#l’ultimo treno da Kiev
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statoprecario · 10 months ago
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Premio Strega 2024 Gianni Maritati propone L'ULTIMO TRENO DA KIEV - Romanzo di Stefania Nardini - Les Flaneurs edizioni
Stefania Nardini L’ULTIMO TRENO DA KIEVLes Flâneurs edizioni L’ultimo treno da Kiev di Stefania Nardini è stato proposto al Premio Strega 2024 dal giornalista del Tg1 Gianni Maritati con la seguente motivazione:«Con uno stile aderente alla crudezza della realtà raccontata, il romanzo ricostruisce in modo doloroso la fuga di tante donne ucraine dalla fame e dalla guerra. Con gli occhi di Irina,…
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pangeanews · 7 years ago
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Su Arkady Babchenko, l’ennesimo giornalista ucciso in Ucraina. Ovviamente, manca la fatidica “svolta nelle indagini”. Il pensiero di Luigi De Biase
La guerra Arkady Babchenko l’aveva vista per la prima volta a diciott’anni, fra le reclute mandate da Eltsin contro i separatisti in Cecenia: faceva parte di quella generazione maledetta passata in poche settimane dai banchi di una scuola pubblica alle caserme sul fronte attraverso le carrozze di un treno notturno Mosca-Rostov. Era il 1995 e da allora la guerra lo ha seguito come un cane in cerca di cibo o di rogna: fra le montagne Caucaso nei primi anni Duemila, nella campagna militare lanciata del nuovo presidente, Putin; e poi in Georgia, dopo il congedo, come corrispondente di Novaya Gazeta; sino alle province del Donbass, lungo il fronte coperto dall’esercito ucraino. Arkady Babchenko lo hanno ucciso a Kiev ieri sera con un colpo di pistola alla schiena sulle scale di casa. Della guerra che gli è costata la vita si conosce poco o niente, almeno per adesso: ci sono soltanto un rapporto preliminare compilato dalla polizia che lega genericamente la causa della morte al suo lavoro, e un ritratto con il viso del possibile assassino. Nessuno si aspetta davvero una svolta nelle indagini, così da ieri notte sono i giornalisti a cercare nella zona le telecamere che potrebbero avere ripreso anche per errore l’ingresso del killer nell’edificio. Babchenko viveva sulla strada Mikilsko-Slobydska nel quartiere Dnipro di Kiev. Si era allontanato dalla Russia un anno fa perché temeva per la propria sicurezza. In una intervista al quotidiano Haaretz aveva confessato di avere subito minacce dopo un messaggio su Facebook nel quale diceva di non provare alcuna pietà per le vittime dell’incidente aereo capitato a Sochi nel 2016. “Ho pensato: vado a Praga, bevo una birra, aspetto. Se apriranno un caso contro di me, resterò qui. Altrimenti, me ne tornerò in Russia”. Il caso non lo hanno mai aperto, nonostante la richiesta formale presentata dai colleghi di lavoro di una vittima. In Russia Babchenko non ha comunque fatto ritorno. […]
Arkady Babchenko era estremamente popolare a Mosca, non solo per i suoi reportage di guerra, ma anche per le posizioni dure nei confronti del Cremlino assunte con le proteste di piazza del 2011, durante il passaggio dal mandato di Medvedev a quello di Putin. Ma il suo nome è soltanto l’ultimo sull’elenco sempre più lungo di giornalisti uccisi negli ultimi anni in Ucraina. Di questo elenco tragico fa parte il fotografo italiano Andrea Rocchelli, che ha perso la vita nel mese di maggio del 2014 a un pugno di chilometri dalla cittadina Slovyansk, nella parte orientale del paese, sotto i colpi dell’esercito ucraino secondo la procura di Pavia, impegnata nel processo contro il presunto assassino, Vitaly Markiv, detenuto a Pavia in attesa di giudizio. E poi Pavel Sheremet, cittadino bielorusso, ucciso nel 2016 dall’esplosione di un ordigno piazzato sotto la sua auto a Kiev. E Oles Buzina, che aveva ricevuto numerose minacce dopo la rivolta europeista per le opinioni ritenute ‘filorusse’, freddato nel 2014 vicino alla sua casa, sempre a Kiev. Per nessuna di queste morti le autorità ucraine hanno trovato un colpevole. Lo stesso si teme oggi per Babchenko. Un passaggio mi è rimasto impresso del libro sulla guerra in Cecenia che ha scritto una volta lasciate le armi, e che Mondadori ha pubblicato in Italia una decina d’anni fa. Con due commilitoni avrebbe dovuto raggiungere la cima di una collina, quando un cane randagio ha cominciato a seguirli. Un cane sporco e smunto che i tre cercavano in ogni modo di scacciare, eppure quello continuava a stare dietro i loro passi pesanti e disperati fra i sentieri di montagna. È rimasto con loro sinché le scorte di cibo non sono finite, sinché i tre lo hanno ucciso per placare la fame. Era come se quel cane avesse saputo sin dall’inizio che ci avrebbe salvato la vita, diceva Babchenko nelle sue memorie di guerra.
Luigi De Biase
*L’articolo di Luigi De Biase è un estratto da “A quattro anni di distanza”, pubblicato su Volga Newsletter, a cui potete accedere a partire da qui. Esperto in questioni russe, ucraine e dell’Europa orientale, De Biase, già interpellato da ‘Pangea’ qualche puntata fa, lavora al TG5, dopo essere stato nella redazioni esteri de “il Foglio” di Giuliano Ferrara.
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