Tumgik
#immaginai
godmerlin · 2 years
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So last night I was messing around on the free AI generator app: immaginai and I was on a serious roll with getting these cute fantasy shots of Everett and Nakia! (a secret ship of mine since 2018) so I thought I’d share them here. I DID NOT DRAW THESE. they are created 100% by the app! I don’t remember my prompts either except that I had to use Martin & Lupita’s name to get them to look like them because otherwise they just looked like random people. BUT it’s not about them it’s about ev and nakia! lol (i also had to hilariously put WHITE in front of martin because the AI kept turning him black??)
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jensomniac · 2 years
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Some more from the ImmaginAI app
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tophe23 · 2 years
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heylookits · 2 years
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AI Art - Prompt: Snowy day in Santa Fe, New Mexico in February.. - using the ImnaginAI app. #AIArt #SnowySantaFe #FebruaryInSantaFe #SnowyDay #ImmaginAI (at Santa Fe, New Mexico) https://www.instagram.com/p/CosRaWUulVr/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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elperegrinodedios · 15 days
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Ti vidi e ti regalai una rosa, ma in realtà volevo baciarti e fare l'amore con te. Mentre la rubavo lei mi punse e io immaginai una storia da pazzi.
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Pazzi che non mentono mai loro sono come gli ubriachi. Non portano mai la maschera, non ne hanno bisogno, non hanno timore di vivere soli, anche se preferirebbero di no, non hanno paura di spogliarsi perchè sono veri, come i bambini.
lan ✍️
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smokingago · 4 months
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L’ELEFANTE INCATENATO
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Quando ero piccolo adoravo il circo, ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini.
Durante lo spettacolo faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe. Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri e anche se la catena era grossa mi pareva ovvio che un animale del genere potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.
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Che cosa lo teneva legato?
Chiesi in giro a tutte le persone che incontravo di risolvere il mistero dell’elefante; qualcuno mi disse che l’elefante non scappava perché era ammaestrato… allora posi la domanda ovvia: “se è ammaestrato, perché lo incatenano?” Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.
Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto. Per mia fortuna qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato tanto saggio da trovare la risposta: l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.
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Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato ad un paletto che provava a spingere, tirare e sudava nel tentativo di liberarsi, ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui, così dopo vari tentativi un giorno si rassegnò alla propria impotenza. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché crede di non poterlo fare: sulla sua pelle è impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata e non è mai più ritornato a provare… non ha mai più messo alla prova di nuovo la sua forza… mai più!
A volte viviamo anche noi come l’elefante pensando che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai”.
L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore… tutto il tuo cuore!”
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benzedrina · 1 year
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Una volta per noia creai un gioco da tavolo (più party game) un pelino hot, immaginai le regole, il modo di interagire e la sera lo provammo un po' fatti un po' ubriachi. Il gioco fu un successo e mi sono sempre detto di scriverlo per bene e mandarlo a un sito che vende sex toys. Sono passati 2 anni. Dovrei capire molto da questo. Tante idee, tanta noia colmata da lampi d'inutilità come ieri che ho finito sex education nel giorno in cui è uscita e come oggi che ho scritto un codice per avere una mia app del fantacalcio in cui meno fai punti e più è forte la squadra, poca propensione a fare le cose. Prima era più un deludere i miei che dicevano che perdevo troppo tempo e le cose che facevo non andavano mai bene, poi quella fase è passata (i traumi restano, i know) e boh i miei non li ho sentiti più di tanto. Ad oggi sono 8 mesi che mi vedono costantemente a pranzo, non so che opinione abbiano di me, ma il fatto che non vivo completamente dei soldi loro alza un po' il punteggio. Oh i 30 anni sono andati così. Un delirio, uno sfracello, una mitigata rivoluzione. Quest'anno non è ancora finito e 3 mesi sono lunghi.
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princessofmistake · 5 months
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D’un tratto, mi sentii come se qualcuno mi avesse preso l’anima a randellate. Per cercare di mantenere l’equilibrio, immaginai di essere uno dei personaggi di Fitzgerald – nevrastenico, smanioso, chiuso in sé stesso – per il quale l’infelicità in qualche modo acuisce la nobiltà. Ma quel pensiero non fu salvifico come speravo.
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Alcune canzoni le associo a momenti precisi. Ricordo (quasi) perfettamente la prima volta che ho ascoltato davvero Come Out and Play di Billie Eilish. Ero a casa di Alice, credo. Eravamo rimasti svegli tutta la notte a bere e suonare. Erano le sei del mattino, dormivo sul divano-letto in soggiorno con Stefano, credo. Non ci giurerei, ma credo fosse un po' di ore prima della mattina in cui è stata scattata la foto in cui suono, che ancora oggi è la mia immagine del profilo. Ma forse sto confondendo le cose.
Non riuscivo a prendere sonno, non so perché stessi ascoltando la musica. Le note di quella canzone mi arrivarono piano, dolci, leggere. Ero troppo stanco per capire cosa dicesse. La prima luce entrava di sbieco dalle tapparelle chiuse. C'era silenzio. Immaginai che la canzone parlasse di una storia cantata a bassa voce, una di quelle che mi raccontava mia madre da bambino. Scrissi anche una mia versione del testo, la chiamai "Prima della Fiaba". Mi addormentai.
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auxoubliettes · 1 year
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Penso ai gesti dimenticati, ai molteplici atteggiamenti e parole dei nonni, a poco a poco perduti, non ereditati, caduti uno dopo l'altro dall'albero del tempo. Questa notte trovai su un tavolo un lume, e per gioco lo accesi e percorsi il corridoio. Muovendomi l'aria stava per spegnerlo, allora vidi che la mia mano sinistra si alzava sola, faceva schermo, proteggeva la fiamma [...]. Mentre il fuoco si rizzava nuovamente all'erta, pensai che quel gesto era appartenuto a tutti noi (pensai noi e pensai giusto, o sentii giustamente) per migliaia d'anni [...]. Immaginai altri gesti, [...] le parole perdute dell'infanzia, [...] le musiche di allora, i valzer degli anni venti, le polche che commuovevano i nonni. Penso a questi oggetti, a quelle scatole, a tutte quelle cose che qualche volta ricompaiono nei granai, nelle cucine o nei nascondigli, e il cui uso ormai più nessuno è capace di spiegare. Vanità, la nostra di credere di poter capire le opere del tempo: lui sotterra i suoi morti e conserva la chiave. Solo in sogno, nella poesia, nel gioco [...] ci affacciamo qualche volta a ciò che fummo prima di essere quel che va a sapere se siamo.
Julio Cortázar, Rayuela
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tophe23 · 2 years
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heylookits · 2 years
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AI Art - Prompt: Animals protesting the destruction of their forest. - using the ImnaginAI app. This turned out a lot weirder than I imagined! #AIArt #AnimalsProtesting #ForestDestruction #SaveForests #ImmaginAI https://www.instagram.com/p/Coqteo0N8cZ/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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macabr00blog · 7 months
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dionea muscipula
L’inverno accade piano.
La vecchia sensazione della tua barba rada che graffia. Mi hai raccomandato che esistono delle sfumature del giorno in cui possiamo stare vicini, qualcosa di più, qualcosa di meno. Luoghi di sapori tenui come lo zucchero di canna mescolato al caffè prima sulla mia e poi sulla tua lingua. Le tue guance souvenir, le mie riempite di confetti, abbuffate battesimali di corpi in fesa, bomboniere dai colori tenui. La vecchia e nuova sensazione della tua barba che mi si strofina addosso, ora che è cresciuta, mi accarezza.
Storie di famiglie. I corsi delle vene deviati da qualche piccolo intoppo: deviati da qualche piccola massa: deviati da qualche piccolo insetto. L’ho sentito parlare di dipendenze. Portava una mano al petto, recitava?, pregava?, il suo volto si imbruniva nel tempo, l’ho sentito parlare di amore, recitava?, l’ho sentito parlare di violenza, pregava? Mi ha raccontato che la gente piange spesso ai funerali, Plutoni distratti, lui che si china sul feretro, lei non ha più il volto che aveva quando l’hanno trovata. E’ più bianca, è più lucida, sembra foderata di plastica. Un sacco biodegradabile sul suo cranio, un sacco biodegradabile dove andranno a morire le sue grida, nessuno ha mai urlato così tanto, nessuno ha mai sentito parlare dell’amore. E’ uscito dalla sua bocca, è suo figlio, nessun l’avrebbe mai amata così. Nessuno ha mai sentito parlare di violenza. Tranne quella volta che l’hanno tramortito dopo una festa, tranne quella volta in cui gli è toccata la seconda lavanda gastrica, tranne quella volta che ne ha presa una in più, e una in più, e due tre quattro in più, danni da prescrizione, è più bianco, è più lucido. La malattia non lo colpisce, prega?, la malattia lo benedice, recita?
L’inverno è un incubo che non porta a niente, uno spirito freddo senza scarpe, i suoi passi leggeri sulla ceramica del pavimento del bagno, piante di pelli bagnate dal cloro e dalla rugiada. Mi accorgo che settembre a Bologna è un leggero buffetto sulla spalla, complimento di una prozia che non vedevo da mesi, ma novembre sradica le sue ossa e le lascia scivolare nella marea dell’asfalto alluvionato. Ed era così forte che non ci ho creduto. Il suo corpo da Marte reso martire, guerra dei suoi canini sopra i miei, siamo due cani rabbiosi nel cortile, ci prendiamo a morsi le guance. Il suo corpo da Venere che inghiotte mosche. A lui piace sentire il sapore della carne sulla lingua, quando ancora sa di ferro, gli piace sentire che il mio sangue a contatto con il suo brucia.
E’ un deviato, nessuno lo amerà più così, sacco biodegradabile che è il mio addome, ricordiamo i lutti e i lumi passati, ci schiudiamo come su una stele. Le sue mani rese porpora dalle interiora, pensa che lavorare in una macelleria sia come fare un boia, io mi aggiro con la peste in corpo, non ho paura dei contagi.
Quando mi disse che c’era ancora spazio, che era rimasto come un confine disegnato a penna, immaginai quell’esatto momento del giorno in cui divento pazzo, gli incubi mi si incollano alle palpebre. Non guardarmi, dico, voglio farlo da solo. Ma la realtà è che ho pensato fin troppo alla compassione, alla cura, alle grazie di quest’annata di ostinazioni. Incredibilmente, la primavera mi porta sempre da te.
Scambiamo qualche parola che sa di futuro, ce ne dimentichiamo subito dopo, è una piccola particella in cancrena che ci ottura un’arteria. Lui ha tante cose da finire, lavori incompleti lasciati a prendere polvere, io sono ancora in tempo per imparare a distinguere i confini reali. Mi porto una mano sul petto, il candore della mia giovinezza reso vile dai peli, ora che ho un corpo simile al suo posso non avere vergogna di mangiare davanti a lui, ora che ho un corpo simile al suo posso portarmi una mano al petto, esce dalla mia bocca, è una parola di riguardo verso mio padre.
E ancora, storie di famiglie.
Sono sincero quando dico che vorrei fosse morto, quella sera. La malattia lo colpisce. La malattia lo benedice. Lui non muore mai. La sua testa sa ancora di ferro, gli aghi da cucito si tramutano in spilli, ci cammino sopra come un monaco sacrificale. E’ così difficile fare pace con il siamo insieme in questo, che più mi muta il mento, più gli rassomiglio in modo scabroso.
Io sono nato in mezzo ai drammi di un nido, ho assimilato giusto giusto qualche parola sulla violenza, la mia gola non è ancora abbastanza spaziosa per l’odio, tu cammini troppo veloce anche per me e ti sistemi la sciarpa tartan, mi dici che la primavera ti ha portato qui. E’ come un vento caldo che spera di scuotere. E’ come un’altra parola che fatica a venirci in mente, ce la inerpichiamo tra le lingue per ore, la rendiamo un batuffolo di salive che scivola rotolando lungo le strade. Baciarti dove avrei avuto più vergogna, sbigottito del mio stesso fervore, ho vent’anni e mi si è incollato addosso l’odore dell’idea che torni presto inverno.
Marzo mi porta le tue ossa. Aprile mi porta i tuoi organi. Maggio mi porta la tua voce, che è quella di una volta, che è uguale alla mia. Giugno mi porta la tua anima, la sagoma del tuo vecchio io sudato sulle mie lenzuola. E’ un anno che imparo a dormire con la tua metà del cervello accanto alla mia, tu mi ripeti che c'è ancora spazio per noi, quindi, dov’è?
Se io sono una falena resa sterile dalla luce e tu sei una pianta carnivora lasciata seccare, allora, dov’è? Nel mio e nel tuo modo di morire? O di volerci bene? O di entrambe le cose?
Cos’è quello spazio del giorno in cui divento pazzo se non l’inverno?
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inter-sidera-versor · 7 months
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Faccio fatica a partecipare alle piccole emozioni, per me è stato incredibile diventare padre, tutto il posto è stato occupato.
- Meno il luogo dove conservo il ricordo di te - dicesti poi con un filo di voce, o forse lo immaginai.
- Giura; Stefano Benni
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