#juppystory:lizzie
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Di quel tempo
L’ultima volta che ci siamo parlati eravamo in quel ricordo arancione e giallo della fermata del bus - non so se l’hai presente.
Così tanto tempo fa che parliamo di anni luce: ed è da allora che non sento qualcosa del genere esplodermi nello sterno.
Subito dopo abbiamo cominciato a vivere la migliore delle vite: alle sei e mezza c’era ancora un sole splendido sulla facciata del palazzo di fronte, e mentre bevevamo la nostra birra quotidiana la tua testa si alleggeriva piano piano.
Il nostro tempo insieme era chiaro e semplice. Suonava di chitarra scassata e odorava di luppolo annacquato, zeppo di battute sceme e di quella felicità che lo sai che non durerà a lungo: cosa faremo quando non ci vedremo più ogni giorno?
Ma a te la risposta non interessava: sapevi che anche senza di me avresti vissuto mille avventure. È stato così anche per me, all’inizio: ogni mattina mi sembrava una benedizione. Poi gli ingranaggi hanno cominciato a incepparsi, e quante cose ho capito di me a quel punto. In che modo mi tenevi in vita, anche se dietro non c’era nessuna storia d’amore del cavolo.
Avrei voluto dire al me di quel tempo quanto fosse fortunato, ma credo che in fondo lo sapesse anche lui.
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Torturous electricity
Non sapeva perché fosse sempre la casa dei nonni l’ambientazione di certi sogni. C’era un senso di accoglienza, di casa, ma anche di posto lontano e straniero in quelle stanze abbandonate.
Questa notte lui dormiva poco distante, ma era sveglio e lei lo capiva; e si alzava, lei, per guardare dei fuochi d’artificio, col cuore in esplosione e le mani sulle orecchie.
C’era un’elettricità da tormento, lo diceva una vecchia canzone, un richiamo che attraversava le loro orecchie ma che non si riusciva a tradurre: se solo avessero superato quel confine non ci sarebbe stata più traccia di vita sulla Terra.
Tutti, però, riuscivano a vedere. Come se i loro corpi fossero stati trasparenti, ogni meccanismo, ogni filo elettrico aveva un nome e uno scopo - i suoi per lei, quelli di lei per lui; e vivevano con questo peso, questa energia indissolubile, e niente alla fine li poteva turbare - era solamente un sogno.
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Dal tuo recinto dei denti
Mi restano pochi minuti per dirti tutto. Ogni volta che inspiro mi fa male il petto, e di solito non è un buon segno.
Vorrei che dal tuo recinto dei denti (l’hai studiato anche tu Omero? non me lo ricordo) - vorrei che non fossero mai uscite certe parole. Le hai liberate con leggerezza, pensando di lusingarmi, di liberarti di un peso, e invece noi siamo qui seduti in un bar hipster per poche ore, e questo è tutto l’orizzonte che ci è concesso.
Non riesco più a guardarti, Leo, a sorridere sinceramente. Inspiro con dolore e non passerà più questo peso opprimente, nemmeno quando avrò varcato la soglia senza guardarmi più dietro.
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Ho paura che sia così
Seduti sulle sedie sgangherate del nostro bar preferito ci prendiamo in giro a vicenda come sempre, ma con una certa approssimazione direi che il nostro sguardo è cambiato.
L’aereo che ho preso, il tuo avermi aspettato, il libro che ti ho regalato e la breve dedica, ogni cosa ha detto a te e a me quello che ci sta succedendo da un numero imprecisato di mesi.
Fino a un po’ di tempo fa ne avrei avuto paura. Ho avuto paura per mesi, Liz, anche solo guardandoti. E non perché avessi un aspetto orripilante, anzi, ci sarebbero cose da dire su di te che mi farebbero diventare un autore di best seller per adolescenti; il timore era quello di cadere in una delle mie fissazioni romantiche e - addirittura - essere ricambiato.
Ho scritto pagine e pagine su quel timore, magari mi pagassero per quello. Ora penso di poterci convivere. Mentre bevo tè Earl Grey in una tazza che dice All You Need is Bread, credo che il timore sia addirittura sparito.
Mi sento più al sicuro sapendo che a nostro modo ci siamo detti quello che ci succede. Non so neanche definirlo. Anche se non ci porterà da nessuna parte - o forse in un posto pieno di acciacchi sentimentali - non mi spaventa nemmeno tanto.
E forse alla fine ho paura che sia così.
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Ritorno
Ti spio da questo vetro mentre il bus rallenta per accostare. Quando vedo qualcuno che mi aspetta vorrei subito sbracciarmi, gridare, dire sono qui, non devi attendere un secondo di più. Ma non posso farlo, devo avere pazienza. Ti guardi intorno con finta indifferenza, e nel frattempo sulla mia faccia si sta aprendo un sorriso che i più definirebbero ebete.
Da quando sono partito ho ripensato spesso a tutto quello che ci è successo. Sono scivolato nel vizio di pensarti almeno cento volte al giorno, così per smettere ho ripreso a fumare. Mentre scendo le scale di velluto anni ottanta di questo pullman mi rendo conto che non è servito a granché.
A un vizio - che banalità - ne ho aggiunto un altro, e nonostante mi sembri che il mio corpo si stia per disintegrare atomo per atomo di fronte alla tua schiena e alle tue mani, la sensazione che tutto ciò sia una specie di sogno delirante mi si presenta come opzione plausibile.
«Liz!»
Quando ti volti lo vedo. Il sorriso ebete si sta aprendo pure sulla tua faccia. Il borsone mi cade dalla spalla quando mi salti al collo e mi ritrovo a stringerti come se stessi per volare via, lontana da me.
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[Monday] Quante cose ti direi
Quante cose ti direi - eppure sono su questo treno in direzione contraria alla nostra città, alla tua casa col divano verde e la consolle anni Trenta di tua nonna, dritto verso un mondo che ho già arredato con quelle due foto che sono riuscito a salvare di noi due e centinaia di scatoloni che mi faranno da mobili finché non avrò il tempo di capire che è lì che dovrò stare da ora in poi.
Ho provato a spiegare a me stesso cos'è tutto questo per me - cosa sei tu, in realtà - ma non ci riesco. Rimane qualcosa che non ha confini netti, che riesce a raggiungere ogni angolo di me, a svegliarmi ogni tanto la mattina presto, a farmi sentire felice in un modo rassicurante e quasi tenero.
Eppure, Liz, molti direbbero che non c'è niente di rassicurante in tutto questo, nel treno che si allontana, nelle parole che si sono congelate e che non possiamo più dirci. Io mi faccio riscaldare dalla consapevolezza che torneremo a scriverci. Prendo posto su questo sedile e riempio il mio quaderno perché so che le nostre mani si saluteranno di nuovo per brevissimi istanti, non ho bisogno di avere paura. Riempio l'attesa, questo soltanto - e provo ancora a capire quello che non so definire.
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Come smettere di fumare
Non voglio citarti De André e chiederti se finalmente sceglierai, so benissimo che rimarrai lì dove sei, in bilico in una situazione che nella migliore delle ipotesi ci farà solo sputare sangue (metaforico, voglio sperare).
Visto che abbiamo deciso il nostro futuro - decretando che non ce ne sarà alcuno, vivendo lontani e conducendo vite diverse fino a dimenticarci del tutto - ho pensato che la soluzione può essere semplice, alla fine. Se non riusciamo a smettere di provare quel mucchio di sentimenti pesanti come biglie di piombo, se non possiamo fare a meno di finire l'uno nell'orbita gravitazionale dell'altra, potrei cominciare io a detestarti. A farmi odiare, anche, a trovare insopportabile la tua presenza, la tua voce, le tue mani che sai non smetterei mai di tenere tra le mie.
Pensavo fosse più difficile, invece è tutta una questione di concentrazione. Come smettere di fumare, ma smettere davvero, senza nessuna ultima sigaretta annotata sul margine di un libro.
Presto, vedrai, mi odierai anche tu. Ti sembrerà di aver preso questa decisione e soffrirai appena. Guarderai i miei polsi e non penserai più di sfiorarli guardando altrove; alla fine di tutto sarai anche felice.
Io forse mi prenderò il lusso di amarti per sempre, come dicono là fuori. In una minuscola parte di me rimarrai sempre tu, la tua voce, le tue mani e tutto quello che poi non abbiamo più avuto.
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[Tuesday Story] - Cosa mi mancherà di te
So già cosa mi mancherà di te. Parto dalle cose più piccole: bere il caffè insieme la mattina, in religioso silenzio - perché la mattina di rado ho voglia di parlare e tu (nonostante arrivi quasi sempre sorridente) riesci a rispettare questa cosa, limitandoti a portarmi la colazione (a volte il giornale, a volte un set di matite, nonostante io non scriva praticamente mai a mano), proprio come farebbe un gatto che lascia sullo zerbino dei padroni un topo morto.
Poi c’è il tè del pomeriggio, che beviamo solo per parlare di tutte quelle cose che al mattino abbiamo messo da parte, e questo forse mi mancherà più della colazione, più di ogni altro stupido micro-momento confinato in questa vita che non avremo più.
Quando non saremo più niente l’uno per l’altra continuerà a mancarmi la tua voce, che non ha niente di speciale e che a volte è perfino fastidiosa. Insieme a lei mi mancheranno le tue parole, che sono la cosa più bella e assurda di te e che riesci a usare in un modo che non comprendo ma che invidio parecchio.
Ma voglio parlarti delle cose più serie. Del tuo gomito che poggia pesante sul mio quando ci troviamo a scrivere le nostre tesi seduti allo stesso tavolo. Una cosa che normalmente mi darebbe un fastidio inenarrabile e che con te è un piccolo gesto di - boh - amore? Riesco a sentire tutto il nostro peso concentrato lì tra i nostri gomiti, e ogni volta spero tu capisca quello che voglio dirti.
Mi mancheranno i tuoi passi per il corridoio, gli unici che il mio orecchio riesce a riconoscere, il profumo che sento solo quando ti avvicini, gli inviti a pranzo fuori all’ultimo minuto e la tua mania di fotografare gatti brutti per strada.
Adesso, Liz, cosa posso sperare? Che questa sia l’amicizia più bella della mia vita? Che quando non sarai più qui riusciremo a rimanere a galla, a sostenerci, a smettere di scrivere cose stucchevoli e dissimulare come abbiamo sempre fatto?
Non voglio davvero credere che sia l’ennesima storia d’amore demmerda impossibile, quello che sento - nonostante sia alla fine la solita accozzaglia di sentimenti che provano tutti, su questa Terra - quello che sento è così dignitoso che non penso si meriti questo. Non si merita di essere la fiamma che alimenta una cosa priva di senso, mentre un’amicizia - quella sì - forse ha un futuro. Anche se i miei pensieri vanno ben oltre il confine dell’amicizia, lo superano, ricadono nella banale voglia di averti e poi tornano indietro, lì dove posso averti davvero, come un’amica.
Ma tanto la distanza farà il resto, e tutto questo alla fine è solo inutile.
La verità è che mi mancherà ogni singola cosa di te, Liz.
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