#itinerario in moto e a piedi: Firenze
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Il Pratomagno
Un itinerario in moto e a piedi: Firenze, Passo della Consuma, Cetica, Croce di Pratomagno a cura della Redazione che consiglia di ingrandire le immagini cliccandoci sopra La Croce di Pratomagno La Toscana è terra versatile e varia, offre paesaggi variegati e mossi comprendendoli un po’ tutti da quello collinare, prevalente, a quello montuoso e marittimo. Chi in questi giorni di luglio e…
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“Enrico Pedenovi esce di casa, come sempre, alle 7,45 del mattino. Abita in viale Lombardia 20, e ogni giorno sale sulla sua Fiat 128 bianca per andare in macchina fino allo studio di via Francesco Sforza 14
Mette in moto, si ferma al distributore per fare il pieno di benzina. non sa che i killer lo stanno seguendo e –conoscendo il suo itinerario abituale- hanno già deciso come e dove colpirlo. Rimette in moto e si ferma ancora una volta. Questa volta davanti all’edicola per ritirare la sua abituale mazzetta di quotidiani. Risale in macchina, si ferma a leggere le prime pagine proprio lì, sul sedile, perché gli piace arrivare in ufficio sapendo quello che è successo
Alle sue spalle adesso è apparsa una Simca 1000 verde bottiglia, con a bordo tre ragazzi. Appena Pedenovi chiude lo sportello, due di loro scendono dalla macchina e si affiancano ai due lati della 128, estraggono delle pistole, forse a tamburo perché non lasceranno colpi a terra. È un tiro incrociato senza scampo, da destra e da sinistra: il consigliere regionale missino viene letteralmente crivellato di colpi. I due componenti del commando salgono in macchina e percorrono duecento metri per allontanarsi in fretta dall’edicola e dai numerosi testimoni che per strada li hanno visti. Arrivati all’incrocio tra viale Lombardia e piazza Durante, abbandonano la Simca e si dividono, fuggendo a piedi. Non lasciano nessuna traccia, e, contrariamente alla prassi delle Brigate Rosse e di Prima linea, non rivendicheranno mai il loro delitto”
La squadra di Sesto
Così Luca Telese ricostruisce su Cuori neri l’omicidio Pedenovi. Una rappresaglia decisa a caldo, perché la sera del 27 aprile è stato ferito a coltellate Gaetano Amoroso, che si sta spegnendo in ospedale (morirà infatti il 30 aprile). A eseguire l’attentato tre militanti armati dei Comitati comunisti per il potere operaio, il gruppo più radicato e agguerrito dell’Autonomia organizzata: Enrico Galmozzi, Bruno Laronga, Giovanni Stefan, componenti della Squadra di Sesto San Giovanni, una realtà molto agguerrita e che ha una solida esperienza di azioni di avanguardia.
L’esplosione di Senza Tregua
Nato nel 1974-75 dall’aggregazione di quel che resta di Potere operaio dopo la scissione negriana, con un ruolo di protagonista di Oreste Scalzone e due gruppi di fuoriusciti di Lotta continua con una diffusa presenza nelle fabbriche milanesi e di Sesto San Giovanni, i Co. Co. P.O hanno presenze organizzate in quasi tutti i poli metropolitani. Ai forti nuclei organizzati a Milano e a Torino proprio nella primavera 1976 si aggiungono nuove realtà di intervento a Napoli e a Firenze,
Di lì a pochi mesi l’organizzazione perderà pezzi: in estate i militanti armati del centro Sud che non condividono l’esasperato fabbrichismo della rete organizzata settentrionale danno vita alle Unità comuniste combattenti, mentre la maggioranza della rete organizzativa espellerà, in quello che passerà alle cronache giudiziarie come il golpe dei “sergenti”, Oreste Scalzone e Piero del Giudice, che daranno vita ai Comitati comunisti rivoluzionari mentre quel che resta di “Senza tregua” si riorganizzerà dando vita a un’organizzazione armata strutturata, Prima Linea, costituita nel settembre 1976.
Il secondo omicidio politico
E’ da notare che quello di Enrico Pedenovi è il secondo agguato omicida compiuto dalla sinistra armata (a 4 anni dal commissario Calabresi) e precede di qualche settimana l’attentato di Genova in cui le Brigate rosse uccidono il procuratore Coco e la sua scorta: il duplice omicidio di Padova così come l’uccisione di alcuni esponenti delle forze dell’ordine non sono premeditati.
La narrazione dominante nel Movimento è che l’omicidio sia stata una forzatura dei militanti sestesi, una struttura con un forte peso politico, organizzativo e militare, contro un gruppo dirigente oscillante e poco determinato a innescare percorsi reali di costruzione dell’armamento operaio, ritenuta la questione centrale strategica.
La riflessione di Galmozzi
A questo proposito è interessante la testimonianza che sulla questione offre Enrico Galmozzi, che era tanto un leader politico dell’organizzazione quanto uno dei protagonisti del “passaggio alla critica delle armi”.
Il contesto immediato all’interno del quale si colloca l’omicidio di Enrico Pedenovi, ex appartenente alla X Mas, e ne fonda la natura di rappresaglia, è quello di costituire la risposta militante alla aggressione, ultima solo in ordine di tempo, che costerà la vita a un militante della sinistra extraparlamentare ucciso a coltellate da una squadraccia fascista uscita, particolare importante, da una sede dell’MSI.
Andrebbe ricordato che all’epoca era intensa l’attività squadristica dei fascisti e che addirittura esistevano zone france, vere e proprie basi nere, come San Babila, nelle quali si rischiava la vita anche solo a circolare con una sciarpa rossa al collo.
Da questo punto di vista la logica di rappresaglia è tutta interna ai concetti di contropotere e di autorità sociale che la forza operaia e proletaria deve saper esercitare liberando i territori dalle figure nemiche configurandosi come sorta di contro diritto. Anche qui si trattava di dare corpo e valenza pratica a un’altro slogan del movimento: “l’unica giustizia è quella proletaria.”
Da questo punto di vista la rappresaglia ha un significato immediato come potere di interdizione nei confronti delle aggressioni fasciste e uno simbolico: niente resterà impunito, i fascisti devono sapere che da adesso è questo il livello dello scontro e quello che dovranno aspettarsi ad ogni provocazione.
Nel passaggio dalle parole d’ordine alla loro traduzione pratica c’è, nei confronti del movimento, la sottolineatura dell’esigenza di passare dalle parole ai fatti: è su questo terreno che si misura la maturità del movimento, esattamente nella sua capacità di tradurre in pratica in maniera conseguente elementi di programma affermati collettivamente nelle lotte.
Qui c’è un evidente intento di chiamata alle armi come urgenza di colmare lo iato fra la truculenza verbale del movimento e la pratica conseguente: Un anno dopo, quando in risposta all’uccisione di Francesco Lorusso a Bologna, verrà colpito a Torino un sottufficiale della Digos, il volantino di rivendicazione affermerà: “Siamo stanchi di gridare e sentir gridare Pagherete caro pagherete tutto.”. Si tratta, insomma, di ribellarsi alla concezione secondo cui la rivoluzione deve essere un ideale, dalle parole terribili ma dai gesti gentili.
Ma non tutto si esaurisce in questo contesto immediato, a partire dal fatto che l’immediatezza della rappresaglia presuppone un livello di inchiesta precedentemente condotta sul bersaglio. Si può dire che l’omicidio di Gaetano Amoroso sia stata la classica goccia che fa traboccare il vaso ma che l’idea dell’innalzamento del livello di scontro sul terreno della risposta allo squadrismo fascista fosse matura da tempo. Ma come si colloca l’omicidio Pedenovi all’interno della storia di Senza tregua?
Innanzi tutto occorre introdurre la distinzione fra gli aspetti decisionali e strettamente operativi da quelli politici più generali. Sul piano politico l’ammissibilità di portare l’attacco ai fascisti sino alle estreme conseguenze era un dato acquisito non solo all’interno di Senza tregua o dell’area dell’autonomia più o meno organizzata ma persino in tutta l’area della sinistra extraparlamentare: “Morte al fascio” era urlato a piena gola da decine di migliaia di manifestanti in ogni occasione e all’indomani stesso un corteo di cinque-sei mila manifestanti sfila per le vie del centro di Milano inneggiando apertamente all’azione Pedenovi.
Da questo sentire comune i responsabili dell’azione traggono legittimazione per quella che ritengono essere la risposta a una domanda che proviene da larghi settori dell’area antifascista e in questo senso non ritengono affatto di compiere una forzatura che, se mai, attiene agli equilibri politici interni al gruppo. L’azione Pedenovi si configura oggettivamente come una forzatura all’interno di Senza tregua ma non corrisponde al vero che gli autori dell’azione la compiano intenzionalmente per fare precipitare la situazione e originare la crisi. Questo avviene oggettivamente ma non è legittimo affermare che l’azione Pedenovi è l’anticipazione del cosiddetto golpe dei sergenti: è sicuramente un fatto che viene buttato pesantemente sul piatto della battaglia politica, ma di una battaglia politica di cui, allo stato nessuna immagina e nemmeno prefigura gli esiti.
Certo esistevano implicazioni polemiche, non ultimo il fatto che in realtà nella prassi dell’organizzazione, come in quella dei movimenti, la lotta armata assumesse una forma simulata e che questo costituisse un freno oggettivo alla militarizzazione. Insomma, di lotta armata si faceva un gran parlare ma lo stato generale dell’organizzazione era completamente al di sotto dei compiti e del programma che venivano indicati a parole. Da questo punto di vista era evidente che il passaggio all’omicidio politico avrebbe segnato un punto di non ritorno costringendo l’organizzazione a confrontarsi, e attrezzarsi, con questo livello di scontro.
In realtà, è proprio perché questo non avviene, perché l’azione Pedenovi scivola via, nemmeno se ne parla o se ne discute, quasi a derubricarla come un colpo di testa di quelli di Sesto, che matura l’idea di avviare il processo che porterà a Prima Linea.
La tesi della forzatura intenzionale ai fini della spaccatura si è alimentata sulla base di deposizioni dibattimentali. Ma occorre dire che tutte le deposizione citate vanno, giustamente -siamo in aule di tribunali- nella direzione di non coinvolgere la totalità dell’organizzazione.
Ma qui bisogna tornare alla distinzione fra decisione operativa e dibattito politico. Non è che il dibattito sul terreno della necessità dell’innalzamento del livello del fuoco fosse confinato all’interno della Squadra di Sesto, se ne dibatteva in vari e vasti ambiti dell’organizzazione e c’era chi era d’accordo e chi no. Ben altro affare è invece la questione della decisione operativa rispetto alla quale, per altro, pesavano proprio le necessità di non coinvolgimento di tutta l’organizzazione. Stiamo parlando di uno stato organizzativo fluido, con scarsi livelli di compartimentazione e con strutture come i Comitati operai che, per il loro carattere aperto ragionevolmente non possono essere investiti e corresponsabilizzati in questo tipo di pratica. Senza tregua è una organizzazione completamente legale, in cui vivono momenti di associazionismo clandestino ma nella quale manca completamente una attrezzatura mentale, prima che organizzativa, che ottemperi a elementari misure di sicurezza,e qui stiamo parlando del secondo omicidio non casuale avvenuto in Italia da parte di militanti di sinistra.
A questo livello dicono il vero i pentiti quando dicono che nemmeno a chi fu commissionato il furto dell’auto poi usata per l’azione venne detto a cosa servisse. Ma, per dirla tutta, politicamente, a cose fatte nessuno mette in stato d’accusa chi ha compiuto l’azione e nemmeno vengono formulate critiche esplicite; anzi, per laverità sul numero del 17 giugno Senza tregua scriverà che “l’antifascismo militante, picchiando in testa il cane che affoga, rappresenta una prova della capacità del movimento rivoluzionario d costituirsi come forza di governo operaio su scala territoriale, come nuova autorità, nuova legalità proletaria e comunista” ma su cosa possa significare per lo stato presente e futuro dell’organizzazione si glissa, come se niente fosse. Invece qualcosa era avvenuto e per larga parte, assolutamente maggioritaria, effettivamente costituiva un punto di non ritorno: il passaggio dal carattere allusivo a quello apertamente svelato e dichiarato dell’uso delle armi.
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Dopo le colline e le Alpi del Piemonte, teatro a giugno della 20.000 Pieghe, per la 5.000 Pieghe in edizione Winter, sorella minore dell’ormai classica manifestazione mototuristica, è stata scelta la toscana, che già nel 2016 aveva ospitato, a Volterra, la Motor Italy Winter, ed ha puntato la bussola verso il meraviglioso Chianti.
La manifestazione si è svolta su tre giorni, dall’8 al 10 dicembre, sfruttando il ponte dell’Immacolata e non ha deluso nemmeno una delle aspettative dei partecipanti. Si sono presentati in 41, provenienti – praticamente tutti in moto – un po’ dall’Italia intera, compresi il Friuli e la Campania, e hanno avuto il freddo invernale ed una calorosa ospitalità, scenari meravigliosi, itinerari impegnativi, proposte eno-gastronomiche d’eccellenza e soprattutto l’opportunità di visitare ed apprezzare luoghi esclusivi, effettuando un’immersione nella storia e nella cultura di questa importante parte della Toscana.
I PROTAGONISTI, LE CLASSIFICHE
Patrocinata dal Comune di Figline e Incisa Valdarno e sostenuta dal produttore di pneumatici Anlas, che ha contributo alla premiazione con treni di gomme per i primi tre classificati, la 5.000 Pieghe Winter è una grande occasione per fare turismo in moto in inverno, basandosi su un’organizzazione scrupolosa e professionale, ma è anche una competizione.
Onore dunque al merito del vincitore assoluto Antonio Catalano (KTM 1290 S), 55 anni di Bollate (MI), impiegato, viaggiatore in moto d’annata (nell’estate 2017 ha attraversato la Russia), che ha deciso di partecipare a questa manifestazione dopo la positiva esperienza compiuta a giugno con la 20.000. Catalano è stato impeccabile in entrambe le tappe dal punto di vista della regolarità di marcia, ha rispettato tutti i controlli orari ed i passaggi, certificati con i timbri o con i selfie che, da località determinate, ogni partecipate doveva trasmettere al centro classifiche, ed è stato fortissimo anche nelle due prove di abilità che hanno chiuso la manifestazione, imponendosi in quella di lentezza e piazzandosi terzo nello slalom a tempo imposto.
Un’affermazione dunque netta ed indiscussa che ha visto Catalano precedere altre due lombardi. Al secondo posto si è classificato il bergamasco di Treviglio Andrea Zanoni (BMW R 1200 GS), 54 anni, impiegato, che in due stagioni ha partecipato a ben sei manifestazioni turistiche organizzate da Alessandrini, compresa la maratona Genova-Palermo; terzo il milanese Silvano Cassi (Triumph Tiger 800 Xc), 47 anni, impiegato assicurativo, amico e compagno di viaggio di Catalano (insieme, a fine maggio, andranno all’Isola di Man, al Tourist Trophy), alla prima esperienza in questo genere di eventi ma subito affascinato dalla formula e dalla bellezza dei luoghi.
La classifica riservata alle Lady ha visto prevalere la giovanissima romana Maria Vittoria De Giorgio, popolare anche come “Donna de furesta” (citazione delle sue origini abruzzesi), che continua a destreggiarsi brillantemente tra la pista, l’enduro ed il turismo, per l’occasione in sella alla nuova Suzuki V-Strom 650 affidatale dalla casa. Dopo il successo di squadra e di simpatia ottenuto alla 20.000 Pieghe, Maria Vittoria ha preceduto, nell’ordine, Tania Nicholle Dyer (Ducati), Maria Livia Boella (Suzuki) e Marcella Luisa Biancardi (BMW) ma si è soprattutto classificata nona assoluta. Divertentissimo, a questo proposito, il siparietto tra Alessandrini e De Giorgio alla premiazione. L’organizzatore ha infatti spiegato che il risultato finale della concorrente avrebbe potuto essere ancora migliore se la stessa non avesse inviato due selfie che, al posto delle strutture che testimoniano il passaggio, inquadravano invece delle “frasche” (letterale). Alessandrini ha aggiunto che in realtà Maria Vittoria in quei luoghi era passata, aveva solo sbagliato l’inquadratura (secondo la diretta interessata, a causa di un risveglio non ancora completo di prima mattina), ma il regolamento è quello e va applicato. La De Giorgio ha fatto notare che con quei punti che non le sono stati assegnati sarebbe salita al secondo posto assoluto.
Nella classifica a squadre la vittoria è andata a “I Fiorentini”, con Miniati Paoli, Braccialini e La Volpe, che hanno preceduto gli “Amici di Cesare” (Casiraghi, Fumagalli e Redaelli) e i “Gerontoriders” (Biancardi, Petrilli, Radaelli).
Infine, tra i Moto Club, affermazione degli “Amici di Cesare”, con Cataletto in squadra insieme a Casiraghi, Fumagalli e Redaelli, davanti al BMW Motorrad Club Roma (Galletti, Lorenzi, Baldi e Lucisano) e al Settimoto (Biancardi, Petrilli e Radaelli).
IL CAMPO BASE
Per il campo-base lo staff del Moto Club Motolampeggio di Roma ha scelto Villa La Palagina, resort 4 stelle situato sulle colline che sovrastano Figline e Incisa Valdarno, proprio all’ingresso del Chianti. Il grande, antico casale, circondato da uliveti e vigneti, che svolge anche attività di fattoria didattica ed è dotato di cantina per la produzione propria di vino Chianti, ha rappresentato un eccellente punto di riferimento per i partecipanti grazie all’elevatissimo confort offerto ma anche alla posizione tranquilla e distante dal traffico ed alla praticità per il parcheggio delle moto.
LE TAPPE
Venerdì 8 dicembre, dopo le operazioni preliminari e al termine di giornata piovosa, con acquazzoni anche forti, alle 17.30, sotto una pioggerella intermittente ma con temperatura superiore ai 10°, è scattata la prima tappa; intrigante la proposta in notturna, lungo un itinerario di circa 56 chilometri che ha puntato prima ad est, verso la provincia di Arezzo ed il Pratomagno, poi decisamente a nord, in direzione della Riserva di Vallombrosa. Il buio ed il meteo non ideale hanno messo alla prova i partecipanti, soprattutto nell’individuazione dei percorsi, tanto che solo in 9 hanno concluso a punteggio pieno, centrando tutti i controlli a timbro e non pagando penalità per il ritardo all’arrivo; Alessandrini ha abbassato la media dai 39 km/h di regolamento a 33 ma evidentemente gli errori commessi lungo l’itinerario non hanno consentito di effettuare recuperi entro il tempo imposto.
E’ stato un esperimento ma anche un banco di prova curioso ed interessante: tutti, anche i mototuristi “classici” si sono divertiti, hanno gustato il pepe della sfida contro le condizioni ambientali meno favorevoli e per qualcuno il prologo ha rappresentato anche un test probante, una sorta di collaudo generale in vista della tappa decisamente più impegnativa del giorno dopo.
Scenario completamente diverso per la tappa-clou, quella di sabato 9 dicembre: oltre 280 i chilometri da percorrere, descrivendo un ampio anello nel cuore del Chianti, dirigendosi prima ad ovest, verso Greve, e poi a sud, attraverso altri luoghi simbolo della Toscana come Panzano, Radda e Gaiole, fino quasi alle Crete Senesi, prima di fare rientro verso il Valdarno.
Dopo una notte caratterizzata da temporali anche forti, alla partenza, alle 8.00, il termometro segnava circa 2° e le temperature si sono mantenute a lungo su quei valori; fin dalla primissima mattina le schiarite si sono comunque fatte più decise e la tappa è stata accompagnata costantemente dal sole. Ma a tenere lontane le nuvole è stato un vento teso e freddo che ha spazzato le creste delle colline e ha fatto percepire una temperatura molto più bassa di quella effettiva.
Come prescrive la formula, l’elemento del viaggio e della scoperta è stato esaltato non solo dall’itinerario ma anche dai punti scelti per le soste; e stavolta Alessandrini ha toccato punte di autentica raffinatezza non solo per i luoghi ma anche per il messaggio che ha voluto trasmettere.
I LUOGHI
Lo spuntino di sabato 9 era infatti fissato alla Trattoria “Da Pordo”, situata nel comune di Mercatale Val di Pesa, praticamente al punto di incontro dei confini tra Greve in Chianti, San Casciano Val di Pesa e Tavarnelle, quindi all’inizio del Chianti arrivando da Firenze, in un luogo appartato e remotissimo al quale i motociclisti sono giunti scollinando il passo di Montefioralle. Questa piccola trattoria era originariamente una cosiddetta “sosta” per i viaggatori che, per lo più a piedi, si muovevano attraverso quelle terre; da 47 anni è diventata un vero e proprio luogo di ristoro, gestito sempre dalla stessa famiglia e legato esclusivamente ai prodotti del territorio, offerti nelle preparazioni più tradizionali. E così i partecipanti alla 5.000 Pieghe hanno trovato “ciaccia” (pizza bianca) appena sfornata e formaggi e salumi squisiti, abbinati ai crostini neri tipicamente toscani.
Decisamente di altro genere la proposta per il pranzo, che ha ancor più sorpreso e incantato i partecipanti. Giunta in provincia di Siena, nell’area di Castellina, Radda e Gaiole, la manifestazione ha infatti fatto tappa al Castello di Meleto, roccaforte originaria dell’XI secolo, che conserva ancora l’aspetto da difesa feudale. E i motociclisti sono stati accolti nei saloni affrescati, arredati con gusto settecentesco, dove hanno potuto riscaldarsi anche gustando un’eccellente ”ribollita” (classica zuppa di verdure con il pane spugnato), condita con un filo di olio extravergine di oliva e con la cipollina fresca ed accompagnata da una giusta dose di Chianti della stessa azienda.
Quello dei castelli è stato uno dei fili conduttori della “Winter” 2017: Alessandrini ha voluto infatti collegare queste antiche roccaforti, come quella di Gabbiano, come il famosissimo Brolio o il panoramico Albola, facendone un po’ i poli del suo itinerario e arricchendo il contenuto storico e culturale della manifestazione.
La tappa si è conclusa a Figline Valdarno, nella centralissima Piazza Marsilio Ficino, in pieno clima pre-natalizio, reso ancor più suggestivo dalla presenza di un gruppo di musici itineranti che ha offerto una spettacolo veramente di qualità. Anche per il sabato Alessandrini ha impostato la tabella di marcia su una media più bassa di quella regolamentare ma comunque, per stare nei tempi, tutti hanno dovuto tenere alta la concentrazione. Le due prove di abilità si sono svolte quindi in notturna ma per fortuna senza il vento che aveva spazzato per l’intera giornata anche l’antica e bella cittadina, ancora circondata per ampi tratti dalle originarie mura medievali. Per tutti, in sequenza, prova di lentezza e poi sIalom a tempo imposto. Il rientro al quartier generale, situato ad una diecina di chilometri dal centro di Figline, è stato accompagnato da una temperatura non superiore a 2°.
LA PREMIAZIONE, VISITA ALLA FATTORIA CASAGRANDE
Domenica mattina, infine, dopo una nottata in cui la colonnina di mercurio è scesa di alcuni gradi sotto lo zero, un bel sole ha accompagnato la premiazione che si è svolta in una delle spettacolari verande di Villa Palagina, affacciate sul panorama del Chianti. Clima festoso e sereno e visibile soddisfazione di tutti, organizzatori e partecipanti. La preoccupazione per il peggioramento delle condizioni meteo al nord (dove infatti è poi arrivata la prima neve, anche in pianura ed in città, come a Milano) ha indotto molti motociclisti a partire, sia pure a malincuore, visto che il programma ha proposto quella che alcuni hanno definito “la ciliegina sulla torta”.
Il gruppo è stato infatti accolto a Villa Casagrande, una sorta di fattoria urbana di origine quattrocentesca, situata appunto a cavallo tra il centro abitato di Figline e quelli che un tempo erano grandi appezzamenti di terreno agricolo. La tenuta è ora di proprietà della famiglia Luccioli di cui sono esponenti Paolo Alex e Marcello, presenti alla 5.000 Pieghe ed assidui partecipanti alle iniziative di Alessandrini, e l’altro fratello Simone David che ha guidato la visita della comitiva. Tutti hanno potuto così respirare il fascino della casa nobiliare, fondata dai Serristori, l’accoglienza dell’hotel che è stato creato nella tenuta ed il gusto dell’olio e dei vini di altissima qualità che i Luccioli (tre fratelli ma anche tre sorelle, figli di Cesare, medico, che acquistò la proprietà negli anni ’80) producono con grande passione e massima attenzione alla qualità.
LO SPIRITO DELLA MANIFESTAZIONE
Una scelta che ha sottolineato il desiderio di Alessandrini di fare di ogni sua manifestazione turistica non solo un’occasione per macinare chilometri in un contesto organizzativo particolarmente curato (e comprendente quindi la scelta degli itinerari e delle sistemazioni) ma anche per conoscere i territori con la loro storia, le tradizioni, la cultura.
E infatti tra partecipanti alla 5.000 Pieghe Winter 2017 si sono distinti piuttosto chiaramente quelli che hanno privilegiato l’aspetto turistico dell’esperienza rispetto a chi si è maggiormente concentrato sulla guida e sulla competizioni. Ma le due inclinazioni hanno convissuto perfettamente, si sono anzi integrate e hanno trovato entrambe risposte più che soddisfacenti.
Il Chianti, che pure d’inverno si presenta nella sua veste meno spettacolare, ha dato un contribuito fondamentale a soddisfare entrambe le tendenze. Ha proposto strade bellissime, ha trasmesso storia e cultura, ha regalato panorami collinari ma anche tanto bosco, tanta natura incontaminata ma non selvaggia. A questo si è aggiunta la brillante accoglienza che è una cifra distintiva della Toscana.
Va così in archivio la 5.000 Pieghe Winter: Daniele Alessandrini e lo staff del Motolampeggio hanno già dato appuntamento per la decima edizione della 20.000 Pieghe, già in calendario dal 13 al 17 giugno 2018 con un grande ritorno nel superbo scenario delle Dolomiti.
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Bilancio positivo per la 5.000 Pieghe Winter, con Anlas sponsor Dopo le colline e le Alpi del Piemonte, teatro a giugno della 20.000 Pieghe, per la 5.000 Pieghe in edizione Winter, sorella minore dell’ormai classica manifestazione mototuristica, è stata scelta la toscana, che già nel 2016 aveva ospitato, a Volterra, la Motor Italy Winter, ed ha puntato la bussola verso il meraviglioso Chianti.
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