando riparavamo quei buchi con il "tip-top". Noi che il Ciao si accendeva pedalando. Noi che suonavamo il campanello per chiedere se l'amico era in casa. Noi che facevamo a chi masticava più "Big Babol" contemporaneamente. Noi che avevamo adottato cani e gatti randagi, che non ci hanno mai attaccato nessuna malattia mortale, anche se dopo averli accarezzati ci mettevamo le dita in bocca. Noi che quando starnutivi nessuno chiamava l'ambulanza. Noi che i termometri li rompevamo e le palline di mercurio giravano per tutta la casa. Noi che dopo la prima partita c'era la rivincita e poi la bella...e poi la bella della bella. Noi che se passavamo la palla al portiere coi piedi e lui la prendeva con le mani non era fallo. Noi che giocavamo a "Fiori, Frutta e Città" (e la città con la D era sempre Domodossola). Noi che avevamo il "nascondiglio segreto" con il "passaggio segreto". Noi che le cassette se le mangiava il mangianastri e ci toccava riavvolgere il nastro con la penna. Noi che in TV guardavamo solo i cartoni animati. Noi che avevamo i cartoni animati belli!! Noi che litigavamo su chi fosse il più forte tra Goldrake e Mazinga (Goldrake, ovvio). Noi che guardavamo anche "La Casa Nella Prateria" anche se metteva tristezza. Noi che abbiamo raccontato 1.500 volte la barzelletta del fantasma Formaggino. Noi che ci emozionavamo per un bacio su una guancia. Noi che non avevamo il cellulare per andare a parlare sul terrazzo. Noi che i messaggini li scrivevamo su dei pezzetti di carta da passare al compagno. Noi che non avevamo nemmeno il telefono fisso in casa Noi che andavamo in cabina a telefonare. -dal web Noi che.. siamo stati tutte queste cose e altro ancora.. se volete potete continuare voi!!! Maria Siniscalchi -nella foto una giovanissima Carole André ( futura "Perla di Labuan" nello sceneggiato "Sandokan")
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Tutto partito casualmente. Stavo su Twitter (non mi abituerò mai a chiamarlo "X"), e vedo che tra le tendenze c'era, come al solito, qualcosa inerente a Fedez e Chiara, la questione sul perché i figli non passassero il compleanno del nonno (?) insieme perché erano da un altra parte con Chiara, penso sia giusto nel caso sti cazzi, frega poco del gossip quindi non so se sia tutto giusto, sta di fatto che ero nel mio day free dal lavoro, finito palestra, e mi stavo fumando un joint quindi nella nullafacenza dei miei neuroni ho deciso di curiosare sul profilo di Chiara su IG, scrivo "Ch" e come primo nome mi appare il profilo di lei, quella ragazza con cui due anni fa ormai, due anni esatti ora che ci rifletto bene, è finito tutto da un giorno all'altro, letteralmente.
Omonima, motivo per cui mi è uscito cercando la Ferragni, ma il fatto è che lei da appunto due anni era diventata un fantasma, bloccandomi da ogni parte, da ogni social, app, numero di telefono, dovunque.
Ovviamente ho subito cliccato sul profilo, incuriosito come fosse cambiata, chi fosse diventata nel mentre, se aveva gli stessi progetti di due anni fa o se addirittura li avesse già, come dire, realizzati, in un certo qual senso.
Scorri le foto, non sono tante, saranno si e no 9-10 post e quando ci frequentavamo ne aveva 4-5; a riguardare quelli vecchi che già conoscevo come dire la mia mente, il mio cuore, idk, è ritornata a quel momento, a quel periodo, a quanto fossi "felice", prima ancora che accadesse poi tutta la merda obv.
Mezzo sorriso accennato nel riguardare quei post, poi vado in quelli nuovi (per me); noto che è andata in Grecia, con un gruppo di amiche, non ne conoscevo una, al tempo aveva un altra compagnia, ma non vedo nessun viso familiare; la vedo divertita, felice, spensierata, in vacanza insomma.
Poi altri due post con dei disegni, a lei piace disegnare, ancora tutt'oggi a quanto pare, foto di uno shooting, altra passione sua che voleva farlo diventare il suo lavoro, quindi nel caso ci stesse riuscendo son pure contento per lei, e poi l'ultimo post.
Pubblicato circa un mese fa, dove è con il suo ragazzo, dove si capisce la raccolta di foto all'interno dello stesso post che fossero fatte durante un lungo periodo, di conseguenza una relazione che è iniziata da un po', minimo un anno penso; vedo lui e dico tra me e me, boh, ma nel modo più sincero possibile, senza attacchi di gelosia o ego, penso che onestamente non mi abbia dato nessun tipo di fastidio, il che visto come sono, conoscendomi l'ho ritenuto alquanto strano, ero leggermente dispiaciuto, forse perché pensavo che potevamo essere noi due quelli nelle foto che ha con lui.
Esco dai post, cercando di fare attenzione a non fare partire un like senza volerlo, ma prima di uscire e chiudere come dire "per sempre" quel capitolo, di guardare le stories in evidenza, perché aveva una sola cartella due anni fa, ora ne ha sette, la curiosità mi dice che guardare, per vedere se ci fossero altre foto con lui o con le amiche che io conoscevo, prima cartella sono solo disegni quindi skippo instant, poi partono quelle più recenti, dove c'erano viaggi, per varie città o borghi d'Italia, qualche foto con lui, il suo cane, qualche momento di down, classiche foto insomma che si possono trovare bene o make in ogni profilo; poi arriva una foto che dico aspetta, ma questa me la ricordo, quella dopo anche, e guardando la data vedo che erano di 4 mesi prima che noi ci conoscessimo, che me le ero guardate cosi tante volte al tempo che mi son tornate subito in mente, scorro, fino a metà gennaio dove ricordo avesse pubblicato una storia inerente a noi, ma senza la foto fisica nostra, una cosa riguardante euphoria, ma li vedo che dal 13 gennaio fino al 10 aprile c'è un "buco temporale", un vuoto, nessuna storia, e non dico solo tra noi ma anche delle foto, dei viaggi, di tutto auel periodo a prescindere da me, tutto eliminato, continuo a scorrere e vedo le amiche che ora a quanto pare non ci sono più, quelle che conoscevo, e penso tra me e me cazzo, nonostante sia finita tra loro ha tenuto ogni singola foto, e so che rapporto del cazzo c'era tra loro perché giá al tempo lei veniva da me in lacrime per cio che succedeva tra lei e le sue "amiche"; ma con me zero proprio, tre mesi dove tutto è stato nascosto o cancellato. Non credo alla zuppa riscaldata, quindi non è che stavo o sto qui speranzoso in una seconda occasione, non la voglio nemmeno, anzi ora ho qualcun'altra a cui pensare, ma resta di fatto quella sensazione di vuoto. Nonostante io me li porto dentro nel cuore, perché non credo nel rinnegare ciò che è stato, le cose finiscono, tutte le cose prima o poi finiscono, ma nonostante questo può comunque rimanere un bel ricordo con una persona del passato con cui hai condiviso emozioni, situazioni, e ha fatto parte concretamente della tua vita, anche se per un breve lasso di tempo nella tua vita, io la ragiono così, che siano due settimane, due mesi, due anni; ma vedere almeno dal di fuori, perché poi non sono nella sua testa, che io li do comunque valore, senza alcun tipo di dimostrazione che sia chiaro, solo se ci penso non dico "che merda" ma anzi penso a quanto sono stato bene quel periodo, e vedere poi quello stesso lasso di tempo dall'altra parte, su uno stupido social, che è nulla, non esiste.
Non so se a qualcuno capita quella sensazione che anche se sei andato avanti con la vita, hai chiuso col passato, rimane "quell'amarezza" per come è andata una situazione con una persona specifica, relazione, frequentazione o amicizia che sia, e chiedersi semplicemente, ma perché è finita?
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Restiamo umani
"O la Palestina sarà libera dall'occupazione, o non sarà mai fine alla violenza"
Da un post instagram del 7 ottobre di m.giardi, che potete trovare a questo link. Nel post trovate anche alcune foto.
«Ho scritto questo testo la sera stessa, sulla strada di ritorno da Hebron. Non l'ho mai pubblicato, perché non ritengo che queste parole rendano la violenza a cui ho assistito. Sono disordinate e confuse. Le pubblico oggi, contro tutti gli equidistanti e i sostenitori della "più grande democrazia del Medio Oriente". O la Palestina sarà libera dall'occupazione, o non sarà mai fine alla violenza. Restiamo umani. LA CITTÀ FRONTIERA Hebron è l'occupazione nell'occupazione. Arriviamo in un centro città affollato, venditori di falafel ambulanti (forse il miglior falafel) e mercato della frutta. La strada è talmente affollata che la macchina non riesce a passare, si scorgono a malapena i negozi traboccanti di merce. Il vero centro di Hebron però non è quello. H1, H2. Sigle che segnano confini. Questa volta visibili tangibili. Arriviamo davanti a uno dei check-point che danno accesso al centro città, quello vero, quello colonizzato. Un groviglio di reti, filo spinato, cancelli e tornelli da cui sbucano telecamere di ultimissima generazione. Il passaggio è costante, silenzioso, normalizzato. I bambini giocano a pallone davanti al gate, gridando di aprire il cancello più grande per passare con le proprie biciclette. "Oggi i turisti non entrano" ci viene detto con il fucile puntato. In Palestina ti abitui ad avere un'arma puntata almeno una volta al giorno. La nostra guida, che quella mattina era entrata da quel check point nell'unica via accessibile ai Palestinesi, ci guarda con la faccia sgomenta: "Andiamo di là, questa è una ripicca". La normalizzazione dell'occupazione ci obbliga a fare un giro largo, per entrare dal check-point della moschea "da lì sicuramente ci faranno passare". La strada attraversa "un mercato scatoletta", chiuso da tutti i lati da reti metalliche e cancellate "dai palazzi i coloni tirano pietre e acqua bollente ai Palestinesi. Ci dobbiamo difendere". Il "mercato scatoletta" non è come quello precedente. Pur essendo nella parte storica, più di 1000 attività commerciali sono state costrette a chiudere "la gente non viene più a comprare, per paura". I coloni hanno comprato alcune delle case proprio sopra al mercato, e minacciano costantemente la popolazione palestinese. Arriviamo al check-point. Questa volta possiamo passare. È la prima volta che provo il passaggio al check-point: mi sento un privilegiato, basta il mio passaporto per evitare altre domande scomode. Ci troviamo nel centro città. Un soldato si avvicina con fare minaccioso: per quella via i Palestinesi non possono passare. "Vi aspetto dall'altra parte", ci dice la guida. Ci troviamo in un luogo deserto. "La città fantasma" la chiamano. Bandiere su bandiere. Cartelli evocativi della "grande storia ebraica". Tutto intorno silenzio, vuoto. Un colono si riposa su un dondolo. Le porte dei negozi Palestinesi sbarrati. Questo è il risultato della grande riconquista dei Coloni. Una città svuotata e presidiata. Poche decine di persone piene di odio ci vivono dentro, privando chi ci abitava prima del diritto di base: quello di camminare per strada. Valeva la pena circondarsi di centinaia di soldati, di filo spinato e telecamere, per poi vivere in una distopia? Torniamo nella parte palestinese della città. Per pochi centesimi mi mangio un felafel accompagnato dal sorriso del venditore per il mio arabo stentato. Possono tentare di appropriarsi anche di questo, ma un felafel così buono non lo faranno mai.»
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